la prima condizione della sua creatività? Dove si potrà recuperare l’innocenza, se il poeta diffiderà dei suoi stessi impulsi, se i pensieri verranno risucchiati in un gorgo? Che cosa sono diventate adesso le arie del Don Giovanni e del Flauto magico? Non sono anch’esse leziosaggine e ridicola affettazione? Che cosa resta delle opere complete dei poeti? Che cosa resta della pila di libri, che – spaventevole – non cessa mai di crescere? Che cosa ancora c’è di vero? Che cosa ancora mette conto di leggere? Che cosa resterà in piedi il giorno del Giudizio Universale? ... L’Asia cattolica penetra nel mondo di Hesse, che ha avuto sinora, per via della sua origine e del suo orizzonte di pensiero, un orientamento marcatamente protestante. Il «tramonto dell’Europa» era nel 1919 una parola d’ordine, che, messa in circolazione da fonti ufficiali, si puntellava sul bolscevismo russo con l’obiettivo politico di impedire, nel corso delle trattative di pace e delle successive discussioni franco-americane, la completa dissoluzione della potenza militare tedesca. Fu in questa congiuntura che venne a inserirsi anche l’opera di Spengler, Il tramonto dell’Occidente; benché Spengler avesse allora promesso di coinvolgere, con il secondo volume, anche la Russia nella sua disamina. Voglio dire: lo slogan «tramonto dell’Occidente» ha una connotazione molto tedesca; in Francia, ad esempio, non si credeva per nulla a un simile tramonto, e tanto meno in Inghilterra, eppure anche queste piccole province appartengono all’Europa e all’Occidente. Ma, a prescindere da tutto ciò, Hesse intendeva comunque la cosa diversamente rispetto a Spengler. Per Hesse il tramonto proveniva più dall’interno, dalle scaturigini dell’anima, e la parola «tramonto», in conformità con la sua dottrina circa il carattere illusorio degli opposti, finirà per identificarsi anche in lui con la parola «resurrezione». Ciò che Hesse coglie in Dostoevskij è il contrasto con gli ideali del Rinascimento e della Riforma. Quel mondo è votato al tramonto; e poiché finora vi erano racchiuse le più profonde radici del poeta, ecco che tutto gli sembra ormai perduto: sul piano interiore e su quello esterno. Anche in Dostoevskij gli opposti sono superati; la sua psicologia può servire di fondamento al criminale come al santo. Essa tocca, in un anarchismo appena dissimulato, il grembo materno delle cose, il mondo dell’eterna follia; quell’universo proteiforme, dove in qualsiasi momento tutto si può trasformare nel contrario di tutto. È il risvolto indiano nel pensiero di Dostoevskij ciò che Hesse percepisce, e nella conclusione del Siddhartha – anche qui troviamo un ulteriore punto di tangenza – quel risvolto prende forma. È il mondo demiurgico affiorato per la
prima volta nel Demian, e che per Hesse significa il superamento della morale, la liberazione dalla legge, dallo Stato, dalla scuola, e in particolare dalle angustie dell’educazione paterna. Il lato notturno della vita dev’essere incluso nell’ideale umanitario. Questo comporta un diverso atteggiamento nei confronti delle figure tenute ai margini della società – come gli appartenenti al quarto e al quinto stato: proletari, garzoni artigiani, déracinés, creature devianti, emarginati; ma anche nei confronti del crimine, della corruzione, dell’omicidio, del furto e del vizio. Il nucleo umano di queste figure ai margini – emarginazioni, per Hesse, tipicamente europee – dev’essere messo in risalto, riconosciuto e accolto nella nuova immagine del mondo. Ecco la rinascita, ecco la radice di una nuova civiltà, di un nuovo ordine, di una nuova morale. È un tema che non si può esaurire né con dieci né con cento dibattiti. Mi sembra comunque degno di nota che, in questo saggio, Hesse abbia abbattuto anche l’ultima barriera del suo mondo ispirato al protestantesimo tedesco. E mi pare altrettanto significativo che vada ricondotto alla psicoanalisi e al Demian il momento in cui Hesse – in radicale contrasto con Nietzsche e con il suo mondo della luce così come compare nello Zarathustra – mostra di aver recepito l’influenza del lato materno. Si privilegia in tal modo il mondo dell’inconscio e il ritorno ad esso, il mondo dell’Idiota dostoevskijano. E anche il mondo dell’apostolo Paolo, che Nietzsche mette così stoltamente sotto accusa; di quell’apostolo, il quale mobilitava gli «idiotai», i rinati, i «bambinelli» contro il pletorico sapere alessandrino. Anche questo va sottolineato, che nel Siddhartha Hesse cerca dunque di attuare una specie di sintesi fra l’uomo di Naumburg e quello di Mosca; egli è stato partecipe sin nel profondo della natura di entrambi, e ha intessuto le loro idee nella lingua del figlio del sacerdote indiano. Non ci sono più classi, non più nazioni; e non dovrà più esservi nemmeno il contrasto fra l’Europa e l’Asia. Questo tentativo di gettare un ponte fra i due mondi si era affacciato per la prima volta nel suo resoconto Dall’India. Proseguendo in Ticino i propri studi sulle religioni, sull’India e sulla Cina, Hesse sarà sempre più teso al conseguimento di tale obiettivo. La sua opera ha accolto in sé tutte le caste europee. Egli conosce l’Europa centrale: i suoi primi libri furono studi assai approfonditi in tale campo. Non gli resta ora che la propria persona, la propria vita nuda, e nel periodo di transizione solo la responsabilità del proprio sogno: l’immagine sorridente e ferita dell’essere umano, l’unione di Buddha e Cristo. Essere stati duttili, essere stati capaci di cambiamento ed esserlo ancora; non
essersi irrigiditi, ma aver mantenuto l’elasticità: questo soltanto aveva retto. Essere rimasti sempre legati alla vita; una vita che, di tanto in tanto, procurava nuovi e fuggevoli incontri e gioie fuggevoli; non aver perso il piacere del proprio canto e del proprio dolore: questo era consolazione e pungolo a nuove curiosità, a nuovi approfondimenti. E in sé avvertire sempre la chiamata e un nuovo anelito; essere sempre in cammino e per strada; non aver trovato ancora la patria definitiva, quella che ancora non si è manifestata né si è fatta immagine; continuare ad aver la sensazione di non essere arrivati sino in fondo, di non essere definitivamente alla meta: questo era ulteriore stimolo e speranza. Già durante la guerra Hesse, al pari di tutti coloro che all’epoca vivevano in Svizzera come in un grande sanatorio, era sceso talora nel parco solatio di questa terra elvetica: il Ticino. Il luogo era gradito al poeta perché lì, del conflitto, si percepiva solo un’eco lontana. E, meraviglia delle meraviglie, di stranieri in quel cantuccio non ce n’erano affatto: avevano tutti preso la fuga. Gli alberghi erano vuoti, e le automobili ancora non erano in numero così esorbitante come sette anni dopo, al tempo del Lupo della steppa. Lì, sul versante meridionale del Gottardo vi era anche – dal punto di vista climatico – una sorta di via di mezzo fra l’Islanda e l’India; un po’ più di sole che non da altre parti, un calice di vinello nostrano, un po’ di pane e formaggio. La vegetazione era subtropicale: vi crescevano araucarie e scotani, querce da sughero e altre rarità. C’erano montagne che sembravano pan di zucchero; e poi vigneti, lucertole e laghi azzurri. Lì sarebbe stato bello vivere. Lì era possibile ritrovare se stessi e ricondurre a congruo livello il diagramma della febbre contratta con le esperienze fatte al Nord. Lì non era difficile sentirsi al sicuro. E Hesse, che nel 1919, a pace conclusa, è finalmente sollevato dalle sue incombenze bernesi, lascia che nella capitale della Confederazione Woltereck continui da solo a intonare il «Vivos voco», e scende nel verdeggiante Ticino per bearsi in un bagno di sole senza limiti di tempo. (1926)
FONTI E TITOLI ORIGINALI I materiali raccolti in questo volume sono tratti da Materialien zu Hermann Hesses «Siddhartha», a cura di V. Michels, 2 voll., Suhrkamp, Frankfurt am Main, 1975, 1976. Diamo qui di seguito l’indicazione dei luoghi in cui sono apparsi per la prima volta. Il mio rapporto con la cultura dell’India e della Cina Über mein Verhältnis zum geistigen Indien und China, 1922, inedito, ora in H. Hesse, Aus Indien. Aufzeichnungen, Tagebücher, Gedichte, Betrachtungen und Erzählungen, a cura di V. Michels, edizione ampliata, Suhrkamp, Frankfurt am Main, 1988, pp. 259-60; e in Sämtliche Werke (SW), a cura di V. Michels, Suhrkamp, Frankfurt am Main, vol. XII, 2003, pp. 128-30. Una visita dall’India Besuch aus Indien, in «Neue Zürcher Zeitung», 6 novembre 1922; ora in SW, vol. XIII, 2003, pp. 422-26. Nostalgia dell’India Sehnsucht nach Indien, in «Berliner Tageblatt», 12 dicembre 1925; ora in SW, vol. XVIII, 2002, pp. 575-79. Dall’India e sull’India Aus Indien und über Indien, in «Berliner Tageblatt», 24 settembre 1925; ora in SW, vol. XVIII, 2002, pp. 536-40. Il mio credo Mein Glaube, in Dichterglaube. Stimmen zur religiösen Erhebung, a cura di H. Braun, Eckart Verlag, Berlin, 1931; ora in SW, vol. XII, 2003, p. 130. Il cammino di Hermann Hesse S. Zweig, Der Weg Hermann Hesses, in «Neue Freie Presse», 6 febbraio 1923; ora in S. Zweig, Die Monotonisierung der Welt, Suhrkamp, Frankfurt am Main, 1976, pp. 218-25.
Hermann Hesse e l’Oriente H. Ball, Hermann Hesse und der Osten, in «Die Neue Rundschau», maggio 1927. Scritto nel 1926 e ripreso dall’autore con il titolo «Siddhartha» come capitolo della monografia Hermann Hesse. Sein Leben und sein Werk, S. Fischer, Berlin, 1927, pp. 162-87; nuova edizione, Suhrkamp, Frankfurt am Main, 1985, pp. 126-45.
NOTE 1 Il termine Atman deriva forse dalla radice an (respirare: quindi respiro, soffio, anima). Oppure è funzione di due radici pronominali equivalenti a «questo io». Ricorre frequentemente in sanscrito come pronome riflessivo e come sostantivo, col significato di «la stessa», «la propria persona», e perciò in senso filosofico indica il Sé, l’anima in contrapposizione al corpo. 2 Anteprima dal titolo Presso gli asceti, 6 e 7 agosto 1920. 3 Anteprima sulla «Neue Rundschau», luglio 1921. 4 Docente di storia asiatica all’Università di Calcutta. 5 Stefan Zweig, Die Augen des ewigen Bruders, Eine Legende [Gli occhi dell’eterno fratello], Insel Verlag, Leipzig, 1922, già pubblicato in anteprima sulla «Neue Rundschau» nel maggio del 1921. 6 Stefan Zweig, dal 1903 in corrispondenza con Hesse, nel 1904 andò a trovare a Gaienhofen lo scrittore. 7 Stefan Zweig, Der Weg Hermann Hesses, in «Neue Freie Presse», 6 febbraio 1923. Si veda, sotto, Il cammino di Hermann Hesse, pp. 249-57. 8 Fritz Marti, Siddhartha, in «Der kleine Bund», 3, 1922, p. 391. 9 Si tratta del già citato saggio Il cammino di Hermann Hesse. 10 Robert Aghion.
11 Cfr. sopra, pp. 28 e 162-63. 12 Thomas Mann, Die vertauschten Köpfe. Eine indische Legende [Le teste scambiate], Bermann-Fischer, Stockholm, 1940. 13 L’insegnante di latino di Hermann Hesse a Göppingen. 14 Si tratta di alcune riproduzioni a colori di dodici miniature indiane. 15 Bi-Yän-Lu, Meister Yüan-Wu’s Niederschrift von der Smaragdenen Felswand, versione e commento di Wilhelm Gundert, Hanser, München, 1960. 16 Cfr. Haßbriefe, in Hermann Hesse, Politik des Gewissens, Suhrkamp, Frankfurt am Main, 1977, pp. 396 sgg. 17 Joseph Englert (1874-1957), ingegnere, amico di Hesse, «Jup, il mago» nell’Ultima estate di Klingsor. Fece anche l’oroscopo a Hesse. 18 Nel 1919 Hesse fondò insieme con il professor Richard Woltereck il mensile politico letterario «Vivos voco», figurandone come direttore sino al 1922. 19 Richard von Garbe (1857-1927), studioso di sanscrito, traduttore fra l’altro della Bhagavadgita in tedesco e autore di diverse opere sulla filosofia del Samkhya. 20 Verosimilmente l’8 maggio 1921. Per Hugo Ball si veda sopra e sotto, alle pp. 165-66, 168, 245 e 259-77. 21 Hugo Ball, Byzantinisches Christentum, Duncker & Humblot, München- Leipzig, 1923. 22 Oscar A.H. Schmitz (1873-1931), cfr. sopra, pp. 164-65.
23 C.G. Jung in una lettera a Hesse del 18 marzo 1921. 24 Hesse recensì il volume, uscito nel 1921 presso il Georg Müller Verlag di Monaco, sulla rivista «Wissen und Leben» nel giugno di quell’anno. 25 Elisabeth, in Hermann Hesse, Sull’amore, trad. it. di B. Bianchi, Mondadori, Milano, 1988, p. 78 [N.d.T.]. 26 Hermann Hesse, Gertrud, trad. it. di M.T. Mandalari, Mondadori, Milano, 1980, p. 177 [N.d.T.]. 27 «März [marzo]» è il nome della rivista diretta da Hesse [N.d.T.]. 28 L’amico di Hölderlin, scrittore e diplomatico tedesco, vissuto tra il 1775 e il 1815, si chiamava in realtà Isaac (e non Emil) von Sinclair [N.d.T.].
Search
Read the Text Version
- 1
- 2
- 3
- 4
- 5
- 6
- 7
- 8
- 9
- 10
- 11
- 12
- 13
- 14
- 15
- 16
- 17
- 18
- 19
- 20
- 21
- 22
- 23
- 24
- 25
- 26
- 27
- 28
- 29
- 30
- 31
- 32
- 33
- 34
- 35
- 36
- 37
- 38
- 39
- 40
- 41
- 42
- 43
- 44
- 45
- 46
- 47
- 48
- 49
- 50
- 51
- 52
- 53
- 54
- 55
- 56
- 57
- 58
- 59
- 60
- 61
- 62
- 63
- 64
- 65
- 66
- 67
- 68
- 69
- 70
- 71
- 72
- 73
- 74
- 75
- 76
- 77
- 78
- 79
- 80
- 81
- 82
- 83
- 84
- 85
- 86
- 87
- 88
- 89
- 90
- 91
- 92
- 93
- 94
- 95
- 96
- 97
- 98
- 99
- 100
- 101
- 102
- 103
- 104
- 105
- 106
- 107
- 108
- 109
- 110
- 111
- 112
- 113
- 114
- 115
- 116
- 117
- 118
- 119
- 120
- 121
- 122
- 123
- 124
- 125
- 126
- 127
- 128
- 129
- 130
- 131
- 132
- 133
- 134
- 135
- 136
- 137
- 138
- 139
- 140
- 141
- 142
- 143
- 144
- 145
- 146
- 147
- 148
- 149
- 150
- 151
- 152
- 153
- 154
- 155
- 156
- 157
- 158
- 159
- 160
- 161
- 162
- 163
- 164
- 165
- 166
- 167
- 168
- 169
- 170
- 171
- 172
- 173
- 174
- 175
- 176
- 177
- 178
- 179
- 180
- 181
- 182
- 183
- 184
- 185
- 186
- 187
- 188
- 189
- 190
- 191
- 192
- 193
- 194
- 195
- 196
- 197
- 198
- 199
- 200
- 201
- 202
- 203
- 204
- 205
- 206
- 207
- 208