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The-Turkish-Diary

Published by diafa_f, 2015-01-09 10:38:29

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Turchia - L’armonia del caos IstanbulA Istanbul si respira aria nuova, c’è un’energia elettrizzante nell’aria, la gente non ha più paura, lasolidarietà è tornata a primeggiare nei rapporti umani. E’ come se l’umanità avesse ripreso il controllo su sestessa, sulle persone. Le emozioni che vengono sottolineate da chi sogna una Turchia differentecompongono un mosaico colorato di sentimenti umani, l’assenza di timore, la voglia di stare insieme,tornare a vivere la propria vita decidendo della propria vita, l’allegria… Un ventaglio di sentimenti checolora, sia l’animo umano, sia le strade e le piazze di Istanbul (che a dire la verità, per una città così grande,sembrano davvero poche). Mentre Recep Tayyip Erdoğan, il primo ministro turco, preoccupato per lasituazione egiziana, non parla più delle manifestazioni di Gezi Park, i movimenti continuano. I famigeratiToma, i blindati della polizia riempiti d’acqua e di additivi poco piacevoli (peperoncino liquido tra gli altri) lisi vede fare rifornimento in varie parti della città, con il loro colore bianco che li rende quasi innocui a primavista, ma di innocuo non hanno proprio nulla, come le stesse repressioni testimoniano. La bellezza deimovimenti è la sua variegata formazione generalmente non strutturata, ma, se da un lato può essere unpregio, dall’altro può rappresentare un limite nel momento in cui le energie e le forze si dovrebberocanalizzare in nuove idee per un futuro diverso.Istanbul regala delle emozioni indescrivibili, grazie al suo fascino senza tempo, e alla sua nuova primavera,non araba, ma certamente turca. E’ proprio questo, forse, il senso della parola, tanto utilizzata, a volte forsea sproposito di primavera. E’ un risveglio politico e civile, non a caso venne utilizzata in senso lato perraccontare quella bella storia poi soffocata della Primavera di Praga nel 1968. La primavera rappresentaun’esplosione di emozioni che contaminano l’animo umano, dai racconti che si susseguono da tantepersone incontrate e conosciute, le emozioni sono al primo posto, insieme ad una rinata voglia di vivere odi sentirsi vivi. C’è uno spirito nuovo che anima le vite degli abitanti di quella che una volta era Bisanzio epoi è diventata Costantinopoli. Uno spirito che rinnova la fiducia nella cittadinanza che scende unita inpiazza, Taksim è sicuramente la più famosa ma non l’unica, come gruppi variegati appartenenti alle piùdifferenti anime umane. Sono tante le persone che si sono trovate fianco a fianco, dagli ecologisti, airadicali di sinistra, dagli appartenenti ai movimenti LGBT, ai musulmani anticapitalisti, e così via per unelenco che difficilmente finirebbe presto, questa è la forza di questa primavera che ha risvegliato lapopolazione turca, dopo anni di autoritarismo, e decisioni imposte contro il parere e il volere dei cittadini,con leggi che in questi ultimi periodi venivano approvate strizzando l’occhio all’Islam e quindi provocandoun vulnus che seppur piccolo faceva pensare a un’attitudine che non prometteva niente di buono per ilfuturo, per una società che da quasi un secolo, dai tempi delle riforme del padre della patria, MustafaKemal Atatürk (Presidente della Repubblica Turca dal 1923 al 1938), vive nella laicità. E così, la goccia cheha fatto traboccare il vaso, il taglio degli alberi ha innescato un meccanismo che probabilmente i potenti diturno non si aspettavano.“Enough is enough” ripetono Selin, Gozde, Orhan, Önder e altri, è sicuramente uno slogan, ma piùsemplicemente è l’esternalizzazione di un sentimento che per troppo tempo era stato represso. “Primavivevamo la nostra vita senza rendercene conto” dice Selin, ora la vivono sentendola sulla loro pelle.Nonostante i famigerati Toma, nonostante i gas, nonostante gli idranti d’acqua e additivi. Nonostante tutto

si manifesta e si fa festa. E si fa festa anche semplicemente ritornando a popolare le strade, ritornando aincontrarsi, ritornando a sentire l’umanità delle persone.In quest’ultimo periodo non si può raccontare Istanbul senza raccontare la sua gente, senza raccontare leloro storie, senza raccontare questo cambiamento che non avrà probabilmente ripercussioni politichenell’immediato, ma scuramente ha cambiato l’approccio alla vita di una popolazione che non si sentiva piùpartecipe delle decisioni della res publica. Istanbul (dal greco eis ten polin, verso la città) oggi appareancora più accogliente, perché più accoglienti sono i suoi abitanti. L’antica capitale dell’impero ottomanosorge sulle due rive del Corno d’oro, tra il Mar di Marmara e il Bosforo, sorge sia in Europa sia in Asia, è uncrogiuolo di culture, di umanità che ne hanno caratterizzato la sua caotica vivacità. Camminando per le suestrade, senza indicare gli innumerevoli monumenti che si devono scoprire perdendosi per le minuscole viedei quartieri antichi, si fa un tuffo nella storia. Con la rovina dell’Impero bizantino gran parte delle chiesefurono trasformate in moschee e la città continuò ad abbellirsi di splendidi monumenti. E così è statoprima, e così è stato poi, fino a qualche tempo fa però. Negli ultimi anni, infatti, lo sviluppo urbanisticovoluto dal governo dell’AKP (Adalet ve Kalkınma Partisi, il Partito per lo Sviluppo e la Giustizia), capitanatoda Erdoğan sta cambiando radicalmente il volto di Istanbul. Lo skyline della città che negli ultimi anni èstato alterato da grattacieli che superano in altezza i minareti delle moschee, continua ad essere martoriatodalle costruzioni selvagge, come in un cantiere a cielo aperto, che sta minando la bellezza di una città che èstata capitale di tre imperi. Anche in questo caso, si rimprovera al primo ministro di non aver consultato lapopolazione, nell’impeto autoritario che ne contraddistingue la sua cultura politica. Questa trasformazionealtro non è che la metafora dell’attrito che sta vivendo il paese, islamismo versus laicismo, cultura ruraleversus cultura urbana, sospeso tra Europa e Asia con lo sguardo rivolto all’Unione Europea.Gli oltre dieci anni di governo dell’AKP e di Erdoğan si sono intrecciati e s’intrecciano profondamente conl’economia. Quando il partito conquistò il potere, la Turchia si trovava in ginocchio, veniva da un biennio(2000 e 2001) di crisi economica durissima. Da quel momento la Turchia, attualmente la diciassettesimaeconomia al mondo, ha conosciuto una fase espansiva quasi senza interruzioni (se si eccettua il 2008 e il2009), vivendo un vero e proprio boom economico (a onor di cronaca, ora la crescita è più lenta,considerando anche il contesto economico internazionale).Istanbul è l’unica metropoli al mondo che appartiene a due continenti, che nel corso dei secoli ne hannoplasmato l’estetica e l’interiorità. Nonostante l’indubbio e importante miglioramento delle condizionieconomiche, Istanbul si trova, figlia della sua storia, per l’ennesima volta a metà, come sospesa tra l’est el’ovest, l’autoritarismo e il modello fully modern and fully religious di Erdoğan ha portato ad un forte sensodi risentimento da parte di molti cittadini, in particolare in coloro che vivono da sempre in città, gliintellettuali urbani e i più poveri, che spesso sono costretti ad abbandonare le proprie case in nome diquella costruzione selvaggia che s’incarna principalmente in condomini di lusso e centri commerciali.Ma, nonostante tutto la Turchia si muove, e se difficilmente quest’energia può portare ad un cambiamentopolitico nell’immediato, sicuramente si è detto basta, enough is enough, verso un’autorità paternalisticadecisa ad indicare la giusta via da seguire in ogni sfera della vita della società civile.

EfesoQuando John Turtle Wood, architetto, ingegnere e infine archeologo, lasciò l’Inghilterra nel 1858 per recarsiin Turchia, dalle parti di İzmir, per costruire le stazioni della nuova linea ferroviaria, Efeso era poco più chequalche rudere ricoperto dalla vegetazione e dai detriti. La costa si era già spostata (a causa degli apportialluvionali del fiume) di qualche chilometro, l’area era paludosa e il Tempio di Artemide (Diana per iromani), una delle sette meraviglie del mondo (antico), giaceva nell’oblio. Ben presto Wood perse interessenelle stazioni ferroviarie spostando la sua attenzione e curiosità verso la storia dimenticata di Efeso e, inparticolare, il Tempio di Artemide. Da architetto si trasformò in archeologo e, grazie al contributofinanziario del British Museum, nel 1869 riportò alla luce il sito del tempio. Efeso era stata una delle cittàpiù importanti, popolose e ricche dell’Asia Minore, ma nel corso dei secoli, cominciò a perdere importanza,finché la popolazione l’abbandonò per trasferirsi alle pendici della collina di Ayasoluk, dove oggi sorgeSelçuk. Ma è grazia all’ostinazione, alla passione, e alle tribolazioni di Wood che tornarono alla luce, nel lorocompleto splendore i resti in marmo bianco di archi, colonne, statue ed edifici. Quella che poco più di unsecolo fa era una città dimenticata, celata all’oblio, poco raccontata dalle cronache dei viandanti della finedell’Ottocento, oggi è ritornata ad essere uno dei più noti siti archeologici del Mediterraneo. La visita adEfeso riporta indietro di una decina di secoli qualsiasi viaggiatore tra le rovine ben conservate, ma, il flussoininterrotto di visitatori (circa tre milioni e mezzo ogni anno) guasta l’incanto e la suggestione si perde tra lechiacchiere troppo svociate e tra le centinaia di migliaia di foto scattate da tutti gli apparecchi di ultimagenerazione, come se l’occhio umano potesse vedere solo attraverso un filtro. La suggestione e l’emozioneche regala una visita ad un sito come Efeso, si disperde così, sfortunatamente nell’aria.La storia della Turchia spesso s’intreccia con la storia del primo vero e proprio mezzo di trasporto di massa,il treno. Se Efeso ha ritrovato la luce grazie a un architetto inglese intento a progettare e costruire lestazioni ferroviarie nella parte egea della Turchia, un treno ben più seducente, l’Orient-Express, ha animatole fantasie dell’uomo per quasi un secolo. Nato dalla visionaria intraprendenza di Georges Nagelmackers,uomo d’affari belga della fine dell’Ottocento (creatore della Compagnie Internationale des Wagons-Lits),l’Orient-Express doveva essere “un treno che attraversasse un continente correndo su un unico nastro dimetallo per più di 1.500 miglia”, e così è stato. Inaugurato il 4 ottobre 1883, per quasi cent’anni (con varieinterruzioni durante la prima e la seconda guerra mondiale), l’Orient-Express ha fatto molto di più chemettere in contatto i paesi tra Parigi e Istanbul, ha creato veri e propri legami, intrecciando le storiedell’uomo, sino al 1977 anno dell’ultima corsa, soppiantato economicamente dalla concorrenza deitrasporti su cielo. Ma la storia dei treni in Turchia non può prescindere dalla linea Berlino-Baghdad, inquell’ottica espansionistica che i tedeschi chiamavano Drang nach Osten, la spinta verso l’est, dellaGermania nell’Ottocento. La politica tedesca ben si coniugava con la voglia di apertura verso occidentedell’allora impero ottomano, il Berlino-Baghdad Express era un’idea geopolitica importante, di stabilità,espansione, approvvigionamento e allo stesso tempo di contrapposizione strategica della Germania controInghilterra e Francia. Quest’idea si rafforzò nel 1908 quando a Mosul, nel nord di quello che oggi è l’Iraq fuscoperto il petrolio. Per un motivo o per l’altro, comunque, quel treno per Baghdad come scrive MarioFales, resta “più un mito che un mezzo di trasporto o un itinerario”. Immaginato alla fine dell’Ottocento fuultimato troppo tardi, nel mentre si avvicendarono la prima e la seconda guerra mondiale, si alternaronoinfluenze e, di nuovo, arrivò la concorrenza dell’aereo.

PammukaleCi sono luoghi che devono semplicemente essere sentiti! Pammukale è uno di questi…La natura è meravigliosa e non finisce mai di stupirci, regala molto spesso delle emozioni che difficilmentepossono essere descritte a parole, ma noi si ha l’arroganza di esprimerci e quindi tentare di rendere aparole l’immaginifico. Pammukale, castello di cotone in turco, racconta una bella combinazione naturale. Ifrequenti movimenti tettonici dell’area (nella provincia di Denizli, nel sud-ovest della Turchia) hannoportato in superficie le acque sotterranee creando così delle fonti termali le cui acque sono ricche dicarbonato di calcio. Nel tempo, scivolando a valle l’acqua ha depositato spessi strati di calcare bianco etravertino, creando uno scenario che assomiglia a delle cascate di ghiaccio. Camminando in questopaesaggio surreale, mentre l’acqua calda scorre sotto i piedi, ci si immerge in una di quelle energie naturaliche solo alcuni luoghi sanno donare, e Pammukale è sicuramente uno di questi. Ci sono luoghi che bisognaascoltare e diventano immediatamente luoghi dell’anima, luoghi in cui rifugiarsi.Sulla sommità di queste cascate di calcare e travertino nasceva Hierapolis, la città sacra, un’importantecentro che dominava (e in un certo senso domina ancora) la valle del fiume Lykos, lungo l’antica via cheuniva l’Anatolia al Mediterraneo. Spesso mi capita di pensare come fossero questi luoghi migliaia di anni fa,quando le vie erano solcate a piedi, o quando ci si spostava a cavallo. Allo stesso tempo mi capita dipensare a come fossero questi luoghi qualche decina di anni fa, quando il turismo non esistevanell’accezione con cui lo conosciamo oggi, agli inizi della seconda metà del ventesimo secolo ad esempio,quando il trasporto aereo cominciava ad imporsi come trasporto di massa, e cominciava a nascerel’embrione del turismo di oggi, grazie proprio all’aereo che avvicina i popoli e offre la possibilità di arrivarein qualsiasi parte del mondo in poche ore. Non ho ovviamente nulla contro il turismo in senso lato (che tral’altro ricopre un ruolo molto importante nell’economia turca), sono però orientato, da sempre, a unviaggio d’incontro, di scoperta sì esteriore, ma anche interiore (del sé). Vedere quindi anche a Pammukalemasse di turisti saccheggiare molto poco emozionalmente i luoghi, crea una sensazione di disagio.A Pammukale sembrano lontani i racconti di Istanbul e dei suoi variegati movimenti. Ma la Turchia è anchequesta, se nella stragrande maggioranza dei casi, un paese lo si divide idealmente, geograficamente eumanamente in Nord e Sud, qui più che mai, questa distinzione appare quantomeno riduttiva, seconfrontata alla differenziazione Est-Ovest che generalmente viene vista come una differenziazioneregionale più che all’interno dello stesso paese. La Turchia in fondo è un ponte, un punto d’incontro traOriente e Occidente. Così come la geografia è diversa, altrettanto lo sono le storie degli uomini, che sianopassate, presenti o future.

The ghost city - KayaköyKayaköy restituisce all’occhio del visitatore l’essenza e, allo stesso tempo, l’assenza della vita. Abbandonatanel 1923, dopo la firma del trattato di pace di Losanna che pose fine alla guerra greco-turca, Kayaköy ingreco Levissi, è divenuta una città fantasma. Una città abbandonata contro il volere dei propri abitanti, unacittà abbandonata per volere altro, per voleri alti. Fino al 1923 la città fu abitata in prevalenza da cristianiortodossi di lingua greca che vivevano in armonia con i loro vicini turchi sotto la bandiera dell’ImperoOttomano.Il tempo si è fermato a Kayaköy, ma in principio si viveva a Kayaköy, così come in qualsiasi altra cittadinadell’Anatolia (per molti greci che vivevano in Turchia, una sorta di paradiso perduto), così come in qualsiasialtro luogo della Turchia. Prima che arrivasse un nazionalismo dissimulato da religione, prima che sidecidesse il destino degli uomini, a Kayaköy le storie si intrecciavano, i greci e i turchi convivevano inarmonia, i greci si dedicavano principalmente all’artigianato mentre i turchi all’agricoltura e all’allevamentoe, come la storia insegna, gli uomini si scambiavano prodotti, creando delle relazioni che andavano al di làdelle discendenze. La maggioranza dei greci ortodossi in Turchia parlavano turco, ma c’erano anche quelliche scrivevano il turco con l’alfabeto greco, c’erano poi i bilingue e infine quelli che parlavano una stranalingua, formata dalla lingua madre intrecciata con la nuova lingua, quella dell’accoglienza. Si condivideva lastessa cultura, le stesse superstizioni, gli stessi costumi anche se con due religioni differenti ma checomunque non si escludevano. Racconta Louis De Bernières nel suo L’impossibile volo, un romanzo storicoambientato a Kayaköy (Eskibahçe nel romanzo) costato oltre dieci anni di studi e ricerche, che gli uomini siscambiavano persino le preghiere, chiedendo gli uni aiuto agli Dei e ai santi degli altri. Ma il tempo si èfermato in quel giorno del 1923 e la città fu abbandonata, il suo destino, infine, venne definitivamentedistrutto dal terremoto del 1957.Nonostante tutto Kayaköy vive e sopravvive, come un testimone più forte delle avversità e del tempo, untestimone che racconta come la natura lasciata a se stessa riprenda il possesso sulle cose dell’uomo, comela natura ricominci a vivere e a svilupparsi, come testimoniano alberi nati in mezzo alle case dalle quali sonocrollati solo i tetti, una natura che continua a raccontare la storia di un luogo dopo l’uomo. Come se lacultura e il linguaggio dell’uomo abbiano passato il testimone a qualcosa di più grande di loro. Come c’erauna vita prima dell’uomo così ci sarà una vita dopo l’uomo.Kayaköy è la storia di un tempo dimenticato, di un passato abbandonato, di una vita perduta. Allo stessotempo è un monumento a come cristiani e musulmani possano vivere insieme in pace, condividendo undestino. Quando Kayaköy veniva abbandonata a se stessa, la sorte degli uomini era già stata scritta. İzmirera bruciata in quello che resterà immortalato nei manuali di storia come l’incendio di İzmir, nel settembredel 1922, le fiamme oltre a distruggere interi quartieri greci e armeni, annientarono la multietnicità di unacittà, di un Paese. Il fuoco brucerà per sempre, come scrive Antonia Arslan nel suo La strada di Smirne, “lavita garbata e gradevole dell'Europa ottocentesca”. La convivenza pacifica di turchi, greci, armeni, ebrei elevantini soccomberà alla storia. Per trovare rifugio, i greci, i più numerosi, vennero imbarcati a bordo dinavi dirette verso una nuova vita in Grecia, in quella madre terra che tanto madre poi non era, visto chenessuno ci aveva mai vissuto prima.Cosa hanno provato gli uomini quando hanno abbandonato le loro case, la loro quotidianità, la loro vita?L’unica che avevano vissuto e l’unica che conoscevano. Cosa hanno provato sapendo che non avrebbero piùfatto ritorno nella loro terra? Il luogo natio non si dimentica facilmente, in particolare se si viene sradicaticon la forza. Un paradiso perduto ricco di emozioni vissute, di momenti di vita vissuti, questo diventano dalontano i luoghi cari abbandonati. Un ricordo che con il tempo diventa più struggente e magari più

doloroso, perché cresce la consapevolezza del non ritorno, ma c’è comunque un ritorno emotivo esentimentale ad un luogo lontano che, come nelle migliori tradizioni migratorie, viene trasmesso digenerazione in generazione. In quegli stessi anni, sull’altra sponda del Mar Egeo, una sorte analogaattendeva i turchi che vivevano in Grecia.Queste sponde di mare di terre contese, di storie drammatiche, di esodi e di difficili insediamenti, sono lacornice di una tragedia umanitaria di uomini che sradicati dalla propria terra si ritrovano in quella chedovrebbe essere la madrepatria in cui però non riescono a sentirsi a casa. I primi contatti con i greci, quelliche hanno vissuto tutta la loro vita in Grecia, sono difficili, le periferie di Atene e Salonicco crescono inmaniera disumana, e nei neo-cittadini crescono sentimenti di spaesamento. E’ da queste emozioni chenasce una tradizione musicale che oggi è diventata la musica nazionale greca, il rebetiko. La musica deglioutsiders, la musica della povera gente, la musica dei profughi, ma anche la musica dei diseredati, la musicadei criminali. Il rebetiko è una filosofia di vita, nato da e per una classe sociale che si andava costituendo inquegli anni, formata da nostalgici esuli che mettevano in musica parole cariche di rabbia e sofferenza peraver dovuto abbandonare una vita, l’unica che conoscevano, l’unica che avevano mai vissuto. Una classesociale nata nelle povere periferie delle grandi città, formata anche da criminali che contribuivanocantando di crimini, di droga e di sesso. Quella che doveva essere la madrepatria, non può o non vuole,sicuramente non riesce ad accogliere questi greci particolari, questi greci che parlano una lingua strana,questi greci diversi negli usi e nei costumi. Si va delineando così una classe sociale al di fuori del contestoconosciuto sino a quel momento in Grecia.Si canta di passioni e di libertà, è una musica multietnica il rebetiko, un crogiuolo di melodie turche, greche,balcaniche e arabe. Una memoria storica di un passato perduto e di un’inquietudine popolare, di strada,che nasce dal bisogno di esprimere le proprie emozioni. Emozioni che rimandano a luoghi lontani maemotivamente vicini come Kayaköy, İzmir, o qualsiasi altra città perduta in Anatolia. Emozioni diun’umanità che cerca un riscatto.

I dervisci rotanti - KonyaKonya, la settima città per numero di abitanti della Turchia, culla della confraternita musulmana dei derviscirotanti, mi accoglie in pieno ramadan e sin da subito si capisce che si è in una delle città più religiose econservatrici della Turchia. E’ una città che si è sviluppata abbondantemente durante gli ultimi quarant’annie i nuovi edifici svettano nelle vicinanze della città vecchia senza sentirsi in imbarazzo. Parlare di Konyasignifica parlare di Jalāl al-Dīn Rūmī (conosciuto anche come Mevlānā), del sufismo e dei dervisci rotanti.Rūmī, secondo la biografia considerata più attendibile, nacque in quello che oggi è l’Afghanistan eraggiunse l'Anatolia al seguito del padre. Una guida spirituale, un profeta, un saggio, un filosofo, un poeta,questo è stato Rūmī che predicando pace, amore e tolleranza in connubio con la danza era visto da alcunicome un pericoloso eretico. La sua continua ricerca, il suo sufismo, il misticismo islamico attraverso il qualesi stabilisce un contatto diretto con la divinità, trova la sua massima espressione nella danza dei dervisci.Il poetico misticismo dei dervisci.Quando l’uomo incontra il divino.L’ascesi al silenzio interiore attraverso la danza…In queste poche parole si può racchiudere la forza evocativa dei dervisci rotanti. Assistere alla cerimoniadella danza è emozionante. Questo vorticoso girare su se stessi, e allo stesso tempo, insieme, canalizzal’energia e crea un continuum spaziale e temporale tra cielo e terra. Sembra un mantra tibetano, e non mene vogliano ne i buddisti ne i sufisti, che si ripete e si ripete ancora, alla ricerca della perfezione, o, delsilenzio interiore che ascende al divino. La musica suggestiva come la danza, intervallata da poche parole, èaltrettanto eterea, coniugandosi in un assolo con l’elegante e per nulla frenetica danza. Le tuniche che siaprono svolazzando, creando dei coni bianchi restano in movimento anche alla fine della cerimonia, comese si vivesse una dicotomia perfetta, da una parte l’immutabilità e da l’altra l’ultimo passo verso la stessa.Quando l’uomo incontra il divino, in questo si concretizza la danza dei dervisci, nell’unione, nell’assoluto. Ecosì come inizia, così la cerimonia termina, lentamente, in maniera silenziosa e discreta, lasciando l’animodi chi osserva in subbuglio. In una dissonanza con lo sguardo e l’energia che sprigiona ogni singoloderviscio.

CappadociaCappadocia, dove i destini della natura e dell’uomo s’intrecciano.Dove i luoghi raccontano la storia primordiale e quella recente.Dove le affascinanti sculture della natura seducono l’anima…La Cappadocia è un incrocio di destini come del resto tutta la Turchia, terra che ha ospitato i cristiani e terrache ha dato rifugio ai perseguitati, terra che ha visto l’avanzata islamica e terra che regala paesaggi inusualie fortemente suggestivi. L’animo umano non può rimanere impassibile a tutto questo, ne è colpito, rapito esedotto. Le chiese nascoste nelle rocce, nelle grotte, raccontano un’evoluzione stilistica delle iconografieche meraviglia. Accostate le une alle altre, rappresentano una storia senza tempo, come se appartenesseroad un passato vissuto nello stesso istante. Quanti piedi avranno calpestato queste strade dalla notte deitempi? Quante storie di vita si saranno succedute? La Cappadocia racconta con un flebile sibilo questimomenti di vita, così come il vento, la pioggia e il sole hanno plasmato il suo paesaggio nella perfettascenografia delle sue storie. Non sarà stato facile stabilirsi qui, ma l’uomo è tenace e se s’incontra con lanatura, nel rispetto, riesce in un’impresa epica. E la natura si prende cura di lui.Anche in Cappadocia si racconta la storia dello scambio di popolazioni tra Turchia e Grecia. Se Kayaköy èstata abbandonata, Ürgüp, una cittadina che ospitava i greci, ad una decina di chilometri da Göremeabbandonata nei primi anni venti del secolo scorso è stata ripopolata dai turchi che vivevano in Grecia,finché le precarie condizioni di vita dei nuovi colonizzatori hanno costretto il governo a costruire un nuovoinsediamento poco distante dal centro originario, arrampicato sulla roccia. Come sarà stato trasferirsi avivere in un villaggio costruito da altri? Come si saranno trovati i primi turchi a vivere a Ürgüp (ma l’esempiosi può estendere ad altri insediamenti greci), in un paese che non era loro, dove c’era una chiesa cristiano-ortodossa? Il tempo racconta i cambiamenti, ma non racconta le emozioni umane che hanno portato aquesti cambiamenti. La Cappadocia si svela però agli occhi del visitatore interessato, ma, come nelle piùbelle strategie di seduzione, lascia una parte di sé, del suo passato, avvolta nel mistero. E il misteroaffascina tanto quanto il paesaggio mozzafiato.

EpilogoLa Turchia regala, la Turchia dona, senza chiedere molto in cambio, se non la curiosità e l’attenzione.Sembrano lontani i movimenti di Istanbul e delle più grandi città turche da qui, dalla Cappadocia. Ma laTurchia è proprio questo, un punto d’incontro e spesso, quando ci s’incontra, si proviene da direzionidiverse, non per forza opposte, ma neanche concordi o assonanti, e l’incontro è una crescita, un ascolto, unandare oltre arricchendosi dallo scambio umano con l’altro. Da qui la situazione sembra davvero lontana,ma la speranza sembra la stessa, in particolare se si parla di animo umano. Alla fine la speranza è sempre lastessa, la ricerca di un sentimento alto, eticamente ed esteticamente più bello, che riassumendo nellinguaggio comune potremmo definire migliore.


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