L'interno del Teatro Vittorio Emanuele oggilavamo di uno strano e, ai nostri occhi, misterioso personaggio, vestitocon una palandrana nera e col basco in testa, da tutti soprannominato“malumbra” (evidentemente uno sfollato del dopoguerra che lì avevaimpiantato la sua abitazione). Ricordo i suoi inseguimenti, imprecandocontro di noi, per le sale e i corridoi del teatro come pure ricordo i pa-vimenti dei locali di rappresentanza e del foyer in marmo bianco di Car-rara e bardiglio e, quelli secondari, in pietra di Malta verniciata. Ancoraesistevano brani delle decorazioni a stucco di Placido Di Bella, degli or-nati scolpiti in legno e verniciati di smalto ed oro zecchino e tracce deidipinti del soffitto eseguiti da Giacomo Conti.Nel 1968, avevo diciassette anni, in occasione della celebrazione del60° anniversario del terremoto del 1908 vennero effettuati lavori direstauro interno dall’ ”Accademia Filarmonica” di Messina rappresentatadal compianto Giuseppe Uccello (fondata nel 1829 e ricostituita nel1948) dove, fra l’altro, si ricostruirono la pavimentazione originale delfoyer e le cornici floreali e rosoni in legno zecchinato dei soffitti casset-tonati, unico restauro degno di tale nome dopo il sisma del 1908. Inquell’occasione, l’Accademia riuscì a portare a un’apertura, pur se prov-Trent’anni 24 aprile 1985 49 24 aprile 2015
Teatro Vittorio Emanuele. Arco scenico, rimasto integro dopo il terremoto del 1908 visoria, del Vittorio Emanuele nei giorni 28 e 29 Dicem- bre del 1968, a sessant’anni dal terremoto del 1908, con due memorabili concerti dell’Orchestra Sinfonica Sici- liana, che il M° Ottavio Ziino diresse con la storica bac- chetta utilizzata dal M° Paoloantonio nella rappresentazione dell’ Aida del 28 dicembre 1908. A partire da quest’ultimo anno, il 1968, i miei ricordi del glorioso Vittorio Emanuele sono purtroppo negativi e de- cisamente brutti e culmineranno con la rappresentazione del suo ultimo atto quando, nell’agosto 1982, ebbero ini- zio radicali e violenti interventi di ricostruzione col si- stema dell’appalto-concorso aggiudicato alla prima impresa in graduatoria, la F.lli Russotti S.p.A., per un im- porto di lire 11.297.249.369 (ricostruzione del corpo centrale comprendente la sala, il palcoscenico, la fossa dell’orchestra, la sala danze ed i servizi con tutti gli im- pianti connessi e realizzazione di brutti corpi di fabbrica sul terrazzo di copertura da destinare ad uffici, “torre scenica” ed altri locali tecnici). In pratica, tutti i palchi originali fra i quali quello reale, stucchi e decorazioni superstiti, vennero smantellati cosicché dell’ottocentesco edificio rimasero solo le mura perimetrali, mentre l’in- terno, interamente sventrato, assunse i connotati fisici e spaziali di un qualsiasi banale locale cinematografico. Nino Principato50 Trent’anni24 aprile 1985 24 aprile 2015
Nel corso dei restauri i mezzi busti diVittorio Emanuele II e di Umberto Ifinirono nella discarica... Il Real Teatro S. Elisabetta, poi V.E. superò brillante- mente i danni del terremoto e della seconda guerra mondiale, tant’è che prima di procedere al radicale ria- dattamento che portò alla sua riapertura negli anni 80 fu sede del Circolo della Borsa e pure di una Scuola di danza. Nel lungo periodo del cosidetto restauro, che in realtà comportò lo sventramento dell’edificio e l’elimi- nazione dei suoi antichi arredi, frammenti di questi fi- nirono addirittura alla pubblica discarica a conferma del criterio di conservazione dei beni culturali applicato nell’ultimo secolo della nostra città. Recandomi con i miei coetanei dell’Associazione Amici del Museo a controllare quanto arrivava nella discarica allora attiva presso il Cavalcavia, notammo un’incon- sueta congerie di frammenti lignei e marmorei che dif- ferivano da quanto solitamente veniva trovato negli sbancamenti fatti nel sottosuolo cittadino. Da anni era consuetudine recuperare, per quello che valevano, tanti reperti archeologici, preistorici, greci e romani che nell’assoluta indifferenza di tutti finivano miseramente in discarica. Quella volta le cose stavano diversamente e la diffusa presenza lungo la scarpata di frammenti di legno dorato facevano escludere che provenissero da uno scavo, ma piuttosto da una demolizione. Dal custode della discarica, don Peppino, appren- demmo che quel materiale proveniva dal Teatro Vittorio Emanuele, appunto in fase di “restauro”. Mentre al- l’esterno tutto sembrava normale, entrati senza difficoltà all’interno ci trovammo di fronte a una situazione apo- calittica, l’antica struttura era stata del tutto svuotata e restavano in piedi solo gli ambienti retrostanti la fac-Trent’anni 24 aprile 1985 51 24 aprile 2015
Busto di re Umberto I di L. Gangeri, ciata. Qui, nel disordine più com-già nei Saloni del Circolo della pleto, tra rottami e tanta spazzaturaBorsa al Teatro (1878) notammo due mezzi busti in marmo di cui uno decapitato, buttati a terraBusto di re Vittorio Emanuele II di dalle colonne che li sostenevano. DelM. Auteri, già nei Saloni del Circolo fatto informammo subito il nostrodella Borsa al Teatro (1878) Presidente, il compianto Comm. Vit- torio Di Paola, che contattò subito l’allora assessore alla cultura Car- melo Russello che con prontezza procedette al non facile recupero in quanto le demolizioni radicali non avevano risparmiato le scale d’ac- cesso al piano, per cui fu necessario, intervenire nel recupero con una lunga gru mobile. Curiosamente, quanto recuperato prese due vie: le colonne al Museo ed i mezzi busti in camera dell’Assessore al Palazzo Sa- tellite. Successivamente fu possibile recuperare la testa mancante e pro- cedere al restauro del mezzobusto. I personaggi raffigurati erano Vittorio Emanuele II ed il figlio Umberto I ed erano stati commissionati dal Circolo della Borsa per ricordare la visita dei sovrani al sodalizio messinese: Vittorio Emanuele è opera di M. Au- teri, del 1878, Umberto I° fu scolpito nell’anno successivo dal bravo Lio Gangeri, entrambe le opere trasferite al Palacultura impropriamente giac- ciono poggiate a terra, nella stanza dell’attuale Assessore Tonino Perna che da noi contattato s’è dichiarato disponibile a restituirle alla loro sede originaria con beneficio di tutti i mes- sinesi. Franz Riccobono52 Trent’anni24 aprile 1985 24 aprile 2015
Il ricordo di una ricostruzioneParla l’ingegner Sebastiano Russotti Poco meno di tre anni e l’impresa messinese F.lli Russotti – aggiudicataria dell’appalto concorso per la ricostruzione del Vittorio Emanuele – portò a ter- mine i lavori che permisero di riaprire le porte del Teatro cittadino, chiuso dopo il sisma del 1908. A distanza di 30 anni, ricordiamo quei mesi concitati e intensi con l’ingegner Sebastiano Russotti. «Laprima cosa che ricordo è il Teatro in condizioni davvero disastrose – esor-disce l’ingegner Russotti – con le fondamenta interamente sull’acqua. Fu ne-cessario intervenire subito per puntellarlo e metterlo in sicurezza e perquesto telefonai al sindaco del tempo, Antonio Andò alle 7 di mattina. Poisi procedette con la realizzazione del progetto e dopo sei mesi di lavori in-tensi il problema dell’acqua fu risolto. Oltre al sindaco Andò, con cui i rap-porti furono di buona collaborazione durante tutta la durata dei lavori, èimportante ricordare la figura del senatore Astone». Quello che trovaronodavanti ai loro occhi era una sorta di guscio vuoto, del vecchio Vittorio Ema-nuele era rimasto ben poco. “Un’opera di alto significato per la comunitàmessinese, affrontata con innovative soluzioni che hanno consentito, conla realizzazione di nuove fondazioni in acque profonde oltre due metri, laconservazione dei muri perimetrali del Teatro, risalenti a fine ‘700, primi‘800” si legge nelle pagine che ripercorrono la storia, duratura e illustre, diuna impresa che legò indelebilmente il proprio nome alla ricostruzione dellaMessina post-terremoto. Tante le maestranze impegnate nei lavori, moltimessinesi ma anche i migliori professionisti per ogni settore: «chiamammoi tappezzieri da Brescia – aggiunge l’ingegner Russotti – sistemammo anchela facciata, con pietra di Comiso e di Noto per ritrovare i colori originari. Sipoteva avere più coraggio e fare un progetto che prevedesse di allungareancora di più il teatro, ma così non è stato». Tornando con la mente a tren-t’anni fa, l’ing. Sebastiano Russotti riporta il ricordo di una città molto di-versa, tanti fermenti oggi si sono persi e magari proprio il teatro, ricordandoi messinesi illustri e i giovani, quali unica forza da cui ripartire, potrebbe es-sere un luogo cardine per un nuovo cambiamento. Elisabetta RealeTrent’anni 24 aprile 1985 53 24 aprile 2015
La stampa prima e dopo l’evento Sapeva veramente di primavera artistica quell’aprile di trenta anni fa, quando la città si accingeva a vivere un momento davvero storico come la riapertura del suo teatro cit- tadino. Una riapertura che coinvolgeva il mondo culturale messinese che attendeva dal Terremoto del 1908 di rivedere le sale magiche del “Vittorio Emanuele”, già “Santa Elisabetta”, ritrovare i suoni, il ca- lore, gli effetti magici del mondo dello spet- tacolo. Solo il 28 dicembre del 1968 si era avuto l’opportunità di riaprire questo spazio unico, quando l’Orchestra Sinfonica Sici- liana diretta da Ottavio Ziino con il Coro del Teatro Bellini di Catania si era esibito in un evento, rimasto unico, promosso da un comitato che vedeva in prima linea l’indi- menticato e indimenticabile Giuseppe Uc- cello, che si è sempre battuto per la riapertura del Teatro e che ha realizzato quel volume straordinario che è la Storia dello spettacolo a Messina che meriterebbe di essere ristampato. Analizzando la rassegna stampa, i documenti, gli atti conservati presso l’Ar- chivio dell’Ufficio Stampa del Comune (che abbiamo consultato grazie alla disponibilità di Sergio Colosi), curato da Attilio Borda Bossana, è possibile vivere tutto il fervore di quei giorni, trovando informazioni e curiosità che arricchiscono la storia di questo momento che fu seguito con grandissima attenzione sia dalla stampa locale che da quella nazionale. Un elemento che va subito osservato è il numero dei giornalisti accreditati che furono ben 25, rappresentanti di quotidiani, tv locali e nazionali, di radio e riviste cul- turali e di settore: due della “Gazzetta del Sud” (S.Vitale Modica e M.Passeri, , due del “Giornale di Sicilia” (S.Patera e G.Messina), due de “La Sicilia” (M.Ciancio-Gambulia), uno per “Antenna Sicilia “(l’indimenticabile Gino Mauro, prematuramente scomparso lo scorso mese), “Il Soldo” (A.Fortino), “De Spectaculis” (M.Sarica), “I Siciliani” (G.Giacobbe), Telespazio (S.Polizzi, che oggi guida la sede regionale Rai di Palermo), “L’Ora” (G.Ramires), Tele- color (G.Jozzia). Interessante notare la presenza degli inviati di giornali na- zionali e della Rai, tra cui M.Bartolotto per l’Europeo, Nuccio Cinquegrani54 Trent’anni24 aprile 1985 24 aprile 2015
per l’Agi, Giuseppe Grasso per “Sipario”, Attilio Raimondi per “Panorama”,e Rosellina Salemi, oggi nota giornalista e scrittrice, per “Repubblica”, men-tre per RadioRai troviamo Vanni Ronsisvalle, noto inviato culturale e scrittoremessinese, che curò i servizi radiofonici, mentre il giornalista-scrittore diBarcellona Melo Freni fu autore di un’intervista e di uno speciale per il Tg1,in cui Giuseppe Sinopoli racconta del suo rapporto con Messina, città dovevisse gli anni della giovinezza e della formazione al Seminario. Per la Raic’era anche Piero Isgrò (che realizzò uno speciale di 30 minuti per Raitre, aquesto numero allegato) e Gerardo Vignoli di Rai2. Celebri firme del gior-nalismo messinese di rilievo nazionale colsero l’occasione per seguire datestimoni il momento storico che viveva la città natale che conoscevanobene e per poter raccontare la Messina della cultura al pubblico italiano.Anche la tv austriaca Teletheater registrò uno speciale e alcuni giornali au-striaci scrissero dato la presenza nei giorni seguenti della Volksoper diVienna nel minicartellone del teatro.Il 24 aprile il direttore della “Gazzetta” Nino Calarco nel suo commento in“prima”, dal titolo “Cosa significa il Vittorio”, scriveva: “Da oggi è possibileannullare il sentimento di “genuina vergogna” che si aveva, ogni volta, pas-sando davanti al “rudere in compagnia di forestieri, quando “non riuscivamoa dare risposta credibile al loro stupefatto perché?”.“Commozione dei messinesi alla riapertura del Vittorio” titolava il 25 aprilela “Gazzetta” in prima, nell’articolo di Stelio Vitale Modica, grande cronistache per quella sera si fece inviato culturale descrivendo con acume l’atmo-sfera della serata. ”Volti tesi, occhi umidi, il cuore in gola. Nessuno è sfuggitoall’emozione. Un’ emozione intensa, avvertita fin dentro il midollo. Taluni,specie i più anziani, coloro cioè che avevano atteso più tempo, non hannoresistito né, in fondo, volevano resistere all’ondata d’emozione che li tra-volgeva, ed hanno pianto. Con mano felice e vibrante il cronista della “Gaz-zetta” descrive poi i tanti aspetti della serata: il minuto di silenzio per levittime del Terremoto, alcuni cori di protesta da chi era rimasto fuori, l’ele-ganza del pubblico, il dono dei foulard di seta alla signore da parte di Bo-nino, l’incasso di circa 60 milioni devoluto alla Croce Rossa, il ruolo delleforze dell’ordine e dei vigili per coordinare l’afflusso (con il servizio orga-nizzativo coordinato da Emilio Lisciotto), la presenza del ministro Capria edel presidente della Regione Nicolosi, ma anche del celebre pianista Maga-loff e del maestro Attardi, senza dimenticare l’emozione del maestro Sinopolitornato nella sua Messina “emozionato a tal punto che al momento delprimo crescendo della sinfonia, saltellando sul podio com’è ormai consue-tudine, stava provocando la caduta del leggio, che, comunque, è riuscito intempo a tener su. Al termine del pezzo, quasi ciascuno volesse finalmentescaricare l’emozione, un fittissimo applauso s’è levato dalla sala per oltresessanta secondi”.Trent’anni 24 aprile 1985 55 24 aprile 2015
La critica musicale della “Gazzetta” in “prima” viene curata dal noto e sto- rico musicologo Marcello Passeri, che, prima di rimandare a una più appro- fondita critica nel numero del giorno dopo, in poche e incisive battute osservava come il programma , “concepito in modo, a mio avviso, un poco disforme, allineava, accanto alla irrompente e vibrante sinfonia posta da Giuseppe Verdi a capo dell’opera Les Vèspres sicilliennes, una delle pagine orchestrali, questa sinfonia, più felici del Maestro di Busseto, la delicatissima suite di Maurice Ravel dal titolo le Tombeau de Couperin…ed inoltre la di- latatissima (settanta minuti di durata) Sinfonia in do diesis minore (quinta delle dieci composte) di Gustav Mahler”. Il giurista, in veste di musicologo Antonio Metro (padre del pianista Roberto) nel sommario del pezzo di apertura del “Loggione Peloritano” di maggio- giugno 1985 rileva: “Emozione, soddisfazione, speranza: questi i sentimenti che trasparivano dagli occhi di tutti coloro che hanno affollato il nuovo “Vit- torio Emanuele” in occasione della storica serata inaugurale del 24 aprile. L’emozione, che nasceva dalle indimenticabili memorie del passato, che riaffioravano prodigiosamente, e della consapevolezza di vivere una gior-56 Trent’anni24 aprile 1985 24 aprile 2015
nata solenne, attesa ormai daalcune generazioni, si con-fondeva con la soddisfa-zione per un traguardoagognato, ma finalmenteraggiunto, e con la speranzadi un avvenire migliore perla nostra martoriata città”.Oltre all’elegante e ricco fa-scicolo pubblicato dalla“Gazzetta” in occasione del-l’evento e l’intervista a Bel-fiore su “I Siciliani” di GigiGiacobbe, ci piace ricordareuna nota del grande GiorgioStrehler su Sipario. “E’ sem-pre una grande emozionequando si alza il sipario suun nuovo teatro, soprattuttoquando questo avviene inuna città del nostro grande Meridione che ha dato tantissimo alla culturaitaliana e forse non ha ricevuto abbastanza. Anche a Milano stiamo lavo-rando attorno ad un nuovo teatro, la nuova sede del Piccolo, che speriamodi poter inaugurare in occasione del quarantennale della sua fondazione.Viviamo questo momento con grande trepidazione e per questo siamo vicinie abbracciamo gli amici di Messina con un grande applauso al loro teatro”,scriveva il celebre regista triestino, che lega il Piccolo al Vittorio Emanuele.Tra i documenti dell’archivio dell’Ufficio stampa comunale abbiamo trovatoanche due curiosi scritti, quello inviato da un musicologo di Asti che ricordale origine astigiane del tenore Gamba che morì nella famosa Aida del 28 di-cembre 1908, l’ultimo spettacolo prima del terribile Terremoto, e la letteradella figlia del compositore messinese Zappalà, Ines Ravelli Alaimo, che de-dica una poesia all’evento (Il grande ritorno) e ricorda la figura del padre,Giovanni Zappalà, stimato da Massenet e autore dell’opera Antonella chevenne eseguita nel 1959 dall’Orchestra Sinfonica della Rai, opera che me-riterebbe di essere messa in scena nel teatro peloritano, così come, aggiun-giamo noi, sarebbe bello poter riproporre la Piccola Città di Wilder nellamessa in scena di Fulchignoni, che ebbe un’eco straordinario negli anniTrenta e che partì proprio dalla Messina fervida che ha nel teatro un patri-monio unico da moltiplicare e valorizzare. Sergio Di GiacomoTrent’anni 24 aprile 1985 57 24 aprile 2015
venti del mese Eventi del mese Eventi d 16 aprile MESSINA, Teatro Vittorio Emanuele “Lei e lei” di e con Giampiero Cicciò e Federica De Cola 17 aprile MESSINA, Sala Laudamo “Inganno”, regia Paride Acacia 18 aprile MESSINA, Teatro Vittorio Emanuele “Antal Szalai. Orchestra Tzigana di Budapest” 19 aprile MORI (TN), Festa di Primavera 20 aprile, ROMA, Teatro India “La Ballata del Carcere di Reading” da Oscar Wilde, regia Elio De Capitani 21 aprile ROMA, Teatro Argentina “Eneide di Krypton - un nuovo canto”, scritto e diretto da Gian- carlo Cauteruccio 22 aprile PESCARA, Palasport, Biagio Antonacci in concerto 23 aprile MESSINA, Teatro Vittorio Emanuele “Chiedo scusa al signor Gaber”, con Enzo Iacchetti 24 aprile MESSINA, Teatro Vittorio Emanuele Trentennale della riapertura del Teatro 25 aprile VENEZIA, Festa di San Marco 26 aprile SIENA Celebrazioni internazionali in onore di S. Caterina 27 aprile MILANO, Piccolo Teatro Divine paroledi Ramón María del Valle-Inclán 28 aprile VIZZINI (CT), Festa di San Giuseppe a Vizzini 29 aprile RENDE, Teatro Auditorium Unical “Giù”, compagnia “Scimone-Sframeli” 30 aprile FIRENZE, Teatro della Pergola “Favola”, di e con Filippo Timi 1 maggio ROMA, Concerto del Primo maggio 58
del mese Eventi del mese Eventi del me 2 maggio, BARCELLONA P. G, Teatro Mandanici “Muratori” di Edorardo Erba 3 maggio, PALERMO “Operetta burlesca” di Emma Dante, regia, scene e costumi Emma Dante 4 maggio, RENDE, Teatro Auditorium Unical “Discorsi alla Nazione” di e con Ascanio Celestini 5 maggio, NAPOLI, Teatro Mercadante “Le Sorelle Macaluso”, di Emma Dante 6 maggio, LICATA (AG) La grande fiera della Festa di maggio a Licata 7 maggio, MESSINA, Teatro Vittorio Emanuele “Clitennestra o del crimine”, regia e interpretazione Paolo Cu- tuli 8 maggio MAIORI (SA), Palazzo Mezzacapo Approdi e naufragi. La costruzione dello sguardo per artisti tra XX e XXI secolo 9 maggio ROMA, Palazzo Massimo alle Terme Rivoluzione Augusto. L’imperatore che riscrisse il tempo e la città 10 maggio MILANO, Teatro Franco Parenti “Solo gli amanti sopravvivono”, Punk-Rock Vampire Movie di Jim Jarmusch 11 maggio, ROMA, Palazzo delle Esposizioni Numeri. Tutto quello che conta, da zero a infinito 12 maggio MESSINA, Teatro Vittorio Emanuele, “Plan B” 13 maggio, S. AGATA DEI GOTI (BN) “L’oggetto del desiderio. Europa torna a Sant’Agata” 14 maggio, TRENTO Muse, Oltre il limite. Viaggio ai confini della conoscenza 15 maggio NOTO (SR), Infiorata 59
L’uomo in dinamico equilibrio sul mondo che cambia Acrobazia, poesia, filosofia è il Plan B di Aurélien Bory60
Quattro personaggi sfidano la gravità per conservare il proprioequilibrio nello spazio. Si misurano con i cambiamenti del palco:ora orizzontale, ora verticale, ora obliquo, costretti a trovare solu-zioni diverse per adattarsi a tali stravolgimenti. Con “Plan B”,l’ideatore Aurélien Bory e il regista Phil Soltanoff giocano sullastrategia di adattamento dell’uomo all’inatteso, di fronte ad un“piano A” che non ha funzionato e ad un “piano C” inesistente.Uno sguardo non scientifico ma poetico, quasi magico, da circomoderno, dove i personaggi/acrobati saranno obbligati a esplorarenuove soluzioni per muoversi sul palco, un po’ come succede nellavita: adattandosi per non soccombere. Nello spettacolo, dellaCompagnie 111, la decomposizione del movimento strizza l’oc-chio alla fotografia e al cinema, con piani sequenza che s’ispiranoal pioniere della fotografia del movimento Eadweard Muybridge,al precursore della cinematografia Ètienne Jules Mary, ai film del-l’indimenticabile Buster Keaton e alle pellicole di Georges Méliès. 61
Fotografia di Scena di un film di Scena di un film di Eadweard Muybridge Georges Méliès Buster Keaton62
Monsieur Bory, con “Plan B” mette in scenail rapporto tra lo spazio e i suoi limiti, untema a lei molto caro. Questo spettacolorientra in un progetto più grande, nel qualeha un ruolo fondamentale la scenografia. Diche si tratta?“Plan B” è il secondo spettacolo di una trilo-gia sullo spazio, inteso come un punto di par-tenza. Nello spettacolo precedente, “IJK”,l’attenzione era posta sullo spazio in tre di-mensioni, in “Plan B” invece la scenografia èdominata da un piano con continui sposta-menti a 45°, a 90° e a 180°. “Più o meno in-finito” chiude la trilogia. L’idea particolare di“Plan B” è quella di mettere un piano sulpalco e di esplorarne tutte le possibilità ob-bligando i personaggi a un rapporto diversocon la gravità: muovendosi su un piano chediverrà inclinato, orizzontale e verticale.Un’immagine di Ètienne Jules Mary 63
Lei ha dichiarato che «i quattro personaggi presenti sul palco cercano di adattarsi al mondo che li circonda. Cercano di far parte del “gioco”, di fare il meglio che possono… malgrado le loro debolezze e i loro er- rori». Nella vita di ogni giorno, a suo giudizio, quali sono le qualità che, meglio di altre, aiutano a vivere i cambiamenti? Credo che valga più di tutto la capacità di adattamento. L’essere umano, soprattutto l’uomo moderno, deve forzarsi di adattarsi al mondo che cambia. E il mondo cambia continuamente anche in “Plan B”. Appena uno dei personaggi riesce ad adattarsi, a trovare qualcosa da fare o a tro- vare il suo posto nello spazio, il mondo attorno a lui cambia e bisogna ricominciare da zero. In “Plan B” il rapporto tra l’essere umano e il mondo è proprio questo: l’uomo è impegnato a cercare il suo spazio nel mondo che cambia. Nello stesso tempo, in questo mondo che ha dimen- ticato il sogno, c’è da chiedersi: che cosa sono i sogni? Chi desideriamo essere? Quali sono i nostri piani per il futuro? Ha espresso emozione per questa sua prima visita in Sicilia. Un’isola che, come lei afferma per “Plan B”, «unisce cose che usualmente non stanno insieme». La nostra, infatti, è una terra di grande bellezza, troppo spesso avvilita e offesa. Per chi abita questi spazi, sul palco e nella vita, questa contraddizione rappresenta una dannazione o una possibilità? Credo si tratti di entrambe le cose. Nella stessa definizione di bellezza si64
trova l’inatteso, la bellezza è infatti qualcosa che sbigottisce. È lo sbigot-timento non è mai atteso, dunque per creare bellezza bisogna crearel’inatteso. E l’inatteso è sempre l’incontro tra due elementi che non simischiano, ma che insieme producono qualcosa di sorprendente che fariflettere. Nella vita le cose s’impongono in quanto esistono, la mia espe-rienza mi porta a dire che viviamo in una realtà contraddittoria, credo sitratti di una regola estetica. Esistere è una possibilità, un’esperienzaunica, qualcosa di totalmente bello, ma allo stesso tempo porta con sétutte le difficoltà dell’esistenza, che sono reali e aggiungono sofferenzae solitudine e non parlo solo di quella individuale, ma anche di quellacollettiva. Insomma la Terra non è il Paradiso, ma un po’ di Paradiso c’è. Nicola Costantino 65
Muratori: una lezione ironica sullo sfruttamento e le disuguaglianze sociali Un lavoro gravoso ed inces- sante per chiudere un teatro ab- bandonato, per murarlo e renderlo definitivamente inser- vibile alla cultura: due muratori faticano sul palco, trascinano mattoni, snocciolano impres- sioni e commenti in un roma- nesco colorito e vivace. Una parete murata, dunque, per in- grandire un supermercato pronto a sfruttare quel luogo come nuovo ma- gazzino. Una presenza carismatica e sensuale all’improvviso interrompe la routine dei due operai e rivela le ambizioni dell’arte in un incontro destinato a far maturare nuove consapevolezze. “Muratori” di Edoardo Erba è un’analisi amara sul lavoro e sulla cultura, una ricognizione arguta sulle difficoltà di far dialogare due realtà spesso inconciliabili: rappresentata per la prima volta nel 2002 al Teatro Due di Roma, la commedia dell’autore di “Ostruzionismo radicale” e “Mara- tona di New York” verrà portata in scena il 2 ed il 3 maggio al Teatro Mandanici di Barcellona Pozzo di Gotto. Sul palco Nicola Pistoia e Paolo Triestino accompagnati da Eleonora Vanni, il fantasma proveniente dalla “Signorina Giulia” di Strindberg che proverà a mostrare ai due muratori abusivi l’incanto di una bellezza irrimediabilmente perduta. Testo tra i più noti ed apprezzati del drammaturgo lombardo, “Muratori” risplende a distanza di tredici anni del medesimo accattivante umorismo dell’esor- dio: i protagonisti lavorano realmente sulla scena costruendo un muro di quattro metri che verrà poi abbattuto da una presenza eterea decisa ad illustrare con inequivocabile intensità la grazia dell’arte tra provoca- zione, ironia ed ingegnose citazioni. In una rivelazione continua tra iden- tità svelate, follia apparente ed analisi sociologica, la crisi irrompe sul palcoscenico con la sua oscena e familiare quotidianità: dialoghi rapidi e veloci espongono infatti la logica dell’utile in un contesto pronto a sop-66
Paolo Triestino e Nicola Pistoiaprimere lentamente ogni afflato di eccellenza. Le ignare pedine di unamacchinazione chiaramente più estesa mantengono comunque la con-sapevolezza di essere state abbandonate alla deriva senza alcuna spie-gazione: il gioco costruito da Erba rimanda dunque ai canoni del teatrodel secondo novecento con particolare riferimento all’opera di SamuelBeckett in una dimensione meno allegorizzata e maggiormente vicinaad una mimetica riproposizione dell’attualità.“Muratori” mostra allo spettatore una lotta contro l’inevitabile catastrofedi un mondo ormai privo di identità: una lezione vibrante dove emer-gono sfruttamento e disuguaglianze sociali senza l’eccessivo indugiarein inutili e sterili manierismi. D. C. 67
“Chiedo scusa al Signor Gaber” Uno spettacolo gioioso che rivela quanto sia stato profetico il Signor G. Cinema, teatro, televisione, libri, canzoni. Una poliedricità non comune quella di Enzo Iacchetti, che anche dal palco del Teatro Vittorio Emanuele renderà omaggio a Giorgio Gaber con lo spettacolo “Chiedo scusa al Signor Gaber”. La scelta di Iacchetti è stata quella di un’esecuzione fuori dagli schemi tradizionali, notevolmente apprezzata dal pubblico. Tant’è che, lo scorso 18 marzo, è stata raggiunta la quota di 120 repliche. “Uno scempio geniale”. è così che il giornalista Mario Luzzato Fegiz, sulle pagine del Corriere della sera, definisce lo spettacolo “Chiedo scusa al Signor Gaber”. Com’è nata questa idea ? È partita da un disco. Un omag- gio al cantautore milanese che la famiglia di Giorgio Gaber mi68
aveva chiesto di realizzare nel 2002. Ma non sapevo come fare. Che sensoaveva imitare un inimitabile? Poi, nel 2010, abbiamo pensato di confezio-nare un disco con i suoi primi grandi successi. “Rompendo” tutti gli spartiticon un sound più moderno, quasi rock. Tutte le canzoni sono state “conta-minate”.Canzoni “contaminate”, inserti musicali di varie provenienze, monologhidi attualità e una scenografia molto colorata per ricordare uno dei piùgrandi cantautori del ’900. Lei conosceva Gaber?Sono stato un suo grande amico. Ancora ricordo quando l’ho visto la primavolta nel suo camerino. Non pensavo mi conoscesse. Mi chiese di cenareinsieme. Emozionatissimo, mi aspettavo una cena con almeno quaranta per-sone. Invece, eravamo solo noi due. Non ho mai visto un uomo così dolce,educato e disponibile con tutti. Mi ha insegnato il rigore, la precisione, il ri-spetto per il pubblico. “Non importa quanta gente viene a vederti: dai tuttociò che hai. Sei un uomo di Teatro e devi sempre rispettare il pubblico chepaga il biglietto”, mi diceva.Il mondo dello spettacolo la affascinava sin da piccolo?Sì, l’ho sempre sognato. Sino ad otto anni non ho parlato. La maestra e i miei genitori erano convinti che fossi timidis- simo. Poi è arri- vata la svolta con la recita di fine anno scolastico. Non vo- levo più scendere dal palcoscenico: in quel- l’istante ho capito qual era la mia strada. Così, a nove anni, ho studiato la chitarra e il sassofono. Ma mio padre non voleva. Da buon cattolico, era convinto che il mondo dello spettacolo fosse pieno di droga e di donne non proprio morigerate … E, in parte, aveva ragione. Il suo desiderio era che mi diplomassi in ragioneria. E l’ho accontentato. Ho preso il diploma, sono tornato a casa, l’ho abbrac- ciato e gli ho detto “Te lo regalo papà, adesso prendo la mia chitarra e vado a Milano”. 69
E così ha fatto. È proprio allo storico “Derby Club” di Milano che lei inizia la professione di comico, giusto? Era il 1979. Sì, feci le selezioni e mi presero. La svolta, però, arriva anni dopo, con il “Maurizio Costanzo Show” e le mie canzoni bonsai. Dovevo arrivare alle 7, ma alle 4 ero già lì. Nell’attesa, credo di aver bevuto dodici caffè. A Co- stanzo piacqui sin dalla prima puntata: ne ho fatte 137. Mi chiedeva sempre qualcosa di nuovo e di originale. A Roma, mi sono chiuso in albergo e non sono più uscito. All’epoca, ero pieno di debiti. Da allora, in poco tempo, la mia vita è cambiata. E poi è arrivata “Striscia la notizia”, il tg satirico di Antonio Ricci che lei e Ezio Greggio avete iniziato a condurre insieme il 26 settembre 1994, se- dendovi dietro il bancone per ben ventuno edizioni consecutive. In 21 anni, 2330 puntate. Un’esperienza importante e significativa. Lei e Greggio siete la coppia storica del tg. A seguire il vostro ritorno, a gennaio, sono stati milioni di telespettatori. Grazie per averci definito la coppia storica. E’ un onore poter condurre “Stri- scia la notizia”, ma è giusto anche che Ricci provi altre coppie come con- duttori. Ezio è un grande amico per me. Siamo compagni di banco: ci capiamo in un attimo, basta guardarci negli occhi. Spero, essendo il 22 il mio numero fortunato, che anche l’anno prossimo ci sia la possibilità di fare insieme questi ascolti record.70 Trent’anni24 aprile 1985 24 aprile 2015
C’è un personaggio al quale si è ispirato nella sua carriera?Gaber e Jannacci sono i miei professori. Ho imparato tanto da loro. Mihanno insegnato molte cose, sulla vita e sul palcoscenico.Cos’è il successo per Enzo Iacchetti?Ha sicuramente un lato positivo: il poter scegliere quel che si vuole fare.Guai, però, a sentirsi arrivati. E’ un continuo progettare. Purtroppo, essendoarrivato un po’ tardi al successo, mi spiace talvolta non avere una vita pri-vata. Non voglio essere frainteso, sono contento del pubblico che mi seguee che, quando mi incontra, mi chiede foto o autografi. Solo che, in certe cir-costanze, vorrei essere una persona comune, che passeggia o mangia unapizza tranquillamente.Lei è un grande tifoso dell’Inter. Chi è, secondo lei, il giocatore nerazzurroper eccellenza?Senza dubbio, lo storico capitano Zanetti. Un uomo integerrimo, molto im-pegnato nel sociale. Un calciatore onesto, che non ha mai chiesto cifre esor-bitanti. È sempre stato in famiglia.Enzo Iacchetti ha un sogno nel cassetto?Certo che ce l’ho. Fare la regia di un film tratto dal libro “La bambina, il pu-gile, il canguro” di Gian Antonio Stella, la storia di una bambina down cre-sciuta dai nonni. L’ho proposto e la risposta è sempre “le faremo sapere”.Spero di riuscire a coronare questo sogno. Purtroppo, ill cinema italiano delneorealismo non va più. Gli americani però lo copiano. E vincono gli Oscar. Marianna BaroneTrent’anni 24 aprile 1985 71 24 aprile 2015
Una commedia dissacrante ed anche divertente Il più bel secolo della mia vita Giorgio Colangeli e Francesco Montanari Giorgio Colangeli e Francesco Montanari sono i protagonisti de “Il più bel secolo della mia vita”, spettacolo scritto e diretto da Alessandro Bardani e Luigi di Capua (autore e interprete del collettivo “The Pills”, che dopo aver spopolato sul web sta arrivando anche al cinema) che guarda ad un tema complesso e talvolta doloroso. Racconta, infatti, con toni ironici, dissacranti e amari, un viaggio alla scoperta delle proprie origini. In Italia, unico paese in Europa, è ancora in vigore l’antiquata normativa che impedisce ai figli non riconosciuti – detti in gergo gli N.N. – di venire a conoscenza della loro storia preadottiva e dell’identità della madre naturale fino al compimento del centesimo anno di età. Tre anni fa la Corte Europea ha sentenziato che l’articolo 28 della legge n.184/1983 calpesta due diritti fondamentali del- l’uomo: il diritto alla conoscenza della propria identità personale e il diritto alla salute (non permettendo di prevenire alcuna patologia familiare) ma an- cora la normativa resta in vigore e sono circa 400.000 i figli italiani che non conoscono il nome dei loro genitori. Sul palcoscenico un cast di rilievo dà voce ad una richiesta umanissima, legittima. Protagonisti due volti noti che si dividono tra teatro, cinema e fiction: Giorgio Colangeli, conosciuto anche per aver dato il volto al personaggio del Libanese nella serie Romanzo Cri-72
minale, e Francesco Montanari, che hanno recitato già insieme nel pluripre-miato cortometraggio “Ce l’hai un minuto?”, scritto e diretto dallo stessoBardani. Due figli non riconosciuti alla nascita. Colangeli è Gustavo, arrivatoalla soglia dei cento anni, affronta la vita in maniera audace, con lo spiritod’un ragazzino, ama McDonald’s, pubblica foto su Instagram, chatta col suoIphone. Montanari interpreta Giovanni, un 30enne smanioso di conoscerel’identità della madre ignota. Vive la sua esistenza con estrema tranquillità,evitando qualsiasi rischio ed emozione più forte. I due si incontrano-scon-trano in un dialogo generazionale scoprendosi distanti, ma al contempo vi-cini, accomunati dalla stessa esperienza infantile. Accanto a loro MariaGorini, nel ruolo della compagna di Giovanni, donna precisa e metodica.Giovanni si impegna con tutte le sue forze a cercare di risolvere il problema,collabora con la F.A.E.G.N. (Associazione nazionale figli adottivi e genitorinaturali) per far sì che la legislazione italiana si allinei con gli altri paesi, euna mattina, in uno degli incontri dell’associazione da lui organizzati, co-nosce il quasi centenario Gustavo, NN come lui, che tra poco riuscirà final-mente a superare i limiti della legge, e a scoprire la verità sulle sue origini.Il problema è che a lui non gliene importa nulla… L’intervento di Gustavoalla riunione è l’inizio di un rocambolesco rapporto tra lui e Giovanni, incui i due, specchio di ideali lontani, lasceranno reciprocamente un segnoindelebile l’uno nell’altro. Una commedia dissacrante su due generazioni aconfronto, punti di vista opposti che devono fare i conti con le stesse do-mande “chi sono?”, “chi è mia madre?”, “è meglio McDonald o BurgerKing?”. E.R. 73
L’amore e l’odio di Clitennestra: una storia che ancora si ripete Clitennestra uccide suo marito Agamennone al ritorno dalla guerra di Troia. Cos’ha fatto durante i dieci anni d’assenza del suo grande amore? Perché l’ha ucciso con l’aiuto del suo amante? Quale prezzo ha dovuto pagare per il suo sconfinato amore e per il suo efferato delitto? Le parole mai scontate di Marguerite Yourcenar descrivono con precisione non solo i fatti, ma anche le motivazioni che por- tano la sventurata eroina dai capelli (ormai) grigi ad impugnare il coltello che ucciderà l’unico vero amore della sua vita. La Yourcenar ci racconta una di quelle storie d’amore che si ripetono spesso. L’amore-ab- negazione della donna verso l’uomo; di una serva verso il gran- d’uomo. Si può dire che ogni donna che crede nell’amore ama servire il proprio uomo ma, al tempo stesso, non vuole essere trat- tata come una serva. Clitennestra ama il suo marito-padrone ed in nome della fedeltà si fa quasi invisibile. Quando lui torna dalla guerra, entrambi non sono che le ombre di se stessi. Clitennestra uccide il vecchio padrone perché l’uomo possa tornare a vivere. Il crimine di Clitennestra è un atto per la vita. È un semplice togliere qualcosa di morto che ci si porta ad- dosso…come una foglia secca sull’albero. Originale l’allestimento presentato dalla Compagnia Dracma. In scena c’è la vita intesa come viaggio, con tre semplici valigie con le rotelle, che identificano i personaggi, Agamennone, Egisto e sulla terza, color rosa, la scritta Troia. I personaggi/valigia, spinti dal destino, entrano in relazione solo temporaneamente con la protagonista. La regia asciutta e moderna di Paolo Cutuli è tutta a servizio del testo, preciso e spietato. Tuttavia, in alcuni punti, lascia spazio alle pantomime di Clitennestra che sulle canzoni di Loredana Bertè, De-74
peche Mode, Piccola Orchestra Avion Travel, Petra Magoni e Ferruc-cio Spinetti ecc. raccontano il suo corpo che aspetta e il suo corpoche uccide.Il pubblico di questo spettacolo diventa la corte che giudica Cliten-nestra; diventa il popolo di vedove in attesa del ritorno del maritosoldato; diventa un campo solitario in cui si nasconde Egisto. Il pub-blico respira le invasioni di Clitennestra la quale respira gli sguardi ead esso si rivolge come ultima preghiera: per chiarirsi e per chiarire,prima dell’atto irrimediabile ed estremo. La Clitennestra di Paolo Cu-tuli assorbe in sé il suono delle parole, mai scontate, che la scrittriceUn momento dello spettacolofrancese di origine belga utilizza per raccontare il mito, quello del-l’Orestea, nella vicenda della tragica eroina che, dopo aver tanto at-teso il ritorno del marito Agamennone, lo uccide con la complicitàdell’amante, non a causa della passione per Egisto, non per vendetta,ma per ribadire le ragioni di un amore non corrisposto.Paolo Cutuli, attore calabrese dalla calda e possente voce, ha debut-tato in questa piéce alla regia, dirigendo se stesso in un ruolo femmi-nile che, persa l’esteriorità, diventa essenza del dolore e dellaviolenza. Eleonora Rao 75
Nelle avventure di Pinocchio Ingannoattenzione alla dimensione dell’ C’era una volta... Un re! — diranno subito i miei piccoli let- tori. No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno. Cominciano così “Le avventure di Pinocchio. Sto- ria di un burattino”, il racconto scritto da Carlo Collodi, pseudonimo di Carlo Lorenzini, nel 1881, che ha affascinato (e continua ad affascinare) in- tere generazioni di bambini. Ma si tratta davvero di una “semplice” fiaba? Ad un’attenta lettura, in- fatti, una serie di riferimenti esoterici e psicanalitici sembrerebbero emergere tra le righe del racconto fiabesco. Ed è proprio un viaggio iniziatico quello proposto da Paride Acacia in “Inganno”, terzo ca- pitolo del laboratorio permanente “Nel Paese del Balocchi” realizzato nell’ambito del progetto “Laudamo in città”, ideato e diretto da Angelo Campolo e Annibale Pavone, prodotto dalla com- pagnia DAF. Ma partiamo dal titolo. Perché, o me- glio, qual è l’inganno in “Pinocchio”? «La dimensione dell’inganno – spiega il regista – è pre- sente nelle sue diverse forme. Innanzitutto, quello verso noi stessi, verso quella parte più recondita e autentica, ovvero ciò che inconsciamente siamo. E ancora l’inganno del pensiero comune e tutti gli inganni in cui rischiamo di imbatterci lungo il no- stro percorso di vita». Rappresentati, nello spetta- colo, dal gatto e dalla volpe, da Lucignolo e il paese dei balocchi, ai quali Acacia dà un’interpre- tazione assolutamente attuale: «Il gatto e la volpe – sottolinea – sono la metafora del mercato che impone dei bisogni e invoglia a moltiplicare i ca- pitali, facendo credere che l’uomo privato di certi oggetti non vale niente. Un inganno assoluto che rende schiavi. È la denuncia della società dei con-76
Foto di Giulia Drogosumi». E poi Lucignolo, simbolo delle cattive compagnie (Lucignolo comeLucifero, il tentatore), che instrada Pinocchio verso il paese dei balocchi,«ovvero l’uso delle sostanze stupefacenti, con i loro effetti allucinogeni. Citroviamo di fronte, quindi, ad un altro inganno, quello delle droghe con tuttele loro devastanti illusioni». Un viaggio iniziatico, si diceva, le vicende delburattino, che Paride Acacia presenta attraverso due visioni: una psicanali-tica di stampo junghiano e l’altra magico – esoterica. «Il percorso vissuto daPinocchio – prosegue il regista – può essere considerato un autentico pro-cesso di individuazione, di scoperta del sé, che comincia con l’abbandonodella casa di Geppetto, il suo “primo” padre, colui che lo ha costruito, maimperfetto. La svolta per il burattino arriverà con l’incontro con Mangia-fuoco, il padre “spirituale”: sarà lui infatti a formarlo come persona e a met-terlo in guardia dai pericoli. A tutti noi capita infatti di essere “svezzati” dapersone incontrate lungo il nostro cammino. Figure preziose per la nostracrescita». Infine la seconda chiave di lettura, quella magico – esoterica legataad un aspetto di Collodi assai dibattuto: «Lo scrittore – afferma Acacia – fa-ceva parte della Massoneria fiorentina. E il racconto è disseminato di simbolimagici e del cristianesimo esoterico. Attraverso l’uso di queste metafore econ un linguaggio fiabesco, Collodi descrive perfettamente il percorso mas-sonico che porta al perfezionamento della persona: l’uomo deve prima spor-carsi con le cose del mondo per diventare uomo vero». Roberta Cortese 77
Appuntamenti della Filarmonica Laudamo: Suoni e Colori Di Primavera Colorata e primaverile la programmazione di Alessandro Monteleone Aprile della Filarmonica Laudamo. Dopo la pausa della Domenica di Pasqua, si ri- Antonia Comito comincia domenica 12 Aprile al Palacultura Francesco Comito (ore 18) con il Quintetto Classico, ensemble che nasce dalla affascinante idea del violinista Fabio Lisanti e del chitarrista Alessandro Mon- teleone, di affiancare la chitarra al quartetto d’archi. Il Quintetto Classico si avvale della pre- ziosa professionalità di apprezzati musicisti del- l’orchestra del Teatro Vittorio Emanuele di Messina e dell’Orchestra da Camera Ars Mu- sica, quali Gabriella Anastasi al violino, Ro- sanna Pianotti alla viola, Maurizio Salemi al violoncello. Insieme alle musiche di Boccherini, Castel- nuovo-Tedesco, Battisti-D’Amario, saranno ese- guite composizioni di importanti autori messinesi come Carmine Daniele Lisanti, e del compianto Pippo Mafali, uno dei musicisti più completi che abbia avuto la città. Il 19 Aprile con la Carlo Cattano Orchestra ini- zia un progetto originale della Filarmonica Lau- damo, una serie di tre concerti in tre anni dal titolo “Orchestre Siciliane del XXI Secolo”. La serie punta l’obiettivo su realtà orchestrali, con un approccio compositivo ed esecutivo le- gato anche all’improvvisazione e alla musica afro-americana. Sin dagli anni ’70 la Sicilia si è rivelata terreno fertile di questo tipo di forma- zioni, conosciute e apprezzate a livello inter- nazionale. La Carlo Cattano Orchestra deriva da un pro- getto molto preciso: un’orchestra jazz stabile formata da musicisti di tutte le generazioni, e78
tutti provenienti dalla Sicilia Orientale. Fra questi i gemelli Giovanni e Matteo Cutello, di soli 15 anni, i giovani Giu- seppe Consiglio, Fabio Tiralongo, An- drea Iurianello, Alessandro Borgia, Luca Pattavina, Marco Caruso, e i ve- terani di grande valore, come Antonio Moncada, Ivan Cammarata, Seby Bell’Arte, Filippo Dipietro, MaurizioCarlo Cattano Orchestra Agosta e lo stesso Carlo Cattano. L’or- chestra si propone come un vero e pro- prio laboratorio dove poter svilupparela ricerca e le idee musicali, mettendo in evidenza le proprie influenze,senza alcun timore.Un siffatto, unico ensemble ha avuto la possibilità di essere realizzato ancheperché Cattano, oltre ad essere un grande musicista e arrangiatore, è sen-z’altro anche uno dei migliori didatti che la Sicilia abbia mai avuto. Fra isuoi allievi il celebre Francesco Cafiso.Chiude il mese il 26 aprile il concerto di Francesco e Antonia Comito: fra-telli, gemelli, pianisti, giovanissimi (classe 1990). Suoneranno Liszt, Bach,Beethoven, Schumann. I due sono l’esempio di come due giovani uniti dallacomune passione per la musica, con un innato talento ma anche una grandedisciplina, possano eccellere nel proprio campo, e, al contempo, rinforzareil legame fraterno. Se non è primavera questa. Luciano TrojaQuintetto Classico senza chitarra 79
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