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Martina, Gino e Al Na'ir

Published by ciuno, 2016-11-24 12:28:54

Description: Martina, Gino e Al Na'ir

Keywords: mare,vela,amicizia

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Martina, Gino e Al Na’ir Testi: Cristina Marziali, Gino Piergallini, Sabatino Polce Illustrazioni: Sabatino Polce



Testi: Cristina Marziali, Gino Piergallini, Sabatino Polce Illustrazioni: Sabatino Polce Martina, Gino e Al Na’ir 1



Non guardo spesso le vecchie foto, di solito mi mettono un po’ di malinconia.Ma questa la guardo con piacere, perché mi ricorda uno dei periodi più bellidella mia vita, e uno degli amici più cari che io abbia mai avuto. 3



Quell’estate i miei genitori mi avevano portata in vacanza al mare, che a me pia-ceva tanto, solo che dopo un po’ a stare seduta sulla spiaggia a fare castelli ebuffe formine mi annoiavo. Così quel giorno presi un po’ a gironzolare, finchénon li incontrai. 5



Lui aveva baffi bianchi e profondi occhi azzurri, sembrava tutto preso da quelloche stava facendo e non mi degnò di uno sguardo. Ma, in verità, anch’io nonavevo occhi che per lei.L’uomo armeggiava attorno ad una piccola barca con una grande vela bianca.Io, con il naso all’insù, mi misi lì sotto a guardarla gonfiarsi nel vento, e brillarecome mille soli sotto il cielo di agosto. A quel punto soltanto lui mi notò.“Beh, che fai lì? Scansati o puoi farti male” il suo tono non era molto amichevole,si capiva che non amava avere scocciatori tra i piedi. Forse normalmente misarei intimidita e me ne sarei andata via, zitta zitta. Ma quella barca mi piacevatroppo.“Che stai facendo?” chiesi, temeraria. Lui mi scoccò un’occhiataccia, un lampoblu sotto le sopracciglia cespugliose, e ovviamente mi ignorò. Ma io insistetti.“Che cos’è quello? Perché fai così? Come si chiama questo?” Mi sembrava diavere la testa piena di domande. Fui talmente fastidiosa che alla fine lui capi-tolò.“E va bene! Se non ti rispondo non mi fai combinare niente oggi. Cominciamocon le buone maniere, che mi sembra che tu non conosca… io sono Gino e lei”,indicò la piccola barca tranquilla sull’acqua, “è Topolina”.“Io sono Martina” squittii. 7



Gino si sedette vicino a me, sulla sabbia, e la sua voce cambiò. Si fece pacatae lenta, come le onde della risacca. Con movimenti misurati, prese ad indicarmitutte le varie parti che componevano Topolina.Io non capivo molto di quello che mi diceva: quei nomi strani ed esotici mi sem-bravano usciti da un libro di magia! Strallo, poppa, timone, sartie… come avreifatto a tenere a mente tutto? Però era meglio delle favole che a volte la mammami leggeva la sera!Forse Gino pensava di aver soddisfatto la mia curiosità, ma il giorno dopo tornaida lui, e restai silenziosa e impettita finché non si accorse di me.“Di nuovo qui?”Evidentemente non se lo aspettava“Accidenti, ne hai di curiosità tu, eh?” Faceva la voce grossa, però a me parevache ridacchiasse un po’, sottoi baffi. “Che vuoi sapere, dunque?” Io non avevo dubbi “Tutto sulle barche!”esclamai. Gino rise apertamente, e si mise le mani sui fianchi “Allora vuol direche io e te passeremo insieme un bel po’ di tempo!” 9

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Da quel momento in poi, ogni giorno scendevo in spiaggia da Gino, vicino a To-polina.Lui mi raccontò la storia di come l’Uomo avesse iniziato a costruire barche, dap-prima solo per spostarsi, ma poi sempre più spinto dal mio stesso desiderio,quello di conoscere. Mentre Gino parlava, la mia fantasia viaggiava sulle ondedi mari sconosciuti. Pensavo a uomini vissuti tanto tempo fa, che si avventura-vano verso l’ignoto affidandosi solo a fragili gusci fatti di canne e corde, e chemagari avevano tanta paura, ma il desiderio di viaggiare era più forte di ognialtra cosa.... 11



“Ehi, mi ascolti? Adesso presta attenzione” Gino mi riportò con i piedi per terratracciando sulla battigia delle linee che si intrecciavano tra loro. “Sai cos’ è que-sta?” “Un ragno brutto?” “Ma no, sciocchina! È una cosa bellissima, si chiamaRosa dei Venti”Gino continuò a raccontarmi di come il vento soffi da direzioni diverse, dei nomiche gli danno, del modo in cui un bravo marinaio deve sapere come si muove ilvento, se vuole andare per mare.Mi spiegò che le barche hanno un passo, anche se non hanno piedi: si chiamanoandature, e descrivono il modo in cui esse procedono sull’acqua.Poi prese una piccola cima, ne diede una a me, e mi mostrò i nodi più importantiche ogni bravo marinaio deve saper fare. Una cima ben stretta può fare la dif-ferenza tra la vita e la morte, mi disse serio. E io non dubitai delle sue parolenemmeno per un attimo! 13



E poi, venne quel giorno che forse avevo sognato ma non avevo osato sperare.Gino non mi aspettava seduto sulla sabbia, ma a riva, vicino a Topolina. Mi feceun piccolo cenno “Che dici, vuoi provare? Te la senti di navigare da sola?”. Tre-mai, e avrei pianto e urlato dalla gioia, ma riuscii solo a soffiare fuori dalle labbraun flebile “Sì!”Poco prima che Topolina si staccasse da riva guardai Gino, improvvisamentein preda alla paura. “Dici che ce la faccio?” chiesi. Lui sorrise, forse era la primavolta che lo vedevo sorridere con tanta dolcezza, con la dolcezza ruvida dellasabbia sulla pelle. “Chiedilo al mare” rispose misterioso. Ed io partii. 15



Avevo paura, avevo tanta paura! E se non fossi riuscita a ricordare tutte le coseche Gino mi aveva insegnato? Avevo la testa vuota, avevo le mani sudate… eall’improvviso ci furono solo il vento e il sole. I raggi si riflettevano sulla superficiedelle onde, come se le stelle della notte fossero precipitate nelle profondità degliabissi e adesso stessero risalendo verso l’alto, riempiendomi gli occhi con laloro accecante luminosità. Poi ci furono gli spruzzi di salsedine sulla faccia, e cifu Topolina insieme a me, che andava e andava, forse navigava o forse volava. 17



Quando tornai indietro felice, Gino non parlò. Ma i suoi occhi pieni di orgogliodicevano tutto.E io ero convinta che non avrei mai più potuto provare un’emozione così bellae così grande, ma mi sbagliavo. 19



“Stasera esercitati a fare per bene i nodi che ti ho insegnato” mi fece Gino men-tre lo salutavo. “Perché?” “Tu fallo” replicò lui, sornione. Quella notte non chiusiocchio! Non solo mi impegnai a fare e rifare i nodi che conoscevo, ma mi misi ascrutare l’orizzonte buio fuori dalla finestra della mia cameretta. Chissà se quellavela laggiù veniva per me… chissà che sorprese aveva in serbo Gino! 21



Il mattino dopo, mamma e papà mi aspettavano con Gino giù alla spiaggia, edinsieme andammo al porto.Il porto! Era la prima volta che lo vedevo. Come ve lo potrei mai descrivere?C’erano tante barche addormentate, con gli scafi dipinti di tutti i colori. Alcuneavevano le vele arrotolate, altre avevano un motore nel cuore. Eppure erano lì,solo assopite, pronte a spiccare il volo, e anche all’ormeggio sapevano di mare.Gino ci condusse fino ad un certo punto, dove una barca dormiva a sua voltaormeggiata con cura, ma ci guardava e ci aspettava.“Lei è Al Na’ir” disse Gino, con semplicità. Al Na’ir era bellissima. Io amavo To-polina ma Al Na’ir… Al Na’ir era un’altra cosa.Parlava di lunghi viaggi, di notti sotto le stelle; parlava di anemoni e conchigliedi mare, e di libertà e profumo del vento. “Che nome strano!” dissi la cosa piùstupida che mi passò per la testa. “È il nome di una stella” rispose Gino, consemplicità. Non so perché, mi parve la spiegazione più naturale del mondo. 23



Passarono alcuni giorni e uscimmo in mare con Al Na’ir.Pensai che avrei potuto timonarla anch’io, e infatti Gino mi cedette il suo posto,per un po’. Avevo amato veleggiare con Topolina, ma Al Na’ir… Al Na’ir eraun’altra cosa.Dapprima, stringendo forte la barra del timone, pensavo di non essere in grado,che fosse troppo per me. Ma Gino mi sorrise, il vento mi sorrise, gonfiò le vele,e io mi tranquillizzai. 25



Poi, scese l’oscurità. Era la prima notte che passavo in mare aperto, e sulle primeebbi paura. Noi, in città, non ci siamo abituati: a quel buio così profondo, al silen-zio così assoluto, alle stelle, così tante, così fitte, così luminose che ti pare chese allunghi una mano una potresti pure acchiapparla. Ero così, con il naso al-l’insù, che Gino mi si avvicinò e cominciò a parlare piano. Sembrava che temessedi disturbare il pigolare delle stelle.Mi spiegò che anche se a noi il cielo sembra solo una trapunta di stelle, in realtàin quell’apparente caos esiste un ordine. Un ordine, beninteso, deciso dagli uo-mini, che in passato guardarono in su, verso il cielo notturno, proprio come sta-vamo facendo noi in quel momento, e negli incredibili percorsi disegnati dagliastri essi videro delle figure.Così, c’erano il Grande Carro e il Piccolo Carro, e tante altre immagini che misforzavo di vedere man mano che Gino me le indicava. 27

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“E quelle, le vedi?” disse ad un certo punto, puntando il dito verso l’infinità delcosmo. “Quelle costellazioni sono dette del Delfino e della Lira” e poi raccontò.Raccontò di Airone, un uomo che era vissuto in Grecia tanti anni prima di noi, eche aveva avuto il dono del canto e della musica. Suonava la lira, uno strumentoantico, e con la sua voce incantava le platee di ogni luogo dove andasse.Ma la celebrità genera invidia: mentre Airone viaggiava in mare, le persone cheerano con lui pensarono di ucciderlo, per derubarlo. Airone non chiese altro chedi poter suonare il suo strumento un’ultima volta.E al suono della sua lira, l’incredibile accadde: alcuni delfini giunsero a nuotovicino alla nave su cui viaggiava Airone, lo presero sul loro dorso e lo portaronovia, in salvo.“E che ne fu degli uomini cattivi?” chiesi io, rapita dal racconto. Gino sorrise allatenue luce delle stelle, che ormai avevano colmato il vuoto sopra di noi. “Nonpoterono più avere la consolazione del dolce canto di Airone, e di quello dei del-fini. Credi esista una pena peggiore?” Gino notò la mia faccia un po’ delusa, econtinuò “Ma Airone, la sua lira e i delfini furono messi da Apollo, che era undiobuono, lassù, nel cielo, affinché potessero illuminare la strada di noi marinaiper sempre”. 29



Io scrutavo il cielo, pensierosa. “E Al Na’ir? Al Na’ir, dov’è?”“Non è in questo cielo... dovresti navigare molto molto lontano, dall’altra partedel mondo, per vederla. Dovresti arrivare fino in Polinesia, dove io probabil-mente non riuscirò mai ad andare. Ma tu… tu chissà…un giorno.”Non so come, o quando, ma mi addormentai. E sognai molte cose…Sognai una stella brillante, dall’altra parte del globo, che io guardavo stando atesta in giù…Sognai la luna, piena di crateri, che scintillava di notte sul mare ed era piùgrande di quanto non fosse mai stata…Sognai un uomo dai biondi capelli che cantava la storia di una barca e del suomare…Sognai le onde, bianche e spumeggianti, e sognai le nuvole che si soffiavanol’una addosso all’altra, e così nascevano le tempeste…Sognai che volavo; non avevo ali, e nemmeno un aeroplano; volavo sull’acquae sotto al cielo, e non mi serviva altro che una bianca vela…E poi sognai degli animali che non avevo mai visto, neppure in foto a quei tempi:sembravano fatti di argento liquido e emettevano voci che parevano cori di an-geli… 31



E poi non sognavo più, ma ero sveglia, e le voci concitate di mamma e papà michiamavano.“Martina, Martina!” “Vieni, vieni!” “È bellissimo!”In un attimo fui a prua, e vidi, vicino alle fiancate di Al Na’ir, degli splendidi ani-mali, lunghi e affusolati, che saltavano fuori dalle onde. Giocavano con i baffibianchi che la nave lasciava nell’andare, ridevano e cantavano, ci guardavanocon profondi occhi pieni di dolcezza.“I delfini!” Ero senza fiato. Mamma aveva gli occhi lucidi. Secondo me non erasolo colpa del vento. 33



Fu quel giorno, poco dopo, che papà ci scattò questa foto: ci siamo io, lamamma, Gino e i delfini.Accidenti, mi deve essere finito qualcosa negli occhi... o forse è solo il sole, cheora invade la cabina di questa barca. 35



È l’alba. Esco fuori, sul ponte. La lussureggiante vegetazione della Polinesia simuove piano nella brezza del mattino, il mare sciaborda sulle fiancate della miaimbarcazione… della mia Al Na’ir.Al petto stringo forte il libriccino che Gino mi donò alla fine di quella magnificaestate. Questo piccolo quaderno è stato un dono prezioso che mi ha accompa-gnato fino a qui. Sono passati tanti anni, ma il mio cuore non ha mai lasciato leonde e i delfini che lui mi ha fatto conoscere. Ho deciso di fare la skipper e di la-vorare e viaggiare fino a questo capo del mondo, per ritrovare Al Na’ir, questastella che i suoi occhi color del mare non hanno mai visto.Il cielo si schiarisce pian piano, ma là in alto Al Na’ir brilla ancora. La guardo, lemando un bacio.“Ciao Gino…ciao Al Na’ir. Ora siamo finalmente insieme!” 37



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