L’istituto della delegazione amministrativa ha avuto sempre una tormentata applicazione all’internodell’ordinamento degli enti locali, anche prima dell’introduzione della 142/90. Come non ricordare, infatti,le vecchie diatribe concernenti la delegabilità di funzioni da parte del consiglio alla giunta? Del resto,costituisce principio generale dell’ordinamento amministrativo l’incardinazione esclusiva della titolaritàdella funzione in capo al titolare del potere, salvo deroga espressa (1): pertanto la delegazioneamministrativa è ammessa solo nei casi espressamente previsti da singole e particolari norme di legge e,come tali, di stretta interpretazione.Essa come noto differisce dalla cosiddetta delegadi firma, che è ammissibile in tutti i casi in cuinon sia espressamente prevista come ineludibile lasottoscrizione degli atti da parte del titolare dell’organo(3). Prendendo le mosse dai caratteri particolaridella delega di firma (che ha luogo nei casi in cuiil delegato riceve dal delegante l’incarico di formareatti in sua vece, o “ d’ordine”, o “per” lui, vale a direin sua rappresentanza), la considerazione centraleda esprimere è che l’atto emesso in tale ipotesi tieneluogo, secondo i principi generali in tema di rappresentanza,di un atto del delegante e perciò va assimilato,quando a valore, a quello. In altri termini, ècome se l’atto fosse stato emesso dal delegante. Ciòvale, come conseguenza diretta, anche quanto a regime:il delegante si spoglia infatti, per effetto implicitodella delega, del potere decisorio che inerisce alrapporto di gerarchia e lo trasmette al delegato.La dismissione attiene sia l’esercizio “attivo” delpotere, vale a dire l’azione che si manifesta nel porrein essere l’atto, sia l’esercizio “ passivo ”, quale è quelloderivante dalla investitura, in concreto, a seguitodi un ricorso di un interessato. Con la delega di firma,in altri termini il delegato acquista, a propositodell’atto, le attribuzioni dell’ufficio superiore a causadell’oggettiva devoluzione di potere, e con tantodi imputazione del suo esercizio.Ciò che afferisce – come appunto il potere di riesamein sede di ricorso interno alla amministrazione – allaposizione del superiore gerarchico e che è espressionedi un più generale potere di sorveglianza e controllosugli uffici sottoordinati, viene dunque sottotale aspetto meno: pertanto l’atto resta per l’effettodella delega apicale e non muta regime.GLI EFFETTI DELLA DELEGAVa, d’altro canto, osservato che attraverso l’atto didelegazione amministrativa l’organo delegante nonattribuisce all’organo delegato il potere, ma solo ilmero esercizio di esso.In particolare, la delega non incideaffatto sulla ripartizione delle competenze,non essendone intaccata latitolarità e riguardando, invece, l’esercizio e la gestionedelle competenze medesime, e comunque nonattiene alle attribuzioni, ma al loro esercizio(Sandulli).Secondo altri, invece, l’effetto più profondo diquesta delegazione tra organi (...) consiste in un veroe proprio spostamento di competenza: l’organo delegato,in forza dell’atto di delegazione,acquisisce il poteregiuridico di esercizio di unafunzione, che rientra nellacompetenza dell’organo delegante,
per cui l’atto di delegazioneamplia la sfera di competenzadell’organo delegato,attribuendogli un potere che istituzionalmente nongli appartiene (Colzi).Da ultimo, vi è poi chi configura una situazionedi contitolarità rispetto alla competenza stessa daparte dell’organo delegante e di quello delegato (Severi).Quale sia in realtà l’istituto che il legislatoreha avuto in mente con l’art. 17 della legge 145/2002non è dato sapere con precisione: a cercare di chiarirequesti dubbi che assalgono l’interprete soccorrel’ottimo lavoro che ci accingiamo a presentare, operadi Lorella di Gioia, segretario Generale del Comunedi Lallio (BG) e specializzata in Scienze dell’amministrazione,che indaga sulla natura e gli effettidello stesso, nonché sul suo ambito oggettivo.IL D.LGS. N. 29/93 E LA DELEGA DELLE FUNZIONICome noto, sin dall’introduzione del d.lgs. 29/93 cisi era chiesti se poteva sussistere la possibilità didelega delle funzioni, ad opera dei dirigenti degli entilocali, in favore di funzionari o altri dipendenti chenon fossero muniti di qualifica dirigenziale.Prima tesi: inammissibilità della delegaSecondo una tesi tradizionale (4), la delega non sarebbeammissibile in quanto manca unanorma legislativa che esplicitamenteconsenta, appunto, la delegabilità, dalmomento che la Costituzione, all’art. 97,nello stabilire che i pubbliciuffici sono organizzatisecondo disposizioni dilegge, vincola la traslazionedell’esercizio dei poteriattribuiti agli organi amministrativi allefattispecie testualmente previste, secondo il ben notoprincipio di legalità che deve fungere da faro all’operatodella pubblica amministrazione nella gestionedei poteri pubblicistici.Proprio in base a tale principio, nell’ordinamentodegli uffici sono determinate le sfere di competenza,le attribuzioni e le responsabilità propriedei funzionari, il che sembra vietare tale modificadi attribuzioni che non tragga legittimazione dauna facoltà concessa dalla legge e della quale ilregolamento costituisca normativa di mera applicazione.La tesi in questione ha trovato nuova linfa nelledisposizioni contenute nel testo unico e specificamenteall’art. 107, comma 5, consentendo a taluno(Oliveri) di affermare che non sembra possibile aidirigenti delegare a personale dei livelli, in quantoi primi sono titolari ab origine ed ex lege delle propriecompetenze: la situazione non sarebbeaggirabile sulla base di disposizioni statutarie o regolamentari,giacchè la delega rappresenta una derogaall’attribuzione delle competenze (anche seconcernente non la titolarità, ma il mero eserciziodelle stesse), non prevista per legge e dunque nonammissibile.Seconda tesi: ammissibilità della delegaL’opposta corrente, condivisa anche dall’Anci edal Ministero dell’interno, riteneva che a tale mancanza,
nel quadro delle innovazioni portate dal decretolegislativo n. 29/1993, si dovesse ovviare, in sedeinterpretativa, mediante lo strumento dell’analogiae dell’interpretazione sistematica.Infatti il decreto legislativo n. 29/93all’art. 16, comma 1, lett. d), trattavaappunto di delega delle competenzegestionali, riferendosi però soltanto alcaso dei dirigenti generali (rectius dirigenti di ufficidirigenziali generali).L’obbligo di adeguamento che faceva e fa tuttora capoagli Enti locali in base all’art. 27-bis del medesimod.lgs. n. 29/93 (ora art. 26 d.lgs. n 165/2001 (5)), nelrispetto delle proprie particolarità, consentirebbequindi la possibilità di delegare, o in senso generale,tramite una specifica norma contenuta nel regolamentodi organizzazione, o mediante un atto di organizzazionedi competenza dei dirigenti.Del resto, la possibilità di derogare a un assettodi competenze stabilito dalla legge mediante un sempliceatto amministrativo sembrerebbe trovare conferma,da un lato, nel disposto dell’art. 109, comma2 del t.u.e.l., in cui si prevede, solo per i comuni chesiano privi di personale munito di qualifica dirigenziale,che le funzioni in questione possono essereattribuite, a seguito di provvedimento motivato delSindaco, ai responsabili degli uffici e servizi, indipendentementedalla qualifica funzionale posseduta,anche in deroga ad ogni diversa disposizione,dall’altro, nella norma del citato comma 2, che fasalva l’applicazione della disposizione per cui ognifunzione può essere attribuita dal Sindaco al Segretariocomunale (cfr. art. 97, comma 4, lett. d), delt.u.), legittimando così il ricorso all’analogia nel casodella fattispecie di attribuzione, mediante l’atto amministrativodi delega, dalla dirigenza al personaledei livelli (ossia ai funzionari di categoria D, titolaridi posizione organizzativa).La suddetta possibilità di delega che, in un ordinamentobasato sulla piena valorizzazione dell’autonomialocale anche a livello di autonormazione, vanecessariamente disciplinata a livello regolamentare,non potrà, secondo quest’opzione interpretativa, cheessere lasciata alla discrezionalità dei dirigenti competenti,i quali rimangono in ogni caso titolari dellafunzione (ai sensi dell’art. 4 del d.lgs. n. 165/2001);essa dovrà tuttavia essere conferita, secondo le normegenerali che regolano l’istituto, solamente a funzionaridirettivi inquadrati in categoriaD, ovverosia ai soggetti che esercitanofunzioni di ordine immediatamente inferiorea quelle del delegante.LA DELEGABILITÀ DELLE FUNZIONI DIRIGENZIALINEL D.LGS. 165/2001, COME MODIFICATO DALLALEGGE N. 145/2001Com’è noto, la delega delle funzioni dirigenziali èora ammessa dalla riforma della dirigenza (articolo2 della legge di riforma, che ha introdotto il comma1-bis all’articolo 17 del d.lgs. 165/2001) non solo neiconfronti della vicedirigenza (che sarà istituita, tuttavia,a regime solo a decorrere dalla contrattazionecollettiva successiva a quella del quadriennio 2002-
2005), ma anche ai “dipendenti che ricoprano le posizionifunzionali più elevate nell’ambito degli uffici aessi affidati”.Essa – applicabile anche agli enti locali – è ammissibiletuttavia nella concorrenza di determinate condizioni:– nel caso in cui sussistano specifiche e comprovateragioni di servizio (in relazione cioè a competenzeconnesse a determinati procedimenti amministrativie purché vi siano ragioni di servizio comprovate);– per un tempo determinato;– sia conferita con atto scritto e motivato.Il nuovo art. 17, in realtà, circoscrive gli effettidella delega a casi limitati, riaffermando stavoltaesplicitamente tuttavia principi già noti alla giurisprudenzaamministrativa: ad esempio, che gli attidi delegazione debbono essere fatti per iscritto (6).Sembra essere, d’altro canto, connaturata alla delegala temporaneità del potere, affermata dall’art. 17,ma che discende naturaliter dai principi maturatisinella materia ben prima della recente riforma: invero,le comprovate ragioni di servizio non possono durareall’infinito, dovendosi dare soluzione a problemidi carattere strutturale con soluzioni aventi pari caratterestrutturale.Peraltro, ai fini della legittimità dell’attodelegato non occorre l’espressamenzione della delega, essendone sufficientel’effettiva esistenza (7).Sotto altro profilo, si tratta di uno diquei casi in cui il rapporto sottostante aquello di delegazione è di norma gerarchico,ma ciò non costituisce la regolain quanto non è indispensabile, ed, anzi è da ritenersipacificamente escluso che le ipotesi di delegazioneamministrativa presuppongano l’esistenza di unrapporto di natura gerarchica tra delegante e delegato:addirittura qualcheautore avanzava perplessitàin ordine all’esistenzastessa di una delegazioneamministrativa insenso stretto nelle ipotesidi attribuzione alternativadi competenze ad organi ordinati gerarchicamente(Roversi Monaco).Vero è che la relazione gerarchica è una condizioneorganizzativa che precede e preesiste all’atto e checontinua – anche dopo le recenti riforme – ad improntaredi sé ogni apparato amministrativo per garantirnel’unità di indirizzo e che, inoltre, la disposizionedel potere da parte del delegante non fa venirmeno la relazione gerarchica su cui la stessa disposizionesi basa.Ma l’evocazione del rapporto gerarchico attiene all’eventualerevoca della delega, cioè la situazione cheè alla base dell’investitura e dell’esercizio da partedel delegato della funzione, non già il regime cheinerisce la vicenda successiva dell’atto, che resta caratterizzato,non meno che l’atto stesso, dall’effettotraslativo proprio della delega.Con ciò i problemi di ermeneutica sono tutt’altro che esauriti:ci si è chiesti, anzi, se sussiste la possibilità di delegao meno delle proprie funzioni da parte dei dirigenti deglienti locali o a favore di funzionari o di altri dipendenti
che non siano muniti di qualifica dirigenziale.Ed è per dare risposta a questo quesito e agli altri cuiabbiamo accennato in precedenza che il lavoro diLorella Di Gioia si fa apprezzare per lasolidità delle conclusioni cui previene e lalucidità dell’analisi dell’istituto: lo stesso,che viene accompagnato da uno schemadi provvedimento di delega, sempre utilea chi opera in un contesto normativo (egiurisprudenziale), troppo spesso laceratoda dubbi ed ambiguità interpretative.
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