30 anni di jazz a Milano GIUSEPPE FERDICO 30 ANNI DI JAZZ A MILANO CONCERTI, DISCHI, RADIO, INTERVISTE 1
Giuseppe Ferdico © 2020 - Musicians & Producers Srls All rights reserved. No part of this publication may be reproduced, stored in a retrieval system or transmitted in any form or by any means, electronic, mechanical, photocopying, recording or otherwise without the prior permission of the publisher. Published by Musicians & Producers Srls Via Legnone 90, 20158 Milano - Italy www.musiciansandproducers.com Editor: Massimo Monti 2
30 anni di jazz a Milano Questo libro è dedicato a Elda Botta, scomparsa nel 2001, conduttrice di Europa Radio Jazz 3
Giuseppe Ferdico 4
30 anni di jazz a Milano INDICE Introduzione.........................................................................7 Prefazione............................................................................9 Milano, città del jazz...........................................................11 I CONCERTI Chet Baker al Capolinea....................................................19 Art Blakey al Cineteatro Ciak..............................................23 Anthony Braxton al Cineteatro Ciak...................................29 Ella Fitzerald e Joe Pass al Palatrussardi..........................35 Milt Jackson e Sonny Stitt al Cineteatro Ciak.....................39 Lee Konitz e Franco D’Andrea al Graffiti..............................43 Charles Mingus al Velodromo Vigorelli...............................49 Michel Petrucciani al Cineteatro Cristallo...........................55 FM 88.3..............................................................................59 Le Radio Libere e la RAI....................................................66 I CONCERTI, LE INTERVISTE, L’ASCOLTO DEI DISCHI Luciano Invernizzi e la Bovisa New Orleans Jazz Band.....77 Intervista al Banjoista Fabio Turazzi...................................84 Intervista a Vittorio Castelli.................................................87 5
Giuseppe Ferdico Bruno De Filippi Quartet......................................................91 Intervista a Franca De Filippi: la musica di mio padre......100 Intervista all’armonicista Giulio Brouzet............................107 Il percussionista Luis Agudo..............................................109 Gorni Kramer e il Quartetto Cetra: “Chiamate Kramer”.....115 Il QUartetto Cetra..............................................................124 Intervista ad Andrea Thomas Gambetti (Alti & Bassi).......130 Intervista adAlberto Vigevani (Mnogaja Leta Quartet)........133 Ray Martino: il cantante di jazz.......................................139 Intervista a Ray Martino...................................................143 Intervista a Enrico Intra....................................................149 Giuseppe Barazzetta: un ricordo di Benny Goodman.........155 MILANO CITTA’ DEL JAZZ: le immagini Epilogo: lettera di commiato.............................................177 Testi consultati..................................................................178 Ringraziamenti..............................................................179 Biografia dell’autore..........................................................181 6
30 anni di jazz a Milano Introduzione Milano e il jazz. Un matrimonio di lunga data, le cui celebrazioni risalgono alla prima metà del secolo scorso. Dal dopoguerra in poi l’interesse verso questa musica cresce in maniera graduale fino a delineare, nei decenni a seguire, una scena jazzistica in pieno fermento, che vedrà emergere musicisti di talento come Enrico Intra e Franco Cerri e che farà di Milano un punto di riferimento per tutti gli appassionati e una tappa obbligata per le star più rinomate del panorama internazionale: da Chet Baker a Ella Fitzgerald, da Charles Mingus ad Anthony Braxton, da Lee Konitz a Michel Petrucciani. Il fiorire di una realtà caleidoscopica, fatta di concerti (alcuni dei quali passati alla storia), jazz club quali il Capolinea, il Derby o la Cà Bianca, veri e propri punti di ritrovo per ogni buon amante del verbo afroamericano, riviste (Musica Jazz), festival, rassegne e radio (Europa Radio Jazz), ha consolidato, di fatto, quel legame tra Milano e il jazz a tutt’oggi ancora vivo e vitale. Nel corso degli anni alcune di queste realtà sono andate via via scomparendo, anche se sopravvivono vivide nella memoria dei suoi protagonisti e degli appassionati. Fra quest’ultimi figura Giuseppe Ferdico, milanese doc, che con il suo libro ci porta a ritroso tra alcune delle più belle pagine di jazz che hanno visto coinvolta la città meneghina. Attraverso i suoi racconti, gli aneddoti, le interviste, i resoconti 7
Giuseppe Ferdico dei concerti e la storia di Europa Radio Jazz, l’autore fa rivivere i ricordi e le sensazioni di un vissuto comune a molti e nel quale molti si riconosceranno, fra testimonianze personali e flashback di un recente passato remoto. Per farlo si avvale di un linguaggio confidenziale, diretto e semplice, interfacciandosi con il lettore quale fosse un amico con il quale condividere le proprie esperienze. La sua è una scrittura volutamente sfrondata da tecnicismi (pur nell’ottica di un’adeguata terminologia di genere), che non avanza nessuna pretesa accademica; questo volume infatti non è un trattato di musicologia o un saggio d’approfondimento (Ferdico non è musicologo né giornalista), quanto, piuttosto, il punto di vista di un fan (nel senso positivo del termine). Uno sguardo informale e schietto sul jazz e la sua storia, con particolare riferimento alla scena milanese, da una diversa prospettiva, quella cioè di un fervente appassionato qual è Giuseppe Ferdico. Un libro che non mancherà di coinvolgere sia il lettore più smaliziato, mettendone alla prova la memoria, sia il neofita, che potrà trovare qui tracce di una storia recente. Antonino Di Vita 8
30 anni di jazz a Milano Prefazione Perché questo libro? Di solito i testi dedicati al jazz raccontano la storia di questo genere musicale e dei suoi protagonisti oppure, semplicemente, suggeriscono una discografia ideale per avvicinarsi a questo affascinante universo sonoro. Raramente si interessano di concerti o prendono in considerazione il punto di vista del pubblico. Difficilmente un appassionato come me ha la possibilità di esprimersi e di far sentire la propria voce. In genere l’opinione del pubblico è quasi sempre relegata a qualche referendum indetto da questa o quella rivista di settore. C’è da sottolineare che, di frequente, i gusti di quello stesso pubblico chiamato a votare si trovano in netto contrasto con quelli della critica specializzata e il gradimento di un concerto o di un musicista lo si intuisce più dal successo di una manifestazione e dalle vendite dei dischi piuttosto che da una recensione. Noi ascoltatori, in genere, preferiamo seguire l’istinto! Ai concerti mi capita a volte di parlare con altri spettatori, scoprendo con mia grande meraviglia che alcuni di loro non conoscono neanche il nome del musicista che si esibisce! Va inoltre sottolineato come l’ascoltatore medio sembri gradire il concerto se i temi musicali sono orecchiabili e si ravvisano elementi della musica popolare nero americana (spiritual, blues, ragtime, swing, etc). 9
Giuseppe Ferdico In Italia, fino alla metà degli anni Cinquanta, il fan ascoltava prevalentemente il jazz di New Orleans e lo swing. Una musica che annoverava tra i suoi portavoce più rappresentativi Louis Armstrong e il suo gruppo, gli Hot Five. Le successive evoluzioni del jazz, e i diversi stili che ne sono conseguiti, hanno visto gli appassionati adeguarsi con fatica a questi nuovi cambiamenti. Scoprii il jazz verso i dieci anni, per caso, mentre guardavo sull’unico canale in bianco e nero della televisione di allora Il Musichiere, il programma condotto da Mario Riva. A catturare la mia attenzione fu l’ospite fisso del sabato sera, il fisarmonicista e direttore d’orchestra Gorni Kramer. Restai affascinato dal suo modo di suonare, scandito da un accattivante e coinvolgente swing, e dal canto scat sulla canzone Crapa Pelada, il celebre brano ripreso poi anche dal Quartetto Cetra. Giuseppe Ferdico 10
30 anni di jazz a Milano Milano città del Jazz Nei primi anni sessanta Milano è testimone della nascita di una fervente scena jazzistica locale, all’interno della quale fioriscono diversi gruppi di jazz tradizionale in stile New Orleans e dixieland quali l’Original Lambro Jazz Band, la Milan College Jazz Society di Lino Patruno e la Bovisa Jazz Band di Luciano Invernizzi. A partire dal 1948 con il sestetto Be-Bop del batterista Gil Cuppini avviene un cambiamento, una nuova generazione di musicisti, curiosa e pronta a recepire le novità musicali provenienti dall’altra sponda dell’Atlantico, si affaccia sulla scena musicale del capoluogo lombardo. Emergono così gruppi di jazz moderno come il quintetto del sassofonista Gianni Basso e del trombettista Oscar Valdambrini, i cui esordi sono legati al bebop di Charlie Parker e Sonny Rollins, che da subito raccoglie pareri favorevoli da parte del pubblico. In seguito gli interessi musicali di Basso si spostano verso il cool jazz californiano di Chet Baker (con il quale incide a Milano un disco nel 1959) e Gerry Mulligan. Sulla scia di questi nuovi fermenti, Col passare degli anni, aprono in città una serie di locali che offrono una ricca programmazione jazz, con grande gioia degli appassionati: tra questi c’è La Capanna dello Zio Tom al Parco Lambro, il Santa Tecla, nei pressi di piazza Duomo, la Taverna Messicana in via San Giovanni sul Muro a Cairoli e sul naviglio la Ca’ Bianca, successivamente il Capolinea. Va annoverato fra i più importanti anche l’Intra Derby Club 11
30 anni di jazz a Milano I CONCERTI 17
30 anni di jazz a Milano Chet Baker al Capolinea (Milano, aprile 1985) Essendo io un appassionato del cool jazz californiano non potevo mancare a questo evento. Non era certo la prima volta che Chet Baker e il suo gruppo suonavano al Capolinea. Quella sera con me c’era anche mio cugino Pino: lui aveva già sentito parlare di questo famoso trombettista ma non aveva mai avuto l’occasione di ascoltarlo dal vivo. Durante l’intervallo del concerto, mentre Chet prendeva una boccata d’aria nel giardino del locale, lo avvicinai con in mano “Chet Baker At Capolinea” (Red Records, 1984), il suo ultimo disco registrato proprio lì, al Capolinea. Mi apparve molto magro, il viso scavato e solcato dalle rughe, lo sguardo assente: sembrava dimostrasse più dei suoi cinquantasei anni. Vestiva con una camicia a quadretti e un gilet, jeans e un foulard al collo. La tossico dipendenza aveva lasciato segni profondi sul suo fisico. Sorridendo mi autografò il disco. Quella sera il locale era stracolmo, tutti i posti a sedere erano occupati e c’era molta gente in piedi. Il gruppo prese posto sul palco: Nicola Stilo al flauto, Michel Graillier al piano, Riccardo Del Fra al contrabbasso e Leo Mitchell alla batteria. Con un leggero ritardo, accolto da un applauso, arrivò Chet: per l’occasione si esibì alla tromba e al flicorno. Le sue interpretazioni erano come al solito molto liriche e venate da una profonda malinconia. Chet sembrava molto 19
30 anni di jazz a Milano Art Blakey al Cineteatro Ciak (Milano, novembre 1979) Dopo anni di silenzio il jazz tornava a Milano. L’impresario teatrale di origine polacca Leo Wächter, colui che era riuscito a portare i Beatles in tournée in Italia nel 1965 (con una tappa al Vigorelli), organizzò il Festival Internazionale del Jazz di Milano. Un avvenimento che fece clamore. Per l’occasione l’etichetta discografica Fonit Cetra si accordò con Wätcher, allora proprietario del Ciak, per registrare alcuni brani in diretta durante i concerti: brani che confluirono poi in una serie di dischi usciti per la piccola label Palcoscenico Records. Tra questi c’è quel One By One (Palcoscenico Records, 1981) che documenta il passaggio sul palco di quella prima edizione di un gruppo molto amato dai jazzofili di ogni età, i Jazz Messengers del batterista Art Blakey. Protagonista della scena jazzistica degli anni Cinquanta e sessanta Blakey è stato tra i principali fautori della corrente hard bop, dimostrandosi inoltre anche un valente talent scout. Molti infatti i musicisti che ha contribuito a lanciare: dai trombettisti Lee Morgan e Freddie Hubbard al sassofonista Wayne Shorter, dai pianisti Horace Silver e Keith Jarrett al trombettista Wynton Marsalis, ultimo in ordine di tempo. Blakey ha sempre avuto un occhio di riguardo nei confronti dei propri musicisti, lasciandogli molto spazio d’azione all’interno dei brani. Quella volta chiesi a mia moglie Loredana di accompagnarmi, anche se lei amava più il jazz tradizionale. All’arrivo notammo con sorpresa una platea affollatissima e 23
30 anni di jazz a Milano Anthony Braxton al Cineteatro Ciak (Milano, gennaio 1979) Era la prima volta che il polistrumentista Anthony Braxton, considerato uno dei migliori esponenti del jazz statunitense, si esibiva in solo a Milano. Il pubblico confluì numeroso e notai con piacere la presenza di parecchi giovani. Molti dei presenti conoscevano già Braxton per averlo ascoltato nei dischi incisi per la Arista Records (label americana fondata da Clive Davis nel 1975 ndr). Musicalmente il sassofonista era un passo avanti rispetto ai suoi colleghi: conduceva una sperimentazione influenzata dalla musica contemporanea che andava da Anton Webern a John Cage. Come ebbe a dire lui stesso, intervistato dalla critica specializzata, la sua sonorità si rifaceva stranamente a modelli più legati a sassofonisti bianchi quali Paul Desmond e Lee Konitz, mentre quando suonava il clarinetto basso ricordava Eric Dolphy. Spesso i brani risultavano atonali. Il suo era un jazz informale anche molto composto ma molto coinvolgente. A volte invece dei titoli usava formule matematiche. Non ho mai capito se ciò fosse dovuto al fatto che le strutture musicali sono composte da numeri oppure se dipendesse da altri motivi. Quella sera, dopo la proiezione cinematografica, sul palcoscenico del teatro apparve Anthony Braxton che con cura si mise ad allineare una serie di sassofoni (alto, tenore, baritono), clarinetti vari e un oboe. 29
Giuseppe Ferdico Le Radio Libere e la Rai Nel 1975 in Italia iniziarono a trasmettere le cosiddette radio libere. In pochi anni si arriva a contarne circa quattromila, di cui almeno seicento di buona qualità. Era sufficiente disporre di un piccolo capitale, affittare un locale, avere un buon impianto e un’antenna sul tetto e il gioco era fatto: ci sono le radio di quartiere, quelle cittadine e quelle che invece provavano a mettersi in competizione con l’emittente nazionale, la RAI. Va detto che il mercato pubblicitario, fiutato l’affare, cercò da subito di investire nelle radio più promettenti. In breve Radio RAI si trovò in difficoltà: passò infatti da un mercato di monopolio a dover far fronte a una concorrenza privata imprevista. Le tre reti RAI dovettero cambiare i propri palinsesti per adeguarsi alle nuove realtà emergenti trattando i più disparati argomenti, adeguandosi così ai gusti di un pubblico ormai abituato ad ascoltare di tutto anche se, va detto, a volte si esagerava e i temi che venivano trattati risultavano banali se non addirittura ridicoli. Si parlava di meteorologia, gastronomia, astrologia, cronaca nera e rosa sino ad arrivare ai pettegolezzi da bar. Ma nell’etere trovano ampio spazio anche le radio di carattere spirituale e religioso. Le neonate emittenti risultavano però deficitarie sul fronte della cultura rispetto alla radio di stato. 66
30 anni di jazz a Milano I CONCERTI, LE INTERVISTE, L’ASCOLTO DEI DISCHI 75
30 anni di jazz a Milano Luciano Invernizzi e la Bovisa New Orleans Jazz Band (Europa Radio Jazz, 1986) La band del trombonista milanese Luciano Invernizzi, o “Big Lu” come lo chiamava bonariamente la conduttrice Elda Botta, era di casa a Europa Radio. La musica del suo gruppo portava una ventata di allegria e ottimismo in studio. Il leader era simpatico e pronto alla battuta, sia con la conduttrice sia con gli ascoltatori che chiamavano durante la pausa tra un brano e l’altro. Nei rari filmati girati da Sergio Leotta, che ritraggono i concerti della Bovisa New Orleans Jazz Band, il trombonista appare alto e robusto, capelli corti, occhiali e un paio di baffetti che si accompagnano a un abbigliamento sobrio e informale. La Elda, anche lei abbastanza alta, capelli corti, occhi scuri, naso pronunciato, vestiva in maniera personale e molto elegante. Durante la conduzione era seria, a volte un po’ nervosa. Era giovedì sera, le 18:00 passate da poco, la sigla di Jazz in Diretta ci ricordò che avremmo ascoltato i più importanti jazzisti italiani e stranieri. Come di consueto Elda presentò uno alla volta i componenti della band: «al trombone Luciano Invernizzi, al clarinetto e al sax Marcello Noia, al banjo Fabio Turazzi, al piano Alberto Bandel, al contrabbasso Renzo Clerici, alla batteria Walter Ganda e, al posto del trombettista Fausto Rossi, proveniente da New Orleans il trombettista Alvin Alcorn». Alvin, detto “Sweet”, settantaquattrenne e in precarie 77
Giuseppe Ferdico Intervista al banjoista Fabio Turazzi Fabio Turazzi, classe 1940, è il banjoista della Bovisa New Orleans Jazz Band: in quest’intervista, rilasciata durante un incontro a casa mia, mi ha raccontato la storia, ricca di aneddoti, di questa longeva formazione milanese, compreso quella volta in cui si trovarono ad accompagnare Louis Armstrong durante una sua esibizione alla RAI. Giuseppe Ferdico - Quando è nata la Bovisa New Orleans Jazz Band? Fabio Turazzi - Suoniamo un genere che si può definire New Orleans Today, che si ispira allo stile che caratterizza ancora oggi i musicisti provenienti dalla Crescent City. Nel 1958 io suonavo già con il trombonista Luciano Invernizzi e con il trombettista Giorgio Blondet: ci siamo messi insieme a un gruppo di giovani musicisti della comunità ebraica di Milano, tra cui il pianista Sergio Della Pergola, e da questa unione è nata la Bovisa GF - Dove suonavate? FT - Abbiamo suonato per due o tre anni al club La Speranza, una sala da ballo storica di Milano, poi alla Taverna Greca del Thanassis e in seguito alle Scimmie. Da qualche anno siamo fissi al Caffè Doria, il jazz club dell’omonimo Grand Hotel. 84
30 anni di jazz a Milano Intervista a Vittorio Castelli Vittorio Castelli: sassofonista, clarinettista, scrittore e conduttore radiofonico. Giuseppe Ferdico - Come ti sei avvicinato al jazz, grazie a un disco, un film o attraverso la radio? Vittorio Castelli - L’ambiente. Sono nato nel 1941 e ricordo che in terza media, al convitto Valdese di Torre Pellice, c’erano due ragazzi che parlavano sempre di jazz. Non ci capivo nulla ma mi sembravano discorsi molto interessanti, anche se in realtà le spiegazioni erano un po’ confuse. Qualche tempo dopo, sfogliando il settimanale Epoca, ho letto una storia del jazz corredata da alcune foto e mi è sembrata una bella storia, molto movimentata, dove succedevano parecchie “cose”! GF - Qual è stato il primo disco che ti ha introdotto all’ascolto del jazz. VC - Il primo ascolto è precedente all’episodio di cui sopra. Ricordo che una mia zia aveva dei dischi di Harry James e qualcosa di Duke Ellington. Senza saperlo avevo sentito il brano Caravan, con questi suoni di tromba impressionanti, il wah wah delle sordine. Ma ciò che mi colpì maggiormente fu un 78 giri di James in cui i pianisti suonavano il boogie woogie: su un lato del disco c’era Boo Boo e sull’altro Woo Woo, due brani per piano, tromba e sezione ritmica con due pianisti incredibili come Pete Johnson e Albert Ammons. 87
30 anni di jazz a Milano MILANO CITTA’ DEL JAZZ Le immagini 167
Giuseppe Ferdico Gorni Kramer e il Quartetto Cetra 170
Giuseppe Ferdico Testi consultati Dizionario del Jazz Philippe Carles, Jean-Louis Comolli, André Clergeat (Mondadori, 2008) Jazz! Come comporre una discoteca di base Carlo Boccadoro (Einaudi, 2005) 100 dischi ideali per capire la MUSICA CLASSICA Virginio B. Sala (Editori Riuniti, 2003) I grandi musicisti Edoardo Rescigno (Fabbri Editori, 1965) Una vita in quattro quarti Giuseppe Barazzetta (Quaderni di Siena Jazz, 2007) Musica Jazz Rivista mensile: anni dal 1980 al 2000 (Rusconi Editore - 22Publishing Srl) Altra fonte: www.brunodefilippi.it 178
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