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Ludovico Mosconi - Grafie e segni di libertà

Published by info, 2017-10-17 05:13:48

Description: Catalogo mostra Ludovico Mosconi. Opere dal 1950 al 1980.
La mostra si è svolta a Rivergaro (PC) presso l'Auditorium della Casa del Popolo dal 16 luglio al 3 settembre 2017

Keywords: Mosconi,Rivergaro

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Grafie e segni di libertà è l’esposizione con cui Rivergaro rende omaggio a Ludovico Mo-sconi, artista di rara sensibilità e grazia. La mostra si colloca in un percorso seguito e ap-prezzato da diversi anni, quello di valorizzare artisti del territorio che hanno però avutoun respiro internazionale. Devo ringraziare, in qualità di sindaco, tutte le persone chehanno collaborato all’organizzazione e realizzazione dell’evento espositivo, il Centro diLettura, le preziose collaborazioni con la Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi e la Fondazio-ne di Piacenza e Vigevano, gli sponsor che hanno contribuito alla fattibilità anche del cata-logo stesso e tutti gli appassionati e affezionati di questa puntuale rassegna estiva chedimostrano come l’impegno culturale sia sempre vivo e seguito.Dopo un paio d'anni in cui la mostra di punta dell'estate rivergarese si era un po' discosta-ta dall'arte contemporanea, con questa esposizione ritorniamo alla nostra tradizionalevocazione per ricordare un grande pittore piacentino nel trentennale della sua scompar-sa: Ludovico Mosconi. L'idea è nata dal confronto che abbiamo avuto con diversi appas-sionati e cultori dell'arte locale e si è concretizzata con il contributo fattivo dei diversi sog-getti che ci hanno sostenuto, anche economicamente. Il Centro di Lettura ritiene di averofferto con questa iniziativa una ottima opportunità di apprezzare l'opera del grande arti-sta a tutti coloro che visiteranno la mostra. Ogni anno, peraltro, sono sempre numerosi ifruitori di questo tipo di offerta culturale e lusinghieri gli apprezzamenti che ci vengonotributati. Il catalogo che offriamo costituirà una preziosa guida nella visita delle opereesposte, nella conoscenza di Ludovico Mosconi, della sua personalità e del suo percorsoartistico. Ringraziamo sentitamente tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazionedella mostra, augurandoci di poter continuare anche in futuro nella nostra attività di pro-mozione e diffusione della cultura. 2

Paura oggi, Caduta dei sentimenti, L’oasi lontana, Le tracce che contano, Il dubbio dellenubi, La luna ridisegnata..., i titoli nei lavori di Ludovico Mosconi non sono di secondariaimportanza rispetto alle opere stesse, difficilmente si trovano i cosiddetti “Untitled” tantocari all’arte contemporanea.Ogni tela è spesso corredata da un titolo che insieme al segno sottolinea la tensione poe-tica del pittore e al contempo la sua natura irrequieta e curiosa che lo porta a indagare isentimenti umani e la società del tempo. Degli anni Settanta è il suo periodo dei cuori,opere come Tramonto e tanti pezzi di cuori, Una faccenda di cuori, Qualcuno ti vuol bene,Preposizione di cuori, Il cuore sulle scale, lo stacco amoroso, Il cuore restituito, Il cuoremigratore, ci parlano di un Mosconi lirico, inquieto, ingabbiato in un mondo affettivo chelo interroga continuamente, che lo proietta in visioni oniriche con un segno grafico legge-ro e vibrante per poi risolverlo, lo si vede nei suoi cicli dei tramonti e dei deserti, con unapittura che abbandona i tasselli cromatici, ancora presenti in Mare Fenicio, Mare di Sa-lugropi, come a ritrovare un nuovo equilibrio nella natura, nei colori e nella semplicità diquelle linee che caratterizzano le tele dei deserti. In opere come Il gioco dell’imperatore,L’ultimo gioco, Prigioniero, La caduta dei sentimenti, La caduta dell’astronauta, il pittorecon i suoi graffi cromatici ci mostra la difficoltà del vivere quotidiano, come scriveva Pie-raldo Marasi “la difficoltà di essere uomo, di esserlo totalmente […] l’uomo infatti nei qua-dri di Ludovico lo si intuiva esattamente nella sua fatica di divenire più ancora che nelladifficoltà di consistere”1, sempre Marasi racconta: “Ora dalla finestra Ludovico guarda gliimpiegati di una grande società, chiusi nei loro uffici di ferro e cemento, con le moquettesper terra, aria condizionata. — Anche se non lo faccio con modi truculenti, ho sempre pen-sato a loro, chiusi là dentro, come portinai nelle loro terribili guardiole. A questa difficoltàdi essere uomo libero“2. Il titolo scelto per questa mostra “Grafie e segni di libertà”, si faportavoce di quello slancio verso la conquista o riconquista di libertà dell’arte e dell’uo-mo, di cui Mosconi era incessante contrabbandiere.1 P.Marasi, Ludovico Mosconi, Vanni Scheiwiller, 1971, Milano, p.222 op. cit. 3

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L’informale, dopo un lungo periodo di latenza durato circa vent’anni è tornato alla ribalta,sia come fenomeno da inquadrare in una ormai raggiunta storicità, sia anche, e so-prattutto, come tendenza provvista di una sua continuità, pronta quindi a riemergere pe-riodicamente, al modo di certi fiumi carsici. O meglio ancora si può parlare di un suo flussoincessante, privo di interruzioni, per cui l’intera storia di questi ultimi vent’anni si potreb-be scrivere come se l’informale non se ne fosse mai andato, ma si fosse via via reincarnatoin una lunga serie di fenomeni derivati: negli anni’60 si ebbero numerosi episodi di un’a-strazione lirica, libera e sensibile, spina nel fianco del clima oggettuale allora prevalente-mente diffuso. Negli anni ’70 l’arte concettuale conobbe una variante di “una nuova pittu-ra” che in qualche modo si richiamava alle stesure intense e cariche, di specie appuntoinformale. E oggi, oggi non è certo difficile reperire le varie tracce di un neoinformale ri-tornante, sull’onda degli ultimi revivalismi e lanci che caratterizzano la nostra condizionepostmoderna.Se così stanno le cose, bisogna concludere per una centralità del cammino di LudovicoMosconi, che entro le coordinate di un gusto più o meno esplicitamente informale hasempre navigato, fin dai suoi inizi, situabili attorno al 1953-54, quando l’artista di Piacenzaera sui venticinque anni di età. Del resto erano anche gli anni buoni per l’informale in Ita-lia, il momento in cui quell’avventura, decisiva per la contemporaneità, stava per decolla-re. Ma uno dei pregi dell’informale è quello di offrirsi, appunto, con coordinate assai lar-ghe, e quindi, dopo aver dichiarato solennemente l’inclusione in esso di qualche artista, cisi deve affrettare a specificare quale posizione particolare questi si sia ritagliato, in un am-bito che in effetti di possibilità ne ha sempre offerte tante. L’informale di Mosconi, fin da-gli inizi, è stato di specie grafica, ovvero di segno, o meglio di vivace dialettica tra il morbi-do tracciato lineare e una campitura di sfondo che dal canto suo risulta pronta ad assor-birlo, o a contrastarlo, o a fargli da cassa di risonanza. Il segno, in genere, arriva a costruir-si in un organismo, animale o vegetale che sia, ma facendo ben attenzione a non chiuderetroppo le sue maglie, anzi curando di tenerle aperte a un ricambio organico con l’ambien-te. In un certo senso si dovrebbe parlare di un informale di specie “anglosassone”, riporta-bile ad esempio a un Sutherland o a un Alan Davie. Col che si potrebbe anche replicareche, allora, non si tratta propriamente di informale o almeno si tratta solo di una sua va- 5

riante “insulare”, molto al limite, attenta a non rinunciare a una precisa volontà di raccon-to, e a non finire quindi in un indistinto calderone gestuale o di scrittura automatica, comecapitò in quegli anni a molte varianti dell’informale, del tachisme, dell’astrazione liricaeuropea (o del confratello statunitense, l’espressionismo astratto).In un certo senso si potrebbe dire che Mosconi, già con le sue prime prove, la Vegetazioneimpulsiva dle 19553-55 e più ancora con i Giunchi, del 1960-63, si preparava ad una viad’uscita dell’informale, il che poi significa che in esso, ab origine, si era posto un ruolo ec-centrico, nutrendo caute riserve, senza un abbandono totale. E quindi gli era naturalmen-te predisposto a incontrarsi con quella situazione di grafismi attorti, volti a ristabilire comedelle presenze, dei nodi intrecciati, che si disse “Possibilità di relazione” (tenuta a battesi-mo da Crispolti, da Tadini e da Senesi) e che fu in effetti, per un’intera generazione (degliAdami, Aricò, Strazza, Pozzati ecc...), la modalità “strisciante” di abbandonare l’eccesso diindistinzione propria dell’informale storico per andare a saggaire soluzioni diverse. E leguidi autorevoli per quella fuoriuscita provenivano appunto da un’aura anglosassone(Alan Davie, oppure lo statunitense Gorky).Solo che Mosconi, in quella poetica di grafismi pronti ad allacciarsi sotto i nostri occhi, amontare spettacoli, a descrivere storie, ma tenendo la porta aperta per ridiscendere versogradi di fusione magmatica, ci credeva fino in fondo, poichè si trattava, dagli inizi, dellasua via, laddove gli altri la saggiavano a titolo sperimentale, più per curiosità e in“mancanza di meglio” che per totale adesione. E infatti ciascuno di essi approderà poi aesiti definiti e unilaterali, o dandosi a praticare le forme oggettuali, o invece sviluppandouna astrazione rigorosamente priva di immagini. Mosconi invece è rimasto sempre a unaffascinante livello di ambiguità, tra il dire e il non dire, tra il descrivere corpi abbastanzadefiniti e invece il lasciarli aperti, allo stato larvale, incoativo.Del resto a ben pensarci, quante altre presenze di valore, in quella medesima “terra dinessuno”: da Tancredi a Novelli a Twombly. In questo senso ci accorgiamo che si è tratta-to di una strada dia grande incidenza e qualità, anche se, viceversa, i nostri sguardi risulta-vano calamitati, appunto, da soluzioni più univoche e caratterizzate, nella morsa del bistic-cio tra gli estremi della pop e della op, almeno in quella prima metà degli anni ’60. Tantopiù che accanto alle figure di “grandi isolati” proprie di un Tancredi o di un Novelli, in libe-ra uscita rispetto agli abiti ufficiali dell’informale, ma attenti a non indossare abiti di qual-che altri “ismo”, presto sio pongono alcuni giovani di rincalzo: Olivieri, Vago e continua ilsuo cammini Strazza e stanno per sopraggiungere Gastini, Griffa...Mosconi è un loro autorevole “compagno di vita”, che vita marcia orgogliosamente sulsuo, sviluppando cioè motivi che gli appartengono in proprio e che dunque può ammini-strare con piena decisione, saggiandone anche le numerose varianti intrinseche, senzaconcessioni alle mode esterne, ma seguendo una logica di percorso. Già si è detto dei 6

Giunchi. Seguono, sempre negli anni ’60, altre serie dai titoli suggestivi ed evocativi(sariazioni da Carpaccio, Omaggio a Proust, L’ultimo imperatore, La dolce ordalia), che so-no anche una crescita dei grafismi, pronti a moltiplicarsi, a dardeggiare in lunghe schierecome di frecce scoccate da un medesimo arco, ma che poi un clinamen devia dalla rottacomune portandole a intersecarsi ; oppure è come se l’artista soffiasse in grumi di vetrofuso e ne ricavasse cannule, palloncini, ben delineati ma nello stesso tempo trasparenti eleggeri; o come se da un liquido surriscaldato si levassero bolle, gorgogli, piccoli vortici. Enon manca di delinearsi, talora, un personaggio abbastanza definito e leggibile (per esem-pio il Prigioniero della serie omonima), che però funziona come il “motivo in maschera”della nota trasmissione di parecchi anni fa: la consistenza della figura è aperta, scomposta,diffusa, riecheggiata da riverberazioni grafiche, che nello stesso tempo la ingarbugliano, larendono di quasi impossibile lettura; e però intanto la diffondono, ne fanno giungere ovun-que il sentore, come di un aroma stemperato in una soluzione lunga. É tanta la virtù intrin-seca di questa posizione mediana, saggiamente occupata da Mosconi, che egli riesce a sin-tonizzarsi sull’onda di altri fuoriusciti, di altri fuggiaschi da situazioni posteriori. Infatti, pas-so passo, siamo ormai giunti ai primi anni ’70, quando appunto molti se ne vanno dai rigoridell’oggettività di tipo pop. Penso in questo momento alla serie del Recupero dei senti-menti, ovvero dei Cuori: tanti cuoricini, che sciamano trovando un riscatto nella freschezzadella mano da cui sono tracciati alla brava, con bella e libera fluenza. Viene fatto di asso-ciarli a certe tenerezze, anch’esse tra il Kitsch e l’evocazione sentimentale, di una ex pop(in quegli anni) come Giosetta Fioroni, oppure di un protagonista del neodadaismo, JimDine.Ma forse le punte descrittive, la volontà di racconto, seppure nei momenti liberi che si so-no visti, Mosconi la concentra negli anni ’60 quando in effetti occorreva essere concorren-ziali alla grande ondata delle forme oggettuali. Dal ’70 in poi e fino ad oggi, il suo discorsosi può spianare, alleandosi anche ai grandi formati. L’intervento pungente dei grafismi re-gredisce a uno stadio informe, di pura gestualità, però reiterata, insistente, quasi automa-tica; mentre alcuni segni si ispessiscono a determinare i tracciati portanti che collocano uncielo o una distesa marina o una terra desertica. Sono gli anni in cui il cammino sicuro ecostante del nostro artista incontra altri profughi da altre stagioni, oppure altri “resistenti”e solitari come lui, rientrati all’improvviso nell’attualità. Infatti, come è noto in quel cambiodi decenni (dai ‘6’ ai ’70) si stanno lasciando i rigori del concettuale e la connessa ”mortedell’arte” a vantaggio dei media extraartistici. E una delle via è proprio quella classica diuna nuova astrazione (nuova pittura, support-surface), che ritrova l’antico fascino dellecampiture elementari, magari tuffandosi nell’ulteriore estremismo, che consiste nell’offrirequelle campiture in modi omogenei e “mentali”. Meglio chi, saggiamente, mantiene i valo-ri di una stesura sensibile e variata, non fredda e meccanica (Olivieri, Vago, Gastini, Griffa, 7

Verna...). E Mosconi si trova perfettamente abilitato a dialogare con loro, a fornire prodotticoncorrenziali. É anche un momento di sintesi finale, dove tutte le virtù delle fasi prece-denti vengono riassunte e condensate. Soprattutto si riconferma il tratto centrale dell’artedi Mosconi: la sgranatura del segno, che però, nello stesso tempo, sa ricompattarsi in unastesura larga e omogenea; e viceversa quest’ultima sa rifrangersi, aprirsi, andare verso ladescrizione animata, sempre attenta, però, a non varcare un certo limite, oltre il qualescatta il movimento al rientro, l’attrazione verso la compattezza di stesura. Arte diarchica,organizzata sulla continua dialettica figura-sfondo, dove i due aspetti si concedono recipro-camente, attenti a non prevaricarsi. E le figure sono anche memoria, perfino “letteratura”,ma l’una e l’altra frenate, immancabilmente, da un senso del pudore, che lo trattiene sullasoglia della confessione esplicita e consente loro di uscire solo in dichiarazioni quanto maicifrate ed enigmatiche. Il motivo, insomma, è sempre “in maschera”, giocato su una seriedi variazioni di carattere musicale. E del resto, i fogli, le tele di Mosconi hanno la natura dialtrettante sinfonie musicali, di “pezzi” di un lungo interminabile concerto, rispetto al qua-le le occasioni di natura o di cultura fungono da pretesti, per intesserci sopra alcune sa-pienti variazioni seriali. C’è da aggiungere, per concludere, che un linguaggio così costituti-vamente grafico-pittorico, fatto quindi per la tela dipinta o per il foglio dell’incisione, deldisegno, riesce anche nell’ardua impresa di tradursi, talora, in linguaggio plastico-scultoreo. Naturalmente gli è indispensabile evitare le concentrazioni massicce e inerti,tentare anzi di ritrovare, pur nella solidità dei corpi reali, la sgranatura del tracciato grafico.Mosconi ha allora il coraggio di ispirarsi a strutture decentrate, polimorfe, dove lo spazio ècatturato attraverso la descrizione di volumi virtuali, psicologici, attraverso come l’erezionedi una selva di picchetti, di pali di confine; un environment, piuttosto che una scultura nelsenso tradizionale della parola o, peggio ancora piuttosto che un monumento greve e mas-siccio. Penso all’esito principale in tutta questa produzione tridimensionale (del resto scar-sa, poichè l’artista ne avverte bene le difficoltà congenite), la Scultura per la gente. I grafi-smi intrinseci alla sua poetica si sono tramutati in una selva di pali disposti a distanze stra-tegiche gli uni dagli altri; e la campitura, lo sfondo, in questi caso, sono dati dall’atmosferastessa, che beninteso non è neutra, ma anzi corrode quei pali, li smangia, li logora, il chedel resto sta anche a indicare che questi a loro volta sono attivi, si arroventano, si ossida-no, per l’attrito che incontrano sfregandosi contro l’aria. Viene da pensare a quanto hannofatto nella medesima direzione due grandi artisti “lombardi” di carriera se non di nascita,Fausto Melotti e Umberto Milani. Mosconi scultore ne raccoglie una valida eredità. Mosconi, viaggio nel cuore della pittura, Castello Sforzesco, Milano, dic. 1984—gen. 1985 8

Nell’introdurre il catalogo di quella che forse rimane ancor oggi la mostra più significativadel nostro artista – alla Sala Viscontea del Castello Sforzesco di Milano, sul declinare del1984 – Renato Barilli collocava l’arte di Ludovico Mosconi nel grande solco dell’Informale.Passati più di trent’anni da quella data, e per diversi motivi avendo perso quel solco d’arteil netto profilo d’un tempo, possiamo chiederci oggi se quella attribuzione meriti di essereriproposta; vale a dire, in altre parole, se l’opera di questo sensibile e importante pittorepossa, o debba, essere ora collocata in un diverso “sistema critico di riferimento”. Sarà chenegli anni che vanno dai primi Cinquanta alla metà degli Ottanta del secolo scorso l’Infor-male è stato per l’arte, non solo del nostro Paese, una sorta di Leit-motiv di fondo dal suo-no forte e ben distinto; sarà che allora tanti degli artisti più sensibili, come mossi da unaspecie di vera e propria necessità esistenziale, si esprimevano secondo quel linguaggio;sarà che la stessa pop-art sbarcata alla Biennale veneziana del 1964 in fondo guardavaall’Informale come ad un acuminato strumento di vasta forza espressiva; sarà forse pertutte queste ragioni – associate alla ferma “tenuta” comunque espressa nel tempo dallostesso Informale – che una lettura dell’opera di Ludovico Mosconi può sicuramente essereeffettuata ancor oggi usando la lente ben a fuoco di questo storico movimento. Certo chegli anni trascorsi ci pongono come su di uno spalto da cui poter godere di un giudizio fruttodi una più ampia prospettiva temporale rispetto al passato. Alcuni movimenti che nel tem-po sono succeduti all’Informale (si pensi ad esempio solo a quelli dell’arte povera e dell’ar-te concettuale) ne hanno per reazione da un lato “storicizzato” l’esistenza (lo stesso Barillifu il curatore nel 1983 di un’importante mostra bolognese riepilogativa dell’Informale ita-liano) e dall’altro ne hanno meglio evidenziato le sue diverse declinazioni, più numerose diquelle espresse dalla classica triade di materia, segno e gesto. Ad esempio , hanno eviden-ziato le personali “vie di fuga” o “uscite di sicurezza” scelte da alcuni artisti per sottrarsiproprio alla stringente “morsa” della suddetta triade: si pensi solo alla scrittura visiva, sa- 9

pientemente estenuata di Novelli, all’impalcatura costruttivista di Perilli, alle raffinate tra-me esistenziali di Bellandi o a quelle lirico-geometriche di Della Torre, e l’elenco potrebbecontinuare a lungo, attraversando le diverse generazioni dei tanti artisti in gioco. Se dun-que, come si è detto, numerosi di loro hanno alloggiato nelle ampie stanze dell’Informale,è altrettanto vero che diversi si sono disposti criticamente sulla soglia di quelle stesse stan-ze e di questo fatto ce ne accorgiamo soprattutto oggi, se saliamo appunto sul metaforicospalto a cui prima si è accennato.Sulla soglia di quelle stanze anche Ludovico Mosconi ha sostato a lungo, gettando lo sguar-do tanto al loro interno, dove in verità si sentiva ottimamente a casa, quanto al loro ester-no, laddove la sua creatività lo portava a sperimentare importanti soluzioni di una forte ecoinvolgente libertà espressiva. È proprio quello che ci balza all’occhio pensando ai suoiraffinati grafismi attorti che da un lato rimandano a presenze corporee e incorporee (comenei cicli Il sogno di Sant’Orsola [dal Carpaccio] e poi Imperatore, Corpi dentro uno spazio,Prigionieri, Impronte della memoria…), dall’altro ci mettono in contatto con viluppi organicidi una natura colta nella sua straniante e lirica vita vegetale (come nei Giunchi – liberty eneri – e poi nei Canneti, nella Vegetazione impulsiva, per finire agli ultimi Deserti e Oasi,dove il Mediterraneo nella sua essenza storica e naturalistica si avverte essere come unapresenza imprescindibile). Se volessimo tuttavia ricercare un filo d’Arianna in grado di gui-darci man mano che ci inoltriamo in tutte queste opere, se provassimo cioè a isolare unacostante espressiva nel lavoro di Mosconi, penso che difficilmente potremmo non registra-re nella sua produzione la presenza di una fondamentale e voluttuosa “grazia espressiva”,che ha trovato soprattutto alimento nel suo primo apprendistato parigino e in quel suovoler stare ben saldo nell’alveo coloristico di stampo espressionista dei Fauves e di Matisse(o del primo Meloni), ma pure nel “tono” straniante di un Licini. E se poi volessimo tentareaccostamenti con l’opera di alcuni artisti della sua generazione troveremmo comunqueben fresche ancor oggi l’originalità e la forza pittorica di Mosconi. Se le sue grafie estenua-te, cercando un esempio, le avviciniamo a quelle di Mario Raciti, ci accorgiamo che laddo-ve l’artista milanese “pesca” soprattutto nelle mitologie esistenziali dell’uomo e nella loropresenza-assenza, Mosconi è mosso piuttosto dalla memoria del tempo che scorre, dallacontinua riflessione su echi letterari (Proust), pittorici (Carpaccio) o più semplicemente sudi un sentimento amoroso della nostra quotidianità (la splendida serie dei Cuori). Se invecericordiamo il grande senso lirico che attraversa la geometrica razionalità di Enrico DellaTorre, ecco che in Mosconi questo stesso senso lirico si presenta invece a “briglia sciolta”,libero di battere i suoi vasti territori naturali, mosso soprattutto – già si è detto – da unadiffusa e generale grazia espressiva che tutto riscatta e tutto sublima.È proprio questo genere di grazia che quando “fora le mani” di un artista lo rende piena-mente partecipe dell’atto profondo del dipingere; di quell’atto, s’intende, che proietta – 10

come fosse una vissuta e sofferta stigmate – un soffio di vita liberatorio sulla nostra tribo-lata esistenza e sulle cose che ci circondano. In fondo, è proprio quest’atto che conferiscea un pittore il timbro dell’autenticità e dell’originalità espressive, indispensabili per otte-nere una sorta di riscatto sulla stessa natura. Però, si badi bene, non solo nell’arte accadequesto; non dimentichiamo che l’esergo di Ennio De Giorgi (posto in apertura del testo) èil pensiero di uno dei maggiori matematici del secondo Novecento: nel 1996, pochi mesiprima della sua morte, De Giorgi fu invitato a rilasciare una video intervista alla ScuolaNormale di Pisa. Egli avrebbe dovuto rispondere solo a due o tre brevi domande sulla ma-tematica, ma chiese di poter parlare più diffusamente, discorrendo per oltre un’ora di ma-tematica, di religione, dei diritti umani, della morte, dell’arte, insomma dell’intero mondocreativo che ruota attorno all’essere umano. E in fondo è proprio questa sua riflessioneche ci rimanda ancora oggi alla pittura di Ludovico Mosconi, intrisa come poche di unafreschezza e di una forza aumentate nel tempo, e attraversata da una continua e straordi-naria creatività frutto sì di una struggente grazia espressiva, ma pure di una sorprendente,non comune, immaginazione sognante che ne fa senz’altro un pittore di assoluto interes-se e di sicura suggestione nel panorama artistico nazionale. 11

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Sono passati trent'anni dalla morte di Ludovico Mosconi e questa piccola retrospettiva diRivergaro offre finalmente l'occasione di poter ancora parlare della sua opera e di ricorda-re un pensiero di Giovanni Arpino scritto in occasione di una mostra del nostro artista aTorino, alla Galleria Parisina nel 1972: «La cosa più facile del mondo è parlare con Mosco-ni. La cosa più difficile del mondo è parlare su o di Mosconi». Era un uomo colto, curioso,intelligente, aperto al nuovo, disponibile a parlare di tutto e su tutto, magari anche litigan-do. Ma il suo modo di dipingere non era accessibile ai più, perché profondamente intimoed enigmatico. Ogni tema da lui toccato era un momento del suo vissuto, che bisognavaconoscere e interpretare a fondo per capirne e apprezzarne l’opera.Mosconi inizia la sua carriera frequentando ancora ragazzo lo studio di Luciano Ricchetti,per poi passare all'Istituto d’Arte Gazzola, ma i suoi primi passi significativi avvengono apartire dal 1951, dopo il ritorno da un lungo soggiorno parigino. I suoi Maestri in queglianni sono Braque, Picasso e soprattutto Matisse. A partire dal 1953 inizia a dipingere unaserie di opere chiamate Vegetazioni impulsive che si collocano nel filone informale italia-no, da lui rivisitato nell'ambito del naturalismo padano. Nel suo informale troviamo sem-pre accenni di vita, di movimento e di forme organiche (come nei cicli dei Canneti e deiGiunchi). Nella prima metà degli anni Sessanta dedica una serie di opere al Sogno diSant'Orsola (ripreso dal Carpaccio), a Proust, ai Giochi dell'Imperatore, alle Dolci ordalie.Opere quasi sempre dipinte con fitti segni grafici, nervosi, usando olio magro, e orientateverso motivi schiettamente lirici. Un periodo particolarmente felice sono gli anni a cavallotra i Sessanta e i Settanta, quando appare un gruppo di lavori chiamato Recupero dei sen-timenti, in cui cuori, nubi, tramonti, lune, vengono dipinti con una libertà assoluta, sensi-bile, attraversata da dubbi, dolci malinconie o accelerazioni improvvise, rispecchiando apieno il suo carattere e vivendo interamente nella dimensione del sentimento.È stato un artista ‘cerebrale’, ma umano e pieno di dubbi. La sua pittura è l'arte magica deicolori e dei segni che esprimono un’idea di forza e volontà. Mosconi coniuga tutto questousando testa e cuore e ne fa il suo mondo. Un suo ciclo molto significativo è stato quello, ametà degli anni Settanta, della Gaia morte. La paura di morte viene esorcizzata attraversoossimori: compaiono così titoli come Morire è la mia gioia, La gaia morte, La mia gioiasarà quando morirò, La morte felice. Queste opere vengono dipinte con larghe pennellate,ovattate e leggere come fossero nuvole, quasi sempre usando colori chiari e pastellati. Nel1975, in occasione della morte di Pier Paolo Pasolini, Mosconi ne ricorda la grandezza con 13

il ciclo Il mio poeta e il mio autore; nello stesso anno espone a Torino Le sinopie del cielo,opere magiche, misteriose, che, come scrive Marziano Bernardi sulla Stampa, lo avvicina-no a Licini. Dopo un lungo viaggio nel deserto del Sahara, al suo ritorno, sul finire deglianni Settanta, affronta il ciclo dei Deserti, dipingendo con segni grafici, “barocchi” e conuna materia diluita in modo da far spesso intravvedere il supporto della tela, opere attra-versate da profonda malinconia e solitudine. I suoi ultimi lavori sono le Marine di Salugro-pi, eseguite con toni accesi, aperti alla luce mediterranea, memori di certe tele di Bonnard.È un artista per pochi, ma chi ha ancora oggi la fortuna di incontrare la sua opera ne traegrosse emozioni. Ha conosciuto Gianni Dova, Aldo Bergolli, Sergio Dangelo, Umberto Mila-ni, e frequentato Ugo Mulas e i fratelli Somaré, ma soprattutto è stato sodale di Gino Me-loni, di cui ha dato un giudizio che in fondo può essere preso come un suo autoritratto: inlui «c’era dentro Matisse, nelle sue figure saltava fuori l'amore per la magia ed io erocatturato dalle sue immagini». 14

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Ludovico Mosconi nasce a Piacenza nel 1928 e qui si forma tra l’Istituto d’arte Gazzola el’atelier dell’affreschista e restauratore Alberto Aspetti. Inizia ad esporre nel 1949 in alcu-ne collettive a Bologna e Milano. Dal 1951 al ’54 è a Parigi dove frequenta l’Accademia e laLibera Scuola della Grand Chaumière, palestra di molti artisti italiani emigrati. Rientra inItalia e apre studio a Milano (pur conservando l’abitazione a Piacenza), dove instaura ami-chevoli rapporti con i colleghi Meloni, Bergolli, Peverelli, Dova, Chighine. Nel 1955 allesti-sce la prima personale alla Galleria Apollinaire e partecipa alla Mostra Internazionale d’ar-te contemporanea a Palazzo delle Esposizioni di Roma. Inizia da qui un itinerario espositi-vo selezionato, che lo vede presente nei maggiori centri italiani e stimato da un intelligen-te collezionismo. Espone in Gallerie di prestigio quali Eunomia a Milano, il Cavallino e ilTraghetto a Venezia, la Parisina a Torino. Nel 1957 espone al Festival dei Due Mondi aSpoleto.Protagonista di ampie antologiche al Museum der Stadt di Gottinga, alla Galerie am Rheine all’Istituto Italiano di Cultura a Colonia, nel 1964 espone alla XIII Triennale di Milano, enello stesso anno Alberto Martini lo presenta in una personale alla Galleria Viotti di Tori-no, due anni dopo è nella sua Piacenza con una personale alla Galleria Buffalmacco. Espo-ne nel 1973 al Circulo artistico di Sant Luc a Barcelona, nel 1975 alla Galleria Seiquer diMadrid e alla Galleria Tosi di Piacenza, nello stesso anno realizza sculture per spazi pubbli-ci, tra cui l’Antimonumento (1975) per la Galleria d’Arte Moderna di Milano.Nel 1976 espone alla Galleria Documenta di Torino, alla Galleria Tonino di Campione d’Ita-lia e alla Galleria Ricci Oddi di Piacenza. Allestisce personali da Montrasio Arte a Monza nel1979 e 1982, con testi di R. Sanesi e G. Mascherpa. Grafico fecondo, opera anche comeincisore pubblicando, in varie tecniche, cartelle accompagnate da testi letterari e poetici .Hanno seguito il suo lavoro alcuni tra i più autorevoli critici del tempo: L. Carluccio, G.Marchiori, F. Russoli, G. Arpino, E. Crispolti, M. De Micheli, V. Scheiwiller e P. Restany.Nel 1984 espone alla Mostra Nazionale di Pittura città di Monza alla Villa Reale e nel 1985l’Amministrazione Comunale di Milano allestisce una grande antologica del suo lavoro alCastello Sforzesco, con la curatela di Renato Barilli; nel 1986 è invitato alla XI Quadrienna-le di Roma. Nel 1987 muore nello studio milanese di via Solferino a Milano. La sua cittànatale, Piacenza, gli ha reso omaggio postumo nel 2003 con una mostra a Palazzo Gotico.Nel 2007 viene organizzata una vasta panoramica sull’opera di Mosconi alla Galleria Sola-ria Arte di Piacenza. 47

Si ringraziano:la famiglia Fornaroli, sostenitrice delle iniziative culturali del Centro di Lettura di Rivergaro,Renato Barilli per la gentile concessione del testo critico della mostra Mosconi, viaggio nelcuore della pittura, Milano 1984,La Fondazione di Piacenza e Vigevano per il gentile prestito dell’opera Natura Morta[1969—1975],La Galleria d'Arte Moderna Ricci Oddi per il gentile prestito dell’opera Mansarda parigina[anni Cinquanta],Ivo Iori per il saggio critico,Enrico Mazzoni per il saggio critico e per il prestito di alcune opere,Alberto Montrasio per il prestito di alcune opere,Elisa Molinari, assessore alla cultura del Comune di Rivergaro e Andrea Albasi, sindaco delComune di Rivergaro che hanno fortemente voluto e sostenuto il progetto,Claudio Bernardi, propugnatore dell’iniziativa,Federico Guglielmetti, autore del progetto grafico del catalogo. 48


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