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Giornalino Marzoli n. 2

Published by Amministratore, 2019-05-08 08:20:28

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ANNO SCOLASTICO 2018-19 GIORNALINO DEL MARZOLI N.2

SOMMARIO Grafica di copertina di Alessia Piscioli 1) Editoriale 2) 1) Rubrica: Come eravamo ( personale ATA), di Sara Donghi 3) Giornata dell’orientamento al Marzoli, di Ornella Cadei 4) Odissea in Grecia della V B, di Belotti Riccardo 5) Montisola, la bella, di Patrizia Scarpellini e Monica Verzeletti 6) Brescia, Bressanone: due città due culture, di Beatrice Rodegari, Alessandro Negri, Gloria Bertazzoli . 7) Conversazione con la storia: Elisabetta di Baviera (Sissi), di Ornella Cadei 8) Le eccellenze dello sport al Marzoli, intervista a Marta Mambrito (rugbysta), e a Kraja Erdis ( calciatore) di Martina Sota e Christian Turla 9) La moda dell’ignoranza, del Prof. Massimo Rossi 10) Ho fatto del mio dolore lucciole di speranza”: intervista alla poetessa Michela Giavarini, di Micol Miceli 11) Foto d’artista: gli scatti di Agostino Palmieri, di O. Cadei 12) La bellezza della filosofia, di Federico Corradi 13) Dare significato all’inclusione di Matteo Venturelli 14) Il talento in scena, il Premio Mosca 15) Dietro le quinte del premio Mosca Di alessia Piscioli e Anna Basso 16) L’angolo della lettura e musica di Micaela Fratus 17) Gli annunci del giornalino 18) La redazione

Editoriale Partecipare alla redazione di un giornalino non è solo un passatempo o un divertimento, è un servizio che si offre al Marzoli e, in quanto tale, noi lo sentiamo come impegno e come esperienza di cittadinanza attiva, infatti la scuola è una comunità, un piccolo paese in cui però non sono del tutto conosciute le tante belle attività ed iniziative che vengono realizzate. Noi vogliamo renderne partecipi tutti, anche quelli più distratti. Non ci definiamo giornalisti, parola troppo importante ma, nella nostra semplicità, di certo non siamo faziosi. La nostra soddisfazione sta nel constatare che qualcuno comincia a chiederci la visibilità per le cose che fa, per comunicare le proprie esperienze vissute all’interno dell’istituto. Vuol dire che la diffidenza e soprattutto l’indifferenza iniziale sta pian piano per essere superata. Il nostro obiettivo futuro? Essere sempre più presenti, diventare un abituale punto di riferimento per gli studenti che vogliano raccontarci come vivono la scuola, magari anche esprimendo le proprie critiche. Che ci critichino! Dalla critica si costruisce il miglioramento pertanto vogliamo dire a tutti: < Che siate seri o burloni, che vogliate dire cose importanti o farci sorridere, fate sentire le vostre voci alla “VOCE DEL CORRIDOIO”> .

Rubrica : Come eravamo a cura di Sara Donghi Come erano e come sono “ Le colonne portanti del corridoio” Teresa De Fina Maria Giuseppina Anedda (Pina)

Maria Ferraro Maria Antonietta Gioiello

GIORNATA DI ORIENTAMENTO AL MARZOLI Due marzo, la giornata di orientamento al Marzoli, organizzata dal comitato genitori, si è aperta alla sua quinta edizione. Lo scopo? Fornire agli alunni delle classi in uscita un’occasione concreta di riflessione sulle possibilità ed opportunità di scelta post diploma; è compito infatti della scuola favorire una scelta professionale consapevole, facilitare il passaggio all’università, aiutare a comprendere in anticipo “quello che si vuole dal lavoro”. I ragazzi devono essere consapevoli di quali siano le occupazioni realmente utili e disponibili sul mercato attuale e sul territorio. Ogni anno aderiscono all’iniziativa sempre più persone, provenienti dal mondo del lavoro, delle università, dell’imprenditoria, delle forze armate, tutti presenti per rispondere alle domande, alle curiosità, ai dubbi degli alunni che si accingono a dover scegliere cosa fare del proprio futuro.

La cosa più bella è incontrare la disponibilità degli ex allievi che ritornano per raccontare le proprie esperienze ed i percorsi intrapresi; sono proprio loro ad infondere fiducia ed entusiasmo in un particolare momento in cui sembrerebbe preclusa ogni possibilità di successo sul territorio nazionale. L’esperienza vissuta in prima persona è la più efficace e veritiera di tutte le informazioni, è quella che infonde forza motivazionale. Queste presenze sono al tempo stesso un’opportunità e un privilegio e ci fanno pensare che il Paese possa essere ancora all’avanguardia in ambiti come la sostenibilità dell’eccellenza. Quale occasione migliore allora se non questa per premiare chi si è distinto appunto come eccellenza nell’ultima sessione di esame? Ecco i nomi di coloro di cui l’istituto ha voluto valorizzare il merito: 1. Borgogni Alex VE ITT 8. Lancini Alessia VD Liceo 2. Zerbini Daniele VE ITT 9. Camossi Andrea VI Liceo 3. Scarsi Giordano VD ITT 10. Arzuffi Irene VE Liceo 4. Mihalache Stefan VF ITT 11. Ferri Francesco VE Liceo 5. Bonassi Federica VB Liceo 12. Metelli Matilde VH Liceo 6. Borgogni Sara VB Liceo 13. Maranesi Jessica VF Liceo 7. Cassotti Ilaria VB Liceo 14. Zerbini Giovanni VF Liceo

Sono questi i momenti in cui anche la componente dei genitori si rende parte attiva nel porre attenzione alle esigenze dei ragazzi, affinché si realizzino come persone; per questo il nostro grazie va proprio al comitato genitori che al Marzoli è sempre attento alle necessità della scuola ed è impegnato ogni anno ad organizzare tra le altre iniziative come questa giornata. Ornella Cadei

Corioni Elena - Presidente del Consiglio di Istituto Prof.ssa Marella Oliva - Dirigente Scolastica I rappresentanti degli studenti Bonassi Sara e Belotti Riccardo insieme alla Dirigente Scolastica, alla Presidente del Consiglio d'Istituto ed alla prof. Cadei Ornella L’assessore alla cultura Cossandi Gianmarco

L’ODISSEA IN GRECIA DELLA VB DIARIO DI BORDO di Riccardo Belotti GIORNO 1- 18 febbraio 2019, Scuola-Ancona-Traghetto Finalmente la tanto attesa gita di quinta liceo, l’ultima insieme (e anche la seconda). Questo momento arriva dopo un periodo di fuoco tra verifiche e interrogazioni e tutti sorridono, felici di partire e divertirsi per una setti- mana. La maturità sembra lontana, ma è alle porte e chissà quando ci rica- piterà un momento di svago del genere prima degli esami. Il viaggio in pullman va bene, tutto sommato non è durato troppe ore e per le 16.30 siamo già ad Ancona, pronti per imbarcarci sul nostro traghetto. Non è una zattera, come pensavamo, anzi i servizi sono numerosi tra cui bar, discoteca, sala giochi, ecc… insomma, i modi per passare il tempo non mancano. Nemmeno il cibo del self-service è poi così male, e tra un giro di ricognizione e due chiacchiere nella sala principale, arriva la sera. Un animatore mette delle musiche, le solite vecchie hit dell’estate che or- mai sappiamo a memoria, ma termina con i Pink Floyd, resuscitando im- provvisamente alcuni studenti mezzi addormentati. Arriva l’ora della di- scoteca, sul ponte superiore, il dj è lo stesso animatore di prima e le can- zoni anche; stavolta però le luci e la nostra energia ci hanno permesso di divertirci e ballare tutti insieme, anche se la serata è stata bruscamente in- terrotta dall’incursione della nostra professoressa che ha categoricamente ordinato che la musica venisse spenta e che noi tornassimo nelle nostre claustrofobiche cabine. GIORNO 2 - 19 febbraio 2019, Igoumenitsa-Meteora-Delfi “Terra in vista!”. Questo è quello che pensiamo al nostro risveglio. Siamo sul traghetto da quasi 20 ore e non vediamo l’ora di mettere i piedi sulla

terraferma. Alle 10.30 sbarchiamo finalmente a Igoumenitsa, raggiungia- mo il pullman e partiamo per la nostra prima tappa: le Meteore! Si tratta di monasteri ortodossi arroccati sulle montagne, da cui si gode di una vista fenomenale della pianura sottostante. Arrivati a destinazione, conosciamo Anastasio, la nostra guida per l’intero viaggio, che ci porta al primo mona- stero in cui ammiriamo affreschi cinquecenteschi e soprattutto un meravi- glioso panorama, ottimo per scattare le foto per Instagram. Il secondo mo- nastero è quello femminile e, si sa, le donne sono più intransigenti degli uomini. Lì le monache ci tengono sotto stretta sorveglianza, non sfugge lo- ro alcun nostro movimento, ma usciamo senza creare danni. Riprendiamo il pullman e partiamo alla volta della seconda tappa: Delfi con il suo ora- colo. Le ore sembrano infinite e raggiungiamo l’hotel alle 22.00. Siamo in paranoia dalle recensioni lette (si parlava di insetti e camere sporche), ma fortunatamente le camere sono in condizioni accettabili, anche se non si può dire lo stesso della cena, non particolarmente gradita, ma si sa che noi italiani siamo imbattibili in fatto di cucina e forse sono le nostre pretese ad essere troppo alte. GIORNO 3 - 20 febbraio 2019, Delfi-Atene Il risveglio è traumatico per alcuni di noi. La sveglia non suona e qualcuno ha dovuto saltare la colazione (per sua fortuna) ed è salito sul pullman per il rotto della cuffia. Nonostante ciò arriviamo puntuali al sito archeologico di Delfi, visitiamo il museo, sempre accompagnati dal nostro prode Ana- stasio, e poi cominciamo il percorso vero e proprio tra le rovine. La strada è in salita, fatichiamo, c’è il sole e fa caldo, ma ne è valsa la pena perché una volta in cima abbiamo potuto ammirare un altro panorama greco senza eguali. Durante la visita ci lasciamo distrarre da qualche cane e gatto ran- dagio in cerca di coccole o di cibo dai turisti e ci godiamo la pace della na- tura nel luogo in cui gli antichi si recavano per porre domande al dio Apol- lo riguardo al loro futuro. L’armonia tra gli edifici, ormai in rovina e la flora e la fauna circostante è sorprendente; è questo il bello della Grecia

Antica, un perfetto equilibrio tra uomo e natura, che ancora oggi è perce- pibile visitando i suoi siti archeologici. Lasciamo Delfi per l’ora di pranzo e, dopo una sosta in un ristorante tipico, partiamo alla volta di Atene. Il viaggio dura circa quattro ore e i nostri ten- tativi di rilassamento sono stati resi vani da Anastasio, che ha sempre mol- to da raccontarci. Si vede che ama la sua terra, la sua cultura e ne va orgo- glioso. Anche se spesso i suoi interventi arrivano nel momento in cui riesci a prendere sonno, bisognerebbe prendere esempio da lui e imparare ad ap- prezzare ciò che abbiamo nella nostra Italia, paese ricco di favolosi tesori. Arrivati ad Atene, andiamo in hotel, un edificio davanti ad un ex manico- mio abbandonato in una zona non proprio raccomandabile, ceniamo me- glio del giorno precedente e la sera decidiamo di uscire. Assistiamo al cambio della guardia davanti al parlamento e poi andiamo in un locale sul tetto di un edificio nel centro da cui godiamo di una meravigliosa vista dell’acropoli illuminata. La giornata si conclude con i festeggiamenti per la nostra compagna Denise, che ha avuto un compleanno greco a 360°. GIORNO 4 - 21 febbraio 2019, Atene-Capo Sunio-Atene Ci attende un’altra giornata intensa. Raggiungiamo l’acropoli e, ormai lo sappiamo, dobbiamo fare un’altra salita, ma, arrivati in cima, l’imponenza del Partenone e la città di Atene che si estende sotto i nostri piedi ci lascia- no a bocca aperta. Notiamo che alcuni ragazzi dell’altro gruppo, che sta in un altro hotel, hanno la mascherina e veniamo a sapere che da loro c’è sta- ta un’epidemia di virus influenzale. Pensiamo di essere fortunati a stare in un altro albergo, anche se la zona non è la migliore. La mattinata si con- clude con la visita al museo dell’acropoli in cui ammiriamo numerose sta- tue e parti di fregio decorativo che ci fanno immaginare come dovesse es- sere al tempo degli antichi. Comprendiamo perché Atene fosse definita una delle città più belle del mondo, tanto che anche gli spartani non aves- sero avuto il coraggio di distruggerne i templi una volta entrati dalle mura. Nel pomeriggio partiamo per Capo Sunio, la punta più meridionale dell’Attica, sul cui promontorio c’è il tempio dedicato al dio Poseidone. Durante il viaggio vediamo la Grecia che più conosciamo: paesini di caset- te bianche con il tetto piatto e spiagge dove qualcuno osa già fare il bagno. Una volta arrivati, naturalmente un’altra salita e ci troviamo direttamente a strapiombo sul mare, una vista unica, soprattutto al tramonto. Un’altra vol- ta ci sentiamo vivi, liberi e percepiamo la pace dei sensi. Non capita spesso ad un gruppo di liceali di quinta di sentirsi così spensierati, senza le ansie

dell’interrogazione del giorno dopo o della verifica di matematica di cui non si sa fare nulla, e ci godiamo a pieno il momento. Torniamo in hotel e andiamo in un altro bar, dove non tutti apprezzano i drink che abbiamo ordinato, ma ancora una volta abbiamo la possibilità di ammirare l’acropoli illuminata. GIORNO 5 - 22 febbraio 2019, Atene-Corinto-Epidauro-Micene- Patrasso Sveglia traumatica quella delle 5.45, ma siamo tutti puntuali e possiamo partire per l’ultima avventura greca. Ricordate quando pensavamo di esse- re stati graziati dal virus? Beh, i primi sintomi qualcuno li ha cominciati a sentire. Arriviamo a Corinto per ammirare il canale e riusciamo anche a vedere due imbarcazioni che lo attraversano, poi rotta verso Epidauro, do- ve si trova un anfiteatro noto per la sua acustica perfetta. Anche lì la natura regna sovrana e, che dire, l’acustica è veramente stupefacente: siamo riu- sciti a sentire il tintinnio di una monetina che cade dalle file più lontane. Il viaggio verso Micene è breve e, prima di visitare l’acropol, ci fermiamo al- la tomba di Atreo, una costruzione a base rotonda sormontata da una cupo- la, costruita non si sa come, un magnifico esempio di architettura ingegne- ristica del passato. Pensiamo a tutte le formule di fisica che studiamo e ci domandiamo come gli antichi potessero costruire edifici simili, che resi- stono da 2000 anni, senza conoscerle e soprattutto senza calcolatrice! L’acropoli di Micene è molto meno monumentale di quella di Atene, ma la visita è stata comunque piacevole anche perché sapevamo che sarebbe sta- ta la nostra ultima esperienza greca. Partiamo per Patrasso e lì ci imbarchiamo direttamente sul traghetto. Si torna casa! Il mare è mosso, sul ponte soffia un forte vento, ma non rinunciamo alla discoteca e ci apprestiamo a vivere il nostro ultimo, meraviglioso, giorno di gita. GIORNO 6 - 23 febbraio 2019, Traghetto-Ancona-Scuola Le ultime ore di viaggio sono quelle che si godono di più, ripensando a tut- ti i posti visti e le esperienze fatte, o forse no… Nel nostro caso l’ultimo giorno è stato all’insegna del mal di mare; solo pochi si sono salvati. Tra gente che vomita e persone a letto con la febbre, il traghetto sembra più un ospedale che una nave per turisti, per di più siamo pure in ritardo e ci tocca passare un’ora in più in questa condizione infernale. Ah, e non dimenti- chiamo la sveglia alle cinque della mattina a causa di un fortissimo boato,

provocato da due camion che si sono sganciati dalle sicure e hanno sbattu- to sulla parte anteriore del traghetto, facendolo inclinare come il Titanic. Quando finalmente rimettiamo piede sulla terraferma, il viaggio in pull- man sembra essere una possibilità per risposarci, ma sono sempre più nu- merosi quelli cominciano ad avvertire i sintomi della stanchezza e della malattia. Si prevede un rientro a scuola difficile! Arriviamo per le 21.00 e finalmente possiamo tornare a casa e dormire sui nostri amati letti. 25 febbraio 2019 Istituto Marzoli La gita è ormai finita ed è di nuovo lunedì. In classe siamo in 9, letteral- mente dimezzati. Un viaggio devastante verrebbe da dire, ma allo stesso tempo ricco di esperienze che senza dubbio ci hanno insegnato qualcosa di nuovo: mai più prendere un traghetto! A parte gli scherzi, la Grecia è un territorio che ha moltissimo da offrire a livello culturale, ma anche umano, è ricca di posti che permettono alle persone di sentirsi in equilibrio con se stesse e con il mondo che le circonda, permettendo di rivivere quell’atmosfera dell’antichità tanto decantata dai testi latini che studiamo. C’è un po’ di malinconia, d’altronde è stato il nostro ultimo viaggio insie- me, ma allo stesso tempo portiamo con noi un bagaglio di ricordi che ci terrà legati anche dopo la maturità. .

Montisola la bella Con un'area totale di 12,8 km², Monte Firenze, questa piccola gemma Isola è l'isola lacustre più grande preziosa affascina chiunque la visiti, d'Italia e dell'Europa meridionale e infatti è un luogo ricco di panorami centrale, ma, nonostante siano presenti mozzafiato, vegetazione lussureggiante isole più estese come Visingsö in e possibilità di trekking adatti a tutti. Svezia, Monte Isola è la prima come Nasconde porticcioli e borghi altezza sul livello del mare, suggestivi, una chiesa in cima alla raggiungendo un’altitudine di ben 600 collina da cui si domina tutto il lago, il metri. In 30 minuti è possibile Santuario della Madonna della Ceriola raggiungere il lago da Brescia e da e perfino un castello, la Rocca Bergamo e poi, in al massimo 20 Martinengo. Nel 2016 la sua notorietà è minuti, l’isola. Eletta come terza diventata mondiale per aver ospitato la migliore località turistica europea famosa opera dell'artista Christo “The davanti a città internazionalmente FloatingPiers\". riconosciute come Atene, Amsterdam o

La sua storia è antica, infatti le fonti ci Abbiamo avuto il piacere di poter suggeriscono che nell'antichità era intervistare una persona che, nativo di presente sulla sua sommità un tempio Monte Isola ha provato sulla propria pagano e sono state ritrovate delle ville pelle cosa significhi vivere qui: il romane. Nel corso del Medioevo l'isola professor Fabio Mazzucchelli, è stata contesa da varie signorie insegnante di lettere nella nostra diventando infine parte della scuola. Repubblica di Venezia. “Prof . Mazzucchelli descriva Montisola con tre aggettivi” “Direi verde, tranquilla e pacifica” “Quali sono, secondo lei, i principali aspetti positivi e negativi del vivere sull’Isola?”

“Nonostante ci sia un brevissimo tratto di lago per raggiungerla, ogni volta che torni sull’isola, stacchi anche mentalmente dalla quotidianità del lavoro, perché ti consente di entrare in un mondo diverso, capace di rilassarti. Gli aspetti negativi riguardano più che altro l’aspetto logistico poiché non sei completamente libero di scegliere gli orari, sempre legati ai battelli che, seppur frequenti, condizionano le tue scelte di movimento.” “Ci indica qualche luogo specifico di Montisola da visitare?” “Secondo me il posto migliore è il Santuario della Madonna della Ceriola che si trova alla sommità, perché consente di avere uno sguardo complessivo non solo dell’isola ma anche di tutto il lago d’Iseo, regalandoti un panorama suggestivo, direi unico.” “C’è qualche prodotto culinario locale che ci consiglia?” “I prodotti tipici dell’Isola dal punto di vista culinario sono tre: l’olio di oliva, che sta diventando famoso, il salame di Montisola, che è già famoso perché preparato senza macinare la carne ma tagliandola al coltello, ed il pesce essiccato, presente in quasi tutti i ristoranti.” “Ha qualche aneddoto divertente o una tradizione particolare legata a Montisola che ci vuole raccontare?” “C’è un evento interessante che si svolge ogni cinque anni a settembre che è la ‘festa dei fiori di carta’ legato alla festività di Santa Croce. Durante questi giorni il paese di Carzano viene completamente addobbato con colorati fiori di carta; la prossima volta sarà nel 2020. Una leggenda locale è invece quella della ‘matta’, uno spirito maligno sul fondo del lago che, tirando i piedi dei bagnanti, li farebbe annegare. La ‘matta’ sarebbe particolarmente attiva il 14 di Luglio, per cui in quel giorno è sconsigliato fare il bagno.” Patrizia Scarpellini e Monica Verzeletti IIIB liceo

BRIXEN-BRESCIA, BRESSANONE: DUE CITTÀ, DUE CULTURE Il 18 marzo noi alunni della classe 3°H del Liceo linguistico Marzoli abbiamo cominciato il gemellaggio di tre giorni e due notti con la classe 3°B dell’istituto Julius und Gilbert Durst di Bressanone; il fine è stringere nuove amicizie ed insieme migliorare il nostro tedesco così come il loro italiano. Dopo aver comunicato solo tramite mail con il progetto eTwinning (community europea di insegnanti attivi in progetti collaborativi tra scuole), finalmente ci siamo incontrati. Una volta arrivati a Bressanone, i ragazzi ci hanno accolto con un buffet di benvenuto, abbiamo lasciato i bagagli a scuola e abbiamo trascorso la giornata con loro nel centro di Bressanone. Ci hanno mostrato la città, alcuni monumenti ed edifici pubblici principali. Il secondo giorno è stato decisamente il più intenso. La mattina siamo partiti per il monte Plose, scesi dalla funivia ci aspettava una lunga camminata che fortunatamente il panorama

mozzafiato della montagna non ha fatto pesare. Giunti a destinazione abbiamo pranzato in un rifugio di montagna. Alcuni di noi hanno voluto provare il cibo tipico del Südtirol come i canederli. Scesi dalla montagna, dopo una breve tappa a scuola per recuperare le nostre borse, siamo andati alla piscina Acquarena. La giornata si è conclusa in pizzeria tutti insieme in compagnia . La terza ed ultima giornata si è trascorsa a Chiusa, dove abbiamo visitato il monastero di Sabbiona e a Bolzano, con la visita guidata al museo di Ötzi. Dopo i saluti in stazione, siamo ripartiti per Palazzolo, stanchi ma felici dell’esperienza avuta con i ragazzi di Bressanone, delle amicizie create e del tempo passato insieme. Un ringraziamento speciale va alle famiglie dei ragazzi che ci hanno ospitato gentilmente. Il prossimo incontro sarà a maggio; ora tocca a noi ospitare ed organizzare il programma per ricambiare la loro ospitalità e dare il benvenuto da parte di Brescia!! Beatrice Rodegari, Alessandro Negri, Gloria Bertazzoli

CONVERSAZIONE CON LA STORIA Elisabetta di Baviera, la principessa Sissi di Ornella Cadei Figura 1 L'imperatore Francesco Giuseppe ed Elisabetta al tempo del loro matrimonio I:<< Come vuole presentarsi maestà, visto che cavalcare e nuotare, certo è che non passavo il porta più nomi, appellativi e cognomi?>> mio tempo con il ricamo. Ricordo la sua frase ricorrente “se non fossimo principi, saremmo E:<< Il mio unico nome è Elisabetta, anzi cavallerizzi da circo”. Mia madre si innamorò per Erzsébet poiché, se la mia terra d’origine è la questo di lui e, sposandolo, non le importò di Baviera, io fui sempre innamorata dell’Ungheria. dover scendere di rango. Da principessa “di Se invece devo raccontare di me, dirò che fui una Baviera” diventò principessa “in Baviera”.>> ragazza felice, una principessa innamorata, una sposa delusa, un’ imperatrice dissidente e una I:<< Perché allora si prodigò per farle fare un madre straziata.>> matrimonio importante che però la rese infelice?>> I:<< Vogliamo cominciare dalla ragazza felice?>> E:<< Non fu lei a combinare le mie nozze e non sarei stata nemmeno io la prescelta fra le mie E:<< Crebbi in una famiglia aristocratica ma sorelle, ma Elena, o Nené, come la chiamavano in informale, mio padre era uno scavezzacollo e così casa. Zia Sofia decise che suo figlio Franz, all’età ci abituò fin dall’infanzia ad essere liberi di fare di ventidue anni, da poco incoronato imperatore ciò che si voleva; ci portava a caccia, ci faceva d’Austria, dovesse prendere moglie. Scelse mia sorella Elena, la più grande e certamente la più

assennata di tutte noi. Così la zia scrisse a mia poeta. Mi avevano detto che, come sposa, non madre. Come è possibile opporsi alla potevo sottrarmi alle richieste imperiali, ma Arciduchessa d’Austria, donna che, abbandonati i sapevamo così poco l’uno dell’altra. Franz aveva sogni romantici di fanciulla, aveva costruito sulle avuto in precedenza solo dame che si prestavano, rovine della sua giovinezza la conquista del potere dando al giovane l’illusione della conquista. Dopo per sé e per il proprio figlio? Io ottenni per caso qualche quadriglia e qualche finto dibattersi, si quel potere e non lo cercai, per questo forse mi concedevano ai suoi favori. Tutta Vienna sapeva detestò dal primo momento in cui misi piede nella di questo rituale che gli organizzava sua madre, Hofburg ( residenza imperiale a Vienna).>> tanto che vennero chiamate “le contesse I:<< Come accadde allora che foste voi a igieniche”. Franz conosceva poco dell’amore vero sposare Francesco Giuseppe, l’imperatore e io ero una vergine di soli sedici anni.>> d’Austria?>> I:<< Non credete che sia stato forse il vostro Figura 2 Elisabetta con la sorella Elena carattere indomabile dietro l’aspetto da bambina a disorientare vostro marito? Forse E:<< Agli ordini di Sofia ci mettemmo in viaggio sarà stato maldestro, ma vi adorava e continuò per Salisburgo, dove mia sorella avrebbe dovuto ad amarvi fino alla fine.>> incontrare l’imperatore. Io mi aggregai al gruppo ma solo per il piacere di fare quel viaggio, E:<< Io ricambiavo il suo amore, eppure sentivo neppure si preoccuparono di comprarmi un abito di essere stata “venduta”. In quel lusso imperiale nuovo per l’occasione. Avevo solo quindici anni. ero come prigioniera ed intanto scrivevo poesie Non so cosa Franz avesse trovato in me, ma mi sulla libertà perduta e sulla Baviera, la mia terra. dissero che avrei dovuto accogliere come il più Durante il giorno l’imperatore si chiudeva nel suo alto degli onori il fatto di essere stata prescelta.>> studio, riceveva delegazioni, prendeva decisioni, I:<< Maestà, non c’è biografo che non via io invece mi annoiavo, non potevo fare nulla. abbia descritta come la più bella d’Europa. Le L’arciduchessa Sofia mi aveva persino impedito vostre chiome erano famose e le vostre fattezze di uscire a cavallo. La motivazione ufficiale era la non potevano essere passate inosservate a mia salute cagionevole ma in realtà la infastidiva quell’imperatore di pochi anni più grande di vedermi rientrare con le guance accaldate ed i voi che covava il desiderio di un giovane capelli scompigliati. Non osservavo l’etichetta ed soldato.>> ero per lei una provinciale selvaggia.>> E:<< Appunto, un soldato! Mi ritrovai in un anno sposata ad un soldato quando avrei sognato un I:<< Vienna tuttavia vi adorava. Quando si è saputo che eravate incinta, vennero aperti i giardini di Schonbrunn solo perché il popolo voleva vedervi!>> E:<< Quello credetti fosse l’inizio di una nuova felicità. Non avevo ancora raggiunto la mia altezza definitiva ed ebbi una bimba. Ero una bambina che allevava un’altra bambina, eppure provavo un’enorme gioia.>> I:<< Invece fu l’inizio di nuovi dolori.>> E:<< L’arciduchessa Sofia mi sottrasse la piccola che portava il suo nome con la scusa che un’imperatrice ha doveri di rappresentanza e la mise in una nursery lontanissima dalle mie stanze. Vedevo mia figlia ad orari fissi e sotto la sorveglianza di bambinaie, un vero tormento. >>

I:<< Fu così anche con i figli successivi?>> stessa schiava della vostra bellezza come lo erano i vostri amanti?>> E:<< Nacque in seguito un’altra bambina, Gisella, e poi nel 1857 finalmente arrivò l’erede maschio, E:<< Più che amanti furono degli adoratori, la mia Rodolfo. Fu allora che riuscii a ribellarmi e a rispondenza fu solo spirituale, sarebbe stato decidere di esercitare il ruolo di madre. Se la troppo volgare abbassarmi a comportamenti da piccola Sofia quasi non mi conosceva neppure, donnicciola qualunque. Prima che all’imperatore Rodolfo e poi anche l’ultimogenita Maria Valeria, Francesco, rimasi fedele alla mia immagine. ebbero in me la più tenera delle mamme.>> Preferii essere amata che l’amore in sé.>> I:<< Maestà, ma voi non foste solo madre ed I:<< Non cedeste neanche al conte Andràssy imperatrice; voi diventaste anche colei che era che vi fece prendere a cuore la causa ungherese conosciuta come la donna più bella di tutta e che preparò la vostra incoronazione a regina l’Europa. >> di Ungheria?>> Figura 3 Elisabetta famosa per le sue chiome Figura 4 Il Conte Gyula Andrassy E:<<Fu la mia rivincita! Mia suocera dominava la E:<< Appunto, quando si è saputo resistere a corte con la sua autorità. Ebbene, io le sottrassi il quella reciproca vertigine, a quella attrazione così potere con il fascino e l’eleganza.I miei tratti forte, si può stare certi di non correre più alcun divennero i nuovi canoni di bellezza. In una pericolo. Andràssy rimase comunque sicuramente società in cui le donne erano come quelle ritratte l'uomo più affascinante che io conobbi nella mia da Rubens, io mi imposi con il mio portamento vita.>> slanciato che non impediva comunque di mostrare promettenti scollature. Usai la mia persona per I:<< Fu lui che vi fece entusiasmare al ruolo di conquistare amore e devozione e mi abbandonai al regina d’Ungheria quando già odiavate quello narcisismo.>> di imperatrice?>> I:<< Fu per questo che cominciaste a fare E:<< Se gli Ungheresi, che detestavano il potere ginnastica fino allo sfinimento, a non mangiare di Vienna, accettarono me come loro regina, fu più, a sopportare i mal di testa che il peso dei certo per la mediazione del conte.>> capelli vi procurava, pur di non tagliare la lunghissima treccia, insomma a diventare voi I:<< Non accadde nulla neanche con quello studente...?>> E:<< Quello fu un episodio in cui volli per una volta essere una donna qualsiasi. Era il martedì grasso del 1874. Dopo essermi ritirata nelle mie stanze, lasciando credere a tutti di voler andare a

dormire, mi preparai per uscire. C’era un E:<< Fu l'unica trasgressione che mi concessi in passaggio riservato che collegava i miei una vita fatta di doveri.>> appartamenti con l'esterno senza essere visti dal corpo di guardia. Le vere feste di carnevale si I:<<Beh, anche i vostri viaggi non furono certo tenevano alla sala della Società della Musica.>> per impegni ufficiali, furono fughe dalla corte e dalla Hofburg, fughe sempre più frequenti e I:<< Quella dove ora si tengono sempre i sempre più lunghe.>> concerti di Capodanno.>> E:<< l Viennesi furono buoni con me, capirono il E:<<Esatto. Quella sera presi a prestito il nome mio bisogno di evadere, così mi regalarono un della mia cameriera, Gabriella, mi mascherai, un vagone perfettamente attrezzato per essere una costume da domino di broccato giallo per me ed casa viaggiante. Mi chiamarono l'imperatrice uno di broccato rosso per Ida Fereczy, la mia \"Locomotiva\">> fedele dama di compagnia, insieme via nella mischia, proprio quando la festa era al culmine.>> I:<< E Francesco Giuseppe, oberato da impegni e doveri, come sopportò la lontananza I:<< Insomma per una volta volle provare a di colei che amava più di ogni altra persona?>> vedere senza essere vista. Non pensaste che la vostra altezza, 1.72, le vostre trecce, il vostro E:<< Feci di tutto perché si trovasse una girovita così sottile non sarebbero stati nascosti consolazione. C'era allora in voga un'attrice che da una semplice mascherina di trina?>> lui apprezzava particolarmente, si chiamava Katharina Scharatt; ella, grazie a me, divenne \"di E:<< Prima di accettare il suo invito per un ballo, casa\" presso la Hofburg d'inverno e il palazzo di mi accertai che non avesse conoscenze a corte. Si Schonbrunn d'estate. Fu una compagna discreta e chiamava Frèdèric Pacher e, dopo quel valzer, ce dolce per il mio Franz che la incontrava e ne fu un altro e un altro ancora.>> pranzava con lei quotidianamente.>> I:<< Insomma ballaste tutta la notte senza I:<< Fu per la frequente lontananza da Vienna rivelargli chi eravate, un po' come una che non venne a sapere della relazione di suo Cenerentola al contrario.>> figlio Rodolfo con la giovane Maria Vetsera?>> E:<< Sospettò che potessi essere un'aristocratica E:<< A mio figlio Rodolfo avevo trasmesso parte ma non seppe mai quanto in alto fossi collocata. del mio sangue indomito e del mio dissenso per il In seguito gli scrissi più volte, gli spedii poesie e rigido protocollo della corte. Era un giovane triste gli dedicai un poema. Egli mi rispose ma tutto che visse drammaticamente. Il suicidio, come tramite fermo posta a Monaco.>> seppi dopo, era stato un argomento più volte da lui accarezzato. Una volta una delle sue amanti aveva I:<< Quanto durò questo gioco, perché di confessato impaurita alla polizia che egli le aveva questo si trattava?>> proposto di morire con lui.>> E:<< Alcuni anni. Un giorno mi arrivò una sua l:<< Poi venne la diciassettenne Maria che lettera molto dura, mi diceva che si era fidanzato, credeva nell'ideale romantico dell'amore per che preferiva la vita vera ad un sogno mai l'eternità.>> rivelato, così la cosa si chiuse definitivamente.>> E:<< Non so come fossero andate le cose. Franz I:<< Maestà non propriamente, quando un mi aveva tenuto nascosto il loro idillio perché biografo mise le mani tra le vostre carte il suo sapevo quanto già Rodolfo soffrisse per un nome ricomparve. Egli, ormai nonno, venne matrimonio impostogli dalla ragion di stato.>> così a sapere che la dama misteriosa del suo passato era l'imperatrice Elisabetta. Ormai a I:<< Dicevano che fosse anche un po' quella età l'episodio poteva essere solo una depravato e questo lato oscuro affascinò la curiosità da raccontare ai propri nipoti.>> ragazzina...>>

E:<< Rodolfo e Maria si amavano davvero e la e così si riversavano a rimpinguare gli affari di loro decisione di uccidersi insieme a Mayerling fu quel Sacher che si arricchì come ristoratore prima per sfuggire alla sorte che li voleva separare. ancora che con la sua famosa torta. Io e Franz ci Quell'episodio segnò anche la mia morte eravamo però riavvicinati. Nell'intimo sentivamo spirituale. Era il 1889, io continuai a vivere in che non si poteva stare l'uno senza l'altra. apparenza ma la sofferenza muta e completa Quarantacinque anni di vita insieme!>> logorò al mio interno il cuore, le viscere e la mente. Una madre non dovrebbe mai sopravvivere I:<< E poi la morte, quella morte!>> alla morte di un figlio. Rodolfo scrisse le sue ultime parole per me, ma il fatto di non aver lasciato un solo rigo per Franz gettò l'imperatore nel più profondo sconforto.>> Figura 5 Rodolfo d'Asburgo , morto suicida Figura 7 Assassinio di Elisabetta di Baviera E:<< La morte arriva per chiunque. Per me arrivò inaspettata quando, sulle rive del lago Lemano a Ginevra, un certo Luigi Licheni, un anarchico, così si era dichiarato, in realtà un esaltato alla ricerca della notorietà, mi pugnalò al petto. Che ironia! Si seppe poi che avrebbe voluto uccidere il pretendente al trono di Francia, Enrico d’Orlean, ma questi non arrivò. Al posto suo c’era l'imperatrice d'Austria che alloggiava all' hotel Beau Rivale; così si compì il mio destino. Era il 10 settembre del 1897 ed avevo sessantuno anni. Fui sepolta nella cripta dei cappuccini di Vienna, dove riposano tutti gli Asburgo, dove già c'era il mio Rodolfo, e dove diciannove anni dopo mi raggiunse il mio Franz.>> Figura 6 Rodolfo insieme a Maria l:<< Fu per questo che non ci furono più ricevimenti a corte?>> E:<< Qualche rara occasione, il più delle volte i nostri pranzi erano aperti a pochi dignitari che vedevano le portate venire ed andare velocemente. Essi lasciavano il desco imperiale ancora affamati

. Figura 8 Statua di Elisabetta di Baviera Figura 9 L’Romy Schneider, una delle più famose interpreti di Elisabetta di Baviera

Quando lo sport non è solo muscoli, le eccellenze del nostro istituto Uno degli obiettivi del nostro giornalino è quello di raccontare le esperienze vissute al Marzoli, in particolare di far conoscere a tutti le iniziative e le attività di cui i ragazzi sono protagonisti, per questo riteniamo importante dare visibilità alle eccellenze nello sport presenti nell’istituto. Nel numero precedente abbiamo incontrato Zucchetti di IVB che pratica nuoto a livello agonistico. Ora vi riportiamo un’intervista parallela a Kraja Erdis di VD ITT, calciatore dell’Atalanta, e Mandrito Marta di V I liceo, rugbista. Intervista a Marta Mambrito V^I liceo, rugbysta di Martina Sota “Cosa e chi ti ha portato a frequentare una squadra di rugby? Come è nata questa passione?” “Questa passione nasce dal fatto che mio padre ha giocato a rugby, anche ad alti livelli ed è stato un arbitro. Di conseguenza io lo seguivo molto anche se lui non ha mai voluto che io giocassi e non mi ha mai spinta a coltivare questa passione. Ho iniziato a giocare quando frequentavo le elementari poi alle medie ho dovuto interrompere in quanto non c’era ancora la squadra femminile, ho ripreso a giocare in terza superiore” “E’ cambiato qualcosa nella tua vita da quando pratichi questo sport?” “È cambiato che ho una squadra su cui contare e soprattutto uno sfogo perché la scuola è pesante e ho trovato un’attività in cui posso non solo sfogarmi ma anche

divertirmi. Sono impegnata anche nei weekend ma almeno faccio qualcosa che mi dà delle soddisfazioni, mi tengo occupata e stringo nuove amicizie” “Cosa è prioritario quando si è in un campo di gioco?” “Quando sono in un campo di gioco è prioritario concentrarmi sulla partita. Quando io sono in campo devo solo giocare, non devo pensare alla scuola, non devo pensare a nient’altro, c’è la palla, c’è la squadra e si va avanti” “Pensi che intimidisca i ragazzi l’essere una rugbista? “Io non sono una fisicata, sono abbastanza minuta rispetto alle mie compagne decisamente più robuste di me ma nel mondo del rugby femminile non devi necessariamente essere un mostro per giocare, puoi essere una persona normalissima però tendenzialmente sì, intimidisce i ragazzi” “L’importanza di fare “squadra” è fondamentale, perché?” “L’importanza di fare squadra è fondamentale perché nello sport del rugby da solo non puoi andare avanti e questo vale anche per tutto il resto della vita. Nel gioco tu puoi avere l’occasione giusta ma devi anche saper comunicare con la tua squadra, non puoi andare avanti da solo perché bisogna sempre avere una spalla su cui appoggiarsi, bisogna essere sicuri e fidarsi di chi ci sta intorno. Nel rugby non puoi passare la palla in avanti ma solo di lato o indietro ma se tu sei avanti e senti una voce dietro di te, devi fidarti e lanciarla comunque, anche se non vedi” “Ci sono cose a cui hai dovuto rinunciare per dedicarti a questo impegno sportivo? Qualche rimpianto?” “Non ho delle grandi rinunce in questo sport. Mettiamola così: ho rinunciato a delle gambe senza graffi oppure ho lesionato entrambi i legamenti delle caviglie e vivo con le caviglie sempre fasciate. Non ho grandi rimpianti, aver scelto questo sport non mi ha impedito di fare altro, ho le domeniche impegnate ma sono felice in queste domeniche. Bisogna però tener conto che ci sono le botte e non bisogna lamentarsi ( io qualche volta mi lamento però gioco comunque)” “Qual è l’emozione più forte provata nella tua esperienza ed in quale occasione?” “L’emozione più forte fu quando ad aprile di due anni fa mio padre venne a vedermi giocare. Non era certo la mia prima partita ma era la prima a cui il mio papà assisteva. Ricordo che era il giorno della festa del papà ed io gli avevo fatto gli

auguri prima di entrare in campo, lui mi aveva detto che non si sarebbe fermato perché non gli interessava assistere alla partita. Quando io sto giocando in genere non mi accorgo di chi guarda ma quella volta, proprio mentre stavo “facendo meta” per la seconda volta ed ero molto emozionata, mi alzai con il pallone in mano e vidi il mio papà di fronte a battere le mani. Mi venne da piangere per la gioia . Alla fine della partita guardai la mia allenatrice e con il suo permesso gli saltai con le braccia al collo. Adesso, anche se so che si preoccupa e mi dice sempre di stare attenta, gli piace che io giochi” “Qual è il tuo modello ispiratore tra gli atleti del tuo sport, se c’è?” “Atleti famosi che possono essere d’esempio ce ne sono, ci sono però anche tanti bravi atleti pur non avendo una grande fama. Per me un punto di riferimento rimane mio padre che mi raccontava di quello che gli succedeva quand’era giovane, io all’inizio non potevo capirlo, l’ho imparato soltanto giocando in prima persona. Quando si pensa al rugby si pensa a Castrogiovanni che è il più conosciuto, ma ce ne sono tanti altri che per me sono d’esempio come il nostro vecchio capitano Parisse, o anche Ghiraldini, il co-capitano, che ha giocato mezzo tempo della sua ultima partita pur avendo il ginocchio rotto ed è stato secondo me un grande esempio durante le ultime partite della nazionale” “Quali sono i tuoi obiettivi, prossimi o futuri?” “I miei obiettivi prossimi o futuri sono di continuare a giocare anche se conciliare con gli impegni della scuola è difficile, nonostante io mi alleni la sera tardi. Non so ancora dove frequenterò l’università e se riuscirò a restare nella mia squadra di Rovato; è la cosa che vorrei. Se dovessi trasferirmi,cercherò comunque di continuare a praticarlo. Credo che chiunque pratichi con passione uno sport possa capirmi, una volta che ci sei dentro è difficile staccarti. Anche seguire semplicemente una partita offre una grande emozione, è quasi un rito: guardi la partita stando in compagnia, condividi con altri i tuoi giudizi sul gioco, magari mangiucchiando qualcosa e, senza accorgertene, trascorri una giornata. É proprio bello!” “Sarà uno sport che intendi continuare a livello professionale o ci sono altri traguardi nella tua vita?” “A livello professionale no, la professionale femminile non è retribuita; le ragazze che giocano nella nazionale hanno tutte un altro lavoro e sono tutte laureate. Per entrare inoltre nella nazionale dovrei dedicarmi esclusivamente al rugby, senza alcun supporto economico, continuarlo decisamente sì, volentieri. Il mio obiettivo è quello di proseguire gli studi; mi piacerebbe fare la veterinaria o comunque entrare in

ambito medico anche se so che è difficile. Il mio obiettivo è continuare a giocare ma come sto facendo adesso.” Intervista a Kraja Erdis V D ITT calciatore, di Christian Turla «Cosa e chi ti ha portato a frequentare una squadra di calcio? Come è nata questa passione?» «La passione per il calcio è nata quando ero piccolo, quando mio padre mi portava a giocare al parco di Palazzolo e penso che da fin da allora sia sbocciato il mio interesse verso questo sport.» «È cambiato qualcosa nella tua vita da quando pratichi questo sport?» «Credo proprio di sì perché è ormai da quando avevo 6/7 anni che gioco nell’Atalanta e da allora non ho più pomeriggi liberi. Organizzarsi con la scuola è impegnativo, avere del tempo per le serate con gli amici è quasi impossibile. Tutto sommato però sono contento di quello che è stato il mio percorso.» «Cos’è prioritario quando si gioca in un campo da calcio?» «Le cose più importanti quando si è in campo sono essenzialmente avere un bel gruppo, perché senza di quello diventa difficile andare avanti durante l’anno, quindi direi che è importante creare un bel clima. È importante avere spirito di sacrificio e di squadra che ci permettono di lavorare al meglio, sia negli allenamenti che nelle partite. Per finire direi tanto lavoro e tanta dedizione sul campo, in poche parole poca gente svogliata.» «Pensi che attragga le ragazze essere un calciatore?» «Penso di sì, è vero che diventi interessante agli occhi delle ragazze, ma finiscono per essere attratte da quello che fai e non da quello che sei veramente come persona.» «L’importanza di fare squadra è fondamentale, perché?» «Fare squadra è fondamentale, nel calcio come in qualsiasi altro sport non individuale, è importante non provare rancore verso i propri compagni, ma solamente una sana rivalità per contendersi il posto da titolare, per il resto è fondamentale mantenere buoni rapporti per puntare tutti verso gli stessi obiettivi.» «Ci sono cose a cui hai dovuto rinunciare per dedicarti a questo impegno sportivo? Qualche rimpianto?» «Come ho detto prima, una delle cose a cui ho dovuto rinunciare maggiormente è la vita sociale, che è diminuita molto da quando ho iniziato questo sport, però allo stesso tempo voglio precisare che non mi pesa questa cosa perché comunque ho avuto modo di fare uscite, tornei e viaggi con la squadra. Per il resto, facendo 5 allenamenti a settimana devo vedermela con la stanchezza che comporta lo sport e l’impegno nello studio.»

«Qual è stata l’emozione più forte provata nella tua esperienza e in quale occasione?» «È difficile come domanda, ma così su due piedi ti dico il primo allenamento con la prima squadra; fu un momento indescrivibile perché, rispetto alla Primavera, era tutto diverso, sia come ritmo che come intensità. Mi ricordo che, quando mi chiamarono ci misi un po’ per realizzare; infatti i primi minuti di allenamento non riuscivo a fare uno stop o un passaggio per l’ansia, poi ci si abitua, quello fu sicuramente uno dei momenti più belli.» «Qual è il modello ispiratore tra gli atleti del tuo sport, se c’è?» «Uno dei miei modelli è Isco, del Real Madrid; e se vogliamo aggiungerne altri direi Iniesta, al quale mi ispiro molto. Un altro a cui vengo spesso paragonato come stile di gioco è Zidane.» «Quali sono i tuoi obiettivi, prossimi o futuri?» «Arrivato a questo punto, questo dovrebbe essere il mio ultimo anno nelle giovanili, quindi uno dei miei obiettivi principali sarebbe andare a giocare in prima squadra, che sia l’Atalanta o un club di minore importanza. Poi un obiettivo ricorrente è guadagnarsi sempre il posto da titolare, partita per partita e cercare di dare sempre il meglio in ogni occasione.» «Sarà uno sport che intendi continuare o ci sono altri traguardi nella tua vita?» «Calcolando che pratico questo sport da oltre 10 anni, direi che è uno dei miei obiettivi principali. Ho avuto altre passioni in passato che mi sarebbe piaciuto poter continuare, ma non alla pari del calcio, perciò ho deciso di indirizzare il mio impegno e le mie energie su quello.» Martina Sota e Matteo Turla

LA MODA DELL'IGNORANZA L'ignoranza è una cosa seria, soprattutto e lo modifica fin nelle fondamenta, fino al punto quando diventa un culto, una moda esibita. di sentenziare che \"la mia ignoranza vale tanto L'antintellettualismo, scriveva Isaac Asimov nel quanto la tua conoscenza\" (cit. Asimov). 1980, \"si è insinuato come una traccia costante nella nostra vita politica e culturale\" Figura 1 Isaac Asimov scrittore e biochimico russo Qualche volta l'ignoranza si maschera dietro naturalizzato statunitense ( 1920-1992) l'imperante relativismo del punto di vista personale che diviene, quindi, materia E la traccia diviene, nel presente, un solco ben incontestabile, poiché giuridicamente difeso e più largo, profondo e visibile. E dannatamente tutelato dal diritto di ciascuno di dire, sempre e distruttivo. I palinsesti d'intrattenimento comunque. L'ignoranza offende e sottrae rovistano nel bidone di un umorismo che da dignità a offenditori e offesi. Nel tempo tempo abdica dal pirandelliano \"sentimento del dell'ignoranza ogni sapiente diventa un contrario\" in favore di una comicità saccente antipatico e detestabile, ogni giovane drammaticamente vuota e stolida. Una nuova e amante della poesia e dell'arte diviene una arrembante estetica della superficie, ebete e mosca bianca adatta al nascondimento. Perciò codarda (assai differente dal duro lavoro di contro l'ignoranza serve una nuova e più forte lima dell'estetismo dannunziano), s'impone coscienza, un sentimento di ribellione, un atto alla massa disorientata. E il suo predicato di sdegno profondo che non risparmi niente e diviene un pericoloso catechismo capace di non faccia sconti a nessuno. Contro l'ignoranza intaccare financo il momento dell'emergenza, occorre un setaccio dalle maglie finissime che quando ci sono in gioco le vite degli uomini. ripercorra, a ritroso, il quadro scombinato del L'ignoranza è un defoliante capace di strane laissez faire e del laissez passer troppo mutazioni genetiche. Arriva al cuore delle cose, indulgente nei confronti della furbizia tronfia, di quelle serie. Arriva al concetto di democrazia ostentata e anche condivisa, fosse anche quella

del piccolo sotterfugio di chi deliberatamente non paga l'affitto o incita all'uso di sostanze stupefacenti. Contro l'ignoranza serve cultura. La cultura dev'essere gratuita, ma per produrla serve denaro. E non suonerà inutile, in questo caso, tornare alle parole di Marguerite Yourcenar che, a proposito della cultura, auspicava l'edificazione di biblioteche come granai capaci di contrastare l'inverno dello spirito che, suo malgrado, vedeva avvicinarsi. Da ultimo i muri o le alte cancellate: non saranno, questi, la panacea per un progresso più controllato e ordinato. Anche il muro, come la corsa breve del cane alla catena, impedisce il movimento e la possibilità di visione di un percorso o di un'uscita. Il muro è l'avvitamento ignorante di un pensiero nato senza sviluppi. Del muro si cerca la breccia. E poi con l'andar del tempo il muro si crepa e si fessura. Figura 2 Marguerite Yourcenar, scrittrice francese (1903- 1987). Prof. Massimo Rossi

«Ho fatto del mio dolore piccole lucciole di speranza.» - Intervista a Michela Giavarini di Micol Miceli In occasione della festa della donna, ho avuto il piacere di intervistare un' amica, Michela Giavarini, madre, insegnante e poetessa, ma soprattutto donna da prendere come esempio, la cui storia mi ha toccato e commosso. Di lei riporto tre poesie, la prima è tratta dalla raccolta “Sospiri”, le altre due invece sono ancora inedite. «Ciao, Michela, come prima cosa, qualche domanda come riscaldamento... nome, cognome, data e luogo di nascita. » «Allora, Michela Giavarini, sono nata il 18 Febbraio 1971 a Calcinate. Sono un'insegnante e ho il diploma di maturità magistrale.» «Passioni?» «Amo scrivere, amo la letteratura in generale, mi piace cucinare e mi piace guidare perché mi rilassa da morire! Adoro leggere, per esempio i libri tradotti dal latino ma anche Pascoli, Umberto Eco, Leopardi, Foscolo, Carducci, Emily Dickinson; Dante mi piace.... stra tantissimo! Adoro ascoltare la musica classica come Einaudi e Yiruma. Mentre scrivo... mi piace ascoltare Ligabue, Baglioni e Jess Glynne, quella che tu hai citato nel tuo articolo, \"Take Me Home\" è in assoluto la mia canzone preferita.» «Come mai hai scelto di diventare una maestra?» «Era un sogno che avevo sin da bambina. Da piccola fingevo sempre di insegnare alle mie bambole... anche la mia maestra elementare mi ha trasmesso tutta la sua passione quindi ho realizzato il mio sogno...» «Quale sarebbe stata l'alternativa?» «Mi sarebbe piaciuto diventare medico, fare la neuropsichiatra, ma poi mi sono iscritta a lettere moderne, corso di studi che non ho ultimato poiché, dopo aver conosciuto il mio attuale ex marito, è andato tutto a farsi friggere. Il mio sogno nel cassetto rimane comunque prendere quella laurea che non è ancora arrivata.» «Come ti descriveresti in tre parole?» «Semplice, ma anche forte e determinata, questa sono io con tutti i difetti, con tutte le emozioni con cui convivo. É necessario andare avanti anche di fronte alle difficoltà, ma io ho imparato a sorridere , è in questo che sta la mia forza » «Quindi sei contenta della scelta che hai fatto?»

«Assolutamente. Ho fatto del mio dolore piccole lucciole di speranza. Io sono rinata cinque anni fa, quando ho dovuto denunciare mio marito, l'uomo che ho sposato e amato.» «Ti andrebbe di raccontarmi di più?» «Certo. Quando frequentavo l'università trimestralmente svolgevo un lavoro da portalettere per racimolare un po' di soldi, egli consegnava la posta con il furgone dall'ufficio delle partenze e così ci siamo conosciuti. Egli allora era dolcissimo con me, molto attento, sempre presente, aveva una situazione familiare un po' difficile e mi raccontava tante cose tristi. Più lui mi narrava, più io mi affezionavo e cercavo di colmare quello che gli mancava. Dopo qualche anno abbiamo deciso di sposarci, io ho lasciato l'università e ho iniziato a lavorare. Prima ero un'impiegata, poi ho fatto l'assistente educatrice e sono diventata una maestra. Gli piaceva scherzare su questa cosa, mi chiamava \"la maestrina\". Un anno dopo nacque mia figlia e lì iniziarono tutti i problemi. Voleva che gli consegnassi tutto ciò che guadagnavo, non potevo più avere la mia libertà neanche economica, spendeva tutto quello che guadagnavamo in cose inutili. In quel periodo iniziarono le violenze e le percosse, mi dava i pugni sulla testa, mi chiudeva fuori casa, mi tirava i capelli. Questa cosa si protrasse per un po' di tempo, ma io cercavo comunque di giustificarlo, mi dicevo \"boh, magari è nervoso...\".» «È cambiato qualcosa con la nascita del tuo secondo figlio?» «Quattro anni dopo nacque il mio secondo figlio. Le cose sembravano essere migliorate. Era solo un’illusione. Dopo qualche mese ricominciò ad essere lo stesso: ogni sera, tornato da lavoro, diventava sempre peggio, da un momento all'altro cambiava umore. Decideva lui cosa mangiare per cena, il cibo doveva avere una determinata temperatura e quando si arrabbiava, cominciavano a volare piatti, rompeva i soprammobili, mi rovesciava addosso quello che aveva nel piatto e mi tirava calci da sotto il tavolo. Una volta mi ruppe il manico di legno della scopa sulla schiena ed i bambini se ne accorsero, un’altra ruppe il mio cellulare .Ogni notte, prima che lui andasse a lavoro, dovevo alzarmi e preparargli la colazione, calcolando la temperatura del latte in modo che fosse perfetta per lui. Una notte si alzò due minuti prima del previsto, il latte aveva una temperatura diversa e per questo me lo rovesciò tutto addosso. Poi mi riempiva di insulti e parolacce. Non dormivo nemmeno nel letto con lui perché mi avrebbe riempito di calci, dormivo sul divano e , solo quando lui partiva, io mi coricavo nel letto. Quando si accorse di questa cosa,

cominciò a chiamarmi appena usciva da casa costringendomi a rimanere sveglia. Imparai a rimanere vigile anche la notte perché lui mi minacciava, mi diceva: <Di notte, quando dormi, io ti soffoco e ti ammazzo, perché ti odio> «E tu, comunque, continuavi a giustificare questo suo comportamento?» «Si. L'ho fatto per i miei bambini, pensavo:<Dai Michi, fatti forza, magari poi cambia, magari è nervoso.\">Cercavo sempre di trovare una giustificazione anche se poi una giustificazione non c'era. Aveva anche delle armi, una pistola calibro quaranta, pistole ad aria compressa e dei coltelli. Non potevo indossare gioielli, non potevo invitare i miei familiari, non potevo tagliare i capelli. Tutto peggiorò quando mi proibì di usare l’auto e dovevo andare a scuola a piedi, cinque chilometri ad andare e cinque chilometri a tornare. Per fortuna alcuni genitori dei miei alunni mi davano un passaggio. Quando eravamo in auto insieme, non potevo respirare perché gli avrei appannato il vetro, quindi stavo in apnea il più possibile e piano piano cercavo di buttare fuori l'aria.» «È andata avanti così per tanto?» «La situazione andò peggiorando quando cominciò a frequentare un’altra donna. Da quel momento divenne sempre più violento: mi tirava i capelli, i lividi erano dappertutto. A scuola, ovunque e con chiunque, non facevo altro che trovare una scusa per giustificare i segni visibili della violenza. Solo il mio medico e un mio caro amico sacerdote sapevano ciò che il mio ex marito mi faceva.» «Quando hai deciso che le cose dovevano cambiare?» «Il 13 dicembre 2013 mi recai per la prima volta dai carabinieri: era il giorno in cui mi aveva chiamata per dirmi che al suo rientro mi avrebbe uccisa. Dopo quella minaccia chiamai i carabinieri, ma essi non potevano intervenire perché in quel momento non ero in pericolo di vita, mi consigliarono però di allontanarmi da casa. In fretta e furia, racimolate alcune cose, andai a prendere mio figlio a scuola e mi trasferii da mia madre. Poi chiamai il 1522, numero antiviolenza, mi recai in caserma, ma ancora non volli denunciarlo e tornai a casa, volevo dargli un’ultima chance, cosa che col senno di poi non rifarei . Per una settimana rimase quasi tutto tranquillo, ma mi faceva una serie di dispetti crudeli. Una volta, stavo scrivendo al computer un documento per la scuola, ma voleva che mi sedessi con lui sul divano a vedere la partita, il salvataggio era lento, allora egli si alzò, mi chiuse il computer e mi ruppe un dito torcendolo. Cercai di aggiustarlo come potevo, perché non

potevo andare in pronto soccorso e raccontare tutto. Divenni il \"medico di me stessa\".» «Quando hai deciso di dire definitivamente basta?» «Una volta mi chiuse fuori casa e proibì ai miei figli di aprire la porta. Poiché mio figlio, mi fece entrare disubbidendo, egli cominciò a torturarmi nonostante mio figlio gli urlasse di smettere, la violenza finì solo quando dovette uscire per recarsi al lavoro . Solo allora, dopo aver chiuso per bene la porta, cercai di consolare e tranquillizzare i miei figli spaventati . La mattina successiva, dopo una notte insonne, raccontai tutto l’accaduto al mio amico sacerdote, andai dal dottore e poi dai carabinieri ai quali spiegai la situazione in cui mi trovavo.» «Hai deciso di denunciarlo?» «Si, finalmente lo denunciai e mi sono salvata la vita.» «Come ti sei sentita in quel momento?» «Ti leggo un pensiero che ho scritto.. avevo una paura fottuta, le gambe mi tremavano, ero sola... durante il tragitto ho pensato e ripensato... ho rivissuto ogni maledetto istante... avrei voluto essere lontano anni luce ma sapevo che stavo per fare la cosa giusta e quindi, feci un respiro profondo e premetti quel pulsante. Mi aprirono all'istante... in un attimo fui dentro e un primo Carabiniere mi chiese il motivo della mia presenza oltre a un documento di identità... imperturbabile e serafico annotò ogni cosa e poi mi invitò ad attendere nella apposita saletta... il tempo sembrava non passare mai e per distrarmi lessi e rilessi imparandole quasi a memoria le indicazioni da seguire in caso di smarrimento o di furto di carte, documenti, cellulare. Sobbalzai quando sentii scattare una serratura ed un secondo carabiniere mi venne vicino. Si presentò stringendomi la mano e mi invitò a seguirlo nel suo ufficio. Pochi istanti dopo mi trovai seduta di fronte al maresciallo che avrebbe dato una svolta positiva alla mia storia. Fu gentile, mi mise a mio agio... prese le mie generalità ed iniziò ad annotare, digitando velocemente sulla tastiera di un computer tutto quello che gli dicevo. Io con lo sguardo cercavo di capire qualcosa di più della persona a cui affidavo la mia vita. Aveva su per giù la mia età. Appesi alle pareti c'erano diversi attestati e riconoscimenti che facevano ben sperare nelle sue capacità, la scrivania era piena zeppa di fascicoli e documentazioni varie, ma era ben ordinata e quindi segnava un altro punto a suo favore... la foto della sua famiglia e un disegno di sua figlia mi diedero una sensazione di calore umano... ne avevo bisogno. Risposi ad ogni sua domanda, anche a quelle più intime, raccontai ogni dettaglio... mi

scusai quando mi venne da piangere e lui mi sorrise, dandomi il tempo necessario per calmarmi (parola grossa... era più un auto convincermi). Una volta finito, lessi ogni parola e firmai la denuncia. Credo che sia stata la firma più importante che abbia mai fatto... valeva una vita, la mia. Mi spiegò per filo e per segno cosa sarebbe accaduto da lì in avanti. Indagini, testimoni, tabulati telefonici, processo. Aggiunse che non sarebbe stato facile, ma che il primo passo era stato fatto e che per qualsiasi cosa loro ci starebbero stati.... mi raccomandò di tenere sempre il cellulare con me e di non esitare a chiamare il 112 in caso si necessità. Ordinò ad una pattuglia di seguirmi fino a casa, affinché sequestrassero le armi che mio marito possedeva. Quello stesso giorno mi allontanai da casa... sentii e incontrai più di una volta il maresciallo. Non fu per niente facile, ma trovai dentro di me una forza che mai avrei immaginato di avere. Ora non ero più sola... gli uomini in divisa, in qualche modo, erano con me. Avevo fatto la scelta giusta... non me ne sarei pentita!» «I tuoi figli sono stati molto coraggiosi...» «Si, moltissimo.» «Come mai hai scritto una poesia con il titolo \"L'altalena\"?» «Perché l'altalena sulla quale giocavo a casa dei miei nonni da bambina era il mio pensiero quando lui mi picchiava. Io avevo imparato a stare zitta, a estraniarmi per non alimentare la sua ira e così, mentre subivo, io pensavo a quando ero felice. Questa poesia è emblematica. Ricordo l’ultima cosa che mi disse:<Tu sei il mio morto che cammina> Ma io cammino e respiro ancora.» «Adesso parliamo di qualcosa di più piacevole... come mai hai iniziato a scrivere è come mai proprio poesie?» «Io scrivo da sempre, prima il mio ex marito bruciava tutte le mie poesie. Quando sono rimasta sola, ho ricominciato a scrivere per imprigionare tutte le mie sensazioni, le mie emozioni, come se volessi condividere con qualcuno i miei pensieri. Scrivo poesie perché sono adatte al messaggio che voglio trasmettere e per invogliare le persone a leggerle, visto anche l'argomento pesante... ma stanno arrivando anche dei racconti!» «I tuoi figli leggono le tue poesie?» «Mia figlia è stata la prima a leggere i miei libri, a complimentarsi per i contenuti, mio figlio invece sbircia ogni tanto le mie poesie su Facebook e qualche volta mi fa i complimenti.»

«Da che cosa prendi ispirazione?» «Da quello che ho dentro, dalle mie emozioni, dagli avvenimenti che accadono; la poesia sarà gioiosa se sono felice perché mio figlio mi ha fatto un regalino o mesta se invece sono triste. Tutto nasce da quello che ho dentro. C'è un pezzo di Michela in ogni mia poesia, in ogni mio racconto, ma anche il mare è una fonte di ispirazione per me. \"Ruvide Carezze\" nasce proprio dal desiderio di sfogarmi, ma anche di aiutare gli altri, ecco perché le mie poesie non hanno un titolo, il lettore deve immedesimarsi e sceglierne uno.» «Ultima domanda. Che consiglio daresti a noi ragazzi?» «Non fidatevi mai delle apparenze, tenete gli occhi aperti. State con la persona che amate, cercando di vederla in tutte le sue sfaccettature, non fatevi ingannare dalle infatuazioni, state attenti ai piccoli segnali. Non siate precipitosi. È giusto usare il cuore, ma soprattutto, la testa.» . Oscilla ancora la vecchia altalena sul ramo di ciliegio tra fiori d’arnica e l’immensità del cielo. Culla il sorriso di quella bambina legato all’incanto di un tempo passato. Ora è una donna e giace per terra in balia di un bastardo uomo crudele che dipinge il suo corpo con lividi e sangue. Lei abbraccia il suo dolore e dal cuore si fa portare proprio là dove l'altalena continua ad oscillare. Michela Giavarini

Spezzava la solitudine il suo riflesso nello specchio. I suoi occhi erano un cielo velato di malinconia un mare in quieta tempesta. Un filo di lucidalabbra vestiva di lustrini un sorriso che nascondeva emozioni e che nessuno avrebbe mai sfiorato con un bacio d'amore. Si abbracciò per regalarsi l'illusione di una carezza e per tentare di rallentare la corsa di un cuore in subbuglio. Sapeva di non essere bella. Sentiva il peso dei ricordi e dei pensieri. Era un'immobile ballerina di carillon in balia dei perfidi ingranaggi di un destino che guida il gioco a modo suo. Era una donna che si ripeteva di essere forte per auto convincersi di esserlo e per uccidere le sue fragilità. Era una donna che odiava la violenza ma che doveva fare a pugni con la vita. Era una donna dolce e sensibile che era stanca di lottare per ogni cosa. Era una donna che era fiera di sè anche se non serviva a niente. Quella donna nonostante tutto sull'eco dei rimorsi di chi la faceva sentire cosi si strinse al petto sogni e speranza guardò il cielo e sorridendo sospirò. Non si sarebbe data per vinta e per questo si vide bellissima. Michela Giavarini

Ti ho incontrato là sulla linea dell'orizzonte tra terra e cielo tra vita e morte. Non ti conoscevo ma anche tu avevi gli occhi velati di lacrime il tuo corpo narrava la mia stessa storia il tuo cuore batteva immobile paralizzato dalla paura potevo sentirlo era assordante mi metteva i brividi. Sapevo cosa avresti voluto fare ti sembrava l'unica soluzione. C'ero passata e l'avevo bypassata. Ti ho abbracciato in silenzio non servivano parole non mi avresti ascoltato avevi solo bisogno di non sentirti sola avevi bisogno di un po' di calore umano avevi bisogno di essere ascoltata avevi bisogno di aiuto ed io ero lì con te per te perché sapevo quanto fosse importante avere qualcuno vicino condividere quel dolore ... Ti ho tenuta stretta a me. Ho sentito il tuo cuore rallentare Il tuo respiro farsi regolare il tuo corpo rilassarsi. Ti fidavi di me. Ti ho preso per mano e insieme ci siamo incamminate verso una nuova vita. Michela Giavarini

FOTO D’ARTISTA a cura di Ornella Cadei Qual è la differenza che intercorre fra un fotografo , pur bravo, ed un artista? Bravo fotografo lo si può diventare con un po’ di scuola e strumenti adeguati ma l’artista è colui che sa cogliere la bellezza dell’attimo, quella che sfugge all’occhio distratto, e la fissa nello scatto. Ecco una serie di scatti d’artista del nostro professore Agostino Palmieri

La bellezza della Filosofia di Corradi Federico ( ex alunno del Marzoli) collaboratore esterno Diotima, chi sono dunque coloro che fanno filosofia, dissi io, se non sono né i sapienti né gli ignoranti? È evidente, disse, ormai anche a un bambino, sono quelli che stanno a metà tra questi due. La sapienza è infatti una tra le cose più belle, Eros è amore per il bello, quindi è necessario che Eros sia filosofo, ed essendo filosofo è a metà tra il sapiente e l’ignorante. La sua nascita è causa anche di questo: è figlio di padre sapiente e pieno di espedienti, e di madre non sapiente e senza espedienti. Dunque la natura del dáimon è questa, o caro Socrate: quello che tu pensavi fosse Eros non deve stupirti affatto. Credevi che, come sembra a me che indago su ciò che tu dici, Eros fosse l’amato, non l’amante; per questo penso che a te Eros apparisse tutto bello. E l’amato è ciò che nel suo essere è bello e attraente e perfetto e beatissimo, mentre l’amante ha un’altra forma. Nel Simposio, il dialogo platonico dedicato soprattutto alla riflessione sulla natura dell’amore, Socrate e Diotima si soffermano anche più o meno implicitamente a definire cosa sia la filosofia, intesa etimologicamente come amore per la sapienza. Amore, Eros, è presentato né come un dio, gli dei infatti non filosofeggiano e non desiderano di essere sapienti poiché già sono tali, né come un ignorante, questi invece si credono belli buoni saggi più che sufficientemente, infatti chi non pensa di essere bisognoso non desidera ciò di cui non pensa di aver bisogno. Amore è quindi un dáimon ( demone) a metà strada tra il mortale e l’immortale, colmandone il divario, occupandosi di ogni relazione e colloquio tra dei e uomini, affinché non si mescolino. La natura di Amore deriva da Povertà ed Espediente, quindi a metà tra povertà e ricchezza, ignoranza e sapienza, ciò che si procura gli sfugge sempre di mano. La natura del filosofo è dunque assimilabile a quella di Amore e la Filosofia non è quindi in prima analisi la bellezza, quanto invece il bisogno di bellezza, e tale ne è l’insaziabile fascino. La Filosofia non dev’essere puro pensiero razionalistico disincarnato, nemmeno speculazione austera; lo stesso Socrate del Simposio fu accusato da Nietzsche di aver anteposto la luce, l’ordine, la ragione all’inquieto, all’inquietante, al contradditorio e l’introspezione psicologica all’ombroso e al chiaroscuro. Di conseguenza il filosofo sarebbe l’esperiente estatico ed estetico, non l’investigatore asettico, l’iniziato misterico e lo stimatore dell’esaltazione entusiastica, non il ricercatore dell’inconcludente interrogarsi sulle cose. La Filosofia ha come fine quindi la contemplazione, per ricorrere al theorèin aristotelico, ma non di se stessa, non è autocelebrazione infatti, quanto invece della bellezza, che è sapienza.

La contemplazione del bello porta alla beatitudine, ma chi non la raggiungesse è davvero infelice, secondo Plotino: “La conquista del bello vale più di tutti i regni e principati della terra, del mare e del cielo, se solo, abbandonate tutte queste cose, uno si orientasse a lui e, voltandosi, lo contemplasse”. E il bello è presente in alcune cose per partecipazione, poiché non sono belle per loro natura, invece altre sono belle in sé e per sé, come l’essenza della virtù; difatti il comportamento virtuoso non è altro che la scelta del bene e del bello e il loro perseguimento a dispetto del brutto e del male. Ne consegue che il filosofo debba amare anche la virtù e che l’abito virtuoso lo guidi verso la bellezza. Boezio nell’esordio de “La consolazione della Filosofia” riflette proprio su come le Muse della poesia, le sue antiche consolatrici, in realtà lo allontanino dalla ragione: “Quando la Filosofia vide che le Muse della poesia stavano in piedi accanto al mio letto e suggerivano le parole ai miei pianti, si adirò un poco e, infiammata e con gli occhi torvi disse: “Chi ha permesso a queste sciocche meretrici di teatro di avvicinarsi a questo malato? Esse non soltanto non sono in grado di lenire con alcun rimedio i suoi dolori, ma addirittura glieli accrescono con i loro dolci veleni! Sono loro che con le sterili spine delle passioni uccidono la messe della ragione”. È evidente che Poesia e Filosofia, per Boezio, siano inconciliabili, così come i loro oggetti, bellezza e verità, siano incommensurabili. Nell’ottica tardoantica in cui la bellezza “pagana” distoglie dalla verità, la verità stessa invece non è altro che una forma di bellezza e di bene, così come la virtù e la giustizia. La vera bellezza e la bella verità non sono altro che la più piena manifestazione di ciò che il filosofo cerca. A differenza di Boezio, filosofi come Lucrezio, Orazio e Seneca, Parmenide ed Empedocle, Nietzsche, Leopardi, Novalis, Hölderlin amatissimo e studiato da Heidegger, unirono indissolubilmente bellezza a verità e sapienza proprio nella poesia. La poesia e l’arte sarebbero un ritorno al dionisiaco? Allo spiritualismo annientato da quel razionalismo a cui faceva già riferimento Boezio nel VI secolo? Riguardo a ciò si può citare un passo della lettera del Natale del ’69 in cui la Arendt, rivolgendosi ad Heidegger, scrisse di Snell, in commento ad una poesia perduta di Pindaro: “Non può esservi bellezza perfetta se non c’è qualcuno che la celebri”. Nemmeno gli dei erano sufficienti a celebrarla, ne sarebbero dovuti nascere altri da Zeus, costoro infatti avrebbero reputato, secondo Eraclito, ogni cosa bella e buona, mentre gli uomini avrebbero saputo distinguere queste da quelle non belle e non buone. Tra gli uomini allora, il filosofo è colui che, oltre a scorgere la differenza, sa meravigliarsi di tutto, sa contemplare l’universo in ogni sua sfaccettatura. Nella potenza, nella grandezza e nella miseria, il filosofo scorge grazie all’amore il bello, che è ciò che ha in sé la propria teleologia, per utilizzare un lessico kierkegaardiano, quindi è ciò che ha un’armonia, una perfezione intesa etimologicamente come completezza, una finalità, racchiuse in sé. Dunque il

filosofo, raggiungendo il bello e intessendo un’affinità con esso, si meraviglia di come la ricerca stessa sia bellezza, e questa ricerca, meglio definita precedentemente come contemplazione, non sia altro che amore, e quindi Filosofia. “Se ti dedichi alla filosofia credi forse di poter continuare a mangiare e a bere allo stesso modo, di lasciar corso al desiderio e all’insoddisfazione come fai adesso? Devi vegliare, faticare, allontanarti dai tuoi cari, subire il disprezzo di uno schiavo, la derisione di chi ti incontrerà, essere sminuito in tutto e nell’onore. Riflettici, se sei disposto a pagare questo prezzo per avere in cambio l’immunità dalle passioni, la libertà, l’imperturbabilità; altrimenti non ti accostare alla filosofia, non fare come i bambini: ora filosofo, poi esattore di imposte, poi retore, poi procuratore. Devi essere un solo uomo: buono o cattivo; devi lavorare sul tuo principio interiore o sulle cose esterne; in una sola parola, devi occupare il posto del filosofo o quello dell’uomo comune.” Epitteto, Manuale

DARE SIGNIFICATO ALL’INCLUSIONE di Matteo Venturelli “Inclusione” è stata la parola Cremona” di Palazzolo sull’Oglio; il d’ordine delle diverse esperienze di Centro Diurno per persone con disagi alternanza scuola-lavoro che psichici gestito dalla cooperativa “La abbiamo vissuto come classe IIIB del Nuvola”, l’esperienza del “Friends’ Liceo Marzoli nelle scorse settimane. Home”, una sorta di doposcuola nato La scelta di questo tipo di impegno ci dalla collaborazione tra è stata presentata nei mesi scorsi dal Amministrazione comunale, professor Fabio Mazzucchelli come parrocchie cittadine e la Fondazione occasione per sperimentare in modo Galignani, e lo SPRAR ( servizio di concreto e diretto cosa significhi protezione per richiedenti asilo e educarci a una cittadinanza attiva. rifugiati) presente da qualche anno Diverse le realtà che abbiamo anche a Palazzolo. conosciuto e vissuto in prima persona Tutte le esperienze proposte hanno chiesto a ciascuno di noi un periodo come “Inclusione”. di preparazione per conoscere la realtà in cui saremmo stati inseriti e Complessivamente è un’esperienza per comprendere con quale tipo di “inclusione” avremmo dovuto importante di alternanza per chi è misurarci. Abbiamo così avuto modo di incontrare responsabili e operatori chiamato a tradurla in progetti e delle realtà coinvolte che ci hanno spiegato il servizio da loro svolto e qualcosa di molto di più di un semplice “adempimento scolastico”. Alla nostra classe sono state presentare diverse possibilità di impegno in cui sperimentarci sul terreno dell’inclusione: la RSA “Don

quali sarebbero state le nostre Anziani, diversamente abili, bambini mansioni. bisognosi di aiuto, profughi e rifugiati oggi non sono per noi semplici Grazie al loro “racconto” a molti di parole; abbiamo capito che noi è stata data l’occasione per rimandano a storie, a esperienze, ad approfondire senza pregiudizi il tema un vissuto di uomini e donne… dell’ “inclusione”. Si tratta di un termine molto usato, del quale però Siamo rimasti felicemente colpiti nel nessuno di noi sapeva molto di più vedere il numero cospicuo di della definizione da dizionario. persone che il 1° aprile scorso ha accolto l’invito di partecipare alla Cosa avrebbe significato trovarci a serata nel corso della quale abbiamo vivere a contatto per tante ore con voluto raccontare l’esperienza vissuta anziani bisognosi di assistenza, con in particolare presso lo SPRAR, a persone affette da diverse forme di contatto con uomini, donne e disabilità, con alunni delle scuole bambini che hanno lasciato il loro elementari e con uomini e donne Paese per cercare un futuro migliore costretti a cercare in un Paese in Italia. Al pubblico, riunito nel straniero quella sicurezza e quella salone Bordogna della Fondazione tranquillità che in patria sono spesso Cicogna Rampana, abbiamo voluto una chimera? Cosa avrebbe raccontare come essa ci abbia dato significato vivere gomito a gomito l’opportunità di entrare in contatto con responsabili e operatori che con una realtà su cui spesso il mondo hanno fatto di questa “vicinanza” a degli adulti gioca una polemica diverse forme di disagio e di strumentale. Ai compagni presenti, ai sofferenza qualcosa di più profondo nostri docenti e a tutte le persone di una semplice scelta lavorativa? intervenute abbiamo cercato di raccontare come dietro la storia di La risposta a queste domande si è ogni singolo richiedente ci sia progressivamente chiarita in ciascuno comunque un’esperienza di di noi man mano trascorrevano le ore sofferenza, di disagio non solo per di “alternanza scuola-lavoro”. quello che ognuno di loro si è Questa esperienza è stata una lasciato alle spalle (legami, affetti, “scoperta progressiva”. Al di là del certezze), ma anche per il futuro singolo settore d’impegno, essa ci ha incerto che affrontano una volta aiutato a riflettere su preconcetti e arrivati in Italia con l’avvio del pregiudizi di cui anche noi rischiamo processo burocratico per ottenere la di essere prigionieri e sulle vie protezione internazionale. Questa possibili per superarli.

esperienza ci ha aiutato a liberarci da esperienza di alternanza scuola generalizzazioni e da luoghi comuni. lavoro nei contesti già ricordati. In tutti noi c’è la convinzione di avere Valutazioni analoghe, anche se non avuto un’importante occasione di hanno trovato un momento di crescita e quindi sentiamo il desiderio confronto e di condivisione con il di ringraziare chi si è adoperato per pubblico, sono giunte dai compagni permetterci di vivere questa di classe che hanno vissuto la loro esperienza.

IL TALENTO IN SCENA: PREMIO MOSCA 2019 Anche quest’anno, come ormai da tradizione, alcuni alunni del nostro istituto hanno partecipato al “Premio Mosca”, progetto che li ha portati, dopo mesi di preparazione, a mettersi in gioco nella competizione che si è tenuta il 4 maggio al Teatro Sociale di Palazzolo. Per ideare la loro performance, i ragazzi hanno seguito degli incontri riguardanti recitazione, gestione audiovisiva e produzione scritta. Infatti le performance dovevano essere interamente progettate dagli alunni, dalla stesura del copione alla messa in scena dell’opera, in modo da far emergere tutti i talenti. Gli incontri sono stati tenuti de Giulia Rossi, un’attrice appartenente alla compagnia “Filo di Rame”. Giulia ha dato ai ragazzi preziosi consigli su come concretizzare le loro idee. Ma perché questa iniziativa? L’idea nasce dai genitori di Riccardo Mosca, un ragazzo che frequentava il nostro istituto e che nove anni fa perse tragicamente la vita in un incidente. Da allora, ogni anno, durante questo evento che porta il suo nome, i ragazzi si sfidano con performance artistiche per mantenere vivo il suo ricordo. Ogni edizione si ispira ad un tema diverso scelto da un’apposita commissione; quest’anno, in occasione della nona edizione, il tema è stato “(IL)LIMITATI”. Ognuno dei cinque gruppi partecipanti ha interpretato a propria discrezione questo titolo, regalandoci uno spettacolo profondo ed emozionante, ma anche ironico e scherzoso. Insomma, questo progetto non è solo bello da vedere, ma è anche un modo per i ragazzi di far emergere la propria personalità, confrontarsi con gli altri, conoscere nuove persone e dimostrare a tutti di che cosa sono capaci. Perché la nostra voglia di mettersi in gioco è (il)limitata. Piscioli Alessia e Anna Basso

DIETRO LE QUINTE DEL PREMIO MOSCA La sera del 4 maggio si è svolto nel Teatro Sociale di Palazzolo S.O. la nona edizione del Premio Mosca, il titolo di quest’anno è stato “(IL)LIMITATI”. Vi hanno partecipato quattro gruppi di studenti (“la compagnia dei ciompi”, “friends”, “compl-esseri” e “i fantastici X +1”). Noi li abbiamo intervistati prima dello spettacolo per sentire le loro impressioni. La premiazione dei vincitori: “I fantastici X+1” I “Friends” durante la loro performance  Perché avete deciso di partecipare a questa edizione del  Che cosa vi ha lasciato questo progetto? premio mosca? LA COMPAGNIA DEI CIOMPI:< La voglia di riprovarci, tanto LA COMPAGNIA DEI CIOMPI:< Perché è un progetto che, divertimento, bellissimi ricordi, legami forti e tanta voglia sebbene richieda tempo ed impegno, alla fine dà grandi di fare> soddisfazioni, perché abbiamo partecipato altre volte e I FANTASTICI X+1: <Divertimento, nuove conoscenze e volevamo ripetere la bella esperienza, sperando di amicizie, alcuni sacrifici ma anche tanta soddisfazione.> riconfermare il titolo di vincitori> Ridono (ndr) COMPL-ESSERI:< Risultati fantastici, raggiunti con dedizione e fatica.> I FANTASTICI X+1:<Perché ci piace fare teatro e volevamo FRIENDS:< Forti legami e nuove conoscenze, come con i provare qualcosa di nuovo, fare nuove amicizie, riprovare nostri tecnici audio-luci > l’esperienza dello scorso anno e riscattarci rispetto all’edizione passata.> La performance de “la compagnia dei ciompi” COMPL-ESSERI:<Perché il teatro fa riflettere su cose sulle  Consigliereste ai vostri compagni questa esperienza? quali non rifletteremmo altrimenti, e perché è bello far Perché? emozionare gli altri con le proprie emozioni> LA COMPAGNIA DE CIOMPI:< In realtà no… altrimenti avremmo un avversario in più da battere!> FRIENDS:< L’idea è nata dalla nostra professoressa di I FANTASTICI X+1: <Si, ma solo se sono propensi a italiano che ci ha “lanciati” in questo progetto per partecipare, non bisogna costringere nessuno, deve rafforzare i legami tra tutti noi, per promuovere anche essere una scelta spontanea> l’inclusione>. COMPL-ESSERI: <Si perché, anche se richiede molto tempo e il palco mette molta paura, alla fine è un’esperienza che ti fa uscire dai tuoi schemi> FRIENDS:< Si perché , pur richiedendo molto tempo e impegno, è un’esperienza importante che tante altre scuole non offrono>

I gruppi partecipanti La performance dei “compl-esseri” La compagnia dei ciompi I fantastici X+1  Qual è stata la parte che avete preferito durante questo percorso? LA COMPAGNIA DEI CIOMPI:< Le ultime prove e lo spettacolo finale.> I FANTASTICI X+1:<Vedere il nostro compagno Alessandro in bigodini, (l’ironia è fondamentale nel teatro), e ovviamente l’aver vissuto un’esperienza formativa ma anche di divertimento> COMPL-ESSERI:<Il vedere già dalle prove che stavamo costruendo qualcosa di bello, poi la soddisfazione dell’esibizione finale perché quello che si è messo sul palco era il frutto di tanto lavoro fatto> FRIENDS:< Le prove generali perché, già durante queste, abbiamo visto il progetto realizzato> I fantastici X+1 durante il loro spettacolo Compl-esseri Friends  Descrivete la vostra esperienza in 3 parole. LA COMPAGNIA DEI CIOMPI:< Originalità, fatica e divertimento> I FANTASTICI X+1:< Risate, impegno e bigodini> COMPL-ESSERI:< Sintonia, fibrillazione e passione< FRIENDS:< Collaborazione, inclusione e divertimento> Piscioli Alessia e Basso Anna


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