SOMMARIO Intervista a Enzo Vetrano di Gigi Giacobbe ........................................................ 3 Musica lunare alla Laudamo .................................... 8 L’affascinanate danza del Malambo di Maria Pia Rizzo........................................................ 10 Questo mese alla Sala Laudamo di Elisabetta Reale ........................................................ 12 In scena il racconto musicale di Antonella Ruggiero di Marianna Barone...................................................... 18 Carmela e Paolino, varietà sopraffino di Nicola Costantino .................................................... 22 “Il Guaritore”: una storia a tratti divertente .............. 24 Intervista a Simonetta Agnello Hornby di Nicola Costantino.................................................... 28 Ri-leggiamo i classici a teatro: l’Antigone .................. 32 1
Quando si riceveva a Teatro SOMMARIO di Franz Riccobono ...................................................... 33 Il mondo libero e colorato di Norman Rockweel di Sergio Di Giacomo .................................................. 36 Dal “Santa Elisabetta” al “Vittorio Emanuele” di Giovanni Molonia .................................................... 44 Erano acquarelli e pastelli destinati ai turisti stranieri di Grazia Musolino .................................................... 46 Il fumetto .................................................................. 52 Tempo e Bellezza nel libro di Roberto Vecchioni di Lucia Lucà Trombetta .............................................. 56 A gennaio il Novecento della Filarmonica Laudamo di Luciano Troja .......................................................... 57 Libri da leggere ........................................................ 60 Eventi del mese ........................................................ 622
A Catania nella stagione 1964/1965“L’onorevole” di Sciascianon andò in scenaIl chiaro riferimento a qualche politico del tempo ne impedì la rappre-sentazione Intervista a Enzo VetranoAssieme a Stefano Randisi e alla tua Compagnia dei Diablogues almenoda un quindicennio state ri-scoprendo e ri-pronendo con aspetti singolarie attraenti autori della galassia siciliana: vedi Martoglio, Pirandello, Scal-dati e adesso Sciascia con il suo “L’onorevole”. A cosa si deve questo vo-stro interesse?«Crediamo che la nostra più profonda identità culturale si trovi in questiautori e nei loro testi nei quali, attraverso la nostra formazione che vienedal teatro di ricerca, abbiamo grande libertà di scavare e di elaborare unavisione molto personale. E crediamo che il nostro forte attaccamento alladrammaturgia siciliana abbia origine anche dalla lontananza. Per tanti anniabbiamo lavorato fuori dalla Sicilia, mantenendo un legame forte con lenostre radici. Pur producendo i nostri spettacoli sempre al nord, fra Imola,Bologna e le città che hanno accolto e sostenuto il nostro lavoro, abbiamoscritto e diretto storie che parlavano della Sicilia, come Il Principe di Pala-gonia, Mata Hari a Palermo e L’isola dei Beati e poi, negli ultimi quindici anni, abbiamo formato una Compagnia di attori siciliani. Il rapporto con questi attori, quasi tutti messinesi, il loro talento, la loro storia personale in- trecciata più volte con la nostra, la loro apparte- nenza alla cultura sici- liana, alla sua lingua e alle sue maschere, ci hanno permesso di arric-Enzo Vetrano e Stefano Randisi chire e approfondire ulte- 3
riormente questa nostra ricerca. Attori come Anto- nio Lo Presti, Margherita Smedile, Giovanni Mo- schella, Ester Cucinotti, Marika Pugliatti, Maria Cucinotti, Antonio Alvea- rio e più recentemente Angelo Campolo, con Luca Fiorino e Monia Al- fieri, sono diventati per noi fonte di nuove idee e suggestioni. E poi quando si vive lontani la lente dei ricordi gioca in modo im- portante e allora si fanno spazio il sogno e la poe- sia, il mondo del surreale e del grottesco. Un autore Aurelio D’Amore, Angelo Campolo, Stefano Randisi come Franco Scaldati di- venta per me e Stefano un riferimento personale, ci immergiamo nel suo mondo e lo reinventiamo at- traverso il nostro corpo e la nostra voce». “L’onorevole” di Sciascia uscito nel 1965 (in pieno boom economico e ri- nascita culturale del nostro Paese) è un’impietosa denuncia delle compli- cità tra governo e mafia: un testo profetico quasi, a distanza di 50 anni, su quanto in questi mesi si sta dibattendo nelle aule dei tribunali se c’è stata o meno, dopo gli omicidi di Falcone e Borsellino, la famosa “Trattativa” tra organismi governativi e nuclei mafiosi. Nella vostra messinscena ven- gono evidenziati questi aspetti? «Sciascia denunciò il degrado della classe politica del suo tempo e le sue collusioni con la mafia non solo come scrittore, ma anche come parlamen- tare, nella sua breve esperienza politica, e questa dichiarata guerra alla cor- ruzione che è nelle sue parole, senza bisogno di essere sottolineata dalla messinscena, riporterà senza dubbio all’attualità di quanto stiamo vivendo oggi. Ciò che più ci interessa in questo testo, e che secondo noi lo collega all’attualità drammatica che stiamo vivendo, è il rapporto diretto che Scia- scia crea tra i comportamenti delittuosi del politico e il suo simultaneo ab- bandono della cultura. Ne L’onorevole la signora Assunta, moglie di Frangipane, nel rendersi conto della metamorfosi del marito che abbandona integrità e senso morale per adeguarsi a un modello malato e vantaggioso di politica, si immerge nella lettura del Don Chisciotte per diventare lei4
stessa paladina di unidealismo puro e onesto,fino ad accettare di essereconsiderata pazza. Il fi-nale, che ribalta la pro-spettiva di questa eroina,ci trascina invece difronte a un abisso pau-roso e senza salvezza».Mi pare che tranneun’edizione del TeatroStabile di Catania nellastagione 1964/1965 equalche rappresenta-zione filodrammatica,“L’onorevole” di Scia-scia, è un testo teatralepochissimo rappresen-tato. Perché secondo te?«In effetti il testo venne Alessio Barone e Antonio Lo Presticensurato dallo stessoTeatro Stabile di Cataniache lo aveva commissionato e messo in cartellone per la stagione 1964/65.Lo spettacolo non andò in scena nemmeno in quella occasione, perché lasua verosimiglianza e il chiaro riferimento a qualche politico del tempo nefece vietare la rappresentazione. Poi il testo è caduto in una sorta di dimen-ticatoio un po’ per la sua scomodità, un po’ perché in effetti è materialedrammaturgico vivo e interessante ma da trattare, nel senso che ha bisognodi trovare una scrittura scenica, registica e interpretativa, che lo liberi daun eccessivo realismo nella prima parte e dall’eclatante bisogno di romperegli schemi nel finale. Insomma, c’è bisogno di quello che a noi piace farecon un testo per renderlo un nostro spettacolo, come abbiamo fatto con Pi-randello, Martoglio e Scaldati».In una sua nota, sul testo pubblicato nel 1965 da Einaudi - “Collezione diTeatro”- , lo stesso Sciascia, non smentendo la sua natura “illuminista”,scrive che “L’onorevole” non è una commedia (quasi come Magritte chedice “questa non è una pipa”) ma uno “sketch” in tre tempi con due o tre“caratteri” e un solo larvatico personaggio, con uno svolgimento natura-listico dei primi due tempi e parte del terzo. Ecco. Che tipo di spettacolovedremo?«Il giudizio di Sciascia sul proprio testo è troppo severo. Forse si rendevaconto che nella sua scrittura non c’era la maturità del drammaturgo, ma ci 5
sono tanti riferimenti a Pi- randello, Brecht, e per noi anche a Eduardo, che ci permetteranno di gio- care sul sogno e sull’iro- nia che viene fuori quasi naturalmente da alcune battute e passaggi scenici. Ironia amara, sogno che rischia in ogni istante di diventare incubo, e allora il passaggio al surreale o al grottesco che tanto amiamo ci permetterà di popolare la scena di cloni tutti uguali di studenti, di galoppini, di aspiranti de- putati». Sempre Sciascia avverte che nel testo l’onorevole Frangipane è democri- stiano, ma potrebbe pure essere di un altro partito con esperienze governa- Laura Marinoni tive. Voi gli avete dato dei connotati identifica- bili con qualche politico ben preciso o ne avete sfumato i caratteri e con- notati ? «Il nostro onorevole, come tutti i personaggi che portiamo in scena, passerà attraverso lo spirito di chi lo interpreta. Leo de Berardinis, che per noi è stato un Maestro anche nell’impostazione della regia, non amava il termine “personaggio”, preferiva parlare di “stato di coscienza”, e in questa dire- zione va il nostro modo di stare in scena: chiediamo a noi stessi e ai nostri attori di farci attraversare dalle parole, sentire le emozioni che procurano e ri-produrle senza imitazioni o figure di riferimento individuabili. Il nostro istinto e inconscio, fatto di immagini reali, di un vissuto preciso, di cose viste e sentite, si trasfigurano in una nuova creatura, nella quale il pubblico sentirà vibrare sensazioni ed emozioni che appartengono anche a lui. Ed è qui che vorremmo arrivare: al teatro che emoziona e - attraverso il sogno - fa pensare, riflettere, capire». Gigi Giacobbe6
Enzo Vetrano e Stefano Randisi 7
Interessante novità alla Sala Laudamo Un concerto-video Mescola e confonde i linguaggi lo spettacolo “La musica lunare”, previsto alla Sala Laudamo il 22 e 23 gennaio, nell’ambito del cartellone di Mu- sica diretto dal maestro Giovanni Renzo che ha voluto ospitare, nella cornice intima e raccolta della Laudamo una performance particolarissima. A proporla la compagnia Bluteatro, formata da giovani attori professionisti under 35, diplomati all’Acca- demia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio d’Amico” con alle spalle numerose esperienze tra musica, teatro ed arti vi- sive, nell’ambito del progetto “B-tside”, un’area progettuale nella quale collabora con altri soggetti alla realizzazione di corti teatrali, spettacoli a vocazione sperimentale, esperi- menti teatrali in contaminazione con arti visive musicali e coreutiche e drammaturgia contemporanea. Un video con- certo con Katia Pesti e Francesco Paolo Maimone, interventi video a cura di Daniele Alef Grillo, “La musica lunare” inte- gra elementi musicali eterogenei provenienti dal personale “set” strumentale della compositrice Katia Pesti ad interventi di musica elettronica eseguiti ad hoc dal musicista Francesco Paolo Maimone. I due artisti in scena infatti dialogano in un reciproco rapporto di scambio nel quale il suono acustico viene preso, suonato, mutato, quindi restituito andandosi a sommare alla performance pianistica. Sullo sfondo di questa vera e propria sinfonia contemporanea scorrono delle im- magini astratte dall’universo strumentale di Katia Pesti. Così il paesaggio sonoro che cir- conda la musicista è evocato da alcune riprese video che ri- traggono il particolare set che oltre al piano popola la mu- sica di Katia Pesti. In questo percorso visivo che metafori- camente allude ad un viaggio8
Katia Pesti sulla luna, come spazio ultra-terrestre, come luogo altro, meta di proiezioni fantastiche, sono citate alcune sequenze del celebre film pioneristico “Voyage dans la lune” del 1902 del francese Georges Mèliés. L’intero video, a cura di Daniele Alef Grillo, assume così il ruolo di colonna visiva, alcune volte didasca- lica e altre più astratta e diventa, al pari della musica per un film, un ulteriore strumento espressivo. 9
Seducente impetuosa affascinante danza È il ritmo del Malambo L’Argentina è un paese che persiste nel coltivare le molte e antiche tradizioni nell’ambito dei balli. Oltre al conosciutissimo tango, i corpi dei danzatori argen- tini, infatti, continuano a vibrare al suono coinvolgente di musiche che conquistano per i loro movimenti e ritmi. L’Argentina è la terra del tango, del gaucho, del mate ed anche del malambo, danza dei gauchos, i mandriani delle pampas, inizialmente riservata ai soli uomini, in cui il battito dei piedi era il protagonista di una danza fra ballerini che si sfidavano, con destrezza e abilità, in un vorticoso gioco di gambe, a imitazione delle infinite sfumature del passo del cavallo. Da quando negli anni ‘40 è stato concesso di ballarlo anche alle donne, il malambo si è arricchito e trasfor- mato in una seducente, impetuosa, affascinante danza di corteggiamento. dal ritmo sostenuto, non privo di se- quenze scatenate, diventando la vetrina luminosa e ap- passionata di quanto valorizza la cultura argentina. Sfida, seduzione, allegria, ritmo, festa: tutto questo è Gauchos, i cui protagonisti sono due dei ballerini ar- gentini più conosciuti al mondo e una delle compagnie di danza più amate dal pubblico. I due, Erica Boaglio e Adrian Aragon, danzatori, coreo- grafi e direttori della Pasiones, riconosciuti ammaliatori delle platee di tutto il mondo, interpretano come pochi l’energica passione per il ballo e accompagnano lo spettatore in un trascinante viaggio nelle tradizioni della cultura argentina. Maria Pia Rizzo10
Adrian Aragon e Erica Boaglio 11
12
Questo mese allaSala Laudamo... 13
Un interessante viaggio tra miti, attualità, letteratura Il nuovo anno, alla Sala Laudamo, si apre con tre appuntamenti della Rassegna “Incroci”, tre storie differenti portate in scena da altrettante compagnie che si muovono tra tradizione e innovazione, guar- dano alla cronaca e spaziano tra letteratura e poe- sia. Una rassegna voluta dalla Daf-Teatro dell’Esatta Fantasia, nell’ambito del progetto Laudamo in città, realizzato con la collaborazione del Teatro di Mes- sina, per dare spazio ad alcune voci della dramma- turgia dell’isola, che si concluderà a marzo ma anch’essa sempre in evoluzione. «Tratto distintivo del progetto di cui “Incroci” – come sottolinea Giu- seppe Ministeri, presidente Daf – rappresenta una parte importante, accanto al laboratorio teatrale “Nel Paese dei Balocchi” dal Pinocchio di Collodi che ne è spina dorsale». Quattro spettacoli nel- l’arco di tre mesi, “Tirone” andrà in scena il 21 e il 22 febbraio. «Tuttavia – aggiunge Ministeri – non escludo che possano aggiungersi altri titoli». In- tanto il 13 gennaio di nuovo a lavori i 30 ragazzi del laboratorio teatrale permanente, dopo il suc- cesso di “Istinto” (13 recite, 3 settimane di spetta- colo, oltre 1300 spettatori), arriva “Solitudine” curata da Annibale Pavone col contributo di Sarah Lanza, giovane e talentuosa. Un progetto pensato per far diventare la Laudamo un centro di forma- zione e produzione teatrale, secondo quanto chiede il Ministero per il triennio 2015-2017, con una particolare attenzione rivolta alle giovani ge- nerazioni e al territorio. «Ecco perché è nostra in- tenzione – annuncia Ministeri – pensare alla possibilità di estendere le attività laboratoriali su Barcellona P.G. Poi più spazio alla danza con la nuova produzione della Vibrazioni Dance Com- pany di Sarah Lanza».14
Luca Fiorino ICARO Sarà la compagnia Scena Nuda, di Reggio Calabria, il 17 e 18 gen- naio, ad inaugurare il nuovo anno, del variegato progetto “Laudamo in città” realizzato dalla Daf-Tea- tro dell’Esatta Fantasia in collabo- razione col Teatro di Messina. Icaro è uno spettacolo di Salvatore Arena con la regia di Filippo Gessi che vede in scena il messinese Luca Fiorino. Scene e costumi di Giulia Drogo, luci Antonio Ri- naldi, musiche di Giovanni Pulia- fito. Il volo di Icaro è il simbolo del desiderio dell’uomo, irrealizza- bile, di volare verso l’alto. Il suo mito è il riferimento archetipico per raccontare la storia di un uomo, semplice, che sogna di vo- lare, Vanni. Per lui librarsi in volo significa “liberarsi”, come per Icaro, anche se il sole, il mare e la cera che tiene le ali non promet- tono bene. Vanni aveva una vita normale, ora sta in una piazza di paese deriso da tutti per la propria follia, anche da se stesso, perché non ricorda più il motivo che lo spinge a volare. «Vanni – si legge nelle note del regista Filippo Gessi – adesso vive in un suo labirinto. Non ha il tempo per pensare, per riflettere, per ricordare... Chi vor- rebbe ricordare il dolore? ». E così sopravvive, come una piuma por- tata dal vento, ma vuole essere altro, essere Icaro e cadere giù in picchiata nel suo ultimo volo. 15
LA CLASSE DIGERENTE Elio Crifò “La classe diGerente”, in scena il 24 e 25 gennaio, è un format di satira politica creato, scritto e interpretato da Elio Crifò che se- guendo l’evolversi degli avvenimenti della politica italiana e mondiale si aggiorna nelle sue versioni. La caratteristica degli spettacoli di Elio Crifò è quella di citare i nomi dei sog- getti e delle società coinvolte nelle storie rac- contate. Storie che sono basate su ricerche personali, inchieste giornalistiche, indagini processuali e atti delle Commissioni Parla- mentari. Informazione, emozione e ironia sono la chiave del successo di questo format. “La classe diGerente” parte dai casi di Snow- den e Assange per giungere alle società di slot machine e alla trattativa stato-mafia. “La classe diGerente 2.0” si tuffa nell’attuale in- dagine “Mafia Capitale” poi nuota nel mare di falsità del naufragio della Costa Concordia, per approdare al calcio, vera cloaca dove confluiscono interessi mafio-politico-impren- ditoriali. Storie che non sono episodi ma fasci di luce sul livello criminale della nostra classe diGerente. «La nostra è l’epoca del- l’inganno e quando il colpevole ti appare in modo chiaro, netto, evidente, il colpevole è sempre un altro», osserva il regista. QUANDO, COME UN COPERCHIO Oreste De Pasquale La QuasiAnonima produzioni propone, il 7 e 8 febbraio, “Quando, come un coperchio… ”, regia e drammaturgia di Auretta Sterran- tino, musiche di Vincenzo Quadarella, alle- stimento di Valeria Mendolia, con Oreste De Pasquale e Giada Vadalà. «Accade che inizi una ricerca e all’improvviso ti accorgi di non essere tu a condurre. È lei che ti trasporta,16
Auretta Sterrantino senza lasciarti scelta. Così mi è capitato cominciando a lavorare a questo testo – spiega Auretta Sterrantino – che voleva essere un omaggio a quattro grandi au- tori, legati per vie diverse, e in modo dif- ferente, tra loro, e tutti in varia misura connessi all’area dello Stretto. Lucio Pic- colo, Eugenio Montale, Gesualdo Bufa- lino e Vincenzo Consolo, attraversati spesso da un sentimento di cupo disagio, a tratti di rifiuto verso il mondo circo- stante. Iniziando ad incrociarne le vi- cende personali e l’opera, sono finita a lavorare su una storia diversa». “Quando, come un coperchio” – incipit della poe- sia Spleen di Baudelaire – è diventata una storia a due, un dialogo tra un uomo e una donna che parlano, nell’arco di una notte, senza sosta, tessendo abil- mente diversi piani di senso e nascon- dendo in profondità la linea di comunicazione più vera e tragica che stanno consumando.Vincenzo Quadarella Elisabetta Reale Giada Vadalà 17
In scena il racconto musicale e culturale di Antonella Ruggiero Sempre amata dal pubblico e accla- mata dai critici, Antonella Ruggiero sarà a Messina dal 23 al 25 gennaio e a Barcellona il 27 e il 28 gennaio con il suo spettacolo “Musiche dal mondo”. La sua voce meravigliosa ed inconfondibile, con un’elevatis- sima estensione vocale, le permette, infatti, di spaziare tra generi musi- cali sempre diversi tra loro. Da Cuba all’Armenia, da Genova all’India. Come nasce l’idea dello spettacolo “Musiche dal mondo”? Dopo sette anni di stop, ho ricomin- ciato a fare musica nel ’96 con que- sta idea. L’idea di girare il mondo per raccontare, attraverso la musica, altri luoghi e altre culture. Un viaggio musicale, dunque. Ma anche culturale. Sicuramente. Un viaggio alla ricerca di quelle persone che, tramite la musica, hanno lasciato tracce inde- lebili di sé, della propria vita, del proprio pensiero. La musica, infatti, è un “mezzo” per “tirar fuori” i pro- pri drammi, i propri pensieri, i pro- pri sogni, le proprie aspettative. Insomma, per “tirar fuori” se stessi, il proprio modo di essere e quel che si ha dentro.18
19
Un po’ come la maieutica, il metodo socratico. La musica che aiuta ad esternare i propri sentimenti. Ma com’è stato questo viaggio? Mi ha dato tantissimo. Mi ha arricchito molto il fatto di conoscere le di- versità. E tutto questo non mi ha fatto paura. L’uomo sogna le stesse cose: salute, tranquillità, famiglia, un futuro per i propri figli. E questo in ogni luogo. I fanatismi e gli integralismi sono tutt’altra cosa. Da “voce storica” dei “Matia Bazar” ad artista solista con il suo ritorno sulle scene sancito dall’album Libera. Perché Antonella Ruggiero ha de- ciso di intraprendere questo percorso? Perché avevo bisogno di altro. Non mi interessava più fare musica in quel modo. L’arte non necessita di discussione. La musica è libertà asso- luta. Tra l’altro, a parte i primi anni di vita del gruppo, ho sempre sognato di girare il mondo e di non soffocare la mia individualità. Anzi, al con- trario, speravo di poterla esprimere sempre al meglio, arricchendo, come ho fatto, il mio bagaglio di esperienze, scoprendo altri mondi e collabo- rando con musicisti straordinari. Lei ha iniziato la sua carriera giovanissima, nel 1974, pubblicando come solista un primo 45 giri, Io Matia. Fare la cantante era il suo sogno nel cassetto? Direi di no. Da bambina non pensavo proprio di fare la cantante. Mi pia- ceva molto l’arte visiva. Mi dedicavo alla pittura e alla grafica. A volte, però, il destino riserva altro. Ho avuto la fortuna di iniziare a cantare e di farmi conoscere. Cosa consiglia ai giovani talenti che sperano di sfondare nel mondo della musica? Anzitutto, il mio primo consiglio è di non perdere mai la lucidità. Di non smettere mai di ragionare e di comprendere che il successo non è facile da raggiungere. È un po’ come vincere la lotteria. È importante lasciarsi altre strade aperte. Pensare alla musica, sì. Ma magari puntare anche su altre attività. Non bisogna mai illudersi nel percorrere la strada del suc- cesso: quello vero non è temporaneo. Il talento bisogna averlo veramente e vivere da artista non è per nulla facile. Crede sia cambiata la musica italiana negli anni? Se sì, in che modo? La musica è cambiata tantissimo. E la tecnologia, ovviamente, ha contri- buito in misura notevole. Una trasformazione inevitabile direi. Ma, pur- troppo, non sempre si è trattato di cambiamenti in positivo. Penso ai20
troppi interessi che og- gigiorno cercano di condizionare questo mondo. Ma penso anche all’omologa- zione a cui si assiste, ormai da decenni, nella creazione delle opere musicali. Tra i giovani che scrivono ci sono senza dubbio ta- lenti. E’ importante cer- care nuove modalità di fare musica. Ma è al- trettanto importante te- nere sempre a mente la tradizione della nostra musica italiana. Cosa vuol dire per gli artisti italiani salire sul palcoscenico del Festi- val di Sanremo? Per gli artisti italiani non saprei. Per me, a parte il primo e il se- condo anno, è diven-tato come partecipare ad una “fiera della musica”. Certamente la piùimportante d’Italia. Anche se, in realtà, oggi è rimasta solo questa.Ha già in mente qualche altro spettacolo per il futuro?Sì. Ho già in mente alcune collaborazioni con talenti importanti, legatialla musica popolare, al jazz, alla musica classica.Chi ha avuto un ruolo importante nella sua carriera?Sul piano professionale, non ho mai avuto miti. Ho stimato e continuo astimare artisti che hanno lasciato tracce importanti in questo mondo. Sulpiano personale, certamente mio marito. Roberto e io abbiamo semprevisto la vita con la stesse lente. Allo stesso modo. Marianna Barone 21
Carmela e Paolino varietà sopraffino Ovvero il Teatro al tempo della guerra Al Teatro Mandanici, dopo il recente successo di “Non è vero ma ci credo” per la regia di Michele Mirabella, continua l’interessante stagione teatrale con lo spettacolo: Carmela e Paolino varietà sopraffino. Si tratta dell’adattamento italiano del testo del drammaturgo spagnolo Josè San- chis Sinisterra “Ay, Carmela”, che dal 1986 a oggi ha riscosso un suc- cesso strepitoso restando per anni in cartellone nei maggiori teatri delle capitali di Spagna ed America Latina, e da cui nel 1990 il famoso regista Carlos Saura ha tratto l’omonimo film interpretato dalla bravissima Car- men Maura. “Ay, Carmela” racconta la vicenda di due oscuri attori di varietà che, durante la guerra civile, cadono prigionieri dei fa- langisti e sono costretti, loro malgrado, ad improvvisare per le truppe uno scalcinato ma esilarante spettacolo dal tragico esito finale. Nel testo originale la vicenda si svolge in Spa- gna nel 1938 a Belchite, villaggio simbolo degli effetti della ferocia distruttiva della guerra civile spagnola. Il regista Angelo Savelli, d’accordo con l’autore, ha compiuto un’operazione di adattamento del testo trasportando l’azione nell’Italia del 1944, in piena seconda guerra mondiale, in uno sperduto paese della provincia centro-meridionale occupato dalle armate tedesche. Il 17 e il 18 gennaio le luci di Alberto Mariani illumineranno il palco sul quale gli interpreti Edy Angelillo e Gennaro Cannavacciuolo da- ranno vita a questo spettacolo, con i costumi di Tobia Ercolino e le coreografie di Stefano Silvestri e Cinzia Casciani, che si presenta come teatro comico, popolare e musicale. I due attori, infatti, saranno accompagnati dal vivo da tre affiatati musicisti: Mario Bucci al pianoforte; Simone Ermini al sax e al clari- Edy Angelillo e Gennaro Cannavacciuolo22
netto e Ruben Chaviano al violino, su arrangiamenti emusiche originali di Mario Pagano. «Non è uno spet-tacolo sulla guerra – precisa l’autore Josè Sanchis Sini-sterra – ma uno spettacolo sul teatro sotto la guerra».Un omaggio, dunque, a tutti quegli artisti che nei vari“teatri di guerra”, pur non avendo nulla da riderehanno tenuto vivo il riso sui volti della gente. «Ma tuttoquesto, per quanto valido – aggiunge il regista AngeloSavelli – sarebbe ben poca cosa se in questo testo nonci fosse anche qualcos’altro. E cioè un impietososguardo critico verso il degrado morale ed estetico incui ci ha ridotto l’omologazione consumistica. E alloralo “spettacolo leggero”, piuttosto che la canzonetta o la sfida calcistica, diventa il luogo dove ri- fugiarsi. Un nascondiglio rassicurante, dove sequestrarsi volontariamente, aspettando che qualcun altro paghi per noi il prezzo del riscatto». N. C. 23
Una storia, a tratti divertente, che coniuga insieme presente, passato e futuro24
Vuoi fare il guaritore? Chiudi gli occhi, inventa!”: quasi uno slogan, un’esortazione a muoversi verso l’irreale, a compiere piccoli passi, veri, di fantasia, per allontanarsi dal dolore. È una delle penne più vive di questi ultimi anni teatrali, quella del pugliese Michele Santeramo, a scrivere “Il guaritore”, un personaggio barbuto e con gli occhiali, interpretato da Michele Sinisi, che vuole guarire le anime, non i contenitori che le portano in giro, che vuole salvare le storie mettendole in relazione fra di loro. Una salvezza che si raggiunge per gradi, con la condivisione, con un ritorno aincontrare l’altro, infine, se stessi, guardandoall’essenziale, perché “non è interessantel’originale, è interessante il semplice, perchésolo il semplice è vero”. Immagini edomande, fotografie, pensieri. 25
Il drammaturgo interroga i suoi personaggi, e loro rispondono, come se in realtà fossero già vivi altrove, come fossero solo in attesa di parlare, mentre qualcuno li stuzzica, li sti- mola da un altro mondo, dalla dimensione di chi tiene la penna in mano. Il fascino della scrittura drammaturgica dell’era contempo- ranea passa, nella consuetudine di Michele Santeramo, anche dalle immagini, per poi crescere nell’immaginario, guidato con con- sapevolezza e concretezza scenica, che si tocca con mano negli allestimenti dei suoi testi. Fra Michele Santeramo e Michele Sinisi, uno stretto legame che è diventato un per- corso comune, lavorativo e di ricerca, testi- moniato da tappe teatrali importanti, come “La rivincita”, in cartellone la scorsa stagione teatrale di prosa all’auditorium di Pace del26
Mela. Ma anche “La Prima Cena”, prodotto daTeatrino dei Fondi e in debutto nazionale a Pri-mavera dei Teatri 2014 a Castrovillari, scritto daMichele Santeramo e diretto da Sinisi, per que-sto lavoro non più sulla scena ma dietro lequinte, veste che forse gli appartiene meno mache dà i suoi frutti al servizio dell’allestimento:a Messina per queste repliche Sinisi sarà invecein scena nei panni del Guaritore stesso, ruoloche gli ha fatto guadagnare un posto in finale peri premi Ubu 2014 come miglior attore. Questopersonaggio in palandrana mette in relazione lestorie delle persone per farle guarire: ha un fra-tello che mal sopporta, gli arrivano in casa duedonne con problemi opposti e un ex pugile. Laguarigione non è cosa facile, serve leggerezza,disimpegno, distacco e, perchè no?, qualchebicchierino di grappa. É un personaggio cheprova a mettersi tra il malessere e la soluzionedei problemi. Ha il colletto della camiciasporco, non ci vede quasi più ma riesce a gua-rire le persone. Non è un mago, nè un medico.Vive sulla linea d’ombra tra realtà e fantasia,come ogni personaggio della scena. Il testovince il 51° Premio Riccione con la seguentemotivazione: “è un testo vivo. [..] Lo spettatoreè condannato a chiedersi [..] se è l’autore o sesono i personaggi o gli attori a condurre il gioco,un gioco teatrale, un gioco antico, fatto disketch, di porte che si aprono e che si chiudono,di battibecchi bassi e di monologhi alti, e ungioco contemporaneo, che ci attira offrendoci lariconoscibilità delle situazioni teatrali e cipiomba in un mondo che è il nostro, un mondosenza certezze, un mondo liquido, dove perorizzontarsi non servono più le idee, né quellevecchie né quelle nuove, ma dove gli esseriumani – con tutti i loro difetti – non smettonomai di aggrapparsi alla speranza che sia il con-fronto con un altro essere umano a salvarli”. 27
Lì dove il basilico ...sbummica Il pranzo di Mosè è l’ultimo libro pubblicato da Simonetta Agnello Hornby, la scrittrice-av- vocato di successo metà siciliana (Palermo) e metà inglese (Londra). L’abbiamo incontrata a Messina, ospite della Libreria Bonanzinga, alla presentazione del libro che è alla base del suo fortunato programma gastronomico su Real- Time. Il testo rievoca i pranzi nella casa di campagna della famiglia Agnello, in località Mosè, oggi residenza estiva, dove in cucina tutto è cambiato per rimanere com’era…28
Simonetta Agnello Hornby 29
Nella casa di Mosé, fino ai suoi 18 anni, ogni pranzo era un’educazione al gusto e alla buona cucina. Oggi nel Buen retiro estivo il pasto princi- pale è la cena. Insieme alle abitudini è cambiato anche il menù? A Mosè il pranzo principale, adesso, è la cena perché a mezzogiorno la gente va a mare, i bambini vanno in piscina e poi… si mangia più grade- volmente dopo il tramonto, perché così si allunga la serata. Ma questo non è molto importante, quando si mangia quello che conta davvero è lo spirito di come si mangia. Dobbiamo mangiare insieme condividendo, godendo e parlandone. Dobbiamo, insomma, essere curiosi sul mangiare perché condividere il cibo è un viaggio di scoperta. Parlare del mangiare è importante, ma lo facciamo poco. Per esempio chiedere: “A te piace come ho fatto questo?” oppure “Ieri era meglio?” è una di quelle cose che dobbiamo ritornare a fare. Il cibo è l’elemento fondamentale, ma un buon pasto inizia da una tavola ben apparecchiata e da un’adeguata accoglienza degli ospiti. Quali sono le regole da non trasgredire e quali quelle a cui si può derogare? A me la tovaglia piace perché unisce, di conseguenza non mi piacciono le tavole con le tovagliette. La tovaglia, inoltre, deve essere ben stirata. Può essere rammendata, come sono le mie, può essere vecchia, va benis- simo, può essere corta e uno ci mette un’altra cosa che la allunga, l’im- portante è che sia pulita, armoniosa ma non ricca, e che unifichi. Se non ci sono piatti degli stessi colori si alternano, se non ci sono tante posate se ne mettono diverse. A me piace il centrotavola, spesso metto una pian- tina di basilico e prima di andare a mangiare ci metto l’acqua e l’odore… sbummica. Il centrotavola, quindi, non deve essere raffinato, o elegante, perché a me piace guardarlo come cosa gradevole, così come il mangiare che deve essere semplice, abbondante ma non troppo, e soprattutto che si possa capire ciò che si mangia. Cosa rara in certi ristoranti rinomati. I piatti tipici della cucina isolana sono conosciuti e apprezzati in tutto il mondo. Per dirla come gli inglesi: cosa i siciliani fanno meglio? Io sostengo che noi abbiamo regalato una cosa al mondo che è il gelato, inizialmente portato a Parigi da un certo Procopio. L’arte del gelato l’ab- biamo appresa dagli arabi, è vero, ma siamo stati noi a portarla in Europa. Un altro piatto al quale mi piace pensare è la caponata, per me è il piatto più siciliano che esista, perché non ce l’ha nessun altro. Anche nei paesi arabi, dove si prepara una sorta di caponata, non è agrodolce come la no- stra. Ogni popolazione, del resto, ha il suo piatto tipico legato ai prodotti agroalimentari di cui dispone. Per esempio trecento anni fa, da noi, non c’erano le melenzane, non c’era il pomodoro e non c’erano le patate. E30
come si campava? Si campava bene. Il mangiare è evoluzione, non dobbiamo restare fermi a una ricetta. Dire: “Ah! la pasta al forno non si può mai fare così… ” Ma cu tu dissi! Le ricette possono es- sere cambiate, dobbiamo farle crescere. Qual è l’alimento che non dovrebbe mai mancare in una cucina, per un pasto ve- loce o per l’arrivo di un ospite inatteso? L’uovo fritto. Io sono spesso all’estero e quando torno le uova me le ritrovo sem- pre… le uova durano. L’ovu frittu è u mugghiu manciari du munnu. Ma atten- zione, è complicato farlo bene: bisogna usare l’olio, bisogna ben friggere i bordi, il bianco deve essere cotto, il rosso no… e poi… io non lo giro mai. Nel suo libro è un continuo susseguirsi di elementi gastronomici: dal lievito madre per il pane, alla ricotta per la cassata. Soloil vino non ha un posto d’onore nei suoi racconti. C’èuna ragione?Papà era astemio, e allora non si beveva. Mamma di-ceva: “A me tanto non piace”, ma a tavola i bicchieriper il vino c’erano sempre … i misteri di casa Agnello.Io quando ero piccola non mangiavo con loro ma an-davo a vederli quando mangiavano e, se avevo sete,mi davano l’acqua nel bicchiere del vino di uno diloro. E allora mi domandavo: vuoi vedere che questibicchieri vanno e vengono dalla cucina senza esseremai lavati? E andavo a guardare nella cristalliera per-ché la polvere doveva restare… e infilavo il dito den-tro. Era uno dei miei misteri da bambina: Questibicchieri li lavano o non li lavano? Che cretinaggineche pensavo da bambina… ma c’avevo sto pensiero…cosa inutile… Nicola Costantino 31
Ri-leggiamo i classici a teatro Antigone Sempre attuale lo scontro tra le ragioni del cuore e la ragion di stato Un modo per riassaporare i classici in una veste diversa, con lo spirito della prima volta, e un impegno mantenuto dall’Ente Teatro di Messina, quello del rilancio della macchina artistica e organizzativa, con l’obiet- tivo di mettere radici sempre più profonde nel territorio, e lo sguardo diretto, naturalmente, anche aldilà dello Stretto, su scala nazionale e internazionale. I riflettori del Vittorio Emanuele sono finalmente puntati sui talenti più giovani: professionisti e allievi attori avranno l’opportunità preziosa di prendere parte all’allestimento della rivisitazione dell’Antigone a cura di Michele Di Mauro, già autore, interprete e regista di “Antigone non abita più qui”, solamente una fra le tappe di un progetto più articolato sul mito di Antigone che Di Mauro porta avanti da diverso tempo nel suo percorso teatrale. Più di duecento le adesioni per i casting che si sono tenuti alla sala Lau- damo per comporre via via il gruppo attoriale che lavorerà alla messa in scena della nuova “@ntigone non abita più qui”, gruppo che intra- prenderà col regista di origini torinesi un percorso laboratoriale verso lo spettacolo finale, in scena al Teatro Mandanici di Barcellona sabato sette e domenica otto febbraio, al Vittorio Emanuele. Michele Di Mauro32
Quando si ricevevaa teatro...Il 12 gennaio 1852 veniva inaugurato a Messina il Teatro Massimo S. Eli-sabetta. Erano trascorsi pochi anni dai moti del ‘48 ed il Sovrano, quasia riappacificare gli animi, volle regalare alla città una nuova e prestigiosasede ove “educare divertendo” i messinesi.In tale prospettiva, una parte dell’edificio, la più rappresentativa, fu de-stinata a sede del “Circolo della Borsa”, prestigiosa istituzione costituitadall’aristocrazia imprenditoriale di quei tempi lontani.Il “Circolo della Borsa” era stato fondato nel 1805 e, al suo interno, riu-niva esponenti dell’aristocrazia peloritana, ma anche tanti imprenditoristranieri, che proficuamente operavano in città. Sin dalla sua apertura il Teatro fu ani- mato dalla presenza di questa attiva compagine sociale che, fra l’altro, ar- redò a proprie spese i locali prospi- cienti la via Ferdinanda (poi Garibaldi) e soprattutto organizzò tante iniziative non solamente in am- bito artistico. Tra tali iniziative vale la pena ricordare i ricevimenti fatti in occasione della venuta in città di due sovrani, Ferdinando II di Borbone ed Umberto I di Savoia. Entrambe le cerimonie ebbero tale ri- sonanza da dare luogo a due rispet- tive pubblicazioni che ci consentono, a distanza di tanti anni, di rivivere con la fantasia il fasto di quei momenti ed il prestigio di quel- l’istituzione, nella vita sociale e poli- tica del tempo.Rarissima cartolina stampata a ricordodella visita della Famiglia Reale aMessina nel gennaio del 1881 33
Per dare un’idea dell’atmosfera felice vissuta dai messinesi in quella cir- costanza, riportiamo qui di seguito un brano dell’anonima cronaca sul ballo organizzato la sera del 25 ottobre 1852 nei locali del “Circolo della Borsa”, in occasione della visita di re Ferdinando II a Messina: “ma noi non descriverem qui la gioia, la ricchezza, lo splendore di quella festa; non la magnificenza di quegli appartamenti, ai quali potrebbe dirsi che le arti di tutte le nazioni aveano portato il lor tributo. In quelle sale, che accoglievano quanto di grade, di squisito, di scelto può umana mente immaginare, un gran buffet era stato imbandito, e S.M. il Re ed i Reali degnaronsi di accettare i rinfreschi, che furon serviti dagli stessi Deputati della società.” (Tratto da: Viaggio di Sua Maestà il Re N.S. in Sicilia, Pa- lermo, 1852). Nel 1881, in occasione della visita a Messina di Sua Maestà Umberto I di Savoia, veniva organizzato, sempre nei locali del “Circolo della Borsa”, al teatro divenuto “Vittorio Emanuele”, un ricevimento fastoso che venne ricordato dal messinese Antonino Cagliaferro, in un’apposita cronaca a stampa, di cui pubblichiamo un breve stralcio: Il terremoto del 1908 danneggiò parzialmente la struttura del Teatro, tant’è che, pochi anni dopo il sisma, la vita del “Circolo della Borsa” riprende nei prestigiosi saloni, perdurando sino alla seconda guerra mon- Alcuni soci fotografati in occasione del ballo in maschera tenuto la sera del 25 febbraio 1922 nei locali del Circolo, al primo piano del Teatro Vittorio Emanuele34
Il ricevimento del 1881 ebbe tale risonanza da es- diale. Dopo i disastrosisere pubblicato nella rivista “Illustrazione Italiana\" eventi bellici, il Circoloche dedicò alla manifestazione la tavola qui sopra riparte per una secondariportata volta nell’antica sede sino a quando questoTeatro Vittorio Emanuele. Ricevimento nel salone verrà sfrattato dal Co-del Circolo della Borsa (25 febbraio 1922). Notare mune per procedere aglisullo sfondo i pilastri con Erme di donna e sulla osceni rifacimenti, chesinistra una delle specchiere ancor oggi conservate videro lo stravolgimentonella sede del Circolo. dei monumentali am- bienti umiliati da sconsi- derate trasformazioni, come la nuova pavimen- tazione in granito e il ribassamento dei soffitti, in cui oggi risultano an- negate le teste delle ca- riatidi. Ancora oggi, il Circolo continua la sua attività nei prestigiosi ambienti di Villa De Natale, oggi Ro- driguez, in Piazza Vitto- ria. Bene sarebbe, in occasione del ducento- decimo anniversario della fondazione, che un’epigrafe venisse posta nel foyer del teatro Vitto- rio Emanuele a ricordo di un passato prestigioso che per oltre un secolo animò quei saloni su ini- ziativa di un élite di citta- dini messinesi. Franz Riccobono 35
Il mondo libero e colorato di Norman Rockweel Chi vuole ammirare frammenti di arte ele- Girl with String gante, accurata, poetica, quell’arte che regala sorrisi e incantesimi visivi dell’American dream, non può perdersi la mostra American Chronicles: The art of Norman Rockweel, cu- rata da Danilo Eccher, promossa dalla Fon- dazione Roma fino all’8 febbraio a Palazzo Sciarra di via del Corso a Roma, che racco- glie dipinti, opere grafiche, copertine, ritratti originali e inediti di questo grande maestro dell’illustrazione americana. Per la prima volta in Italia è possibile osser- vare e ammirare l’itinerario artistico e umano di Rockweel (1894-1978), considerato ’”arti- sta della gente” e esponente del “realismo narrativo”, pittore a tutto tondo che amava ri- trarre momenti di vita della provincia Usa, quel mondo degli anni Trenta e Quaranta della Grande Depressione e dell’età del jazz, fino all’età della Guerra agli anni’50 della ri- nascita socioeconomica. Un mondo libero e colorato che sapeva sognare, che il grande cinema ha reso universale nei film di Capra, Lubitch, Wilder, un immaginario che traeva linfa dalle sue tradizioni e dalle radici che Rockweel mostrava nella loro epica sempli- cità. La sua è un’arte grafica che parte dalla pittura figurativa e arriva all’illustrazione di classe, quella delle pubblicità e delle copertine delle36
Christmas Homecoming riviste, di quei magazines storici che facevano epoca e costume come il Saturday Evening Post, di cui sono esposte le 323 copertine che partono dal 1916 e arrivano al 1963. In queste figurine animate delineate con grazia poetica, Rockweel racchiude il mondo americano familiare e do- mestico, 50 anni di vita sociale, di frammenti vi- 37
sivi dedicati ai vagabondi, ai poveri, ai tanti The Discovery “monelli” delle periferie urbane e dei paesi, ai ragazzini che scrutano e si innamorano, alle donne che cercano visibilità e indipendenza, ma sempre con simpatica leggerezza. Un mondo quotidiano reso fiabesco, che trova esal- tazione nel Natale illustrato nelle copertine-car-38
The Runaway toline che fanno sognare come i cartoons di Di- sney, come le Christmas cards, come i film delle feste, come le pubblicità che identificano l’ im- maginario infantile che ognuno si porta dietro. Tra umorismo, tocco delicato, visione dicken- siana, nelle opere, esposte al Museo della Fon- dazione Roma, scorrono l’America dei pionieri, 39
dei presidenti (ci sono ben 5 ritratti di Kennedy), Boy in Dining Car del Giorno del Ringraziamento, dei giochi dei bambini, della villeggiatura, dei bagni al mare, dei desideri di fuga dalla provincia, dei sogni della borghesia, del fluire nuovo e dinamico del consumismo che aveva nei Grandi Magazzini il simbolo universale che faceva sognare anche40
Triple Self Portrait 41
42 Brass Merchant
The Problem l’Europa. Troviamo dipinti ironici che pren-We All Live With dono in giro i critici d’arte, magici come la Ragazza allo specchio, che sembra una poe- sia ottocentesca, geniali come Una giornata di vita bambina, in cui l’artista è capace di ri- portare ben 25 ritratti di bambini in un unico pannello! Rockweel era soprattutto un giornalista che usava la pittura al posto della fotografia e della scrittura, viveva nel grande giornalismo come un reporter che sapeva rendere vivo il quotidiano ma voleva anche denunciare e in- dignarsi per il razzismo e l’intolleranza, che indicava la via delle “libertà” di Roosevelt per sconfiggere le paure della guerra, che negli ultimi anni mostrava i pericoli degli scontri in Medio Oriente.Una mostra che incanta, imperdibile per chi visita Roma, dove ci sono state e ci sono altre splendide mostre dedi- cate a Cartier Bresson, fotografo-artista che rubava frammenti di negozi e strade, a Mem- ling, coetaneo di Antonello, a Einstein e al mondo dei numeri… Sergio Di Giacomo 43
Dal “Santa Elisabetta” al “Vittorio Emanuele” Una mostra, a cantiere aperto, nel 1984 documentò i fasti del teatro prima del terremoto Voluta dal sindaco del tempo, l’avvocato Copertina del Catalogo Antonio Andò, con la consulenza scienti- della Mostra del 28 dicem- fica del professore Gioacchino Lanza Tom- bre 1984 maso, direttore artistico del rinato teatro, e dello scenografo della Scala di Milano, l’ar- chitetto Tito Varisco, si inaugurava la sera del 28 dicembre 1984, a cantiere aperto, una mostra storico-documentaria dal titolo Teatro S. Elisabetta - Vittorio Emanuele 1852-1908. In tempi brevissimi, lavorando anche nei giorni di Natale, fu approntato il materiale da esporre e redatto un catalogo che si apriva con una prefazione dello stesso sin- daco che fortemente aveva voluto la riaper- tura del teatro rimasto chiuso dal lontano 27 dicembre 1908. Il catalogo, da me cu- rato, includeva originali contributi degli storici dell’arte Francesca Campagna Ci- cala e Gioacchino Barbera e della musico- loga Alba Crea; secondo le aspettative del sindaco esso costituiva “l’avvio alla inau- gurazione del Teatro che avrà luogo da qui a qualche mese e segnerà una data storica nella rinascita di Messina: una rassegna che44
Franca Campagna, già diret- documenta fasti ed immagini che primatrice del Museo Regionale. che essere riprodotti si trovano scolpiti nel cuore; una epitome di rimembranze che tornano alla luce in virtù dell’amore e della cultura di cittadini preclari, orgogliosi del loro passato. È come, dunque, un’anteprima allo spetta- colo che viene presentata nello stesso luogo nel quale spirarono uomini e donne nelle tragiche ore del 28 dicembre 1908”. All’evento collaborarono con entusiasmo molte istituzioni culturali cittadine: l’Archi- vio Storico Comunale, il Museo Regionale, la Biblioteca Regionale Universitaria, il Cir- colo della Borsa, la Filarmonica Laudamo, l’Accademia Filarmonica, la Camera di Commercio, il Gabinetto di Lettura, la So- cietà Messinese di Storia Patria. Altrettanto entusiastico e spontaneo fu poi l’intervento di singoli cittadini - tanto numerosi da non poterli qui ricordare tutti - che vollero of- frire molti cimeli storici appartenuti alle loro famiglie. Nonostante la serata fredda e piovosa, e con il teatro ancora ingombrato dalle im- palcature, il neonato salone delle mostre del quarto piano fu letteralmente preso d’assalto dai messinesi, i quali ben compre- sero il vero significato dell’evento. “Il signi- ficato?”- disse nel suo discorso inaugurale il sindaco - “Un omaggio alla vecchia Mes- sina onusta di glorie. Un incitamento alle nuove generazioni perché dal passato trag- gano forza per bene operare nel nome della Città. Un augurio di giorni migliori per un popolo che sa soffrire ma sa anche risor- gere”. Giovanni Molonia 45
A metà ‘800 i pittori ritraevano i modelli femminili e maschili in costume popolare Erano acquarelli e pastelli destinati ai turisti stranieri Il percorso artistico del celebre scultore Giovanni Scarfì (1852-1926) ini- zia sotto la protezione e la fruttuosa amicizia del celebre architetto Leone Savoja, progettista del suggestivo Cimitero Monumentale di Messina. Il giovane artista dopo aver ottenuto l’ambito sussidio nel biennio 1872 – 1873, che gli consente di studiare a Roma, raggiunge la capitale in com- pagnia del Savoja. Incoraggiato e sostenuto dall’autorevole mentore si iscrive all’Accademia di San Luca. Successivamente frequenta il “Circolo Artistico” e i prestigiosi atelier di Giulio Monteverde e di Girolamo Ma- sini. Risalgono probabilmente al 1872 – 1873 le esercitazioni pittoriche documentate dai deliziosi e poco noti bozzetti con studi di figure in co- stume popolare o in abiti borghesi, eseguiti ad acquarello o a pastello su carta che fanno parte della collezione Scarfì De Fichy e di altri eredi Figura femminile in costume settecentesco46
Figura femminile in costume settecentesco 47
Figura maschile in abiti borghesi48
Search