SOMMARIO Trent’anni di Tania Toscano ........................................................ 4 L’inaugurazione del 24 aprile 1985 di Attilio Borda Bossana .............................................. 6 Intervista a Gioacchino Lanza Tomasi di Gigi Giacobbe ........................................................ 10 Seconda Galleria di Ninni Bruschetta .................................................... 15 Il mito di Colapesce sulla volta del Teatro di Sergio Palumbo ...................................................... 17 Gli aneddoti di quella indimenticabile serata di Alba Crea ................................................................ 26 Quella sera del 1985 cambiò per sempre la mia vita di Giovanni Renzo ...................................................... 30 Un’esperienza indimenticabile di Matteo Pappalardo .................................................. 32 Un fondamentale momento per la crescita della città di Franco Cicero .......................................................... 35 Intervista al sindaco Antonio Andò di Domenico Colosi .................................................... 40 Tre serate di balletto e due concerti di gala di Giovanni Molonia .................................................... 44 I radicali e violenti interventi di ricostruzione di Nino Principato........................................................ 46 1
E i mezzi busti dei due re finirono nella discarica SOMMARIO di Franz Riccobono ...................................................... 51 Il ricordo di una ricostruzione di Elisabetta Reale ........................................................ 53 La stampa prima e dopo l’intervento di Sergio Di Giacomo .................................................. 54 Eventi del mese ........................................................ 58 Il “Plan B” di Aurélien Bory di Nicola Costantino .................................................... 60 “Muratori” di Carlo Erba di Domenico Colosi .................................................... 66 Enzo Iacchetti: “Chiedo scusa al signor Gaber” di Marianna Barone...................................................... 68 “Il più bel secolo della mia vita” di Elisabetta Reale ...................................................... 72 L’amore e l’odio di Clitennestra di Eleonora Rao .......................................................... 74 L’Inganno nelle avventure di Pinocchio di Roberta Cortese........................................................ 76 Gli appuntamenti della Filarmonica Laudamo di Luciano Troja .......................................................... 78 Antal Szalai e l’Orchestra Tzigana di Budapest di Domenico Colosi .................................................... 802
24 aprile 1985Teatro Vittorio Emanuele. Veduta notturna del prospetto nella serata inaugurale.Collezione Giuseppe UccelloTrent’anni 24 aprile 1985 3 24 aprile 2015
Trent’anni Trent’anni. Sono tanti, tantissimi. Rivivere frammenti di trent’anni fa, rivedere immagini che hanno fissato il tempo, dà ancora di più la misura di quanto sia lontano quel passato. Nello stesso tempo, però, ridestare certi momenti, assaporare alcune atmosfere, ormai sfumate, dà la consapevolezza di quanto anche lì, in quei luoghi apparentemente rimossi, siano conficcate alcune aeree radici della nostra vita. Questa breve premessa per presentare questo numero speciale, perché in buona parte dedicato ad un anniversario che riguarda noi tutti e che riteniamo si debba ricordare e festeggiare. Era il 24 aprile del 1985, e con un concerto diretto dal Maestro Giuseppe Sinopoli venne riconsegnato alla città il Teatro “Vittorio Emanuele”, rimasto inattivo da quel tragico 28 dicembre1908. Trent’anni fa, appunto. Alla rivista, avete visto, abbiamo allegato un regalo, un DVD. Il termine regalo, è chiaro, non è scritto a caso. Eravamo alla mensile riunione di redazione, il tema portante del numero, puntare i riflettori su quel giorno, era stato anticipato a tutti. Giovanni Molonia, costante e preziosissimo collaboratore, si presenta con una cassetta VHS dicendo che lì erano “custoditi” uno speciale di Rai3 sul “Vittorio”, di ben 30 minuti, e la diretta trasmessa dall’Rtp. Quando le immagini cominciano a scorrere una forte emozione prende non solo chi aveva vissuto quegli anni, quei momenti, quella serata, ma anche i giovani colleghi. Sulle ultime battute del concerto e l’applauso liberatorio del pubblico, che chiudono lo speciale della Rai, il primo pensiero comune è che dovessimo “regalare” quella emozione a quanti con la loro continua presenza dimostrano di amare il teatro, di amare questo teatro, in poche parole abbiamo pensato di fare un dono a voi che del teatro siete lo spirito vitale. Il racconto dello speciale che allora la Rai mandò in onda è un prezioso documento storico, che aiuta a tenere viva la memoria di quel passato che non si sa perché, quasi fosse una strana ma endemica malattia che non si riesce a debellare, tendiamo a cancellare con solerte costanza. Mentre le interviste colte nel corso della diretta dall’Rtp offrono un tenero quadro del tempo. E si constata come le polemiche, l’irritazione, l’offesa di una parte di messinesi per l’inspiegabile incuria che aveva consentito di tenere il teatro in stato di abbandono per ben 77 anni siano cancellate di colpo in quella tiepida sera di aprile. Agli occhi del pubblico, un po’ commosso, e molto curioso, una volta in platea, nei palchi, nelle gallerie, si presenta una sala piena di luci i cui tratti4 Trent’anni24 aprile 1985 24 aprile 2015
Teatro Vittorio Emanuele. Scorcio della platea, dei palchi e delle gallerie, gremitidal pubblico della prima del 24 aprile 1985. Collezione Giuseppe Uccellodistintivi sono l’elegante rivestimento in blu di poltrone e palchetti, ungigantesco dipinto di Guttuso nel soffitto e la moquette rosa alle pareti,quella moquette rosa che tanto quella sera fece discutere, e che LanzaTomasi nel corso di una intervista che troverete all’interno della rivista,difende come una scelta stilistica condivisa da altri teatri.Tra poco il teatro cambierà di nuovo alcuni arredi, i suoi colori. È in diritturad’arrivo una nuova ristrutturazione e quindi a maggior ragione diventanopreziosi questi documenti che lo presentano nel suo iniziale fulgore il giornoin cui è ritornato a vivere e a dare vita. Tania ToscanoP.s.Un sentito “Grazie” a tutti coloro che, testimoni o protagonisti di quella serata,hanno accettato il nostro invito di restituire, con i loro scritti o attraverso i ricordi,quel giorno o quelli che li hanno preceduti a questa città, troppo spesso smemorata.Un “Grazie” ancora alla signora Silvia Sinopoli che ha consentito che fosseroriprodotti nel dvd brani del concerto diretto dal marito; a Duilio Calarco, giornalistadi Rai3, per averci aiutato a reperire il filmato della Rai, e ai colleghi dell’Rtp chehanno collaborato per rintracciare nella loro vastissima teca il filmato di quella seratastra-ordinaria.Trent’anni 24 aprile 1985 5 24 aprile 2015
Foto Elisabetta Saija L’inaugurazione del 24 aprile 1985 Un evento di “portata storica” scrissero i giornali all’indomani del concerto Teatro Vittorio Emanuele. Particolare Ed allora…trenta anni fa. Poteva essere l’incipit di questo pezzo che mi è stato chiesto per ricordare l’appuntamento del 24 aprile 1985. Un ap- puntamento con la storia e con le vicende del nostro Teatro, e con il Vit- torio Emanuele che in quella data tornò a vivere, dopo 76 anni di chiusura. “A Messina e non a Roma o Milano” sottolineò la rivista Sipario che pub- blicò, nel numero di marzo-aprile 1985, uno “speciale” sull’avveni- mento. Un evento, da considerarsi normalmente logico, naturale accadimento per riaprire un antico-nuovo spazio, nato nel 1838, ad una comunità che cresceva e, in un clima di contrazione che si registrava al- lora nel Paese, apparve straordinario come il “miracolo” a Milano, della inaugurazione della nuova sede del Piccolo Teatro. L’interesse nazionale ed internazionale fu poi esaltato dalla relazione del tramonto del “Vitto- rio” col sisma del 1908 e la “resurrezione” di quello che era stato uno dei templi del melodramma, in 28 mesi di lavori ed una spesa di 18 mi- 6 Trent’anni24 aprile 1985 24 aprile 2015
liardi di lire. Fu un simbolo della riappropriazione dell’idem sentire deimessinesi che sembravano volessero scrollarsi di dosso gli abiti scuri emelanconici di decenni di attesa e degli anni bui che la città aveva at-traversato per la riscoperta di un ruolo. E…trenta anni fa tutte queste aspi-razioni sembravano convergere in quella serata in “abito scuro”, in quelconcerto della Philharmonia Orchestra di Londra, diretto dal maestroGiuseppe Sinopoli, e negli appuntamenti dei successivi giorni, con il Bal-let de Genève ed il Galà-konzert della Wiener Volksoper.I messinesi, che avevano guardato quasi quotidianamente quel teatro-scheletro, attendevano quella “festa della riappropriazione” che avevail valore della fine di una oppressione, e fecero di tutto per essere pre-senti. Con una serata a beneficio della Croce Rossa Italiana (sessanta mi-lioni di lire fu l’incasso devoluto), il centralino del Gabinetto dell’allorasindaco avv. Antonio Andò, fu intasato da richieste per poter acquistareun biglietto, e vivere così un’emozione trasmessa da generazioni prece-denti, scoprendo un rituale sognato da tanti ed auspicato da alcuni, indue concerti che l’Orchestra sinfonica siciliana, tra i ruderi del Vittorio,tenne il 28 e 29 dicembre 1968.Le riunioni, gli incontri e le iniziative per essere pronti a quell’appunta-mento si susseguivano al ritmo quotidiano che scandiva l’attività ammi-nistrativa per la definizione dello stadio Celeste, delle piscine,Postazione della Croce Rossa Italiana alla quale è stato devoluto l’intero incassodella serataTrent’anni 24 aprile 1985 7 24 aprile 2015
Biglietto stampa della serata inaugurale dell’acquedotto del Fiumefreddo, o per affrontare i problemi legati allo smaltimento dei liquami fognanti, alla viabilità dei mercati, ai trasporti pubblici, all’illuminazione o al giardinaggio, come si definiva – trent’anni fa - il verde pubblico. E poi i grandi temi dal secondo bacino, al secondo approdo, al centro annonario e la stesura del Piano regolatore, e il risa- namento delle aree degradate. Questo era il clima cittadino di sei lustri fa, caratterizzato da una complessa gestione amministrativa di una città del Mezzogiorno non facile, con tante emergenze ma che ritrovava un suo “palcoscenico” nazionale al pari di altre città come Torino, che a quel tempo aveva ricostruito il Regio, o Genova che attendeva la rico- struzione del Carlo Felice, o Lodi, in Lombardia, che aveva recuperato, proprio in quell’anno, la ribalta del teatro alle Vigne. Un evento di “portata storica” scrissero i giornali all’indomani del con- certo, per il quale furono accreditati oltre settanta giornalisti di altrettante testate italiane ed estere. L’appuntamento era stato annunciato con una conferenza stampa tenutasi a palazzo Zanca, sede del Comune, a no-8 Trent’anni24 aprile 1985 24 aprile 2015
Plastico del Teatro presentato alla stampavembre del 1984 e metteva fine a querelle e dibattiti sulla ricostruzione,avviati nel dopo terremoto e “istituzionalizzati” già nel Consiglio comu-nale del 1921. A rendere attuale e concreta quella scelta politico-ammi-nistrativa, fu la presentazione del progetto offerta per la ricostruzione delTeatro, il 15 maggio 1982, da parte di un gruppo di imprese con capo-gruppo F.lli Russotti S.p.A. con sede a Messina e di cui facevano parteA. Schipani, Aster associate Termimpianti e Ipisistem. La realizzazionedell’opera in poco meno di tre anni, lo si deve all’impegno delle impresemessinesi che scommisero sulla sua definizione, in un contesto cittadinonon facile e con soluzioni tecniche che andarono al di là dell’impegnocontrattuale. Fu certamente una partecipazione condivisa da un progettocomune volto a far crescere la città, interpretando le aspettative della co-munità. La funzionalità della struttura teatrale dopo quella inaugura-zione, riprese il 7 gennaio del 1986 con un Festival di Opera e Ballettoche propose sedici rappresentazioni del Teatro Wielki di Lodz; la primaper la prosa, dal 19 al 23 novembre 1986, con la messa in scena del FuMattia Pascal per la regia di Maurizio Scaparro, e con la posa dell’affre-sco di Renato Guttuso, coi 43 pannelli della rappresentazione della leg-genda di Colapesce che lo stesso artista modellò - egli dichiarò - “persfruttare l’inclinazione del soffitto e l’ottica di osservazione”.Questo trent’anni fa, quando si aprì la storia del “Vittorio” e la storiatrent’anni dopo…? Questa dobbiamo farla, direttore; “telefonami travent’anni, io adesso non so cosa dirti”, ti canterebbe Lucio Dalla! Attilio Borda BossanaTrent’anni 24 aprile 1985 9 24 aprile 2015
Complessa, e non priva di discussioni, la gestazione della ricostruzione Intervista a Gioacchino Lanza Tomasi Gioacchino Lanza Tomasi (Roma 11 febbraio 1934) oltre ad essere un fine musicologo, è stato professore universitario di Musica, direttore ar- tistico di numerosi Teatri italiani (compresi il Teatro Vittorio Emanuele di Messina e il Festival di Taormina Arte), ex sovrintendente del Teatro San Carlo di Napoli, insignito della Medaglia d’oro delle Belle Arti in Spagna e da poco è stato nominato dall’attuale ministro alla Cultura, Dario Fran- ceschini, sovrintendente dell’INDA (Istituto Nazionale del Dramma An- tico) di Siracusa. Il Vittorio Emanuele viene inaugurato il 24 aprile 1985 quando il sin- daco di Messina era il democristiano Antonio Andò. Qual era l’aria che si respirava in quei giorni per questo importante avvenimento culturale visto che il Teatro era rimasto chiuso per ben 77 anni ? La ricostruzione del teatro fu al centro di molte polemiche. Vi erano tra- dizionalisti (dove era come era) e altri disposti a prendere in considera- zione una soluzione diversa. Queste polemiche non tenevano conto di che cosa venne prospettato a me e al prof. Tito Varisco dalla ditta, la Rus- sotti, che aveva vinto la gara per un appalto chiavi in mano. La ditta aveva seguito il progetto del prof. Calandra fino all’altezza della coper- tura. Cosa prevedeva il progetto? Il progetto prevedeva un auditorio a cavea unica. Era un disegno ele- gante, razionalista che non teneva conto però delle esigenze teatrali. Di- fatti mancando la torre scenica non sarebbe stato possibile effettuare il cambio delle quinte portandole, come si dice in gergo teatrale, in prima. Cioè sollevandole all’interno della torre fino a scomparire dalla vista10 Trent’anni24 aprile 1985 24 aprile 2015
dello spettatore. Il progetto era funzio-nale per un auditorio ma non per unteatro d’opera.Quando emerse questo punto di vista?Emerse quando la Russotti che avevaaffidato il subappalto della macchinascenica alla Decima, una fra le mi-gliori ditte di carpenteria metallica perteatri, fu messo in guardia che il pro-getto così com’era non poteva funzio-nare per un teatro d’opera. Russotti eramolto preoccupato e venne a trovarmi Gioacchino Lanza Tomasia Roma dove io ero direttore artisticodel Teatro dell’Opera assieme al sin-daco Andò. Risposi che avevo l’uomo giusto per dare un parere. Era al-lora direttore degli allestimenti scenici del Teatro il prof. Tito Varisco,unico ordinario di scenografia all’interno delle università italiane. Un so-pralluogo al cantiere confermò le perplessità della Decima.Cosa avvenne dopo ?A questo punto il partito conservatore fece pressioni per ripristinare unteatro a palchi. La nostra proposta, attesi anche l’avanzamento dei lavori,fu quella di costruire un teatro fine Ottocento con due file di palchi eduna vasta cavea superiore. Era il modello seguito verso la fin-de-siècleper il Teatro dell’Opera, il Covent Garden, e quasi tutti i teatri delloStrand di Londra. Venne quindi realizzata la torre scenica ed un pianoper uffici, che altrimenti avrebbero dovuto esser collocati fuori del tea-tro».A quel tempo tu eri stato designato a ricoprire il ruolo di direttore arti-stico. Fosti tu a volere Giuseppe Sinopoli a dirigere la Philharmonia Or-chestra di Londra in quel programma che comprendeva “I VespriSiciliani” di Giuseppe Verdi, Le Tombeau de Couperin di Maurice Ravele la V Sinfonia in do diesis minore di Gustav Mahler?La designazione di Giuseppe Sinopoli per l’inaugurazione sinfonica di-pendeva e dalla qualità dell’artista e dalla sua origine messinese. Sinopoliera di padre messinese e di madre veneziana. Aveva studiato musica aMessina con Gino Contilli. Era già attivo al Festival di Taormina che siavviava a diventare un grande evento internazionale. Le esecuzioni alTrent’anni 24 aprile 1985 11 24 aprile 2015
Teatro Greco-Romano di Elektra, scene di Aldo Rossi e regia di Giorgio Pressburger e di Lohengrin facevano sperare che il progetto di un festival internazionale collegato ai luoghi della civiltà classica era in procinto di decollare. Sinopoli era allora all’apice della carriera. L’esecuzione della V di Mahler fu invero memorabile». Ricordi quali sono stati i commenti sulla ristrutturazione del Teatro, in particolare di tutta la parte interna, ampiamente criticata, comprese le pareti tappezzate con moquette rosa? Le divergenze di opinione sul restauro del teatro perdurarono negli anni successivi e sono presenti ancora oggi. Il teatro doveva avere uno stile. L’interno doveva avere uno stile e questo fu identificato nella remini- scenza dei teatri dello Strand e di tutti quei teatri di rivista costruiti a fine Ottocento dall’Europa alle Americhe. Il color rosa shocking del parato discende proprio dai teatri vittoriani dello Strand. Era d’altra parte ne- cessario un raccordo fra la sala e l’affresco del Colapesce realizzato da Renato Guttuso. Anche su questo dipinto i contrari affermavano che era stata realizzata dall’assistente su un’idea di Guttuso. Non è assolutamente vero. Guttuso aveva fatto collocare nel suo studio romano un’intelaiatura sulla quale potevano esser collocati sei pannelli e potevano esser spostati in altezza e larghezza. L’ho visto molte volte al lavoro. La pittura del sof- fitto lo impegnò ed affascinò per più di un anno. L’assistente ha eseguito soltanto il ritocco delle giunture fra i pannelli dopo che vennero fissati alla tensostruttura del soffitto. Le sette sirene rappresentano il cuore della sua dipendenza femminile. Vi compaiono Marta Marzotto, la moglie Mi- mise ed alcune delle sue modelle preferite. Pittore della femminilità di seni e glutei Guttuso è qui in uno dei suoi momenti migliori. Soltanto Oskar Kokoschka nei Windliebenden ha raggiunto un risultato di questa levatura, e forse oltre. C’erano già sin d’allora problemi d’acustica, come avvertirà alcuni anni dopo il violinista Uto Ughi che ebbe a dire che non avrebbe più messo piede al V.Emanuele ? Il controllo acustico della sala era stato affidato ad un ingegnere della DDR. Egli compì vari sopralluoghi e stabilì le risonanze. Purtroppo il se- greto dell’acustica non è stato scoperto nel mondo occidentale e lo pos- siedono soltanto le sale giapponesi, o anche l’auditorio di Linz, la Breucknerhalle dovuto al finlandese Heikki Siren, la Suntori Hall di Osaka o il Teatro sul lago di Otsu. Uto Ughi ha protestato poi contro tutte le nuove sale costruite in Italia, da quella del rinnovato Teatro di San12 Trent’anni24 aprile 1985 24 aprile 2015
Foto Elisabetta Saija Teatro Vittorio Emanuele. Foyer 13
Carlo, all’Auditorio della Città della musica. La sua preferenza va al suono morbido e vellutato dei teatri antichi. Ma in occidente si è preferito incrementare le frequenze fra i 6000-8000 herz che danno un suono più brillante. Il problema però può esser migliorato. Lo si è fatto a Torino dove il piano acustico del prof. Sacerdoti è stato trasformato con interventi sulle riflessioni e ri- flettori acustici. Lo stesso dicasi per l’Auditorio della Città della musica realizzato dallo studio Müller. Qual è il tuo parere artistico-politico-culturale su questo Teatro? La decadenza dello spettacolo teatrale in Italia è generale. Le restrizioni economiche sono state costanti. Inoltre nel meridione i teatri hanno as- sorbito in blocco cooperative di impiegati d’or- dine. Se dovessi scrivere una storia dell’Italia contemporanea darei a quanto stiamo vivendo il titolo di “La corruzione democratica”. Una quota crescente delle risorse pubbliche viene destinata alle clientele elettorali della dirigenza politica. Come ebbi a scrivere su “Economia della cultura” il modello spagnolo delle coope- rative di servizio con contratti triennali ha dato risultati artistici superiori, con risparmi sui costi di circa il 30%. L’equiparare le professioni arti- stiche alla catena di montaggio è stato un errore. Il vero artista è un orgoglioso artigiano non un servo della gleba. Carlo Fuortes ha tentato di in- trodurlo al Teatro dell’Opera. Ma il continuismo (quel processo dell’antico PC che quando il Co- mitato Centrale cambiava linea i fedeli andavan dicendo che nulla era cambiato) lo ha bloccato. I teatri sono pieni di debiti e l’unica via di sal- vezza è quella di vederseli cancellati quando le rate del mutuo verranno in scadenza. Si è fatto tante volte, si farà ancora. Gigi Giacobbe14 Trent’anni24 aprile 1985 24 aprile 2015
“Seconda galleria” di Ninni Bruschetta Ero riuscito a prendere due biglietti in se- conda galleria, ma per noi era come stare in prima fila. Ci siamo vestiti eleganti. Io ero in smoking, con un cravattino Menphis, carta da zucchero con i triangoli neri, e la mia ragazza si presentò in car- rozza, con un vestito da sera dell’ottocento che credo avesse comprato da Così è se vi piace a Roma. Volevo morire. Non mi aveva detto niente e io mi vergo- gnavo come un ladro. Di certo aveva ragione lei perché aveva in- terpretato questa cosa in modo ironico e solenne al tempo stesso. Ma a me non piacciono le perfor- mance, forse per questo ho dedi- cato la mia vita al teatro. Perché il teatro ci protegge, ci consente di esprimere un pensiero, un’idea, una denuncia e qualsiasi altra cosa nell’ambito di una ritualità che ne esalta il valore. Forse biso- gna essere timidi per amare il tea- tro e di certo bisogna avere qualcosa di antico per chiedere ancora agli uomini di parlare da uomini, di comunicare a breve di- stanza, senza la mediazione di uno schermo, di un cavo o di una qualsiasi virtualità elettronica.Ninni Bruschetta e Giovanni Renzo Trent’anni 24 aprile 1985 15 24 aprile 2015
Non posso dire che allora non avrei mai pensato di essere direttore artistico di questo teatro. Mi sembrava impossibile, ma lo desideravo, lo so- gnavo. Lo sognai proprio quella sera ad occhi aperti, mentre guardavo le autorità prendere posto in prima fila usando un piccolo cannoc- chiale. Ma forse, negli anni a venire, non avrei mai sperato che il teatro continuasse ad esistere e trent’anni dopo fosse ancora così importante, determinante, direi, per tutta la società. Bisogna festeggiare il Teatro di Messina che compie trent’anni, ma bisogna festeggiare anche tutto il teatro che esiste e resiste in un mondo in Valeria Solarino e Ninni Bruschetta cui la modernità sta trasformando la catarsi in pornografia, in cui la morte in diretta è lo spet- tacolo più “cliccato”. Oggi il teatro mantiene il suo decoro intellettuale, racconta storie antiche e moderne e celebra ogni sera il gioco della vita, di cui è un simbolo grandioso. Perdonatemi la chiusura da presidente ameri- cano, ma non posso esimermi dal dire: evviva il Teatro ed evviva il Teatro di Messina!16 Trent’anni24 aprile 1985 24 aprile 2015
Sulla volta del teatro l’antefatto gioioso dell’epico mito di Colapesce «Quando ho accettato di fare questo lavoro su richiesta di Gioacchino Lanza Tomasi, ho pen- sato, trattandosi di Messina, di raffigurare in una visione aerea lo Stretto. Di raffigurarlo cioè in una prospettiva immaginaria con i miti legati a questo luogo. Innanzitutto le sirene. Natural- mente avevo pensato ai due famosi mostri di Scilla e Cariddi (...) ma non mi sembravano
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adatti per un teatro. Poi c’è un mito messinese,quello di Colapesce».Così Renato Guttuso racconta in un’intervista aRoberto Andò come nacque l’opera che decorai 130 metri quadrati della volta del Teatro “Vit-torio Emanuele” di Messina, che proprio nel2015 compie trent’anni di vita, dopo il lungooblio seguito al terremoto agli inizi del secoloscorso che risparmiò soltanto la facciata ottocen-tesca dell’edificio. E la ricorrenza è un’occa-sione per ricordare l’intenso rapporto del pittoredi Bagheria con la città di Messina. Intanto,come ebbe a dire lo stesso Guttuso, la cuimadre, Giuseppina D’Amico, era di origine mes-sinese, sin dall’infanzia sentì parlare della leg-genda di Colapesce e del terremoto del 1908,due cose che lo impressionarono molto.Quando Lanza Tomasi, che era allora sovrinten-dente del “Vittorio Emanuele”, propose all’artistadi dipingere il soffitto del rinascente teatro pelo-ritano, Guttuso accettò volentieri perché gli of-friva l’opportunità di riannodare i fili con unpaesaggio della memoria, un luogo che lui hasempre detto di amare molto.Marco Carapezza, figlio adottivo dell’artista, inun articolo pubblicato dalla rivista “Kalós” nel2000, narra come si sviluppò il lavoro di Gut-tuso riprendendo anche preziose dichiarazionitratte da sue interviste, la già citata di Andò eun’altra rilasciata a Giuseppe Quatriglio. Il pit-tore fece realizzare un plastico in scala del teatroe disegnò un grande bozzetto a forma di ferro dicavallo su cui effettuare i tagli e le partizioni chesarebbero servite per dipingere i pannelli dilegno da attaccare al soffitto del “Vittorio Ema-nuele”. Per la realizzazione del dipinto Guttusosi avvalse della collaborazione di Amedeo Bro-gli. L’opera fu portata a termine nel 1985, annoappunto dell’inaugurazione del “Vittorio Ema-nuele”. Al centro del dipinto, a catalizzare loTrent’anni 24 aprile 1985 19 24 aprile 2015
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sguardo dello spettatore, è la figura di Colapesce, straordinario uomo- pesce che secondo la leggenda sul fondale dello Stretto regge una delle tre colonne su cui poggia la Sicilia perché, essendo lesionata, rischia di crollare. A fare da corona a Colapesce, nell’atto di tuffarsi nelle acque dello Stretto, vi sono sette sirene ammaliatrici, giovani e belle donne con la coda di pesce. Adagiate sugli scogli delle due rive opposte, le sirene osservano Colapesce mentre s’immerge fra guizzanti delfini e pescispada in un azzurro mare spumeggiante. Il bozzetto guttusiano, risultato finale di un percorso creativo documen- tato da parecchi studi preparatori, pur essendo già una versione fedele al dipinto definitivo, come avverte il Carapezza, presenta qualche diffe- renza: i piedi palmati di Colapesce, il numero di sirene lungo le coste dello Stretto, la minore quantità di pesci. «Con gli acrilici che abbiamo adoperato - rivelava Guttuso nell’intervista a Quatriglio -, la scena verrà molto brillante. Verrà una cosa molto festosa, molto trasparente». A dire il vero, proprio questo è l’effetto che il dipinto offre nella volta “Vittorio Emanuele”, un’immagine piena di colore e di movimento in cui non c’è traccia del mito tragico riguardante le sirene e in cui Colapesce sfugge, come Ulisse, al loro fatale incantesimo. «Guttuso mette in scena - osserva Carapezza - l’antefatto prodigioso dell’evento drammatico: le sirene non seducono Colapesce. Egli è il loro compagno di giochi». Il legame dell’artista con Messina cominciò sul piano culturale sin dagli anni Trenta quando si consolidò l’amicizia con l’aeropittore futurista Giu- lio D’Anna. Primo punto di riferimento fu, sul viale San Martino, la li- breria D’Anna. Guttuso venne a Messina, su iniziativa proprio di D’Anna e di Gaetano Baldacci, per presentare nel 1935, in una delle sale di Vil- lamaria, il “Gruppo dei Quattro”, giovanile movimento artistico siciliano che propugnava un rinnovamento estetico in chiave realista contro i mo- delli “novecenteschi”. Ad ascoltarlo c’era un uditorio di prim’ordine al- lineante: dal critico d’arte Stefano Bottari all’orientalista Fosco Maraini e alla pittrice palermitana Topazia Alliata. Nel dopoguerra il rapporto di Guttuso proseguì con Messina e in un mo- mento creativo particolarmente felice per l’artista, artefice di quella “Scuola di Scilla” maturata sulla sponda calabrese dello Stretto che de- terminò una svolta ariosa nella sua pittura. A Scilla il pittore giunse nel 1949 per trascorrervi le vacanze estive. «C’erano Guttuso e Mazzullo con le rispettive mogli, Mimise e Concetta – ricorda il pittore scillese Giuseppe Marino –. E con loro arrivò pure l’assistente del pittore sici- liano, Saro Mirabella. Abitavano tutti insieme in una casa a due piani proprio sotto il castello a Marina Grande. La stanza superiore, con la ma-22 Trent’anni24 aprile 1985 24 aprile 2015
gnifica vista sul mare, divenne l’atelier di Gut-tuso e lui lì dipingeva. La famosa scena dei rac-coglitori di ragazzi, che poi vinse un importantepremio di pittura, Guttuso la dipinse a Scilla».Nacquero così i due famosi cicli dei dipinti diScilla, tra il ’49 e il ’50, in cui Guttuso, tutto con-centrato sulla luce metafisica dello Stretto e af-fascinato dagli intensi colori mediterranei, inlinea con l’“impegno” estetico propugnato dal“Fronte nuovo delle arti”, tornava ad attingerealla natura, all’attività giornaliera degli umili la-voratori, soggetti visti ora in una dimensioneepica e non senza suggestioni di una tradizioneclassica che aveva lasciato in quei luoghi “ome-rici” segni tangibili.Attorno a Guttuso si formò in quelle estati scil-lesi un vero e proprio sodalizio cui aderironoaltri artisti come Vincenzo Ciardo, GiovanniOmiccioli, Tono Zancanaro, lo stesso Marino.«Da Messina – ricorda lo scultore Mazzullo –non mancarono amici come Salvatore Pugliatti,Trent’anni 24 aprile 1985 23 24 aprile 2015
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il poeta Vann’Antò, Stefano D’Arrigo, AngeloFalzea, Vincenzo Palumbo, il giudice Guar-niera e altri».Da Scilla, Guttuso invece faceva delle pun-tate a Messina per incontrare gli amici e pas-sare qualche ora in lieto convivio allatrattoria Donna Giovanna o a chiacchierareai tavoli del leggendario caffè Irrera a piazzaCairoli. Fu particolarmente intenso il rap-porto di Guttuso con Messina proprio a par-tire dal biennio ’49-’50 sino alla prima metàdel nuovo decennio. Espose al “Fondaco”, lapiccola galleria ricavata nel retrobottegadella libreria dell’Ospe di Antonio Saitta cheospitava un fervido cenacolo culturale ani-mato da Quasimodo, Pugliatti e Vann’Antò.Nel ’51 il pittore di Bagheria si aggiudicò poicon il dipinto Il picconiere il premio “Città diMessina”, alla prima mostra nazionale di pit-tura e vinse una bella cifra per quei tempi:500 mila lire.Dopo la mostra e il premio, in una bellissimalettera del 5 novembre del ’51 inviata alpoeta-libraio Saitta e agli amici del “Fon-daco”, Guttuso scrive fra l’altro: «Ho sempreamato Messina, ma ora mi pare di amarla dipiù, di aver saputo, capito, di più, su quel chevi succede, su quel che è».Nel ’53, per la grande, indimenticabile mo-stra su “Antonello da Messina e la pittura del’400 in Sicilia” Guttuso diede, inoltre, il suoprezioso contributo permettendo, in virtù diun suo provvidenziale intervento presso l’am-basciata romena, l’arrivo di un dipinto, laCrocifissione di Sibiu, allora difficile da otte-nere per via diplomatica in quanto si trovava,in pieno clima di “Guerra fredda” tra ilmondo occidentale e il blocco sovietico, aldi là della cortina di ferro. Sergio PalumboTrent’anni 24 aprile 1985 25 24 aprile 2015
Giuseppe Sinopoli26 Trent’anni24 aprile 1985 24 aprile 2015
Gli aneddoti e la suggestiva atmosferadi quella indimenticabile serataDopo un’attesa durata quasi ottant’anni, lasera di mercoledì 24 aprile 1985 le portedel Teatro Vittorio Emanuele si spalancanoe vivide luci si proiettano sullo slargo anti-stante, per l’occasione chiuso al traffico.Altre luci, quelle del salone al primopiano, ben visibile dalle grandi vetrate,illuminano quest’angolo di città che troppoa lungo ha visto ergersi, buio e inanimato,il suo massimo teatro lasciato all’incuriadel tempo e degli uomini. Sono tanti i mes-sinesi radunati in via Garibaldi. Tra la folladei curiosi, davanti a uno sparuto e pernulla aggressivo gruppo di contestatori sfi-lano, come in passerella e in rigoroso abitodi gala, le centinaia di spettatori che hannofatto nei giorni precedenti file estenuanti,fin dall’alba, per acquistare il biglietto -niente “omaggi”- per questa sera eccezio-nale, il cui incasso è devoluto alla CroceRossa Italiana. Tra molti volti noti e figureistituzionali si fanno strada, visibilmentecommossi, quei vecchi messinesi, come ilsen. Oscar Andò, che il Vittorio Emanuelel’hanno conosciuto quando era ancora inattività, cioè prima del sisma del 1908.Uno scatto del fotografo Michelangelo Viz-zini immortala Nikita Magaloff accompa-gnato da Giuseppe Perez, presidente dellaFilarmonica Laudamo: giunto in città perTrent’anni 24 aprile 1985 27 24 aprile 2015
un recital, il celebre pianista russo non ha voluto mancare a un evento stra- ordinario qual é la riapertura di un teatro storico. All’ingresso del Vittorio Emanuele le Crocerossine porgono a tutte le signore un bel foulard in seta i cui disegni riproducono strumenti musicali: è un omaggio della Gazzetta del Sud e dell’editore Uberto Bonino “a ricordo della riapertura del nuovo teatro”. Prendendo posto in platea, nei palchi, nelle gallerie, gli spettatori hanno la sensazione di entrare in un tempio, in un luogo di antiche memo- rie. Ecco che gli strumentisti della London Philharmonia Orchestra salgono sul palco e si posizionano ai leggii. Dopo una breve attesa entra il primo violino: il suo smoking si distingue dagli altri perché arricchito da una fu- sciacca bordò. Qualcuno tra il pubblico - è un pubblico nuovo, che non ha ancora familiarità con le convenzioni teatrali - pensa si tratti del direttore d’orchestra e applaude più calorosamente. L’ingresso di Giuseppe Sinopoli è accolto da una vera ovazione. Non ha nemmeno quarant’anni questo stra- ordinario musicista che guida le orchestre internazionali più prestigiose; forse non tutti gli spettatori conoscono le tappe della sua folgorante carriera, ma in molti sanno che ha un padre messinese e che lui stesso ha abitato a Messina da ragazzo, compiendovi i primi studi musicali al Seminario Arci- vescovile sotto la guida di padre Alfonso Meli e di Alessandro Gasparini, or- ganista del Duomo. Al gesto imperioso della sua bacchetta la Philharmonia Orchestra attacca l’Ouverture de I Vespri siciliani di Verdi: in questo tripudio smagliante di suoni si celebra finalmente il vero rito della “consacrazione” del teatro. Al Vittorio Emanuele non si ascolterà mai più un’esecuzione così elettrizzante, così travolgente, e mai più gli spettatori saranno coinvolti in emozioni tanto profonde. Emozioni che gradatamente poi si stemperano du- rante Le Tombeau di Couperin di Ravel, partitura raffinatissima, forse troppo per una serata di gala. Sinopoli la legge come se dipanasse un merletto an- tico, dilatando i tempi per mostrare ogni intaglio prezioso. È possibile che, impaginando il programma per la riapertura del Vittorio Emanuele, egli abbia inteso questo nostalgico omaggio di Ravel alla musica francese del ’700 e alla memoria dei suoi amici caduti nella Grande Guerra, come una sorta di Tombeau per la stessa Messina annien- tata dal terremoto ma ora finalmente risorta, come ha ben mostrato la vigorosa Ouverture ver- diana a inizio di serata. Durante l’intervallo il pubblico prende dimestichezza con gli spazi in- terni del teatro; i commenti sono sulla musica ma più ancora sul Colapesce affrescato da Guttuso nel soffitto, sul granito dei pavimenti e sugli ar- redi: non saranno troppo moderni in rapporto al prospetto ottocentesco del Vittorio Emanuele?28 Trent’anni24 aprile 1985 24 aprile 2015
Giuseppe SinopoliTutto il secondo tempo del concerto è occupato dalla Quinta Sinfonia diMahler. La Philharmonia Orchestra ne dà un’esecuzione superba e per nullascontata: Sinopoli si trova qui nel terreno che gli è più congeniale, quellodel sinfonismo tedesco che, partendo da Wagner, attraverso Mahler conducealla Seconda Scuola di Vienna, nella quale egli si muove agevolmente, neglianni ’80, sia come interprete che come compositore. L’Adagietto, reso ce-lebre dal film Morte a Venezia di Visconti, commuove e conquista. Tutta lasinfonia è monumentale, eppure si vorrebbe che non finisse mai. Gli ap-plausi finali sono interminabili ma direttore e orchestra si congedano senzaconcedere bis: sarebbero fuori luogo, penso, in questa straordinaria serata.Una serata che ha un epilogo a Serre di Ganzirri, a Villa Rosa. GiuseppeUccello, presidente dell’Accademia Filarmonica, è amico personale di Si-nopoli e lo ospita, per l’occasione, a casa sua dove alcuni amici vengonoinvitati a raggiungerli per un dopo-concerto. Il direttore e la sua giovane,bella moglie Silvia Cappellini che è in attesa del secondo figlio, non si sot-traggono alle tante domande e alle dimostrazioni d’affetto di cui sono fattisegno; io riesco a parlare un momento con lui della sua ultima opera LouSalome. È già notte quando gli ultimi ospiti vanno via, ciascuno portandocon sé il ricordo di un accadimento memorabile nella storia della città. Alba CreaTrent’anni 24 aprile 1985 29 24 aprile 2015
Quella sera del 1985 cambiò per sempre la mia vita di Giovanni Renzo Da quando quella sera del 1985 il Teatro Vittorio Emanuele riaprì fi- nalmente i battenti la mia vita professionale cambiò per sempre. Fino a quel momento, avevo allora 22 anni, mi consideravo esclusiva- mente un pianista jazz, il mio obiettivo erano i locali fumosi dove si improvvisava fino a notte alta, non certo i palcoscenici dei grandi tea- tri con comode poltrone e palchetti riservati. Anche perché fino a quel momento non avevo avuto modo di fre- quentarne assiduamente uno. Non c’era. La frequentazione con la musica classica era limitata alla gremitissima Sala Laudamo, piccolo gioiello ma solo un surrogato di ciò che do- veva essere un vero grande Teatro. E così quella sera tutto cambiò. Le grandi orchestre, la musica lirica, la danza, i grandi eventi che rac- coglievano centinaia e centinaia di persone. Ma pensavo che mai e poi mai io sarei riuscito a salire su quel palco, meglio per me continuare a pensare ai jazz club dove fare tardi gua- dagnando pochi soldi. E invece, dopo appena due anni dalla riapertura mi arriva improvvi- samente l’opportunità di calcare proprio quel palcoscenico, e addi- rittura suonando jazz! Incredibile... Era l’autunno del 1987 e il Brass Group di Mimì Sidoti, instancabile organizzatore di grandi concerti jazz, decide di festeggiare la decima edizione del Messina Jazz Meeting, allora il più importante festival del sud Italia, proprio al Teatro Vittorio Emanuele. C’è in programma, tra le altre, una importante serata, un tributo al grande John Coltrane con i più importanti musicisti che suonarono con lui, Mc Coy Tyner, Elvin Jones, Freddie Hubbard. Serve un gruppo che apra la serata e il buon Mimì pensa di invitare il mio trio con Angelo Tripodo e Pippo Mafali. Noi accettiamo, anche se un po’ spaventati, non so ancora se per il timore reverenziale verso questi grandi musicisti o se per la re- sponsabilità di calcare un palcoscenico così importante. Arriva, dopo una lunghissima serie di prove concluse spesso con qual-30 Trent’anni24 aprile 1985 24 aprile 2015
che bicchierino di troppo per esorcizzare la paura, la sera del con-certo.Stiamo per salire sul palcoscenico, c’è tanta emozione, non ab-biamo idea di cosa ci aspetta lì fuori, quando sei in un jazz clubvedi subito quanta gente c’è, che facce hanno, spesso sono amici.Qui il sipario è abbassato, non sai cosa succederà quando si alza...Ecome se non bastasse, dietro le quinte i sorrisi forse beffardi o forsesolo d’incoraggiamento (almeno ci sforziamo di interpretarli così)di alcuni tra i più grandi nomi della storia del jazz che aspettanopazientemente che questi tre pivellini gli riscaldino un po’ il pub-blico.Non ho un ricordo ben chiaro di come suonammo quella sera, solouna cosa è rimasta impressa indelebilmente nella mia memoria, ilGiovanni Renzomomento in cui entrai in scena e andando verso il pianoforte gettailo sguardo verso la sala, gremita in ogni ordine di posti così comela prima galleria e ancora più su, in alto fin quasi a toccare il soffittoaffrescato, la seconda galleria. Mille persone, mai viste tante ad unmio concerto fino a quel momento. Una sensazione incredibile, unaimmagine vivida che ho ancora ben chiara e che ogni tanto cercodi ricreare quando faccio una visita alla sala deserta prima di re-carmi in ufficio a fare il mio lavoro di direttore artistico.E nel silenzio mi metto nella stessa posizione di quella sera, chiudogli occhi e quando li riapro per un attimo mi ritrovo in quella serad’autunno.Trent’anni 24 aprile 1985 31 24 aprile 2015
“Ho ricordi nitidi di quei giorni: un’esperienza indimenticabile!” (Giuseppe Sinopoli) Tornare a Messina, la città di suo padre, dove aveva trascorso l’infanzia e l’adolescenza: la città dove aveva frequentato prima l’Istituto delle An- celle Riparatrici (la Casa Madre di via S. Maria di Gesù inferiore) e, poi, il Seminario Arcivescovile (in cui aveva ricevuto i primi, fondamentali insegnamenti, anche musicali, con mons. Meli e con l’indimenticato maestro Gasparini) e dove aveva lasciato tanti amici (a cominciare da Francesco Montenegro, suo compagno di Seminario nonché vicino di casa, recentemente nominato cardinale da Papa Francesco). Possiamo solo immaginare cosa abbia provato Giuseppe Sinopoli quando seppe che gli era stato affidato il concerto che, il 24 aprile del 1985, avrebbe visto la riapertura del “Vittorio Emanuele”, dopo ben 77 anni di inopinata chiusura (concerto che sarebbe stato replicato il giorno dopo).32 Trent’anni24 aprile 1985 24 aprile 2015
Un’occasione imperdibile, per lui, per tornare nella città in cui era cre-sciuto, dunque, e da cui era andato via con l’intera famiglia, improvvi-samente (probabilmente per ragioni familiari), poco più di vent’anniprima, nel 1963, per raggiungere Venezia (la città della madre e in cui,peraltro, lui era nato nel novembre del 1946) e finire il liceo a Possagno(all’Istituto “Cavanis”); prima di iscriversi in Medicina a Padova (dove sisarebbe laureato nel 1971, con una tesi in Psichiatria).Contemporaneamente (più che parallelamente, che non rende l’ideadella formazione di Sinopoli), gli studi musicali (di Armonia e Contrap-punto) al Conservatorio “B. Marcello” e la frequenza dei corsi a Dar-mstadt, con Stockhausen, Maderna e Donatoni (del quale sarebbe puredivenuto assistente alla Chigiana, a Siena).Sinopoli ha quasi quarant’anni ed è una delle “bacchette” emergenti etra le più interessanti del panorama internazionale quando, su suggeri-mento soprattutto di Giuseppe Uccello (storico presidente e direttore ar-tistico dell’”Accademia Filarmonica” - scomparso lo scorso anno - chelo aveva conosciuto durante il suo soggiorno peloritano e che, avendonericonosciute le qualità e il forte carisma, non lo aveva più perso di vista,invitandolo in riva allo Stretto in più di un’occasione per seminari-con-certi negli anni Settanta), venne chiamato dall’amministrazione comu-nale del tempo (sindaco Antonio Andò), per dirigere il concerto dellariapertura del maggiore Teatro cittadino (nel mini-cartellone allestito per Teatro Vittorio Emanuele. La Philharmonia Orchestra di Londra (1985) Collezione Giuseppe UccelloTrent’anni 24 aprile 1985 33 24 aprile 2015
la primavera di quell’anno trovarono posto anche le attese performance di Ballet de Genève e Wiener Volksoper). Una scelta non casuale, insomma, ma che traeva spunto da lontano, dai trascorsi messinesi di Sinopoli (ai quali, unitamente a tutti i concerti tenuti in Sicilia - a cominciare da quelli legati a Taormina Arte, di cui diresse per quasi un decennio la sezione Musica – nella sua intensa carriera, ho dedicato un volume, “Nell’isola del mito. Giuseppe Sinopoli e la Sicilia”, edito da Taormina Arte nel 2005, in occasione della prima edizione del Sinopoli Festival) e dai rapporti solidi, di stima e amicizia, che aveva in- staurato sin dai suoi anni giovanili. E, a esibirsi con lui, non poteva che essere quella Philharmonia Orchestra di Londra alla guida della quale era subentrato, due anni prima, a Ric- cardo Muti: la “sua” orchestra, a cui sarebbe rimasto sempre particolar- mente legato e riconoscente. Nel programma, trovarono posto - anche in questa circostanza, e spesso quando si parla di Sinopoli, non a caso – la sinfonia da “I Vespri Siciliani” di Giuseppe Verdi (doveroso, e diremmo anche affettuoso, omaggio al- l’isola), “Le tombeau de Couperin” di Ravel (con cui il compositore volle ricordare, nel 1917, i compagni caduti in guerra) e la Quinta Sinfonia di Gustav Mahler (uno degli autori prediletti da Sinopoli). Sugli esiti, indelebilmente impressi nella memoria dei messinesi che eb- bero la fortuna di assistere alle due serate, ci piace comunque ricordare quanto scrisse sulle colonne della “Gazzetta del Sud” Marcello Passeri, storica firma del quotidiano, recensendo il concerto (Un’orchestra di no- bile suono per un mito tornato a vivere”, Gazzetta del Sud del 26 aprile 1985): <La Philharmonia Orchestra di Londra, preparata e guidata da Giuseppe Sinopoli con trascinante eloquenza di gesto, ha tenuto alto il suo prestigio - proseguiva Passeri - con limpida bellezza di suono, attenta e puntuale nella coloritura, nel gioco sottilissimo delle illuminazioni tim- briche, nello scatto innico della pienezza enunciativa>. Non amava molto (anzi, per nulla) parlare di se stesso, Sinopoli, e ancora meno delle sue emozioni: eppure, quando lo intervistai per Rtp il 16 lu- glio del 1997 al Teatro Antico taorminese, durante una pausa delle prove con una prestigiosa orchestra tedesca dal nome pressoché impronuncia- bile (la Saschsische Staatskapelle di Dresda), sollecitato sul concerto inaugurale del 1985, si lasciò scappare una frase - <Ho ricordi nitidi di quei giorni: un’esperienza indimenticabile!> - che la dice lunga su quanto quelle serate avessero rappresentato per lui. Matteo Pappalardo34 Trent’anni24 aprile 1985 24 aprile 2015
Per Giuseppe Sinopoli quella non fu una serata celebrativa ma Un fondamentale momento etico per la crescita della città“È un onore pensare che il mio nome rimarrà nella storia del Teatro Vit-torio Emanuele. È una grande emozione perché significa riaprire un di-scorso in una città – cui sono legato da profondi vincoli (mio padre èmessinese) – che per ingiustizia politica è stata privata di uno strumentofondamentale per l’evoluzione civile: un teatro nuovo che sia uno sti-molo di speranza per una nuova giustizia anche per il Sud”.Sono le illuminate parole che il maestro Giuseppe Sinopoli pronunciòtrent’anni fa, la mattina del 24 aprile 1985, a poche ore dalla serata inau-gurale del ricostruito “Vittorio Emanuele”. Un evento atteso per ben 76anni dai messinesi a cui il grande direttore di origini peloritane partecipòpiù che volentieri con la sua Philharmonia Orchestra di Londra. Era se-reno, quella mattina, Sinopoli, felice di essere il “padrino” del battesimodel teatro, ma soprattutto desideroso di dare un senso di “normalità”. Perlui non si trattava, quindi, di una enfatica serata celebrativa, ma di unabella e memorabile occasione per far tornare la musica nel teatro deimessinesi. Per questo aveva scelto di dirigere un programma di altissimaqualità ma senza indulgenze o strizzatine d’occhio al pubblico, quasidecontestualizzato dall’evento, però in linea con un “normale” concertosinfonico di un qualsiasi teatro raffinato.E Sinopoli spiegò bene la sua scelta: “È un programma per una serataseria, rivolta a un pubblico qualitativo che non ha bisogno di “boleri” o“patetiche”, perché Messina è sede di Conservatorio, di associazioni con-certistiche e ha buone tradizioni musicali”.Unica “concessione” al luogo, la sinfonia dei “Vespri siciliani”. E la spie-gazione di Sinopoli fu, come sempre, calzante: “Il nome di Verdi è fon-damentale per un teatro d’opera. Avevo pensato alla sinfonia dell’Aida,perché questa era stata l’ultima opera replicata qui prima della tragediadel terremoto del 1908. Si tratta, però, di un brano raramente eseguito,Trent’anni 24 aprile 1985 35 24 aprile 2015
Giuseppe Sinopoli36 Trent’anni24 aprile 1985 24 aprile 2015
che lo stesso autore ritirò e non amò. Sarebbe stato, quindi, un gestopoco simpatico nei confronti della volontà di Verdi. La scelta è così ca-duta sui “Vespri”, anche per l’ambientazione che riguarda la Sicilia, conMessina che fu, tra l’altro, una delle prime città a dare l’avvio all’insur-rezione. Invece il brano di Ravel “Le tombeau de Couperin” l’ho sceltoperché dà la possibilità di mettere in risalto le qualità solistiche dell’or-chestra. Infine la “Quinta” di Mahler: una sinfonia imponente, un puntointerrogativo consapevole, ideale per chi, come me, torna in una cittàpiena di ricordi. Non vivo mai un’esperienza solo dal punto di vista pro-fessionale, ma sempre anche da quello umano: io dirigo nel tentativo dipoter capire le ragioni per cui si vive. Mahler concepì la “Quinta” in unperiodo in cui sentiva il bisogno di dare voce sinfonica alle musiche dellastrada, ai rumori delle giostre del Prater viennese, alle bande. Ecco, lebande musicali, quelle le ricordo benissimo e quando ancora le associa-zioni concertistiche messinesi non operavano, erano l’unica fonte di dif-fusione musicale”.Sinopoli parlò a lungo di “Aida”, quell’opera rappresentata al Vittoriofino alla sera prima della tragica alba del 28 dicembre 1908. Nessunoavrebbe potuto mai immaginare che, per un crudelissimo segno del de-stino, la vita del maestro sarebbe cessata proprio mentre stava dirigendol’opera verdiana, sul podio della Deutsche Oper di Berlino, il 20 aprile2001. Non aveva nemmeno 55 anni. Ed è una vera disdetta non poterascoltare i suoi acutissimi commenti su questi trent’anni di attività delVittorio. In quell’aprile 1985 Sinopoli era poco meno che quarantenne,ma già universalmente stimato e di fama consolidata. Si soffermava a os-servare ogni particolare del ricostruito teatro messinese: “Si è seguito ilprincipio di un rinnovamento radicale e moderno: è molto meglio questo– commentava - che una parziale o pasticciata ricostruzione, che nonavrebbe mai potuto essere fedele e, oltretutto, sarebbe costata una follia.Certo, con qualche eccentricità in meno…”.Ovviamente per Sinopoli la cura maggiore era per l’acustica, con la con-sapevolezza di essere il primo a “testarla”. E rifletteva a voce alta: “Il Vit-torio Emanuele è un teatro d’opera, come tale può dare difficoltà quandoè sede di concerto. È normale, capita anche in teatri illustri. Abbiamoavuto dei momenti di preoccupazione, perché pensavamo di non trovareil giusto suono. Poi, invece, abbiamo studiato le soluzioni adatte. Seavessimo avuto sette giorni di prove, ci saremmo adeguati perfettamenteall’acustica del Vittorio che, comunque, darà molto travaglio alle orche-stre e ai direttori non navigati”.Trent’anni 24 aprile 1985 37 24 aprile 2015
Foto Elisabetta Saija Teatro Vittorio Emanuele. Sala Sinopoli38 Trent’anni24 aprile 1985 24 aprile 2015
Uomo dalla cultura vastissima e dalla personalità carismatica, Sinopoliconsiderava i fenomeni artistici in ogni loro aspetto, senza mai disgiun-gerli dalla realtà: “Ho avuto l’impressione, da quando sono arrivato quia Messina, di percepire attorno al teatro pressioni per interessi non mu-sicali. Spero che vengano respinte, e che i cittadini si mettano insieme,al di là delle diverse visioni, per valorizzare le cose buone che ci sonoin questa città. La cosa veramente difficile è trovare un rapporto traproduzione, istituzioni e forze musicali esistenti. Ad esempio, in questafase non credo sia opportuno realizzare un’orchestra stabile, a menoche non si faccia in modo affrettato, riunendo ottanta persone che poi,con le leggi che ci sono in Italia, sarebbe impossibile mandar via. Per iprimi anni si dovrà andare avanti con orchestre e produzioni ospiti. Leistituzioni del teatro dovrebbero essere molto agili e funzionali. Qua-lunque decisione va comunque presa senza fretta: c’è una cosa cheparte da zero ed è un’occasione quasi irripetibile e bisogna farla cre-scere bene”.Pensieri di trent’anni fa che risuonano profetici e attualissimi. Grazieancora, maestro Sinopoli. Franco CiceroTrent’anni 24 aprile 1985 39 24 aprile 2015
L’inaugurazione “Nessun taglio del nastro né, tantomeno, inviti illustri per inutili passerelle” Intervista al sindaco di allora Antonio Andò40 Trent’anni24 aprile 1985 24 aprile 2015
Collezione Giuseppe Uccello 41 Trent’anni 24 aprile 1985 24 aprile 2015
“La riapertura del Teatro Vittorio Emanuele non rappresentava per l’Am- ministrazione Comunale dell’epoca un evento da festeggiare con ecces- sivo entusiasmo: semplicemente la città aveva subito un torto che doveva essere ripagato”. L’ex sindaco di Messina Antonio Andò ricorda con or- goglio il momento della nuova inaugurazione del principale teatro citta- dino, dopo decenni di semiabbandono, una restituzione tanto attesa per una città privata dalla fine della seconda guerra mondiale di un punto di riferimento unico per tutto il proprio movimento culturale. Quali furono le principali difficoltà da superare prima di giungere al giorno della riapertura ufficiale? Il mio predecessore, Giuseppe Merlino, iniziò a porre le basi per rimet- tere in moto la ristrutturazione del Vittorio Emanuele. Quando subentrai vi erano numerose pastoie burocratiche da superare tra contenziosi e piccoli interventi rimasti in sospeso: decidemmo dunque di investire le risorse a disposizione del Comune per restituire definitivamente a tutti i messinesi uno dei propri simboli culturali. I lavori vennero compiuti in tempi molto celeri, appena due anni, e si conclusero con un paio di mesi di anticipo rispetto alla scadenza inizialmente programmata. Il Sindaco di Messina Antonio Andò intervistato prima dell’inaugurazione da Orazio Costa Collezione Giuseppe Uccello42 Trent’anni24 aprile 1985 24 aprile 2015
Cosa ricorda della serata d’inaugurazione?L’idea dell’Amministrazione Comunale era quella dicelebrare questo evento con estrema sobrietà: nessun taglio del nastro né, tanto- meno, inviti illustri per inutili“... voglio ricordare che tutti passerelle. Chiaramente eranopagarono il biglietto per un in- presenti i rappresentanti dicasso che venne devoluto inte- tutti i livelli istituzionali e ci ar-ramente in beneficenza” rivarono tanti ed affettuosi messaggi da tutta Italia, ma vo- glio ricordare che tutti paga- rono il biglietto per un incassoche venne devoluto interamente in beneficenza.Quella sera fu anche la prima occasione utile per poterammirare la volta realizzata da Guttuso, un ulterioremotivo di orgoglio per un evento atteso per troppotempo da tutta la cittadinanza. Ricordo come Leo-nardo Sciascia fu uno degli intellettuali siciliani più vi-cini ed attenti alla rinascita del teatro di Messina:mandava spesso messaggi per informarsi sullo statodei lavori e sugli obiettivi raggiunti, mostrando conti-nuamente affetto e sincero interesse.Lo sviluppo che poi ebbe il teatro cittadino rispecchiòle intenzioni che avevate in programma?Molte cose sono cambiate rispetto ai nostri proponi-menti iniziali: originariamente avevamo pensato direalizzare una scuola di perfezionamento per il bal-letto pronta a divenire nel tempo un punto di riferi-mento di carattere nazionale ed internazionale,mentre non era prevista un’Orchestra stabile. La nostraidea era quella di stringere accordi con Palermo, Ca-tania e Reggio Calabria per uno sviluppo comunedelle nostre eccellenze in collaborazione con l’Orche-stra Sinfonica siciliana. In seguito vennero fatte altrescelte e l’Ente divenne regionale incardinandosi cosìin parametri diversi per regolamentazioni, obiettivi esviluppo. Domenico Colosi Trent’anni 24 aprile 1985 43 24 aprile 2015
E la festa continua nei giorni successivi Tre serate di balletto e due di concerti di gala Dopo il concerto inaugurale della London Philharmonia Orchestra diretta da Giuseppe Sinopoli (replicato il 25 aprile), i programmi per i festeggia- menti per la riapertura del Teatro Vittorio Emanuele continuarono con una mini stagione che includeva tre serate di balletto e due di concerti di gala. La compagnia del Gran Ballet du Thèâtre de Genève, diretta dal coreo- grafo Oscar Arais, presentò dal 16 al 28 aprile il suo corpo di ballo al com- pleto, che tanti successi aveva riscosso nei teatri dell’America del Sud. Il complesso si esibì in Canto Jondo su musica di Carlos Surinach, l’Ada- gietto della Quinta Sinfonia di Gustav Mahler, Tango (adattamenti musicali di tanghi popolari argentini di Atilio Stampone con i fantastici e colorati costumi e scene di Carlos Cytrynowski) e in una spettacolare ed entusia- smante edizione de Le Sacre du Printemps di Igor Stravinskij. I complessi della Wiener Volksoper (Opera Popolare di Vienna), si esibi- rono con successo invece nei giorni 3 e 4 maggio in quella che è notoria- mente la loro sfera di competenza: l’operetta, la commedia musicale, l’opera buffa e semiseria romantica tedesca. Di notevole prestigio la com- pagnia venuta per l’occasione a Messina con ottimi cantanti solisti, un coro straordi- nario affiancato alla celebre e affiatatissima orchestra che, sotto la bacchetta del diret- tore d’orchestra Rudolf Bibl, allievo del grande Hans Swarowsky, interpretarono con successo pagine celebri tratte da Il Pi- pistrello e Lo zingaro barone di Johann Strauss, La bella Galatea di Franz von Suppè, Il mercante di Uccelli di Carl Zeller, La guida turistica di Carl Michael Ziehrer, Il Paese del Sorriso e Il conte di Lussem- burgo di Franz Lehàr. Il famoso baritono Karl Dönch, direttore della Wiener Volkosper, fu il protagonista Rudolf Bibl44 Trent’anni24 aprile 1985 24 aprile 2015
Wiener Volksoperapplauditissimo della canzone popolare Due cuori a tempo di trequarti. Venne quindi eseguito il celebre Sul bel Danubio blu di Jo-hann Strauss e la serata si chiuse con il pubblico messinese festanteche danzò con i ballerini del complesso austriaco mentre gli spetta-tori che erano rimasti ai loro posti scandivano con gli applausi le notedella Marcia Radetzsky.Il 7 gennaio 1986, a distanza di ben 78 anni, il grande palcoscenicodel Vittorio Emanuele ospitò un’intera opera lirica: l’Aida di GiuseppeVerdi, ultimo spettacolo dato la sera del 27 dicembre 1908 prima delsisma. Con l’orchestra, il coro e il corpo di ballo del Teatro Wielki diLodz diretti dal maestro polacco Tadeusz Kozlowski, si esibirono ilsoprano Maria Chiara (Aida), reduce dai successi ottenuti nello stessoruolo alla Scala di Milano, il grande mezzosoprano Fiorenza Cossotto(Amneris), il tenore Nunzio Todisco (Radames), il baritono Jean-Phi-lippe Lafont (Amonasro) e il basso Ivo Vinco (Ramfis). Giovanni MoloniaTrent’anni 24 aprile 1985 45 24 aprile 2015
Nel 1968 iniziarono i primiradicali e violenti intervential Vittorio Emanuele Quasi per una sorta di nemesi storica, il disa- stroso terremoto del 28 dicembre 1908 rispar- miava interamente il tea- tro Vittorio Emanuele su cui, in seguito, si sarebbe accanita la follia distrut- tiva degli uomini con gravi scempi, sventra- menti e notevoli mano-Teatro Vittorio Emanuele, inaugurato nel 1852 missioni che ne hanno sensibilmente alteratol’originaria fisionomia.Al teatro Vittorio Emanuele sono legati i ricordi della mia infanzia che,per una curiosa coincidenza, affondano le radici nel vissuto della miafamiglia e dei miei avi essendo stato mio bisnonno maestro di cerimoniedel Circolo della Borsa che prima del terremoto del 1908 lì aveva sede.Mio padre, nato l’8 dicembre del 1907, mi raccontava di essersi salvatodal sisma perché si trovava dentro il teatro dove aveva abitazione ilnonno. Il terremoto, infatti, non provocò gravi danni e crollò soltantoparte della torre scenica che prospettava sul corso Cavour.Nel 1943 il teatro subì danneggiamenti nel suo complesso dai bombar-damenti aerei della Seconda guerra mondiale e, nel maggio 1952, Lapide commemorativa già esposta nel Salone della Borsa che aveva sede al Teatro46 Trent’anni24 aprile 1985 24 aprile 2015
Interno del Teatro Vittorio Emanuele dopo il terremoto 47 Trent’anni 24 aprile 1985 24 aprile 2015
L'interno del Teatro Vittorio Emanuele nel 1930 l’impresa Ciocchetti e C. di Roma, vincitrice dell’appalto di ristruttura- zione, nel corso dei lavori realizzò anche un’ossatura metallica d’irrigi- dimento composta da travi a traliccio e ricavate due nuove gallerie in cemento armato. I lavori, seguendo un inutile progetto finalizzato ad am- pliare il numero di posti, portarono purtroppo al criminale smantella- mento di quasi tutti i rivestimenti lignei e di due file di palchi. Negli anni Cinquanta, per la precisione 1958 e 1959, insieme ai miei compagni (essendo io cresciuto nella casa natale di via Argentieri angolo via Pozzo Leone, accanto al teatro) giocavamo dentro il teatro e ci bur-48 Trent’anni24 aprile 1985 24 aprile 2015
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