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Indisciplinata

Published by Postmedia Books, 2020-03-17 10:41:02

Description: For Manuela Piccolo this is the attempt to trace a theory of indiscipline, breaking the logic of the term, digging its roots and involving artists and critics within the Italian art system. Individuals aware that artistic strategies must leave room for conceptual strategies. The interviews in the book are those of Franco Vaccari, Premiata Ditta, Armando Marrocco, Cesare Pietroiusti, and Lea Vergine. For Pippa Bacca and Giuseppe Chiari the story was elaborated on testimonies. The sum of the experiences gathered wants to create a theoretical framework that seeks to destabilize and then rehabilitate the relationships among the art system, artistic practices and socio-cultural-political activism.

Keywords: art system,italian art,interviste,postmedia books

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MANUELA PICCOLO isbn 9788874902644

INTRODUZIONE GIORGIO VERZOTTI 9 13 ARTE CONTEMPORANEA 17 TUTTI GLI ARTISTI SONO ARTISTI 21 E POI OGGI L'ARTE 27 L'ATLANTE UMANO 33 LEA VERGINE 37 FRANCO VACCARI 45 RACCONTARE GIUSEPPE CHIARI 59

PREMIATA DITTA 65 ARMANDO MARROCCO 75 RACCONTARE PIPPA BACCA 83 CESARE PIETROIUSTI 91 BIBLIOGRAFIA 101 SITOGRAFIA + FILMOGRAFIA 103 NOTE IMMAGINI 105 RINGRAZIAMENTI 107

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INTRODUZIONE GIORGIO VERZOTTI Quando mi definiscono uno storico dell’arte io correggo sempre, non lo sono perché non ho fatto studi regolari, né di arte né di nulla; ho fatto l’università negli anni Settanta, quelli della politica, delle mani- festazioni di piazza, spesso capaci di far cadere i governi (il fermo di polizia, ve lo ricordate?) in quanto molto molto frequenti. Passare gli esami era sempre un azzardo, l’impegno non era dimostrare di aver studiato ma mascherare al meglio l’impreparazione, per mancanza di tempo. Sono arrivato all’arte per caso, da liceale volevo occuparmi di teatro ma Storia del teatro in Statale non c’era, c’era in Cattolica ma allora lì non si andava, per cui il mio bisogno di estetica (posso chiamarlo così?) mi ha spinto verso l’Istituto di Storia dell’arte dove c’era la cattedra di Storia della critica d’arte con Marisa Dalai Emiliani. Lì ho “autogestito” io stesso dei seminari, affollati, di storia del teatro contemporaneo e quando è venuto il momento di svolgere la tesi in accodo con la mia professoressa ho scelto la body-art come argomento, ma da un punto di vista che con a storia della critica on c’entrava niente, era una tesi schizofrenica in due parti, una descrittiva delle azioni artistiche e una che sembrava un trattato di antropologia mescolata alla psicanalisi, la mia passione di allora. Credo di essermi laureato con 110 e lode solo perché quelli erano i tempi, l’università tollerava queste forme di vera e propria indisciplina per quieto vivere, dopo infatti ho saputo che tutto è stato molto più disciplinato. Marisa Dalai mi diceva voi facevate casino ma pensavate, gli studenti dopo di voi sanno l’esame a memoria ma non ragionano con la loro testa. Non avevo una preparazione da critico d’arte, anche se strana- mente mi sono trovato a fare il mestiere previsto dal corso di laurea, e non ce l’ho ancora adesso. Chi non ha studiato a tempo debito la VII

cultura se la fa dopo, diventa un autodidatta forzatamene disorganico ma, aggiungo io, molto più libero. La verità è che mi sono sempre lasciato condurre dalle affezioni dell’anima, principalmente dalla più pericolosa, la noia. Voglio sottolinearlo, non sono mai stato uno spe- cialista di alcunché non per scelta ma per istinto. Detto questo è “inquadrato” il personaggio non stupirà se dico che ho accettato subito di seguire la tesi di Manuela Piccolo, di cui questo libro è uno sviluppo, dedicato al tema della non-disciplina: gli artisti che sarebbero stati trattati si confanno pienamente col mio spirito. Intendiamoci, in causa c’è una questione seria che riguarda il sapere e come lo si costruisce, per meglio dire come lo si incarna, in modo che diventi veramente il motivo e il motore di un’esistenza. Alcuni di noi assumono il sapere come una pratica legata alla vita e ai suoi accidenti invece che alla preparazione accademica e poi di una pratica professionale che ci rende specialisti in un orizzon- te esperienziale esclusivo. Certo, c’è il problema del dilettantismo, ma noi operiamo nel campo della creatività artistica, non facciamo operazioni chirurgiche a cuore aperto; certo, per trasgredire una norma bisogna conoscerla, ma noi non siamo interessati a passare la vita a fare i trasgressivi. Ascoltiamo piuttosto quello che ci dicono i personaggi raccolti in questo libro. Lea Vergine, posta giustamente all’inizio in una sorta di introduzio- ne, ci ricorda che per fare bene il critico d’arte bisogna frequentare diverse altre discipline, a cominciare dalle arti limitrofe per includete poi le metodologie, derivate dalla frequentazione di filosofia, socio- logia, psicanalisi e quant’altro. Non per una questione di sfoggio di cultura, ma perché gli artisti stessi con le loro ricerche richiedono questa apertura di orizzonti: ogni artista è un universo di senso che chiama in causa le più diverse discipline, la scienza per esempio, la tecnologia avanzata oppure la religione, il folklore, l’antropologia, la linguistica. Bisogna essere allenati. Parlavo di istinto: fra gli artisti trattati da Manuela Piccolo forse solo Giuseppe Chiari è stato un grande indisciplinato per scelta, una grande trasgressore proprio perché le regole le conosceva bene; gli altri sono un po’ come me, si sono mostrati sempre insofferenti a una VIII INTRODUZIONE GIORGIO VERZOTTI

ortodossia per pura disposizione d’animo, senza voler fare sciente- mente la rivoluzione, e a volte riuscendo a farla proprio perché non era un loro obiettivo. C’è però un tratto comune che vorrei sottolineare e che arricchisce di significato l’idea stessa di indisciplina: tutti gli artisti considerati rifiutano per prima cosa il ruolo da sempre loro assegnato, appunto, dalla disciplina: al di là delle scelte espressive, essere artista secon- do la tradizione significa incarnare un’idea prometeica delle proprie facoltà creatrici tale da rasentare l’ardua posizione del genio (vedi Kant), con i correlati classici di unicità e grandezza. Come è noto, proprio questo ruolo viene rifiutato è con esso tutte le afflizioni di una soggettività ipertrofica, in favore di una ridefinizione totale dello stesso lavoro artistico. Condizione sine qua non, un diverso rapporto col pubblico, anzi per meglio dire con la collettività, spesso coinvol- ta nel modo più incondizionato: il soggetto creatore si fa multiplo, diventa un detonatore di reazioni altrettanto creative poiché l’opera si apre alla collaborazione attiva del pubblico. Ciò avviene attraverso la socializzazione dei mezzi espressivi, come fa Chiari che semplifica al massimo l’approccio allo strumento musicale, e soprattutto col coinvolgimento diretto degli “altri”: Marocco, Pietroiusti, Premiata Ditta, Vaccari vanno decisamente, anche se con gradualità diverse, in questa direzione. È un modo per far entrare l’arte nella vita, e vice- versa, fuori da ogni idealismo e da ogni istanza da anima bella. Anzi. Essere indisciplinati significa anche aprirsi al rischio che la vita prevalga col suo carico di negatività. La tesi di Manuela Piccolo e il suo libro sono ugualmente dedicati alla memoria di Pippa Bacca. IX

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La definizione canonica del termine Indisciplina vuole che questa sia il “mancato rispetto delle norme, specificatamente quelle relative all’ordine”1. Ad una prima lettura tutte le cose sono più semplici, o più complicate; tutto dipende dall’occhio che le osserva. La parola indisciplina contiene in sé tutte le norme che si stanno evadendo, così come contiene in sé la parola disciplina, comprendendone la sua idea di rigore e escludendola al tempo stesso. Una connessione strettissima. Nonostante le difficoltà logiche che si creano da orizzonti diversi i due termini possono essere concepiti in maniera comple- mentare e non antagonistica. Non si può essere indisciplinati, per quel che si vuole provare ad intendere in questo scritto, senza aver conoscenza della disciplinarità. Edgar Morin definisce Disciplina “una categoria organizzatrice in seno alla conoscenza scientifica”, come se ad una disciplina corri- spondesse un solo ambito del sapere omogeneo, tale da poter essere raccolto sotto un’unica etichetta epistemologica. Qui la disciplina si trasforma in oggetto di apprendimento o di insegnamento, recuperando così la sua etimologia, dal latino disce- re, imparare. La tonalità di disciplina che si vuole indagare in questa sede è quella caratteristica che appartiene alla natura delle persone o delle cose e che implica la formazione di numerose abilità cognitive. Non quella che l’individuo applica ma quella che ha in sé. O che ha scelto di non avere più. Una sorta di rivoluzione. Avviene che ogni disciplina sconfini in un’altra, i concetti circola- no, tracciano percorsi paralleli che tendono ad un fine comune grazie all’unione dei diversi contributi. Innumerevoli sono le migrazioni di idee e di concezioni, le simbiosi e le trasformazioni teoriche dovute a XI

questo tipo di spostamenti. La maggior parte delle discipline che con- sideravamo ibride oggi sono autonome. Accade che alcuni concetti attraversino segretamente le frontiere, fecondino nuovi campi del sapere e lì mettano le radici. Una nozione non ha pertinenza soltanto nel campo disciplinare in cui è nata, è la storia della “inter-trans-poli- disciplinarità” come la definisce Edgard Morin nell’ Elogio dell’inter- disciplinarità2. Il momento storico in cui ci troviamo è frenetico, gli impulsi che riceviamo sono molti, troppi. Le frontiere disciplinari si sono prima crepate e poi rotte del tutto, le abbiamo viste sgretolarsi ed è necessario oggi provare a ridefinirle. Oppure, la visione della stessa storia che se ne può avere è di un sistema organico che ha avviato degli scambi e delle cooperazioni tra i vari ambiti del sapere, come a voler ecologizzare le discipline stesse. XII

Se negli ultimi cinquant’anni, si sono creati e di vari ponti tra le scien- ze che prima non comunicavano, originando questa moltitudine di saperi, dovremmo coglierne i frutti e sfruttare la poli-competenza che ne deriva. Oggi, che le discipline sono più esposte alle dinamiche di trasfor- mazione e cambiamento di prospettiva, è necessaria una riflessione critica, occorre una maggiore consapevolezza, sottolineando l’impor- tanza dell’incrocio fra più discipline, della ricerca e della formazione, e della mediazione fra diversi punti di vista. Non si tratta solo di discipline diverse che si affiancano e coope- rano, come nel caso dell’interdisciplinarità, ma a più ampio spettro, di un ribaltamento delle definizioni del sapere e dell’agire. Perché gli interrogativi cognitivi non possono trovare risposta nei singoli saperi ma in una configurazione della disciplina che sia mobile, in continuo movimento, che progredisca dalle parti al tutto e regredisca dal tutto alle parti, o almeno a questo dovremmo ambire, con l’obiettivo mul- tiplo che ognuno persegue. La complessità intrinseca della natura e della società, l’esplorazione, la ricerca così come i collegamenti tra discipline dovrebbe fare da leva alla società contemporanea. Società che dovrebbe agire come un gruppo costituito da ricercatori formati in differenti campi del sapere con concetti, termini, metodi e molteplici dati, guidati da un impegno comune che lavora attraverso un’intercomunicazione continua. L’esigenza dell’azione di gruppo nasce della natura complessa del sapere. 1. Il Sabatini Coletti - Dizionario della Lingua Italiana. 2. Edgar Morin, Elogio dell’interdi- sciplinarità, Lettera Internazionale trimestrale europeo di cultura Numero 62, Roma, 1999, pag. 14 – 16. XIII

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ARTE CONTEMPORANEA Il campo in cui si è scelto d’agire è l’arte contemporanea perché lì convergono una moltitudine di luoghi del sapere. Scrive Anna Detheridge1: La nuova arte cerca la propria semantica nell’agire, nella dimensione quotidiana, un pensiero critico adeguato richiederà una compren- sione più completa del legame intimo tra concetto e valore, dell’in- terconnessione tra estetica ed etica anche da parte dell’osservato- re-partecipante. Infatti, l’opera dell’artista contemporaneo si fonda sull’interdisciplinarità, sulla conoscenza sistemica aperta, su un’epistemologia ecologica e relazionale. L’arte contemporanea è conoscenza e modo di pensare, è “ragione che pensa a sé stessa e ragione partecipativa”2. Le differenti forme che assume, del fare, del sentire, del pensare, dell’agire razionale e\\o irrazionale, dell’esprimere, del comunicare, del gustare o del conferi- re il bello-brutto, permettono di considerarla un campo minato dalle più svariate materie. Come se si utilizzasse una sola lente, che può essere sfruttata in modo cognitivo e pratico. L’arte ha la capacità di arrivare dove altre discipline di studio non oserebbero mai: osserva affascinanti anomalie, introduce quesiti impensati, offre una visione ampia e trasversale della conoscenza. L’arte contemporanea fa da incubatrice ad una serie di situazioni, una pluralità di sguardi e lin- guaggi, che rispondono ai quesiti interessati. S’innesta in contesti transitori, in luoghi impermanenti, frammentati, assenti. Possiede in XV

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TUTTI GLI ARTISTI SONO ARTISTI L’arte contemporanea è un’età aperta in cui, con l’immissione nel cir- cuito artistico di forme e materiali considerati tradizionalmente estra- nei all’arte, si perde completamente la separazione tra arte e società. Duchamp, agli esordi del ventesimo secolo, rivoluziona il concetto di artista, di opera, di valore, capovolgendo il paradigma arte\\artista. Con il suo gesto dissacrante del ready-made, sconvolge le basi su cui si fondava l’arte fino a quel momento. In quest’azione la scomparsa dell’autore, genera caos, contrapposizione, straniamento. A New York nel 1915 prende una pala da neve su cui scrive In advance of the broken arm. Duchamp acquista la pala in un emporio, questa tecnica è volta a de-soggettivare l’oggetto e creargli una nuova soggettività, una nuova significazione. Il titolo dell’opera d’arte, e la sua funzione, subiscono lo stesso processo, sono trasformati, hanno come obiettivo quello di condurre lo spettatore verso altri universi immaginifici senza la necessità di aggiungere nient’altro. La modalità principale è stata quella del ready-made, dell’oggetto bello e fatto, riconosciuto, prelevato e spiazzato dalla sua funzione corrente per essere immesso in un campo d’intensità, che è quel- lo dell’arte. L’objet trouvé acquista statuto altro mediante il gesto di cleptomania mentale, eseguito dall’artista che utilizza l’oggetto quotidiano per una pratica tutt’altro che quotidiana, quella dell’im- maginario. Ma cambiare funzione, prendere di contropiede l’oggetto quotidiano, significa fondare un estraniamento che diventa il nuovo valore, in quanto determina un mutamento di segno, collegato al suo iniziale valore d’uso 1. XIX

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E POI OGGI L’ARTE La dimensione estetica e la dimensione immaginativa sono ovun- que. Le dinamiche sociali le hanno assorbite completamente fino a farle morire. O, almeno, fino a far morire la versione che la modernità occidentale è abituata a conoscere e ad istituzionalizzare nel corso dei secoli. Assistiamo quindi alla fine della separazione degli ambiti estetici, chiusi nel mondo dell’arte e accessibili a pochi. Se la dimensione estetica, la dimensione sensibile ed emozionale dell’esperienza, assume un’importanza sempre maggiore è proprio perché l’assetto sociale stesso ad esserne impregnato. Di fronte all’e- spansione dell’arte, nell’epoca dell’esperienza estetica, bisogna chie- dersi quale sia la sua importanza sociale e politica. Il problema è che quel che viene meno non è solo la possibilità di distinguere fra arte e non-arte, fra buona e cattiva arte, appellandosi all’universalità del giu- dizio di gusto, come insegna Kant ma, più drasticamente, la possibilità di distinguere fra la realtà e la sua riproduzione, fra la realtà e la rappre- sentazione. Un cambiamento che segna un’involuzione, un processo di impoverimento culturale, nient’altro che una de-culturazione, con la sostituzione dei rapporti simbolici con identità immaginarie il più delle volte completamente vuote, create su segni senza significato 1. L’estro creativo, così come la fantasia, oggi non sono più caratteri- stiche richieste esclusivamente agli artisti, il mercato si è espanso, ed è successo quando si è mercificata l’esperienza immateriale, con qualsiasi aspetto della vita che si trasforma in prodotto, scambiando i legami sociali, interpersonali e affettivi in rapporti economici. Ed è a partire da questa esperienza, che è facile comprendere buo- na parte delle pratiche artistiche contemporanee, che non si basano sulla produzione di opere quanto sulla post-produzione. XXV

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L’ATLANTE UMANO L’intento è di procedere sulla scia dell’antropologo britannico Alfred Gell, secondo cui è importante cambiare il significato di arte che tutti intendiamo. Perché l’arte non basta più a sé stessa, ma è il ful- cro attorno cui s’alternano motivazione, valorizzazione, esperienza collettiva di carattere sociale, morale e filosofico. L’arte contempo- ranea non è trascrivere simboli ma “un sistema di azioni”1 che mira a cambiare il mondo. La volontà di tracciare una teoria dell’indisciplina comporta la neces- sità di scavarne le radici, di capirne l’origine. Tutto ciò non può essere fatto da una sola persona ed è per questo che ho scelto di rivolgermi ad artisti, critici, personalità all’interno del sistema italiano dell’arte, o, come li definisce Franco Vaccari, operatori culturali. Personalità con una storia che mi affascina, personaggi poliedrici. Individui consape- voli che le strategie artistiche debbano lasciare spazio alle strategie concettuali. In loro, l’azione è sempre guidata dalla logica e dalla teo- ria. Soggetti accorti che conoscono la storia e con questa attuano un dialogo continuo, ricercatori attenti, interessati alle strutture profonde, alla grammatica della cognizione. Personaggi del mondo dell’arte cui vengono poste domande per far emergere la loro natura indisciplinata, non atrofica. “Senza il pane l’uomo muore di fame ma, senza espressione, muore di noia”2. Ogni uomo, così come ogni artista, dovrebbe essere in grado di definire ciò che fa e perché lo fa. Chiederò loro, quindi, di disegnare piccoli autoritratti semplici, non dimenticando l’intento della ricer- ca che è quello di ridefinire quell’arte contemporanea che ha delle XXXI

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LEA VERGINE + Lea Vergine codifica la body-art in Italia, definirla critica d’arte sarebbe riduttivo, con suoi libri, i suoi interventi, le sue mostre e il suo impegno ridisegna lo scenario sociale e culturale in cui viviamo. Questo è quello che tutti sappiamo, invece lei come si racconterebbe? LV Come una figura del Botticelli, donna scarmigliata e disfatta, piena di mali, abbandonata su uno scalino con la testa tra le mani, quasi l’immagine della disperazione. + Come nasce la sua passione per la scrittura? E poi per l’arte? LV Forse il fatto che sin da piccola son stata abituata a leggere. Sono uno di quei casi in cui puoi dire: la lettura mi ha salvato la vita. E poi mio padre, che mi portava nei musei, era molto importante. Quindi sin da piccola sono stata abituata sia a leggere sia a guardare i quadri. Penso. + È difficile trovare una sola categoria in cui inserire la sua figura. Per questo le chiedo, quanto è importante per lei la commistione di varie discipline? LV È fondamentale, non è importante. È chiaro che il critico d’arte deve sapere di letteratura, di musica, di filosofia, ed oggi anche un po’ di psicanalisi o di psicologia facile, di quella che serve durante la giornata per decodificare le persone e le opere. È fondamentale che abbia una visione complessiva. Perché tutto questo, tutte queste altre informazioni, gli danno un allargamento di vedute. L’allargamento di vedute è fondamentale in tutto. L’arte è per tutti, ma si dovrebbe fare lo sforzo di studiarla per capirla. Ecco perché, un altro aspetto fondamentale è la ricerca, sia ai fini di una mostra che di un libro. È il XXXVI

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FRANCO VACCARI + La sua attività, fin dagli anni Sessanta consisteva nel rompere i tradizionali confini disciplinari dell’arte operando sia sul fronte della pratica artistica che su quello della critica e della teoria. Questo è quello che tutti sappiamo. Lei invece come si racconterebbe? FV Cosi come mi hai descritto mi va anche bene. Io avevo già rotto personalmente alcuni steccati che separano le varie competenze, in quanto la mia formazione è abbastanza indisciplinata. Ho fatto studi scientifici, come artista sono un autodidatta. Mi sono laureato in fisica ma, dopo non molto, il mio interesse per le cose artistiche, all’inizio per la poesia, prese il sopravvento. Ho dirottato quindi le mie energie in questa direzione. Ma l’elemento, se ce n’è uno, non è tanto l’aver coltivato contemporaneamente un interesse per la critica d’arte e per la pratica artistica, ma è l'approccio alla pratica artistica stessa. Ho iniziato interessandomi di poesia; questa poesia prendeva allora il nome di Poesia Visiva ed era una cosa non ancora consolidata, non ancora perfettamente accettata. E contemporaneamente mi interes- savo anche di fotografia, tanto è vero che quello della poesia visiva è stato un aspetto che ho frequentato in forme insolite per quei tempi. In qualche modo ho coniugato la poesia visiva e la fotografia, mi sono interessato di graffiti, soprattutto di quelli che avevano un elemento letterale. Non mi attraeva la figurazione, ma piuttosto l’uso di parole insieme alle immagini. Infatti, mi sono avvicinato al gruppo dei poeti visivi fiorentini, lavorando anche con la fotografia e parlando di Poesia Anonima/Poesia Trovata a proposito del graffitismo, ero il più indisci- plinato del gruppo. E’ un filone che non ho potuto adeguatamente coltivare, poiché mi rifiutavano sia i miei compagni di strada, sia i pochi editori che si interessavano. Vedo che ti guardi attorno, mi piace che XLV

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RACCONTARE GIUSEPPE CHIARI L’epoca (dalla metà degli anni cinquanta a oggi) che vede traman- dare il sapere acquisito dalle avanguardie biforca su due strade: quella dell’arte totale e quella dell’arte didattica. Chiari occupa questa forcella. E se ci domandiamo: chi insegna l’arte didattica? Vedremo che Chiari la insegna.1 Giuseppe Chiari nasce a Firenze il 26 Settembre 1926. Studia inge- gneria e privatamente intraprende studi di composizione e pianoforte. Voleva diventare pianista jazz, ma tutto lo interessava, il cinema, l’ar- chitettura, la letteratura. Poliedrico, non si ferma, si muove verso l’arte visiva, la scrittura poetica, inserendo la filosofia in tutto ciò che fa. In modo del tutto didascalico, intende la musica prima di tutto come una parola, una convenzione culturale; indaga il valore semiologico, nominale, concettuale e tutti gli aspetti di questa disciplina che viene chiamata musica. Comunque ora possiamo dire cos’è la musica. Ora lo sappiamo. La musica è suonare. La musica è suonare. La musica è suonare. La musica è suonare. La musica è suonare. La musica è suonare. 2 È una convenzione, un sapere legittimato da regole che si possono modificare. Ma è evidente che, per Chiari, per distruggere una norma bisogna conoscerla. Va alla ricerca di una riconquista della parola, del gesto, del suono e dell’immagine. Cerca di fare lo stesso con i LVII

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PREMIATA DITTA + Dalla fine degli anni Ottanta siete noti come Premiata Ditta. Nel vostro lavoro realizzate progetti relazionali, sia di tipo sociale e civile attraverso diverse discipline. Considerate l’arte come una categoria non identificabile e non definibile, intesa come materia in continua evoluzione. Questo è quello che tutti sappiamo, invece voi come vi raccontereste? Anna Stuart Tovini Abbiamo scritto un articolo su ArteCritica che si intitola Voglia di Acronimo dove affrontiamo il discorso dell’identità, uno dei cardini del nostro lavoro. Noi abbiamo scelto, già negli anni Ottanta, quando non era molto di moda, di usare un nome multiplo, una definizione più legata al periodo cyberpunk, William Blake potreb- be essere un nome multiplo ma anche Thomas Pynchon, sono autori che non sono uno, ma probabilmente sono tanti, un collettivo che firma con un unico nome; la loro scelta può essere proprio quella di non volersi affermare come marchio, figura, persona singola, ma avere un nome multiplo, qualcosa che cambia sempre. La scelta Premiata Ditta ha voluto dire questo, a seconda del progetto che facciamo coinvolgiamo autori diversi insieme a noi, il nostro lavoro quindi, non è solo partecipativo perché coinvolge un potenziale fruitore. Noi sia- mo stati sempre Premiata Ditta come duo e, allo stesso tempo, varie persone a seconda dei progetti. Scegliere questo nome era un modo per mettere in crisi l’idea di identità dell’artista, dell’autorialità, di firma. Questo fu uno degli argomenti portanti con cui abbiamo iniziato a lavorare. Agli esordi utilizzavamo un linguaggio assolutamente freddo, distante, quello che noi chiamavamo linguaggio aziendale. Dal 2015, durante le nostre conferenze performate, raccontiamo la nostra storia sempre in modo diverso, in modo corale, scegliendo gli argomenti LXV

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ARMANDO MARROCCO + Armando Marrocco non smette mai di sperimentare. Affronta temi come la sovrappopolazione, l’inquinamento, il consumismo, l’ambiente, i condizionamenti di natura culturale e sociologica, spe- rimentando diversi tipi di linguaggi d’arte, dalla body art alla land art, sempre alla ricerca di una essenzialità minimalista. Gioca con contrasti, materiali poveri e materiale pirotecnico. Questo è quello che tutti noi sappiamo, lei come si racconterebbe? AM Questi miei aspetti non posso raccontarli, perché sono un artista di azione, creo più con le mani che con la testa. Posso solo esprimere ciò che conosco e che mi ha portato a questo tipo di lavoro. Tutti i temi elencati sono stati da me affrontati, uno per uno, durante tutta la mia carriera. Se dovessimo parlare del periodo pirotecnico, che ho usato, e uso, per le tele combuste con fumi colorati, potremmo chiederci da dove proviene questo mio interesse, perché utilizzo un elemento piuttosto che un altro. È ciò che mi porto dentro dall’infanzia, durante le processioni nelle contrade in onore del santo, osservavo con curio- sità la banda musicale, le luci e poi i fuochi. Sono le mie radici, quelle che ognuno di noi ha, che affiorano nel tempo, maturando questi ricordi passano dallo stato contemplativo a quello emozionale. Chi assiste alla realizzazione di una tela combusta, durante la performan- ce, entra in questo processo. Ogni volta è una rivelazione perché le tele combuste sono “dipinte” dall’interno, nel tessuto piegato, con un progetto già costituito. Nel momento in cui accendo il fuoco, questo si espande dentro il lenzuolo, creando al termine del “rito” quasi un sudario sacro. Un altro ingrediente del mio lavoro è la musica, che vivo come fattore-senso. Seguo il battito del cuore e sento la neces- sità di elaborarlo. Mi conduce ai ricordi d'infanzia che porto sempre LXXV

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RACCONTARE PIPPA BACCA Analizziamo il caso neo-esistenzialista di Giuseppina Pasqualino di Marineo, meglio conosciuta come Pippa Bacca, e il suo simbolismo positivo espresso in modo unico, scapigliato, disinvolto, indisciplinato. Si ringrazia Rosalia Pasqualino di Marineo per l'intervista concessa, che supporta e arrichisce il racconto che segue. + Come racconteresti tua sorella? Rosalia Pasqualino di Marineo Iniziamo subito con le domande difficili. Più sono generiche, più sono difficili. È difficile descrivere in poche parole una persona. In particolare, una persona con mol- te sfaccettature, come era Pippa e per di più dal punto di vista di sua sorella... Ti direi così: era una persona molto viva, desiderosa di fare. Gestiva il tempo in maniera molto organizzata in modo da non sprecare nemmeno un attimo. Una vita in cui ci si alza presto, si va in piscina, si incontra un amico, si va a lavorare e tante altre cose. Era molto dinamica, creativa ed era una persona anche molto rigorosa, con le idee chiare, in certi casi metodica. Stranamente all’esterno era di un disordine incredibile, mentre, aveva un rigore e organizzazione interiore molto forte. L’ultima performance di Pippa è un viaggio in abito da sposa, il lavoro più complesso da lei pensato, quello in cui converge tutto il pensiero negli anni precedenti. Brides in Tour – Spose in viaggio è nato da un’idea di Pippa Bacca, che coinvolge in un secondo momento Silvia Moro. L’obiettivo era: passare attraverso undici paesi afflitti da guerre e durante l’intero viaggio indossare l’abito bianco come simbolo di amore, pace, purezza. LXXXI

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CESARE PIETROIUSTI + La tua ricerca artistica si fonda sull’analisi e l’osservazione di situazioni problematiche o paradossali nascoste nelle pieghe dell’e- sistenza ordinaria. Questo è quello che tutti sappiamo, invece tu come ti racconteresti? CP Ho scritto io questa frase. È un tentativo di sintesi molto stringa- to nella quale però mi sono sempre abbastanza ritrovato. Il riferimento al paradosso è mediato dalla filosofia pre-socratica e dalla psicologia. Certamente, nel raccontarmi io sottolineo la provenienza dagli studi di psicologia, che mi ha fatto capire l’importanza del concetto di relazione o di ambito relazionale. In particolare Jacques Lacan, che mi ha fatto comprendere che il significato non è mai in un elemento individuale individuato, in un soggetto o in un oggetto, ma è sempre in una dimensione intermedia, fra soggetto e oggetto o fra soggetti o, al limite, anche fra oggetti. Quindi in una dimensione intermedia, dove si trova la comunicazione, e questo è lo studio della psicologia relazionale più classica, quella che viene da Gregory Bateson, che arriva ovviamente fino a Paul Watzlawick. Per raccontarmi cito libri che ho letto e che mi hanno formato. Un’altra cosa che dico sempre è che parlo di cose piccole, di cose normali. Sono interessato più che ai grandi eventi, ad analizzare, o possibilmente a intervenire, sulle microstorie. Sono molto affascinato dalle dinamiche della storia orale, dalle storie di soggetti che non hanno una riconoscibilità, o un riconoscimento, all’interno dei sistemi di comunicazione di massa, quindi persone qualunque, storie qualunque. Ci tengo a precisare, il qualunque che utilizzo, si è illuminato da una luce quando ho letto il libro di Agamben La comunità che viene. Qui il qualunque è, finalmen- te, messo nella luce più brillante, non è ciò che è indifferente, ciò che XCI

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BIBLIOGRAFIA ANNA DETHERIDGE, Scultori della JOHN BERGER, Questioni di sguardi, speranza, l’arte nel contesto della glo- il Saggiatore srl, Milano, 2015 balizzazione, Einaudi, Torino, 2012 WALTER BENJAMIN, L’opera d’arte ALFRED GELL, Art and Agency – An nell’epoca della sua riproducibilità Anthropological Theory, Clarendon. tecnica, Einaudi, Torino, 2014 Oxford, 1998 MARIO PERNIOLA, L’arte espansa, Einaudi, Torino, 2015 GIOVANNI LISTA, Arte Povera, intervi- ste curate e raccolte da Giovanni Lista, MARCEL DUCHAMP, Ingegnere del ABSCONDITA srl, Milano, 2011 tempo perduto, conversazione con Pierre Cabanne, ABSCONDITA srl, AA.VV., L’ arte senza opere, Agalma Milano, 2009 periodico semestrale n.17, Mimesis Edizioni, Sesto San Giovanni, 2009 ALEXANDER ALBERRO, Arte concettua- le e strategie pubblicitarie, AA.VV., Outsider culture, Agalma perio- Johan & Levi, Monza, 2011 dico semestrale n.14, Mimesis Edizioni, Sesto San Giovanni, 2007 ALESSANDRA TRONCONE, La smaterilizzazione dell’arte in Italia WASSILY KANDISKY, Lo spirituale 1967-1973, Postmedia srl. Milano, 2014 nell’arte, Se srl, Milano, 1989 FRANCO VACCARI, Fotografia e incon- EMANUELA DE CECCO, Non volendo scio tecnologico, Einaudi, Torino, 2011 aggiungere altre cose al mondo - Politiche dell’arte nella sfera pubblica, FRANCO VACCARI, VIANA CONTI, Postmedia srl. Milano, 2016 Duchamp messo a nudo. Dal ready made alla finanza creativa, Gli Ori, GERMANO CELANT, Arte Povera, Pistoia, 2009 Mondadori Electa spa, Milano, 2011 GIORGIO AGAMBEN, L’uomo LEA VERGINE, Gli ultimi eccentrici, senza contenuto, Quodlibet srl, Rizzoli, Milano, 1990 Macerata, 1994 XCIX


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