LAURA DECANALE BERTONI la Signoria dei Pont-Saint-Martin Fotografie di MARIANNA GIGLIO TOS LA SIGNORIA DEI PONT-SAINT-MARTIN COLLANA IMAGES Tavole di FRANCESCO CORNI
“La conoscenza si acquisisce leggendo i libri; ma quello che è veramente necessario imparare, COLLANA la conoscenza del mondo, si può acquisire IMAGES e studiando tutte le loro diverse edizioni” soltanto leggendo gli uomini Lord Chesterfield
LAURA DECANALE BERTONI La Signoria dei Pont-Saint-Martin Viaggio al tempo della Signoria nei luoghi ora Comuni di ARNAD HONE CHAMPORCHER BARD DONNAS PONT-SAINT-MARTIN CAREMA SETTIMO VITTONE BORGOFRANCO D’IVREA MONTALTO DORA IVREA Fotografie di Marianna Giglio Tos Tavole di Francesco Corni PE dizione edrini
6 7 tav. 1 - Castello di Pont-Saint-Martin
“en toile de fond” Infaticabile frequentatrice (e riordinatrice) di archivi locali, Laura Decanale Bertoni ricostruisce in questo volume, che va ad arricchire la già abbondante editoria valdo- stana a soggetto storico, le vicende passate di un territorio che, per la sua colloca- zione geografica di confine, non sempre ha destato negli scrittori di cose valdostane l’interesse che merita. Proprio la sua posizione di anello di congiunzione, nel Medio Evo, tra il regnum Burgundiæ e il Regnum Italiæ ne fa invece un oggetto di studio meritevole di attenzione. Il lavoro dell’autrice mette giustamente in rilievo, da questo punto di vista, la complessità dei rapporti della piccola comunità valdostana con il ducato di Aosta, da una parte, e con Ivrea e il Canavese, dall’altra. Il titolo del libro, si potrebbe dire, è limitativo: non vi si tratta, infatti, soltanto della piccolissima signoria sottoposta alla dinastia dei De Ponte Sancti Martini, ma anche delle vicende della comunità e della parrocchia locali, delle famiglie nobili e nota- bili che ebbero nel tempo importanti ruoli nella storia del paese, senza dimenticare, en toile de fond, gli avvenimenti che caratterizzarono la “grande storia”, in rapporto principalmente con il principato sabaudo e la monarchia sardo-piemontese. Centrali, nella narrazione dell’autrice, restano comunque le vicende dei signori che trassero la loro denominazione dal ponte costruito, secondo la leggenda, dal diavolo su “commis- sione”, per così dire, di san Martino: un ramo – il più longevo – della potente, ma poco fortunata dinastia dei signori di Bard. Prendendo l’avvio dall’immaginaria parentela con i duchi di Bar in Lorena (avventurosamente fondata sull’altrettanto immaginaria identità araldica dello stemma, che in realtà non è documentato da alcuna fonte me- dievale), il lettore può così seguire da vicino le vicende, non particolarmente spetta- colari, dei discendenti di Guglielmo di Bard, che per primo trasse il proprio predicato nobiliare dal luogo in cui sorgeva il proprio castello di residenza, sino all’estinzione del casato, in quel XVIII secolo che vide, quasi fosse una maledizione, il sincronico spegnersi di quasi tutte le antiche famiglie della nobiltà di spada, alla vigilia della soppressione delle libertà valdostane ad opera dell’assolutismo monarchico (uniche eccezioni: gli Challant e i Vallaise, divenuti ormai appendici della corte torinese, che si estinsero peraltro nei primi decenni dell’Ottocento; e i Sarriod, che incarnano ancora oggi, da soli, il ricordo di un’orgogliosa feudalità plurisecolare). È anche possibile, tut- tavia, trarre dalla ricerca dell’autrice preziose informazioni su altre dinastie nobiliari, come i già citati Vallaise, su un passato industriale che si potrebbe definire pionieri- stico, e, come si è già accennato, sulla vita civile e religiosa della comunità. Si tratta, insomma, di un’iniziativa editoriale meritevole di attenzione, suscettibile di accresce- re le conoscenze non soltanto del “grande pubblico”, ma anche degli “addetti ai lavori”. Joseph-Gabriel Rivolin
Prefazione Antonio, chi era costui...? Un vaso liturgico in argento a forma di coppa, più precisamen- te una pisside con un coperchio a cerniera, sormontato da un fiore e una croce, alto 18 cm, è il punto di partenza della nostra ricerca. Dall’iscrizione, che scorre lungo il suo piede rotondo di 8 cm, veniamo a sapere che il vaso è stato cesellato il 7 maggio 1547 su commissione di Antonio, figlio di Bartolomeo signore di Bard e Pont-Saint-Martin. Ma chi era questo Antonio di Bartolomeo? Del padre Bartolomeo, sappiamo che fu capitano di una milizia nei mandamenti di Bard e di Pont-Saint-Martin, che partecipò 10 all’Assemblea dei tre Stati nel 1554, infine che morì in età avan- 11 zata, decretando di voler essere sepolto nella chiesa di Donnas. Antonio: la sua vita è avvolta nell’ombra e di lui sappiamo sol- tanto che morì senza discendenti. Due suoi fratelli, Ercole ed Eusebio, hanno lasciato qualche traccia in più nella storia di questa dinastia, come racconteremo. Se i documenti scritti non ci propongono, al momento, alcun indizio per ricostruire la figura di Antonio, o le motivazioni che l’hanno portato a far realizzare e a donare la pisside, possiamo almeno chiederci dove essa fu utilizzata nelle sue funzioni di vaso liturgico: nella cappella diruta del vecchio castello, dedica- ta a San Martino? O nella chiesa di San Pietro in Donnas, la cui giurisdizione parrocchiale si estendeva allora anche sul piccolo borgo di Pont-Saint-Martin? Pisside in argento del secolo XVI con incisione: Noi, che viviamo in un presente effimero e mai come adesso “Hoc opus fecit fieri Providus Johannes Antonius Bartholomei instabile e superficiale, ci addentreremo dunque in questo labi- Bardi et Pontis Sancti Martini die 3 maji 1547 “ rinto, alla ricerca di una famiglia che dall’antico ponte romano
e dalla Via di San Martino trasse nome e identità. Ci sentiamo trasportati in una dimensione lontana nel tempo, esplorata da storici, ricercatori e, perché no, da sognatori, ma ancora fram- mentata e oscura. In questo nostro viaggio incontreremo personaggi, mutevoli nei loro ruoli nei secoli che ripercorreremo, interagenti, che cal- carono queste terre prima di noi, con maggiori o minori fortu- ne: i vescovi di Aosta e di Ivrea, i siri di Bard, i conti, i duchi e i re di Savoia, gli imperatori, i conti, i baroni o semplicemente i signori della nobiltà valdostana, i castellani, coloro che percor- rono la strada romana, siano essi pellegrini, soldati, mercanti, papi o condottieri, o quant’altro. Infine getteremo uno sguardo sulle collettività che gradualmente prendono consapevolezza di esistere come tali, sì da mettere in atto, in mezzo a timidezze, ripensamenti e ostacoli di varia natura, quei principi di autogo- verno, che caratterizzeranno la storia moderna. Sono contadini, 12 13 pastori, vignaioli, casari, artigiani. Dal loro incontro e dai rap- porti che intrecceranno, nasceranno le comunità in cui adesso viviamo. Pont-Saint-Martin: scorcio esterno del Castel con torchio in pietra per la produzione di olio di noce
Il feudo dei Pont-Saint-Martin aspetti storici e geografici Come evidenzia anche l’iscrizione sulla pisside, è fuor di dub- bio che i Pont-Saint-Martin traggano origine dai siri di Bard, una nobile famiglia forse originaria di Bar, in Lorena, arrivata qui verso l’anno 1000. Lo confermerebbe il loro stemma, e il nome Bard, dato alla fortezza, dove decisero di abitare. Dal punto di vista territoriale, i siri di Bard erano signori non solo di Bard, di Donnas, di Pont-Saint-Martin, di Vert, di Hône e di tutta la valle di Champorcher, allora comprendente an- che l’attuale paese di Pontboset, ma anche del mandamento di Châtel-Argent e di altri beni disseminati in tutta la Valle d’Ao- sta, in particolare da Montjovet a Carema. Il loro prestigio, sia sul piano politico che economico, era assi- 14 curato dal controllo di un solido sistema di ben cinque luoghi 15 fortificati, tutti collegati tra loro, nella fattispecie i castelli di Bard, di Champorcher, di Arnad, di Pont-Saint-Martin, di Aviès. Dalle prime notizie che abbiamo su di loro, veniamo a sapere che essi non disdegnano di rivolgere qualche attenzione al vici- no Canavese, e nel 1167 Ardizzone di Bard è già presente come testimone in un atto di investitura di Ivrea in favore dei conti di Biandrate. In un successivo trattato del 1180 con Ivrea, i siri di Bard le garantiscono assistenza contro i suoi nemici, qui rappresentati dal comune di Vercelli. Ne segue, nel 1198, come ricompensa, il cittadinatico concesso a Ugo e Guglielmo di Bard dal comune eporediese, mentre altri atti del 1200 e del 1203 ribadiscono in particolare la concordia esistente tra Ivrea e Guglielmo. Come è possibile immaginare, vista la loro potenza e l’estensio- ne dei loro feudi, conquistati e organizzati in un breve periodo, Bard: particolare del campanile del secolo XIII i Bard sono figli del loro tempo, bellicosi e violenti, e anche
i loro rapporti familiari sono segnati da tensioni e disaccordi tali da culminare nella divisione dei feudi, ufficializzata in un trattato stipulato giovedì 19 giugno 1214 nella chiesa di Donnas, con la mediazione del vescovo e di due notabili di Ivrea. In base ad esso Ugo, figlio primogenito, resta padrone del castello di Bard e della torre di Aviès, con le loro dipendenze. A Guglielmo, figlio cadetto, sono assegnati il castello di Pont- Saint-Martin e di Arnad, oltre che varie altre proprietà nel Ca- navese e in Valle d’Aosta. Vert, Hône e la valle di Champorcher sono invece attribuiti a Ugo e a Guglielmo in consignoria. Un feudo anomalo, dunque, quello dei Signori di Pont-Saint- Martin. Pur facendo capo al castello omonimo, i loro possedimenti a Vert, a Hône e nella valle dell’Ayasse sono gestiti infatti insieme ai siri di Bard. Anche un terzo dei doviziosi pedaggi, riscos- si soprattutto a Bard, ma per qualche tempo anche alla porta 16 17 del borgo di Donnas, viene assegnato ai Signori di Pont-Saint- Martin, aggiungendosi ai proventi di quello del vicino ponte romano. Crediamo opportuno qui avviare qualche riflessione su questo feudo, rievocandone l’aspetto, le caratteristiche fisiche e pae- saggistiche di allora, in molti casi non così scontate. Partiamo dal luogo dove avvenne il trattato che diede origine nel 1214 alla Signoria dei Pont-Saint-Martin: la chiesa di Don- nas. Situata nel primo millennio, secondo la tradizione, in pros- simità della frazione di Treby, e citata nella bolla del papa Ales- sandro III del 1176 sotto i nomi dei Santi Pietro e Orso, viene proprio in quegli anni distrutta da un cataclisma che travolse anche il primitivo abitato di Donnas. I sopravvissuti costruiscono un altro borgo lungo la strada ro- mana, dotandolo forse già allora di una cappella che ricordas- tav. 2 - Castello di Arnad, ricostruzione se nel suo nome uno dei due santi protettori della comunità
Sant’Orso. A San Pietro si decide di dedicare invece la nuova chiesa parrocchiale, non sappiamo se già agibile nel 1214, edifi- cata in un luogo anomalo rispetto al nuovo borgo, ma al sicuro da altri eventi disastrosi. San Pietro, rappresentato in un basso- rilievo lapideo del Duecento, ancora murato sul campanile, è quello che resta di quegli anni, mentre l’edificio e il campanile stesso subiranno in seguito radicali trasformazioni. Oltre alla chiesa parrocchiale di Donnas, la citata bolla di Ales- sandro III indica con certezza l’esistenza di altre chiese parroc- chiali nel feudo dei Pont-Saint-Martin, con ampi poteri non solo spirituali, ma con facoltà da parte dei vescovi di esigere le decime nelle varie comunità che alla chiesa facevano capo: così a Vert, a Bard, a Hône, a Champorcher. Dopo il complesso pe- riodo delle invasioni barbariche, i vescovi sono, infatti, i primi a riordinare la vita amministrativa dei villaggi, sostituendosi all’autorità civile, che si era vieppiù indebolita. 18 19 Alcune notizie frammentarie ci informano sul vissuto di queste chiese, ubicate quasi sempre in siti diversi dagli attuali, dove furono ricostruite nel corso dei secoli successivi. A Vert la chiesa si trovava più in basso, si presuppone nel luogo ancora oggi chiamato l’Eglisetta, e lì fu distrutta da un’alluvio- ne. Della precedente chiesa di Bard, radicalmente cambiata nel tempo anche come orientamento, è rimasto solo il campanile romanico duecentesco. La chiesa di Hône, presumibilmente eretta in altra località, pare sia stata anch’essa travolta da un’alluvione. Ricostruita nel Quattrocento nel luogo attuale, ha subito ancora in seguito del- le modifiche. Anche la prima chiesa di Champorcher, con funzione di parroc- chiale per tutta la valle dell’Ayasse, era situata più a valle e, for- Donnas : bassorilievo di San Pietro se vittima anch’essa di disastrosi eventi naturali, è riedificata sul campanile della chiesa parrocchiale sulle rovine del castello dei Signori di Bard, distrutto tra il 1212
e 1214 durante le loro lotte fratricide. Da non dimenticare, infine, le inondazioni e forse il terremoto che funestarono Arnad ripetutamente nei primi secoli del se- condo millennio , trasformandone il paesaggio, da fertile plaga ad una distesa di ghiaia e danneggiando in modo grave la chie- sa, forse la prima chiesa rurale della regione, risalente all’anno 1000. Scarse le notizie del villaggio prossimo al ponte romano, il primo nucleo dell’attuale Pont-Saint-Martin. Chi fosse passato tra le sue case in quei lontani secoli, forse avrà alzato gli occhi verso il castello, nel pieno del suo superbo rigoglio. Può darsi che sia stato rassicurato dalla presenza del- la cappella, dedicata allora a San Cristoforo, uno dei santi più venerati dai pellegrini, che secondo una leggenda avrebbe tra- ghettato il piccolo Gesù attraverso un fiume. Non a caso l’edifi- cio si trova in prossimità del Lys, sovrastato dal ponte romano. E certamente avrà risvegliato in lui stupore e ammirazione il 20 21 ponte, già esistente dal primo secolo dopo Cristo, ad un unico arco, il più ardito in terra valdostana. Dunque, i Pont-Saint-Martin sono Signori di un ambiente diffi- cile, caratterizzato da frane e da alluvioni periodiche, dal punto di vista fisico, come ricorrenti sono le epidemie, che si cercava di esorcizzare, o di controllare, con la costruzione di cappelle, dedicate tradizionalmente a santi protettori, i Santi Fabiano e Sebastiano, specialmente invocati nel 1348, l’anno della peste nera, a cui più tardi, dopo il 1630, si affiancherà il culto di San Rocco di Montpellier. La più antica di queste cappelle, come attesta la muratura a lisca di pesce dell’abside, sembra essere quella che sorge ve- rosimilmente su uno dei tracciati della strada romana, in un sito contrassegnato dalla presenza di macigni franati in tem- Montalto Dora: San Cristoforo si impone sulla sinistra pi lontani tra Pont-Saint-Martin e Donnas. Essa nei secoli più dell’affresco nella cappella di San Rocco recenti diventerà il confine convenzionale, talvolta discusso, tra
i due Comuni. Ovviamente, per completare il ritratto di quello che è il feudo dei Pont-Saint-Martin, dobbiamo parlare delle vie consolari romane, che da Milano e da Piacenza, congiungendosi a Pavia, arrivano a Vercelli, a Ivrea e poi ad Aosta, dove si bi- forcano nuovamente, raggiungendo a nord il colle del Gran San Bernardo, la Svizzera e l’Europa settentrionale, la via francigena comunemente detta, e ad ovest il colle del Piccolo San Bernardo. Quest’ultimo itinerario, detto anche la Via Sancti Martini, di San Martino vescovo di Tours, qui ci è particolarmente cara, richia- mando il nome della dinastia, di cui vorremmo ricostruire qual- che lacerto di tessuto storico. Bisogna risalire a quasi due millenni fa, precisamente all’anno 356, per incontrare Martino, nato in Ungheria, ufficiale romano, trasferito in Francia, dove a Poitiers matura la sua conversione al cristianesimo. Proprio in quell’anno, secondo la tradizione, confermata anche da riferimenti storici, da Poitiers raggiunge 22 23 il Piccolo San Bernardo. Non si sa quanto si sia fermato nella nostra valle, scendendo da La Thuile a La Pierre Taillée, a Saint- Martin de Corléans, ad Augusta Praetoria, dove i suoi passi si congiungono a quelli degli altri viaggiatori provenienti dal Gran San Bernardo. È possibile che il grande Santo abbia sostato in più luoghi, cri- stianizzando le popolazioni rurali ancora legate al politeismo romano, o addirittura ad antichissimi culti. In Bassa Valle il suo percorso si snoda nei territori che faranno parte, secoli dopo, del feudo dei Saint-Martin, e qui lascia memorie ancora tangibili: ai due estremi del feudo le chiese a Lui dedicate, di Arnad e di Carema, nel cuore di esso il ponte, che forse già da allora sarà denominato di San Martino. Martino poi continua il suo viaggio, sino in Ungheria. È un viaggio lungo 2500 Km, recentemente ri- scoperto e valorizzato, diventato ora un itinerario di fraternità Settimo Vittone: San Martino europea, alla pari di altre vie francigene. Anche se nel corso dei affresco nella Pieve di San Lorenzo
secoli le strade romane dirette ai due colli del Piccolo e del Gran San Bernardo subiranno modifiche in alcuni tratti del loro per- corso, esse sono tuttora annoverate tra autentici capolavori di ingegneria e come tali utilizzate fino ai nostri giorni. Strade che non mancano ovviamente di essere affiancate da borghi dotati dei servizi necessari e di adeguate iniziative di accoglienza per uomini, carri e cavalli. Sin dal XII secolo una catena di ospizi promossa dai Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme accoglie i viandanti: quello di Rumeyran in prossimità di Aosta, di Plout a Montjovet, di Saint- Jean-de-la-Pierre tra Bard e Donnas. É bello pensare che l’ultimo, eretto in un pauroso ambiente di rocce e di vento, indicava ai viandanti la sua presenza anche di notte, con una lampada sem- pre accesa. Come si è già accennato, Guglielmo, nell’atto di divisione del feudo di Bard, sancito nel 1214 nella chiesa di Donnas, diventa 24 25 anche consignore di Vert, di Hône e della valle di Champorcher. Se da un punto di vista geografico può nascere qualche perples- sità sull’acquisizione di queste terre, che i borghi di Donnas e di Bard, attraversati dalla strada romana, e quindi più ambiti dal punto di vista economico e strategico, isolano dal castello di Pont-Saint-Martin, si può tuttavia osservare che anche la valle dell’Ayasse, e con essa Vert, collegata a Hône più agevolmente che ai giorni nostri, offriva risorse interessanti e apriva nuove prospettive ai nostri Signori. Per quel che riguarda Vert, era nota la fecondità del suolo, pur- troppo penalizzata dalla caduta di frane e dalle piene della Dora. Come talvolta accadeva nel caso di eventi particolarmente di- sastrosi, nel 1572 i suoi abitanti furono ad esempio addirittura esonerati dal pagare la taglia. Montalto Dora: i Santi Sebastiano e Rocco La valle dell’Ayasse e in particolare i colli di Champorcher, sono, affresco nella cappella di San Rocco ed erano soprattutto nel passato, possibili, anche se impervie, vie
di comunicazione e perciò regolarmente frequentate. Pensiamo al Col Fenêtre, che mette in comunicazione la valle dell’Ayasse con Cogne e quindi con l’Alta Valle d’Aosta, in alternativa alla più percorsa, e più controllata, via romana. Nella documenta- zione della castellania di Bard si trovano d’altronde non solo co- gneins presenti ai mercati del luogo, ma anche ivi residenti in modo stabile. Altrettanto interessante era, ed è, il collegamento con la val Soana e con il santuario di San Besso, un luogo ve- tusto di culto, precristiano, simbolo collante di un’insolita, mil- lenaria rete di strade, tuttora percorsa da pellegrini provenienti dalle valli del Canavese, da Cogne e da Champorcher, che ancora adesso il 10 di agosto si ritrovano in quel luogo sacro, eretto al riparo di un’incombente rupe. Di non poco conto, ovviamente, era infine anche la possibilità, per i Signori di Pont-Saint-Martin, di fruire dei prodotti dei ricchi alpeggi di Champorcher, Alaignaz e Boset più a valle, Dondénaz 26 27 e Laris più a monte, di cui essi godranno i proventi a rotazione biennale con i Savoia, quando questi ultimi si impossesseranno, della rocca di Bard. A questo proposito si possono ricordare i molti documenti che fanno accenni all’imposta in natura della formaggeria, riscossa di diritto dai Pont-Saint-Martin: ogni capo famiglia della sua giu- risdizione doveva infatti consegnare loro alla fine dell’estate un buon formaggio di alta qualità. Incastonati com’erano nel fon- dovalle tra potenti vicini, ai Signori di Pont-Saint-Martin non era d’altronde possibile programmare un’espansione nella più vicina valle del Lys, tenuta saldamente in mano dai Vallaise nella parte inferiore, mentre più a monte, a Gressoney, i conti di Chal- lant si affacciavano dal loro castello di Graines attraverso il Colle della Ranzola, imponendo la loro giurisdizione pericolosamente, Donnas: finestruola impreziosita in qualche caso anche prepotentemente. da motivo gotico a goccia rovesciata
I Savoia nella Bassa Valle d’Aosta Dal XIII secolo sono ufficialmente presenti in Valle d’Aosta anche i conti di Savoia, che la raggiungono dalla loro capitale Chambéry attraverso l’antica via romana del Piccolo San Ber- nardo, la Via di San Martino, con il progetto a lungo termine di ampliare i loro possedimenti sin nella fertile e ambita pianura padana. Non mancando da parte loro né i mezzi diplomatici né la pressione militare per fiaccare la riottosità dei Signori loca- li, concretizzano la loro presenza nel 1191 con l’elargizione, da parte del conte Tommaso I di Savoia di una carta delle franchi- gie alla città di Aosta. In realtà in questo periodo i Savoia eser- citano in questa valle un dominio più nominale che reale, con diritti eterogenei, su una circoscrizione territoriale frammenta- 28 ta. Solo in alcuni casi, infatti, il popolo dipendeva direttamente 29 dal conte, in altre circostanze erano i feudatari locali a fare da tramite tra i due, quando non cercavano addirittura di sostitu- irsi direttamente a lui. Le clausole di questa prima carta delle franchigie, ripetutamen- te ampliate e modificate, saranno in vigore e rispettate dai con- ti e in seguito dai duchi di Savoia anche nei secoli successivi. Forte del fatto che nel 1225 è nominato vicario imperiale dei territori cisalpini dall’imperatore Federico II, il conte Tomma- so continua a espandere i suoi domini nella Valle della Dora e, per assicurarsi i capisaldi strategici della regione, cerca in loco degli alleati, rintracciandoli principalmente nella famiglia dei Challant, a cui assegna il titolo di visconti. Dato che, tra altri feudi, i Savoia aspirano alla fortezza di Bard, vera porta d’accesso della Valle d’Aosta, in direzione del Canavese, non Bard: lo stemma dei Savoia mancano di creare delle tensioni nei loro rapporti con i suoi siri, sovrastato da una finestra a crociera a tal punto che verso il 1230 Ugo di Bard non rinnova la sua
fedeltà al conte Amedeo IV. Quest’ultimo stipula nel 1242 un trattato di alleanza con i Challant che si impegnano a prestargli la loro collaborazione. La fortezza di Bard viene occupata, non si sa se con un’azio- ne militare, che avrebbe richiesto un impegno notevole, vista l’inaccessibilità del luogo, o più verosimilmente grazie ad una corresponsione di denaro. Un fatto certo è che Ugo cede ai Sa- voia tutti i suoi diritti sul mandamento di Bard, comprendente anche una parte di Donnas, e nella rocca si insedia il castellano, funzionario comitale. Ugo esce di scena, probabilmente emigrando in Borgogna, e i beni di Châtel-Argent sono infeudati ai suoi figli, che rinuncia- no al casato di Bard. La fortezza medievale, rasa al suolo per ordine di Napoleone dal 1800 al 1804, era ben diversa dall’attuale, progettata dall’in- gegnere militare Francesco Antonio Olivero dal 1828 al 1838. 30 31 Da documenti e da testimonianze orali raccolti da questo gran- de costruttore, e da disegni cinquecenteschi, possiamo dedurre, come scrive l’agile penna di Carlo Passerin d’Entrèves che “il castello fosse protetto da due recinti di mura ellittici con assi paralleli che seguivano le sinuosità della cresta... Nel mezzo sopra un’ulteriore elevazione del terreno, si ergeva la torre quadrata dalle mura di note- vole spessore... Un’altra torre rotonda alta sei metri e dal diametro di tre metri, coperta all’interno da una volta sferica, sorgeva tra i due re- cinti... Il recinto esterno era guarnito da due file di merli e un cammi- no di ronda seguiva la merlatura e le torricelle sporgenti all’esterno”. I Signori di Pont-Saint-Martin scelgono invece di sottomettersi ai Savoia tout court, riescono a conservare, almeno teoricamen- te, anche il titolo di signori di Bard, e soprattutto la loro auto- nomia, pur tra molte vicissitudini. Bard: stemma dei Savoia sulla Casa “Urbano” A partire da questi anni le comunità di Vert, di Hône, di Cham- con motivi di losanghe medievali porcher, già amministrate congiuntamente da Ugo e Guglielmo
di Bard, sono dunque inserite in due giurisdizioni separate, mi- nutamente frazionate, una alle dirette dipendenze dei Savoia, l’altra dei Signori di Pont-Saint-Martin, e così restano per cin- que secoli. Ovviamente i prelievi fiscali nelle due giurisdizio- ni sono spesso pesanti, specie se si tiene conto di un ambiente naturale non facile, in cui essi vengono richiesti. Per quel che riguarda in particolare le richieste dei Pont-Saint-Martin, sap- piamo ad esempio che i sudditi della valle dell’Ayasse doveva- no anche prestare i servizi di guardia al loro castello. Il dominio gradualmente sempre più diretto dei Savoia sulla Valle d’Aosta, trasformata in ducato nel 1302, è documentato dai verbali delle Udienze generali dal 1222 al 1466, che avveni- vano periodicamente, benché a scadenze irregolari. Per esercitare il loro potere giudiziario nel ducato di Aosta, e per potenziarlo, i conti di Savoia scendevano dal Piccolo San Bernardo, utilizzando la Via di San Martino, e vorremmo qui 32 33 proporre qualche riflessione sul grande potere mediatico di questi eventi. Il loro arrivo, preannunciato quattro mesi prima, si svolgeva infatti con grande solennità. Al loro passaggio le campane suonavano a distesa, era gioco forza che anche i vas- salli più spavaldi si facessero incontro al conte, e gli prestassero omaggio, nonostante fossero spesso personalmente restii ad ac- cettarne la supremazia. Le Udienze si aprivano dopo una solenne cerimonia religiosa nella cattedrale di Aosta, poi il conte, attorniato dai pari del ducato, che raggiungeranno nel tempo il numero di 220 perso- ne, primi i Challant, i Vallaise e i Pont-Saint-Martin, ascoltava e rendeva giustizia, secondo le usanze del paese, senza passione e parzialità, a tutti coloro ai quali era stato commesso un torto o avevano compiuto qualche atto criminale. Queste Udienze Donnas: la cosiddetta “Casa della Zecca”con lo stemma erano perciò un formidabile mezzo psicologico per rinsaldare dei Savoia sull’architrave della finestra a crociera i rapporti tra il conte e il suo popolo, scavalcando il potere dei
feudatari, che peccava spesso di arroganza. Alcune di esse coin- volgono direttamente anche Pont-Saint-Martin, dove il conte scenderà di persona per ricevere l’omaggio dei Signori del luo- go e prendendo tangibilmente possesso per un breve periodo del loro castello. Se è possibile che i Savoia vedessero nella Val- le d’Aosta un tramite per scendere nelle floride regioni padane, è certo che essi erano anche molto attratti dai lucrosi pedaggi presenti sulle strade romane che attraversavano la valle, come abbiamo visto, con collegamenti con l’Europa occidentale attra- verso il Piccolo San Bernardo, e con l’Europa centro-settentrio- nale attraverso il Gran San Bernardo. Dalla contabilità scrupolosamente tenuta dai castellani della rocca di Bard si evincono ad esempio i tipi di mercanzia locale o esotica, che era trasportata lungo la strada romana: greggi e mandrie, nel loro andirivieni di transumanza, porcelli, olio, vino, generi alimentari come cereali, legumi, castagne, ferro, 34 35 coti, falci e altri arnesi utili nella quotidianità, ma anche falconi e altri uccelli da preda catturati sulle Alpi, cortecce di alberi di castagno, usate per il loro tannino dai tintori e dai conciato- ri, perciò a fini industriali, armature, cavalli, pesci essiccati del nord, particolarmente ricercati in quaresima, spezie, specchi e vetri, scimmie, lane, panni, stoffe di seta, merci che ci traspor- tano in un mondo troppo spesso giudicato autarchico e chiuso, in realtà allietato da presenze vivide e straordinarie di oggetti o animali insoliti. Ovviamente i passaggi, e di conseguenza i proventi che ne con- seguivano, variavano nel tempo, a seconda degli eventi. Negli anni del Giubileo del 1300, passano a Bard più di 1500 cavalli, presumibilmente al seguito dei pellegrini romei diretti, o di ri- torno da Roma. Il numero dei transiti di cavalli crolla nel 1348, Lo stemma dei Signori di Pont-Saint-Martin l’anno della terribile peste nera, ma riprende con un forte in- (Archivio storico regionale di Aosta. Fondo Vallaise 64/ I/42) cremento in quelli successivi, fino a salire vertiginosamente al
passaggio di oltre quattromila unità tra il 1350 e il 1351. Un altro prodotto importato nelle nostre valli, dove non esiste in natura, tassato variamente a Bard e nelle altre stazioni di pedag- gio durante i secoli, indispensabile non solo per l’alimentazione umana, ma anche per la produzione dei formaggi e per la conser- vazione di molti prodotti commestibili, era il sale, così prezioso che molti testamenti di quei secoli contengono dei lasciti in sale da distribuire periodicamente alle persone bisognose. Una mer- ce particolare, indispensabile in quei tempi, era infine rappresen- tata dalle pietre per macine da mulino, estratte per la maggior parte a Saint-Marcel e destinate ai mercati italiani. Nel trattato del 1180, cui si è già accennato, Guglielmo di Bard si era anche impegnato a far passare nel pedaggio di Bard le ma- cine da mulino, solo se esse fossero dirette a Ivrea, che aspirava in quegli anni a creare a suo vantaggio un monopolio della loro 36 lavorazione. A livello più squisitamente storico si può qui ricor- 37 dare come questo atteggiamento del Comune eporediese scate- nasse le ire degli abitanti di Vercelli, che non volevano sottostare a tali pretese, ma aspiravano a rifornirsi direttamente sul luogo di produzione. Le strade romane sono perciò oggetto di attenzioni costanti da parte dei Savoia, che ne curano diligentemente la manutenzione periodica. Gli Statuti quattrocenteschi del duca Amedeo VIII, che rispec- chiavano però consuetudini precedenti, stabilivano che a prima- vera il castellano dovesse fare personalmente una verifica dello stato delle strade e provvedesse alle eventuali riparazioni con prestazioni d’opera gratuite da parte degli abitanti. Un docu- mento precisa che il 21 maggio 1438 il suo successore Luigi ac- corda ai Pont-Saint-Martin e ad altri Signori della Valle d’Aosta la giurisdizione sulle grandi strade che si trovavano nei rispettivi Carema: la Gran Masun, casaforte quattrocentesca feudi, il che implicava anche per loro l’obbligo alla manutenzio-
38 39 ne della viabilità. Un altro dovere del castellano e dei feudatari di orecchio, impiccagioni, affogamenti, per non parlare di arsio- era di garantire anche la sicurezza. Pensiamo alle terribili pene ne sul rogo, se si trattava di malviventi di sesso femminile. riservate ai briganti e ai delinquenti che si fossero avventurati a depredare i passeggeri, in particolare se ricchi mercanti. Fino al Donnas: scala interna a chiocciola, “viret”, Trecento, e anche in seguito, si segnalano, per loro, amputazioni nella cosiddetta “Casa della Zecca”
Guglielmo, Signore di Pont-Saint-Martin, e i suoi primi discendenti Ritorniamo ora a parlare più diffusamente della dinastia dei Pont-Saint-Martin, partendo dal suo capostipite, Guglielmo. Si ha qui l’impressione che Guglielmo, confermando quelle che erano state le scelte precedenti, sue e della sua casata, allungas- se il suo sguardo verso il vicino Canavese, controllato dai conti di Montalto e di Settimo e dai signori di Vallaise, fino a Ivrea. È d’altronde un vescovo di Ivrea, Oltino, a fare da mediatore tra i fratelli Ugo e Guglielmo a Donnas nel 1214. Una pergamena dell’Archivio della Prevostura di Saint-Gilles di Verrès accenna anche a legami di questa famiglia con l’abba- zia di Fruttuaria, nel territorio di San Benigno Canavese. Grazie ad essa veniamo a sapere che nel dicembre del 1277 un certo 40 Amedeo di Pont-Saint-Martin è annoverato tra i consacrati di 41 questa abbazia, qui visti nel ruolo di amministratori della Pre- vostura. Informazione, questa, corroborata da un’altra perga- mena del 1318, anno in cui l’amministrazione di Saint-Gilles è in mano, tra altri, anche al canonico Ugo di Bard. Per quel che riguarda Guglielmo, sappiamo che nel 1239 insie- me a suo nipote Guglielmo, o Guglielmino, infeuda a Rufino d’Arnad e ai suoi figli la metà del castello di Arnad, che gli era stato aggiudicato nel 1214. Guglielmo cede tutti i suoi beni al medesimo Guglielmino nel 1242, lo stesso anno in cui avverrà l’occupazione della rocca di Bard da parte dei Savoia. L’attività diplomatica di Guglielmino è attestata in almeno due occasioni, quando assiste, nel 1253, all’Udienza indetta da Tom- maso di Savoia e, nel 1267, all’accordo che conclude le ostilità Arnad: lo stemma dei Vallaise sul muro esterno sorte tra i Challant ed i Vallaise, a proposito della proprietà di della chiesa parrocchiale, dedicata a San Martino certi feudi siti nella Val d’Ayas.
Un atto del 1261 ci fa infine sapere che Guglielmino presta in quell’anno omaggio al vescovo di Aosta, confermando in que- sta occasione l’antico diritto concesso ai signori di Pont-Saint- Martin di riscuotere le decime a Vert, a Hône e nella Valle dell’Ayasse. Sono però i figli del vecchio Guglielmo, Pietro e Percivale, in alleanza con i Vallaise, a far parlare di sé, anche oltre la Valle d’Aosta. In effetti appoggiano Federico di Front, procuratore della chiesa di Ivrea, poi vescovo effettivo, di cui erano in quel momento vassalli, nella guerra contro Guglielmo VII, marchese del Monferrato. A ricompensa dell’aiuto prestato, il 21 dicem- bre 1270, Delfino Restano podestà di Ivrea, stipula un contratto con i Vallaise e i Pont-Saint-Martin, che sarà inserito negli Sta- tuti di questa città. Alcune sue clausole prevedono che i signori di Vallaise e di Pont-Saint-Martin abbiano gli stessi doveri degli altri cittadini del Comune eporediese, e ne siano alleati in caso 42 43 di guerra, tranne che essa si combatta contro i Savoia. Recipro- camente anche il Comune di Ivrea garantirà il loro aiuto, ecce- zion fatta nel caso di ostilità contro Vercelli. I Vallaise per due terzi, i Pont-Saint-Martin per un terzo vengono poi gratificati con la donazione di una proprietà rurale consistente in vigne, prati, boschi e colline sita a Monte Navale, di una casa a Ivrea, oltre che di prati che si estendevano in un’isola e in terreni pa- ludosi. Infine si conferma per loro l’esenzione di una parte del pedaggio da pagare sul grano in uscita da Ivrea. Anche questo atto ci rimanda a paesaggi ora insoliti per questi luoghi, ma allora normalmente presenti, le isole, che interca- lavano tutto il corso della Dora, da Aosta a Ivrea e oltre. Esse, pur periodicamente sommerse, fornivano risorse economiche essenziali, in un mondo dove era diffusa l’economia di soprav- tav. 3 - Particolare del monastero di San Bernardino vivenza: mi riferisco alla legna, alla sabbia, ai prati, spesso ot- tenuti da un graduale prosciugamento delle paludi che circon- territorio di Monte Navale in Ivrea
davano questa cittadina, ben asserragliata dall’alto nelle sue mura. Due anni dopo, l’8 settembre 1272, il vescovo Federico di Front aggiudica ai signori di Settimo, di Vallaise e di Pont- Saint-Martin il feudo confiscato ai Castruzzone, accusati di tra- dimento, di danni e di estorsioni nei suoi confronti. Se Percivale e Pietro ottengono un qualche successo nella loro espansione verso l’eporediese, non altrettanto si può dire dei loro rapporti con i Savoia, e con i castellani di Bard. Il motivo delle tensioni con i potenti vicini è la costruzione ver- so il 1276 di una piccola fortificazione sulle alture sovrastanti il borgo di Donnas, in un’area che i Signori di Pont-Saint-Martin affermano essere di loro pertinenza. Ne nasce un breve con- flitto, il 7 settembre 1277 il loro castello viene espugnato e sarà presidiato militarmente per circa due mesi. In quest’occasione i Pont-Saint-Martin pur mantenendo nomi- nalmente l’avito titolo di signori di Bard, rinunciano a tutti i 44 45 diritti che possono avere sul castello e sui borghi di Bard e di Donnas, riconoscendosi concessionari in favore del conte Filip- po solo di alcuni beni a monte della chiesa di Donnas. La fluidità nella gestione degli edifici di interesse pubblico, come accadeva spesso comunemente nel Medioevo, permette comunque ai Pont-Saint-Martin di non essere del tutto esclusi da questo territorio. Come si può arguire ad esempio nei “conti” della castellania di Bard, i proventi del macello di Donnas, dal 1285 e almeno fino al 1297, sono ancora infatti suddivisi tra loro e i castellani di Bard. In questi anni di fine secolo si verifica un altro evento che con- ferma la continuità degli attenzioni di Pietro e Percivale per il Canavese. È la loro partecipazione nel 1296 alla creazione di un borgo franco, ora Borgofranco di Ivrea, incoraggiata dal vesco- vo di Ivrea e dal marchese Giovanni del Monferrato, al fine di San Germano: vestigia romaniche nel campanile della chiesa costituire un avamposto in una zona vitale per il transito sulla
via romana, resa insicura dalle scorrerie degli abitanti di Biella e di Vercelli. Gli abitanti di Biò, Quinto, Monbueno sono costretti a trasfe- rirsi nel nuovo borgo fortificato, con la proibizione di tornare nelle loro case. Pur avvenendo nel 1295 la periodica consegna del castello ai Savoia da parte di Giacomino de Sancto Paulo, nipote di Perce- vale e di Pietro, ripetuti episodi di tensione segnalati dal 1306 al 1307 tra i Pont-Saint-Martin e i conti di Savoia ci confermano che questi ultimi, ben decisi a proseguire nel loro progetto di egemonia, tendevano sempre di più a limitare e a scoraggiare le iniziative dei feudatari locali. Due anni dopo, nel 1297, la comunità di Champorcher sotto- scrive con i Signori di Pont-Saint-Martin una prima carta delle franchigie, grazie alla quale la taglia annuale, dal valore arbi- trariamente imposta dal Signore, si concretizza in una tassa 46 47 definita di 30 lire, da pagarsi il giorno di San Martino. Sono però previste altre tasse una tantum, nel caso in cui bruciasse il castello, o il Signore fosse catturato, o ancora se decidesse di sposare le figlie. Altre carte dei secoli successivi, fino al 1607, scandiscono il rinnovo di queste franchigie, pur variandone o meglio precisandone alcune clausole. tav. 4 - La torre di Champorcher
I Signori di Vallaise Si è parlato qui a più riprese dei Vallaise, originari di Perloz, la cui chiesa parrocchiale, la madre di tutte le altre chiese della Vallesa, è anch’essa già citata nella bolla del papa Alessandro III del 1176. Potenti vicini dei nobili Pont-Saint-Martin, i Vallaise estendono la loro giurisdizione, come scrive un documento, “de S. Martin en haut jusqu’à Guillemore en bas”. Non solo, ma nel 1287 il conte Amedeo V conferma l’investitura dei loro feudi a Guglielmo, Giacomo e Arducio di Vallaise, con aggiunta di beni a Pont-Saint-Martin e in tutto il mandamento di Bard. I Vallaise controllano anche, con varie fortune attraverso i se- coli, quella che nel Medioevo era chiamata la Vallis Montis Alti, ossia la Valle di Montalto, comprendente la zona alla sinistra 48 della Dora, degradante da Pont-Saint-Martin fino oltre Montal- 49 to, e perciò raccordo logico tra il ducato d’Aosta e Ivrea. Affine alla Bassa Valle d’Aosta, vive con essa vicende storiche comuni e anche qui il percorso della via romana si snodava, almeno in certi periodi della storia, tra castelli ora in parte in rovina, come Castruzzone e Cesnola, o profondamente trasformati, come quelli di Settimo Vittone, di Montestrutto e di Montalto, che rappresentavano una catena di controlli signorili, in qualche caso di pedaggi, di tutto rispetto. Mancano qui tracce eviden- ti della strada e la sua memoria è affidata a toponimi, come a Settimo Vittone e a Quinto, centri rispettivamente lontani sette miglia e cinque miglia da Ivrea. Quinto, ormai solo più il nome di una strada di campagna, perché i suoi abitanti, come abbia- mo visto, furono costretti ad emigrare al borgo franco, quando esso fu fondato, si trova in prossimità della chiesa di San Ger- mano, vescovo di Auxerre, e qui si propone un breve squarcio Borgofranco d’Ivrea: la chiesa di San Germano del 1692 di vita medievale, forse più leggenda che storia, ma tuttavia
così pregnante, da essere arrivata fino ai nostri giorni. Germano, vissuto nel V secolo, muore nel 448 a Ravenna, allora capitale dell’Impero romano d’Occidente, dove si era recato per diri- mere certe controversie nell’ambito della sua chiesa. La stima nei suoi confronti dell’imperatrice Galla Placidia e dei vescovi locali si concretizza in un atto insolito: il suo corpo è imbalsa- mato, deposto in una cassa di cipresso e riportato ad Auxerre, attraverso la Via di San Martino. Secondo la leggenda, il transito di questa salma nei nostri ter- ritori sarebbe stato contrassegnato dai molti miracoli da Lui operati, specie nei confronti dei bambini, e la memoria di San Germano, o Saint-Germain, è ancora riaffermata dai molti topo- nimi, oltre che da edifici sacri, come in questo caso. Se è vero infatti che il Lys, varcato dal ponte romano, segnava a grandi linee il tradizionale confine tra il ducato d’Aosta e il Piemonte, se si vuole tra le due diocesi di Aosta e di Ivrea, esso 50 51 non rappresentò mai una reale divisione, anzi, proprio il per- corso della strada romana attraverso le due giurisdizioni, dei Pont-Saint-Martin e dei Vallaise, induceva gli abitanti del luogo a incontrarsi, talvolta anche a scontrarsi, sulla scia delle proble- matiche comuni che erano costretti ad affrontare. È la figura di San Martino che intreccia la storia delle due co- munità, la piemontese e la valdostana: Carema è infatti definita Camera Sancti Martini dall’abate di Thingor, in Islanda, che la raggiunse tra il 1151 e il 1154 e la citò nel suo itinerario, rife- rendosi alla chiesa parrocchiale dedicata, allora come adesso, a Martino, lo stesso santo del vicino ponte romano, confine meri- dionale della Valle d’Aosta. Più in particolare, quel territorio che, partendo dalla sponda sinistra del Lys ora annesso a Pont-Saint-Martin, scende verso Pont-Saint-Martin: la casaforte medievale i Prati Nuovi, dove sorge ancora adesso la trecentesca, se non dei Signori di Vallaise ai Prati Nuovi più antica, casaforte dei Vallaise, si presentava ancora instabile
dal punto di vista idrografico, perché sia il Lys che la Dora con- fluivano, qualcuno scrive, più a est di adesso e, nelle loro ricor- renti piene, mutando a volte il loro corso, spesso si diramavano. Ad esempio l’altura di Montiglieri, prossima alla stazione ferro- viaria di Pont-Saint-Martin, nel 1364 è ancora definita un’isola della Dora e nei suoi pressi, nel 1548, i Vallaise permetteranno l’attività di una fucina, dotata di canali di derivazione d’acqua per la forza motrice. Da ricordare anche la roggia proveniente dalla riva sinistra del Lys, che favorisce la costruzione di mulini e di altri vari artifizi, attentamente controllati dai Vallaise, che li infeudano a membri della loro famiglia e a gente del posto. La mano pesante dei Savoia si fa sentire in questo periodo però anche sui Vallaise, con i quali un contenzioso aperto nel 1320 vede i Pont-Saint-Martin schierarsi a fianco dei loro vicini in una breve guerra, combattuta senza successo anche a Donnas, 52 53 contro il più potente conte Edoardo. Sei anni dopo, infatti, di- ventano sudditi del conte anche quegli abitanti di Donnas che fino ad allora dipendevano dai Vallaise, mentre questi ultimi si sottomettono, consegnando regolarmente ai Savoia anche tutti gli altri feudi in terra valdostana. Donnas: stipiti in pietra con architrave a goccia rovesciata
La Signoria dei Pont-Saint-Martin nel Trecento Dopo queste digressioni sui Vallaise e sulla Valle di Montal- to, con riflessioni che d’altronde coinvolgono anche il ducato di Aosta, sono qui opportuni altri riferimenti alla famiglia dei Pont-Saint-Martin, che più ci sta a cuore. Iniziamo con una breve memoria su Ardizzone, figlio di Pietro. Le poche informazioni che abbiamo su di lui ci portano alla cattedrale di Aosta, di cui è stato canonico, almeno dal 1292, e vescovo, dal 1314 al 1327. Fa compilare un libro dei censi propri del vescovado e scambia alcuni beni in questa città con il conte Amedeo V di Savoia. Una pergamena del 3 giugno 1327 ci fa sapere che Ardizzone, giunto al termine della sua vita terrena, ha offerto alla cattedra- 54 le una generosa somma di denaro, affinché siano celebrate delle 55 messe anniversarie per lui e per il suo defunto fratello Giacomo, già canonico a Losanna. Ha lasciato infine un donativo consi- stente in argenteria e in due buoi di sua proprietà per coprire le spese del suo funerale, svoltosi presumibilmente in quello stes- so anno. Muore infatti il 7 o il 10 di marzo 1327 e il suo corpo riposa nella cattedrale di Aosta. Alcuni documenti ci portano a conoscere altri due signori, fra- telli del vescovo Ardizzone, Guglielmo e Michele, il primo dei quali nel 1306 partecipa con Goffredo di Vallaise ad una spedi- zione organizzata dal conte Amedeo. In seguito Guglielmo e Michele, pur prestando omaggio verso il 1325 al conte Edoardo, sono coinvolti in rinnovati, ma vani tentativi da parte dei Vallaise al fine di mantenere alcuni loro Ardizzone di Saint Martin vescovo di Aosta. diritti secolari su Donnas, e finiscono per essere pesantemente Affresco del salone del palazzo vescovile di Aosta multati per ribellione ai Savoia. pittore Antonio Luigi Piantini (Piantino), fine Settecento Nel 1337 sono i loro nipoti Francesco e Pietro, anche a nome
degli zii paterni, a consegnare nuovamente il castello al conte Aimone, succeduto ad Edoardo, riconoscendo la sua giurisdi- zione sulle acque, i pascoli, i boschi e le isole del loro feudo, oltre a molti altri diritti consuetudinari, come disporre secondo la sua volontà dei prigionieri di guerra e degli ostaggi. Un verbale delle Udienze di quello stesso anno attesta le spese sostenute dal castellano di Bard nel corso della sosta, non si sa se di pernottamenti, a Donnas, del conte Aimone, di ritorno da Ivrea, in occasione della consegna del castello da parte dei Pont-Saint-Martin. Non solo, ma pare che anche la sua sposa, Jolanda di Monferra- to, soggiornasse qui nel successivo mese di aprile. Benché non abbiamo strumenti per quantificare con precisione i costi di questi eventi, sappiamo che sicuramente gravarono sulla popolazione locale, non saprei se così felice per il passag- gio dei cortei comitali... Per chi avesse la curiosità di conoscere 56 57 quali generi alimentari si richiedessero in quest’occasione, pos- siamo citare: frumento, avena, orzo, segale, castagne fresche, castagne bianche, vino, formaggio, galline, pernici, per non parlare dei richiestissimi pesci essiccati provenienti dal nord. Un documento precedente di qualche anno, del 1330, accenna ad un altro pernottamento di eccellenza, quello della giovanis- sima Caterina di Savoia-Vaud, diretta a Milano, dove il primo ottobre ne avrebbe sposato il signore, Azzone Visconti. Sembra dunque che Donnas, ben protetta dall’ombra difensiva della rocca di Bard, avesse una capacità ricettiva alta e soprat- tutto varia dal punto di vista qualitativo, destinata ad accoglie- re anche notabili in viaggio sulla millenaria via romana. Oltre all’esistenza, al confine tra Bard e Donnas, della già citata casa ospitaliera dei Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme, Donnas: la casa di ospitalità o “ospedale” esistevano in loco altre strutture, una destinata all’accoglienza punto di accoglienza per i pellegrini dei lebbrosi e di altri malati contagiosi a Martorey, vicina alla
cappella di San Rocco, già citata nel 1317, e un altro ospizio an- nesso alla chiesa di Sant’Orso, in prossimità dell’arco romano, che in quel tempo fungeva da porta occidentale del borgo. Di particolare interesse infine una casa di ospitalità, comune- mente chiamata in seguito ospedale. Già attiva prima del 1268, tuttora esistente, forniva ai viandanti un posto ove dormire, nu- trirsi, riscaldarsi e, perché no, un po’ di vino di Donnas... È certo che Donnas diventa sempre di più un importante centro comitale, e nel 1341 il conte Aimone apre addirittura una zecca, affidandola al fiorentino Aldebrando Alfani. La dinastia dei Pont-Saint-Martin prosegue con Francesco, gra- tificato nel 1341 dalla donazione di alcuni feudi da parte degli zii paterni Michele e Guglielmo. Francesco muore prematura- mente, prima del 1351, e gli succede il figlio Giovanni, tutelato in minore età dalla madre Antonia e da Giacomo di Avise. Anche Giovanni, in linea con le scelte dei suoi ascendenti, rin- 58 59 nova la fedeltà al conte Amedeo VI di Savoia, il conte Verde, nel 1351, forse anche nel 1364 e nel 1368. Gli succede il primogenito Ardizzone, mentre gli altri tre figli, Davide, Martino e Guglielmo abbracciano la carriera ecclesia- stica nella cattedrale di Aosta. Davide nel 1364 raggiunge l’am- bita carica di arcidiacono. Pont-Saint-Martin: San Martino e il mutilato affresco nella chiesa di Fontaney
La Signoria dei Pont-Saint-Martin nel Quattrocento Di Ardizzone ci resta la copia di un testamento, stilato il 10 marzo 1403 nella cucina del suo castello. Il figlio Antonio è desi- gnato suo successore universale, e la moglie Margherita è citata in molte clausole, che le garantiranno una vita economicamente sicura, solo se vivrà dignitosamente il suo stato di vedovanza. Come altri Signori della sua casata, anche lui chiede infine di essere sepolto nella chiesa parrocchiale di Donnas. Superato il periodo di prostrazione fisica che l’aveva indotto a fare testa- mento, ritroviamo ancora inaspettatamente Ardizzone presen- te con il figlio Antonio alle Udienze generali del 1409, quando avviene la consueta consegna del castello. I Savoia stanno intanto rafforzando il loro prestigio, in un’a- 60 rea europea di eccezionale importanza strategica, soprattutto 61 grazie al controllo dei valichi in terra valdostana, ormai tutta nelle loro mani. Il loro appoggio alla politica militare e religiosa dell’imperatore Sigismondo, che Amedeo VIII scorta personal- mente sulla via delle Gallie durante il suo viaggio per parteci- pare al Concilio di Costanza nel 1414, viene presto ricompensa- to. Infatti nel 1416 l’imperatore conferisce il titolo ducale a lui e ai suoi successori. L’amministrazione dei beni feudali dei Pont-Saint-Martin pro- cede regolarmente, come attestano i riconoscimenti da parte dei concessionari dal 1415 al 1426, ora dispersi, ma citati in un an- tico inventario. Durante le Udienze del 1430 si scatenano invece delle tensioni, conseguenti alla pubblicazione ad Aosta di nuovi decreti du- cali che, secondo Antonio e altri nobili valdostani, attentavano tav. 5.6 - Castello di Pont-Saint-Martin, alle consuetudini tradizionali, già sottoscritte nella carta delle pianta e particolare di un camino franchigie del conte Tommaso I, principalmente in materia di
successione dei feudi. La situazione si aggrava nel corso de- gli anni successivi, e nel 1447 i Savoia confiscano il castello di Pont-Saint-Martin, che cade per decenni in un deplorevole sta- to di abbandono. Esso sarà restituito, gravemente degradato, solo nel 1466 a Ber- trando, successore del padre Antonio nella Signoria, e ai suoi fratelli Giacomo, Ardizzone e Francesco. In quello stesso anno Bertrando partecipa nuovamente alle Udienze ad Aosta, in occasione della riconferma delle franchi- gie del ducato di Aosta da parte del duca Amedeo IX. Nel 1468 lo stesso Amedeo IX, con il consenso del castellano di Bard, che ne conferma l’utilità, concede agli abitanti di Hône e di Champorcher di derivare l’acqua dal torrente Ayasse in loca- lità Trambèsere e di costruire un canale irriguo fino alle terre di Hône, amministrate in parte anche dai Pont-Saint-Martin. Così si legge in due pergamene, ancora conservate nell’Archivio sto- 62 63 rico comunale di Hône. Settimo Vittone: la chiesa di San Giacomo a Montestrutto secolo XI
I Savoia e il Ducato di Aosta nel Cinquecento Nei primi anni del Cinquecento arrivano tempi bui per i Savo- ia. Coinvolti nelle grandi guerre europee tra Francia e Spagna, aggravate anche dalle guerre di religione, essi vivono momenti tragici, quando i loro territori, in Savoia e in Piemonte, sono occupati e smembrati. Il piccolo ducato d’Aosta non subisce al- cuna invasione, ma resta isolato e abbandonato a se stesso. Pur scegliendo di restare fedele ai Savoia e al cattolicesimo, i valdostani potenziano l’Assemblea generale dei tre Stati (clero, nobiltà, terzo stato o comunità), con ogni probabilità già esi- stente dall’inizio del Duecento. Esso diventa un autentico par- lamento dei rappresentanti delle classi, in cui era articolata la società valdostana del tempo, ancora prettamente medievale, e 64 dà così inizio ad una prima esperienza di autogoverno. 65 Questi Stati generali, diventati vero centro della vita politica e amministrativa del piccolo ducato, in un’assemblea del 1536 nominano nel loro seno un Conseil des Commis, con l’incarico di governare il territorio e di gestirne le sorti politiche e militari. Il ducato di Aosta potrà inoltre battere moneta e alla diploma- zia valdostana sarà permesso di stipulare autonomamente trat- tati di neutralità con la Francia. Anche per altri motivi mutano radicalmente i rapporti tra il ducato d’Aosta e i Savoia, i quali, concluso il periodo delle ostilità, dopo venticinque anni di do- minazione straniera, spostano i loro interessi territoriali ed eco- nomici dalle regioni alpine verso la penisola italiana. Nel 1563 il nuovo duca, Emanuele Filiberto, decide di trasferire la sua capi- tale da Chambéry a Torino, e questa scelta avrà come conseguen- za il potenziamento dei passaggi più diretti con la nuova capitale, dal Colle del Moncenisio e dalla Valle di Susa. Bard: “Casa del vescovo” con una raffinata bifora trecentesca Il Piccolo San Bernardo perde dunque progressivamente il suo
primato come via di comunicazione, almeno per quel che riguar- nato ad operare, pur tra molte difficoltà, fino al 1770. Completa da Casa Savoia. questo felice momento la pubblicazione nel 1586 a Chambéry La Valle d’Aosta, allentato, almeno in parte, il pesante controllo del Coutumier, una raccolta delle norme consuetudinarie del dei duchi, riesce dunque a continuare il suo singolare esperi- ducato di Aosta, sulle quali, fino ad allora affidate solo alla tra- mento di autogoverno con l’Assemblea generale dei tre Stati, e dizione orale, si era fondato per secoli l’esercizio della giuri- l’amministrazione del Conseil des Commis, quest’ultimo desti- sprudenza valdostana. 66 67 Bard: l’elegante dimora della famiglia Challant, voluta da Sul piano nobile le finestre si presentano a crociera con corni- Filiberto di Challant, castellano di Bard tra il 1487 e il 1517 ci in pietra. Sullo sfondo i corpi di fabbrica del Forte di Bard
La ristrutturazione del Castel e la costruzione della chiesa di Fontaney A livello strettamente locale, sappiamo che la casata dei Pont- Saint-Martin, alla morte di Bertrando, è rappresentata, fino al 1544, dai figli Antonio e Percivale. In quegli anni è databile il trasferimento del loro domicilio dal vecchio castello, che è possibile fosse rimasto pressoché inagi- bile dopo il lungo periodo di abbandono conclusosi nel 1467, al Castel, già esistente come grangia rustica in regione Rovery, ma debitamente trasformato in confortevole abitazione signo- rile. In una carta del 1532 è, in effetti, già citato come casaforte. Come tale, sarà la dimora e il centro giurisdizionale dei signori di Pont-Saint-Martin, fino alla loro estinzione. Alla morte di Percivale, che aveva avuto solo prole femminile, 68 si apre un lungo contenzioso tra i discendenti, risolto il 29 mag- 69 gio 1562 a Pont-Saint-Martin, con l’arbitrato di François Porcel, parroco di Donnas. A Pietro e Bartolomeo, figli di Antonio, è assegnato il castello di Pont-Saint-Martin, con relativo feudo. Le figlie di Percivale ere- ditano invece le proprietà allodiali, i beni mobili già appartenu- te a loro padre e conservati nel castello e una parte di mulini di Pont-Saint-Martin, di proprietà diretta della famiglia o su cui essa vantava dei diritti. Eccoci finalmente giunti all’incontro con Bartolomeo, come ab- biamo già scritto, padre di Antonio, il donatore nel 1547 della pisside, quel vaso sacro che con la sua datazione ci ha incorag- giati a sapere qualcosa in più di questa antica famiglia. Bartolomeo conosce sicuramente le iniziative del Consiglio generale dei tre Stati, alle cui assemblee è tenuto ad assistere, Pont-Saint-Martin: particolare della casaforte personalmente o attraverso i suoi castellani. Nel 1548 partecipa, dei Vallaise ai Prati Nuovi infatti, alla costituzione di una milizia valdostana di 4000 uomi-
ni, al comando di tre colonnelli locali e, forte delle tradizionali virtù militari dei Pont-Saint-Martin, dà vita alla “Compagnie de Donnas” reclutandola tra i giovani della Bassa Valle. Come ve- dremo, ricopriranno cariche di prestigio in questa milizia anche i suoi discendenti. Un documento del 1573 tramanda un’informazione interessan- te sulla vita privata di questa casata, precisamente la memoria delle nozze di Eusebio, figlio di Bartolomeo, con Margherita, figlia di Charles Vuilliet, Signore di Saint-Pierre, festeggiate nel salone del suo castello. Tra le clausole del contratto di matri- monio attentamente specificate, si legge che la sposa, anche in caso di vedovanza, potrà usufruire di una stanza al castello di Pont-Saint-Martin o alla casaforte della Rovery. Si aggiunge infine un particolare insolito: Bartolomeo dona alla nuora un cofanetto di gioielli e anelli, che si addicono ad una sposa di tale qualità. Margherita diventerà vedova, prima del 70 71 1581. Non abbiamo abbastanza elementi per formulare qualche giudizio su quest’atto di delicatezza, d’altronde in linea con la personalità di Bartolomeo, il quale nel suo testamento del 1581 specifica accuratamente non solo quali dovranno essere i rap- porti tra gli eredi, ma anche le modalità della sua sepoltura nel- la chiesa parrocchiale di San Pietro in Donnas. Anche in questi anni è documentata un’intensa attività ammi- nistrativa. Lo attestano molti riconoscimenti, ora dispersi, da parte delle comunità di Pont-Saint-Martin, di Vert, e della valle dell’Ayasse in favore dei Pont-Saint-Martin, dal 1558 al 1594. Fortune particolari contraddistinguono in questo momento le iniziative dei Vallaise. Il 19 aprile 1553 il duca Carlo II fregia Antonio di Vallaise, suo ciambellano, del titolo di barone, confermato nel 1561 dal suo successore Emanuele Filiberto. Pont-Saint-Martin : ‘I Castel e la sua piccionaia Le loro ingerenze nel piccolo borgo di Pont-Saint-Martin trova-
no la punta di diamante nella costruzione della chiesa di Fon- taney, intitolata al Preziosissimo Sangue di Gesù Cristo, un’ori- ginale copia in scala ridotta della cattedrale di Aosta. L’edificio, eretto tra il 1590 e il 1595, fa parte di un complesso di diver- se strutture, e il suo primo ruolo è quello di essere la cappella gentilizia del nobile Pietro di Vallaise, dimorante con la fami- glia nell’attigua casa-torre, ora non più esistente, al confine tra Pont-Saint-Martin, Donnas e Perloz. Tra i molti affreschi che ne decorano la facciata e l’interno, degradati attraverso i secoli e ora accuratamente restaurati, riserviamo un occhio di riguardo a quello di San Martino, che qui insolitamente soccorre non un povero, ma un mutilato. Risale all’epoca della sua costruzione anche una struttura sotterranea, che inizia dall’altare maggiore e finisce nel cimitero, forse scavata come cripta, o più semplice- mente a deflusso delle acque meteoriche. Nel 1598 Giovanni Umberto, futuro consignore di Pont-Saint- 72 73 Martin, nel suo testamento, istituisce per il parroco e altri pre- ti che officeranno nella cappella del Rosario, tuttora presente nella predetta chiesa, un lascito perpetuo di tre sestari di buon vino rosso, lascito che sarà però annullato nel 1613. Dopo molte richieste da parte degli abitanti di Pont-Saint-Mar- tin, dipendenti fino ad allora dalla lontana chiesa parrocchiale di Donnas, la chiesa di Fontaney viene elevata a parrocchiale nel 1614 e l’area antistante l’edificio è adibita a cimitero. Pont-Saint-Martin: i muri absidali e il campanile mozzato della chiesa di Fontaney
I primi Sindaci del villaggio di Pont-Saint-Martin Nei primi anni del Seicento la dinastia dei Pont-Saint-Martin è rappresentata da Ercole, figlio di Bartolomeo, insieme al nipote Giovanni Umberto, figlio di suo fratello Eusebio, quest’ultimo morto precocemente. Nel 1604 i due Signori confermano la loro fedeltà al vescovo di Aosta, che riconosce loro l’antico diritto di percepire le decime nelle parrocchie della loro giurisdizione. Fino al 1612 i due consignori sembrano amministrare regolar- mente i loro feudi, ma Ercole negli anni successivi si comporta in modo discutibile, così da essere definito dagli storici un catti- vo amministratore. Nel settembre del 1616 gli abitanti di Cham- porcher prestano ancora la loro fedeltà ai Pont-Saint-Martin, ma 74 nello stesso anno Giovanni Umberto ed Ercole separano le loro 75 giurisdizioni, e Ercole nel 1617 vende la sua parte, compreso il castello, pur con diritto di riscatto perpetuo, a Jean-François de Tillier. In questo momento di crisi dell’autorità signorile, sembrano prendere forza altri centri di potere, tra cui la nobile famiglia de La Porte. Un suo esponente, Jean-Gaspard, sposerà Isabella, la figlia di Gaspardo, Signore di Pont-Saint-Martin, succeduto ad Ercole. La memoria dei de La Porte, originari della Francia, è legata, oltre all’erezione della cappella di San Nicola e San Giuseppe al Crestas, ora non più esistente, alla gestione del pe- daggio che si riscuoteva alla porta occidentale del ponte. Più notevole, anche per gli sviluppi successivi, è l’affermarsi della comunità di Pont-Saint-Martin. Già dal 1589 appaiono, infatti, nei verbali delle Assemblee ge- tav. 7.8.9 - Castello di Pont-Saint-Martin, sezione nerali dei tre Stati i nomi di due sindaci o procuratori di Pont- e pianta della residenza e particolare della cucina Saint-Martin, Jacquemin Beccour e Pierre Steveny. In esse i sin-
daci delle comunità presenti nel feudo dei Pont-Saint-Martin, inseriti nel Terzo Stato e mandatari di piccole collettività, perciò con un potere limitato dal punto di vista decisionale, presenzia- vano comunque anche ad importanti discussioni, su problema- tiche come la riduzione delle taglie o la limitazione di donativi in favore dei Savoia, pretesi in occasione di nascite, fidanza- menti, matrimoni di qualche componente della famiglia reale. Altro argomento trattato frequentemente durante queste assem- blee, che potevano interessare i nostri sindaci, era il pagamento di forniture militari. La strada romana veniva, infatti, percorsa anche da eserciti di ogni genere, che talvolta stazionavano per mesi sul territorio, vivendo alle spalle delle comunità locali, e aprendo problematiche di non poco conto ai loro rappresen- tanti. Possono interessare al lettore altre notizie, desunte dagli ar- chivi, relative alla famiglia di uno dei due sindaci, Jacquemin 76 77 Beccour, presente a Pont-Saint-Martin fin dall’inizio del Cin- quecento. Nel 1510 Antonio e Percivale infeudano infatti a certo Pietro Beccour, fabbro, una casa con fucina sulla riva destra del Lys, con i diritti sulle acque necessarie al suo funzionamento. Le acque del Lys sono state d’altronde sempre sfruttate come forza motrice, e può essere qui significativo il richiamo ad un documento attestante l’esistenza in questo luogo di un mulino già nel 1427. Se è possibile che il sindaco Jacquemin Beccour sia stato lega- to da vincoli di parentela con Pietro, certamente egli fa parte di una famiglia emergente, che all’inizio del Seicento gestisce numerose fucine e artifizi su ambedue le rive del Lys. Tutti gli stabilimenti subiranno purtroppo gravi danni a causa della di- sastrosa piena del Lys del 1620. Pont-Saint-Martin: interno della chiesa di Fontaney Ma com’era Pont-Saint-Martin, questo piccolo borgo di strada? con la trave trionfale settecentesca e volte a crociera costolonate In realtà esso risulta amministrato solo frammentariamente
dall’omonima dinastia, vista la presenza, in qualche caso pe- sante, dei Vallaise, ai quali è tuttora consacrata una strada, via Baron Vallaise, tra le antiche dimore di loro proprietà, solo in parte ristrutturate. Se pensiamo che la giurisdizione di Donnas nel Medioevo si estendeva da Roveschialles fin dove il Lys con- fluiva nella Dora, non si sa se addirittura più a est della foce attuale e che ambedue i corsi d’acqua, suddivisi in bracci, la- sciavano spazio a ghiaioni, acquitrini e luoghi incolti, possiamo immaginare l’esiguità del territorio controllato dai Pont-Saint- Martin, ridotto ad una breve striscia lungo la strada romana, con un prolungamento a monte, fino al loro castello, e a valle alla grangia della Rovery. Ad Pontem era chiamato tout court questo luogo dai Romani, a cui solo dopo il IV secolo si aggiungerà l’appellativo di Marti- no, o meglio San Martino, diventando frequente nei documenti medievali l’appellativo di Saint Martin du Pont, applicato anche 79 alla cappella gentilizia prossima al loro castello. Come già si è scritto, la filosofia degli uomini medievali riguar- do ai confini era sicuramente più duttile della nostra, ispirati com’erano a lasciare, si pensa volutamente, una certa indeter- minatezza, ed era quindi normale che si costituissero enclaves signorili private anche in giurisdizioni non proprie. Così nella giurisdizione di Donnas, a Roveschialles, i Pont- Saint-Martin possedevano una casa con pergolato e orto, non- ché alcune proprietà prative. Non lontano, in località Cometta, era attivo un complesso in- dustriale, dotato di mulino, fucina e forse altri artifizi: prima nell’orbita dei Pont-Saint-Martin, passa in seguito in quella dei Vallaise. Indicative di un certo disagio sono le testimonianze di contenziosi tra i Vallaise e i Pont-Saint-Martin, che si accusano tav. 10 - Chiesa/cappella consacrata a San Martino a vicenda di occupare proprietà e terreni altrui delle rispettive del castello di Pont-Saint-Martin allo stato attuale giurisdizioni.
Luci e ombre di una dinastia Claudio Goffredo, figlio di Ercole, raggiunge nel 1658 il grado di capitano della città di Aosta. Grazie a lui la casata dei Pont-Saint- Martin sembra uscire dal difficile periodo di crisi iniziato nel 1616. Egli riesce infatti ad ereditare dal cugino Giovanni Umberto la sua porzione di Signoria e riscatta le parti del suo feudo che erano sta- te disperse o alienate in favore di Jean-François De Tillier. È possibile che abbia contribuito alla sua fortuna il matrimonio con Margherita des Granges, figlia del consignore di Cly, che gli porta in dote vari possedimenti e soprattutto la liquidità neces- saria per condurre a buon fine la ricostituzione delle proprietà avite. Nel 1661 Claudio Goffredo muore, dopo aver redatto il suo te- 80 stamento, contenente, tra altri, un lascito generoso al centro di 81 accoglienza per viandanti dei padri cappuccini di Donnas. Gli succede il figlio Gaspardo, anche lui militare di carriera. Nel 1663 Gaspardo sposa Margherita Bailly di Aosta ma, forse malfermo di salute, redige il suo testamento già nel 1670, chie- dendo, tra l’altro, di essere insolitamente seppellito nella catte- drale di Aosta. Muore poco dopo, lasciando orfani due figliolet- ti, Marco Carlo Francesco e Giovanni Claro Renato. La vedova convola, nel 1673, a nuove nozze con Joseph-Philibert de La Creste, ma questo matrimonio apre tra la vedova e il marito no- vello da una parte e i nobili Pont-Saint-Martin dall’altra, lunghi contenziosi, come si legge in varie carte di archivio. I due minori crescono sotto la protezione della nonna Marghe- rita des Granges e la tutela sia del conte di Settimo che dello zio paterno Pompeo, sacerdote, che muore nel 1678. Pont-Saint-Martin: Santa Margherita, Marco Carlo Francesco diventa Signore nel 1685 al raggiungi- affresco nella piccola cappella del Castel mento della maggiore età, e molti documenti, con discrezione
ne tracciano la personalità complessa, non priva di zone buie. In quello stesso anno avviene la dispersione dell’eredità della nonna Margherita des Granges, e vengono vendute alcune ric- che proprietà site ad Antey. Nel 1689 aliena i suoi diritti feudali di consignoria che aveva su Hône, Champorcher e Vert a Giovanni Pietro Marelli, al quale il duca Vittorio Amedeo II di Savoia aveva già ceduto la parte che gli era propria. Il territorio così riunito è elevato al rango di contea e Giovanni Pietro Marelli, divenuto primo conte di Hône, va a risiedere nel palazzo, tuttora esistente, che fa co- struire in prossimità della chiesa parrocchiale di quel villaggio. Per quel che riguarda la sua vita privata, sappiamo che Mar- co Carlo Francesco nel 1686 sposa Maria Gasparda di Valperga, del borgo Sant’Orso in Aosta, città nella quale anche lui ricopre, come il padre defunto, la carica di capitano della città. L’anno 1690 può essere considerato un anno cruciale per que- 82 83 sta famiglia. Il 22 marzo Giovanni Claro Renato cede al fratello Marco Carlo Francesco quel che gli resta dell’eredità di Mar- gherita des Granges, oltre ad altri beni personali. Il 12 luglio Giovanni Claro Renato scompare tragicamente, straziato dal colpo di un proiettile, scrive il parroco Berterio di Pont-Saint-Martin, e viene seppellito tre giorni dopo nel ci- mitero di Fontaney. Una carta dell’anno successivo, conservata all’Archivio di Stato di Torino, confermerà questo luttuoso av- Dal registro degli atti di morte dell’archivio parrocchiale di venimento, aggiungendo che sarebbe stato Marco Carlo Fran- Pont-Saint-Martin, traduzione dell’atto di decesso: cesco a sparare con una pistola, colpendo a morte il fratello. “Il Signor Giovanni Renato dei signori di Pont-Saint-Mar- Il 28 luglio, pochi giorni dopo la sepoltura di Giovanni Claro tin raggiunto da un colpo di proiettile è morto inaspettata- Renato, la cognata Gasparda scende da Aosta, dove aveva il do- mente, mentre io ero presente e lo esortavo a morire bene, il micilio, a Pont-Saint-Martin e “a profitto della casa di suo marito” 12 luglio del 1690. Il giorno 15 è stato sepolto nel cimitero fa redigere dal notaio Gattinara un inventario di ciò che si trova della chiesa parrocchiale di San Martino del Ponte. nella casaforte della Rovery. Ecco qualche passo di questa minuziosa, e divertente, descri- Il parroco Berterio”
zione. Nella cucina sono presenti le attrezzature per il camino, mortai di pietra, brocche, padelle in ferro e paioli di rame, boc- cali e bacinelle di stagno, stoviglie anch’esse di stagno, ma di numero incerto, e candelieri di ottone. La sala annessa è dotata di due tappeti, uno verde e un altro colorato, tredici sedie e otto quadri, e anche qui è presente l’attrezzatura per il camino. La camera della cappella, che si può immaginare sia quella di rap- presentanza, è arredata con ben ventiquattro quadri, tra grandi e piccoli, uno scrittoio, otto moschetti e tre fucili. Un cofano in legno di noce conserva tovaglie e tovaglioli rossi, lenzuo- la, di canapa e di lino, oltre che due fazzoletti e otto camicie di Monsieur (del defunto o di Marco Carlo Francesco?). In un guardaroba-ripostiglio sono custoditi altri oggetti ingombranti, tra cui gli scaldini per il letto. Sbalorditivo è quanto il notaio dichiara esserci nelle cantine: circa venticinque barili grandi e piccoli, molti rinforzati con cerchi di ferro, misure di capacità 84 85 per il vino, aggiornate o non più in uso, due falci malandate, una mola per affilare, un paio di cesoie per tosare le pecore, un cannoncino da archibugio, un’alabarda senza manico, una spa- da di vecchia fattura, rotoli di canapa da filare, dodici ferri di cavallo, oltre ad altra merce di vario tipo. Siamo così entrati in una dimora medioevale, recante i segni, e i sogni, di un’antica ricchezza, ma che sembra al momento dismessa e forse ruralizzata, né sappiamo se teatro del tragico fatto di sangue. Due anni dopo, nel 1692, Gasparda commissiona per la cappel- la di San Giacomo nel borgo di Pont-Saint-Martin, un quadro che era ancora visibile nel 1910. In esso, accanto alla Madon- na d’Oropa, sono rappresentati due Santi amati dai pellegrini sulla via romana: San Giacomo, che richiamava il cammino di Compostela, e San Cristoforo, da sempre, e anche oggi, invoca- Pont-Saint-Martin: particolare interno del Castel to dai viaggiatori. Il luogo sacro era stato da poco ingrandito
se non addirittura rifatto, come leggiamo in una carta del 1686, ed era stato intitolato a San Giacomo. La normale amministra- zione di ciò che resta del feudo dei Pont-Saint-Martin sembra passare per qualche anno a Jean-Gaspard de La Porte, cognato del defunto Gaspardo, mentre Gasparda ricorre alla protezione del fratello Carlo Geronimo di Valperga domiciliato ad Aosta. Marco Carlo Francesco pare essere sottoposto a procedimento penale, ma non arrestato immediatamente. E, leggendo alcuni documenti, sembra persistere ad accumulare debiti e a sperpe- rare i pochi averi rimasti. Nel 1691 vende a Giovanni Pietro Marelli anche la sua giurisdi- zione su Vert, ma solo nel 1694 i famigliari riescono ad avviare la pratica per interdirlo. L’interdizione non sembra però essere immediatamente opera- tiva, e nel 1696 Marco Carlo Francesco dà in affitto per tre anni quel che resta della sua castellania, escluso il diritto di pedag- 86 87 gio, a Giorgio Millio di San Giorgio, dell’abbazia di San Beni- gno in Canavese, dove è possibile che fosse stato ospite, o in domicilio coatto, almeno secondo una testimonianza del 1691. “Marco Carlo Francesco si comporta così male e si lascia così facilmen- te abbindolare dagli adulatori, a tal punto da disperdere la più gran parte del patrimonio avito...”, si legge in un documento del 1697, anch’esso custodito nell’Archivio di Stato di Torino. Continuando nei suoi propositi di dissipazione, nel 1702 Mar- co Carlo Francesco trasmette ai parroci di Champorcher e di Pontboset il diritto di esigere le decime di tutti i possedimenti siti nelle due parrocchie, rinunciando così ad un diritto secolare, già attestato nell’ormai lontano 1261. Le ultime informazioni su di lui risalgono al 1704, anno in cui, prigioniero alla torre dei balivi di Aosta, viene liberato su cau- Aosta: la torre dei Balivi, zione, grazie ad un prestito che la moglie Gasparda di Valperga luogo di prigionia di Marco Carlo Francesco riesce a contrarre con il prevosto del Gran San Bernardo.
La peste bubbonica e l’occupazione francese Gli abitanti del ducato d’Aosta vivono dal 1630 alle soglie del Settecento un periodo estremamente difficile. Nel 1630 la peste infierisce in tutta Europa e coinvolge pesante- mente anche la Valle d’Aosta, dove viene introdotta da truppe di lanzichenecchi al servizio di Tommaso di Savoia in marcia dal Piemonte verso Chambéry. Si tratta di quattro reggimenti carichi di contagio, di sporcizia e di violenza, che, oltrepassa- to il ponte romano, si accampano, presumibilmente nelle zone prative e acquitrinose tra Pont-Saint-Martin e Donnas, prima di proseguire il loro viaggio fino ad Aosta e oltre, fino al Piccolo San Bernardo. Il primo caso ufficiale di peste è registrato in Valle d’Aosta il 19 88 di aprile 1630, quando il Conseil des Commis riceve la notizia 89 che nel borgo di Donnas un medico di Ivrea ha accertato la pe- ste sul corpo di una donna e dei suoi due figli. Donnas viene isolata e in tutta la Valle sono rafforzate le misure sanitarie e di vigilanza, che però risulteranno inadeguate. La peste dilaga ovunque, è la più grande catastrofe della storia valdostana. Secondo alcune stime, nel corso degli anni 1630 e 1631 il numero delle vittime supera i due terzi della popola- zione, circa 60.000/70.000 persone. Gli abitanti di Pont-Saint- Martin sono ridotti a 140, e la Valle d’Aosta ritornerà ai livelli demografici precedenti alla peste solo tre secoli dopo. Pietro di Vallaise, fondatore della chiesa di Fontaney, muore in quel pe- riodo, anche lui può darsi contagiato dal terribile morbo. Questo periodo è indirettamente rievocato negli archivi locali dai testamenti di chi, in fin di vita, costituisce dei lasciti parti- Pont-Saint-Martin: crocifisso ligneo proveniente dalla colarmente generosi in favore dei poveri e delle istituzioni cari- chiesa di Fontaney, conservato nella cappella di San Rocco tative, a beneficio della propria anima.
Restano fino ai nostri giorni, testimonianze tangibili di questi anni funesti, le innumerevoli cappelle erette in onore di San Rocco, patrono degli appestati, il cui culto si sovrappone in molti casi a quello dei Santi Fabiano e Sebastiano, invocati nelle precedenti epidemie, tra cui l’altrettanto terribile peste nera. Tra la fine del Seicento e l’inizio del secolo successivo, la Via di San Martino è poi teatro di due calate di truppe francesi in Valle d’Aosta. La prima, nel giugno del 1691, è un breve epi- sodio della guerra tra il duca Vittorio Amedeo II di Savoia e il re di Francia Luigi XIV. I francesi occupano l’Alta Valle e la stessa città di Aosta, spingendosi fino a Châtillon, spargendo ovunque rovina e morte. Si ritirano solo sotto corresponsione di un’ingente somma di denaro, 200.000 lire, saccheggiando e distruggendo tutti i ponti e accanendosi in particolare su La Thuile e il Piccolo San Bernardo. L’esercito francese utilizza la Via di San Martino una seconda 90 91 volta nel 1704, al fine di raggiungere il Canavese con l’intenzio- ne di conquistare Torino. Sono fermati dai piemontesi nel 1706 nella battaglia che è comunemente ricordata per il grande atto di audacia e di senso del dovere del minatore biellese Pietro Micca. L’occupazione dei francesi nella Bassa Valle non è così spietata come la prima, ma più di un documento conferma i dolori, i disagi, le requisizioni che si sono accompagnati al pas- saggio e alla permanenza di truppe anche a Pont-Saint-Martin e nei paesi vicini. Borgofranco d’Ivrea: particolare della facciata della chiesa di San Germano
La famiglia Mutta Contemporaneo a questi avvenimenti, forse intrecciato ad essi, si scopre un singolare documento datato 15 dicembre 1702. Si tratta di un’infeudazione data da Carlo Francesco ai fratelli Bernardo e Aurelio Mutta di miniere di ferro a Champorcher. Ci inseriamo qui in una dimensione più moderna, accennando ad accadimenti che avvennero in questi anni a Vert e nelle co- munità della valle dell’Ayasse, e che incisero profondamente sull’economia locale. Si tratta dell’arrivo del bergamasco Carlo Mutta, che, coadiu- vato dai tre figli, ricercando sistematicamente filoni minerari nelle montagne della Bassa Valle, ne scopre alla fine del Seicen- to alcuni anche al Mont-Ros di Champorcher. Sulla riva sinistra 92 dell’Ayasse, nel territorio di Pontboset, viene costruita una fon- 93 deria, dove si producono con profitto bombe, granate, palle di cannone e altro materiale bellico per l’arsenale dei Savoia. Il lavoro non sembra mancare se, come dicono le carte, nel 1708 sono commissionate ad esempio ben 5000 granate! L’attività è interrotta nei primi anni del Settecento, quando il ducato di Savoia è ripetutamente invaso dai francesi. La ricerca di materiale ferroso nella miniera del Mont-Ros riprende co- munque più intensamente nel 1727, quando Bernardo Mutta firma un contratto per fornire ai Savoia 16000 rubbi di palle di cannone. La presenza dei Mutta è segnalata anche a Vert, un’altra loca- lità dipendente anch’essa dalla giurisdizione dei Pont-Saint- Martin. Bernardo Mutta avendo infatti individuato un filone minerario a monte di Traversella, in Valchiusella, si propone, e Donnas: particolare della torre cinquecentesca con successo, di trasportare da quella zona a dorso di mulo il incorporata nel palazzo conti Enrielli minerale fin sulle montagne boscose di Vert.
Si vede tuttora la fonderia, che è sorta qui verso il 1715, la “Fab- brica” per compiere le diverse fasi di lavorazione, in sincronia con le altre strutture a Pontboset. Per completare il quadro delle sue straordinarie iniziative, si ricorda che lo stesso Mutta nel 1718 affitta, e in seguito acquista dalla comunità di Hône il com- plesso di artifizi e fucine sito in prossimità del ponte che collega questo villaggio a Bard. Esso, che sarà attivo fino a tempi recen- ti, ex fabbrica Gossweiler, era presumibilmente quello realizza- to nel 1356, come recita un documento, con l’approvazione di Ardizzone, consignore di Pont-Saint-Martin. Non sappiamo se Bernardo Mutta, messaggero di idee moder- ne e spregiudicate, ebbe altri rapporti con gli ultimi Signori di Pont-Saint-Martin, ormai in fase di estinzione. È comunque ac- certato che compra il pedaggio di Bard, per far circolare libera- mente le palle di cannone prodotte nelle sue fonderie. Stabilitosi a Donnas, acquista anche il banco del sale, e si mette 94 95 a prestare denaro a basso interesse, diventando un punto di ri- ferimento importante nella Bassa Valle. Alla morte di Bernardo, avvenuta nel 1730, e del figlio Carlo, appena due anni dopo, l’attività è presa in mano dal notaio Gia- como Filippo Nicole, castellano di Bard, che la potenzia, così da fornire all’arsenale regio anche le palle di cannone in occasione della guerra di successione austriaca. Il re Carlo Emanuele III, non riuscendo però in seguito a pagare al Nicole tutti i debiti, nel 1744 lo indennizza, accordandogli il feudo di Bard e il titolo di conte. Pont-Saint-Martin: ringhiera settecentesca in ferro battuto delle antiche proprietà dei baroni di Vallaise
Giuseppe Filiberto, ultimo Signore di Pont-Saint-Martin Giuseppe Filiberto succede al padre Marco Carlo Francesco nel 1707. Sappiamo che nel 1711 impugna davanti al Senato di Tori- no le vendite paterne, e che riesce a riscattare i territori di Hône e di Champorcher, mentre Vert resta alla famiglia Marelli. Nel 1727 presta omaggio al re Carlo Emanuele III. Un anno dopo è a Champorcher, dove presenzia insieme ai sindaci del luogo alla stipulazione di un contratto con Giovanni Ferro di Alagna in Valsesia, in vista dell’ampliamento della chiesa par- rocchiale. Muore nel 1737, senza figli maschi, istituendo sua moglie, An- gelica Teresa di Vallaise erede dei suoi beni. La vedova, con testamento del 2 marzo 1739, stabilisce come 96 erede universale il barone Umberto di Vallaise-Romagnano, ad 97 eccezione dei beni feudali devoluti alla corona. Angelica Teresa continuerà ad abitare nella casaforte, e qui redigerà il suo testa- mento, fino al 1764 anno della sua morte. Tramonta così una dinastia medioevale, esponente di costumi ormai superati, in qualche occasione crudele e indocile, come era consuetudine dei Signori feudali in quei tempi, ma anche umanissima nelle sue scelte e nelle sue pulsioni, che tutto som- mato la rendono, inconsapevolmente, di straordinaria attualità. Orgogliosi di ritenersi, si crede a ragione, secondi nella gerar- chia dei nobili valdostani, sono stati sempre inascoltati in que- sta loro aspirazione. In teoria erano signori di Bard e di Pont- Saint-Martin, ma il castello di Bard non l’hanno mai posseduto o amministrato, tanto meno quando sopravvennero i Savoia con i loro occhiuti castellani. Stranamente, a questa famiglia non venne mai riconosciuta attraverso i secoli altra qualifica Pont-Saint-Martin: un antico casamento medievale che quella di Signori di Pont-Saint-Martin. Solo Giuseppe Fi-
liberto, l’ultimo rampollo della casata, riceve l’appellativo di conte, registrato in qualche documento del Settecento. È giunto il tempo in cui i feudatari lascino il posto a nuove famiglie ram- panti: i Mutta, i Marelli, i Nicole, i Freydoz, ad alcuni dei quali i Savoia non lesinano titoli nobiliari. Il vuoto di potere che si crea nel villaggio di Pont-Saint-Martin con l’estinzione del suo feudatario, sembra colmato dal raffor- zamento della comunità locale che, come abbiamo visto già viva dal Cinquecento, ha ormai acquisito gradatamente un ruolo di rilievo. Da qualche tempo sono infatti i suoi sindaci che riscuo- tono la taglia dovuta al Signore, imponendola equamente tra i vari membri della collettività. Il villaggio di Pont-Saint-Martin conta appena 218 persone, in un periodo in cui Donnas ha 1058 abitanti e Perloz ne conta addirittura 1405. Essa è ripetutamen- te rappresentata da esponenti della famiglia Porté, discendenti dai già citati nobili de La Porte, e dai Neyvoz, notai di cultura 98 99 elevata e amministratori dei beni dei Vallaise, oltre che ricchi possidenti. I Porté rappresentano gli abitanti del piccolo borgo nato a ovest del ponte romano, i Neyvoz, proprietari dei ca- samenti di via Baron Vallaise sono un’importante presenza là dove si incontrano le strade per Perloz e per Donnas. Per quel che riguarda il feudo vero e proprio, prima incamerato nel patrimonio reale, si frantuma poi tra diversi domini. Nel 1744 Giacomo Filippo Nicole, proprietario delle ferriere che si erano intanto costituite a Hône e a Pontboset, è nominato con- te di Bard per i servigi offerti a Casa Savoia durante la guerra di successione austriaca, e l’anno successivo è anche investito della baronia di Pont-Saint-Martin, diventando proprietario del rela- tivo pedaggio, abolito solo nel 1783 dall’intendente Vignet des Etoles. Nel 1746 Carlo Emanuele III, re di Sardegna, cede i diritti dei Signori di Pont-Saint-Martin su Hône al ricco commerciante Pont-Saint-Martin: scorcio in via Baron Vallaise Giovanni Gippa. Contemporaneamente anche la parte di Cham-
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