Le altre due, indispettite sempre più, risposero:” E noi pena forsedobbiam provare per codeste famiglie che tu tanto decanti?Libertà mai c’hanno dato e sempre chine sui libri per loro volereeravamo”.E Fiamma: ”Nemmen dieci anni su libri v’avrebbero giovato:cocciute siete voi che disprezzate chi c’ha fatto nascere, chi pernoi s’addolora; mah sì, adesso basta, Dio non voglia mai cheDante dalle mie strilla si ridesti, ma prego voi, o amiche mie, chealle mie parole il pensier fermiate ed io in cambio li compiti discuola sempre per voi farò”.Le ragazze, o per la nobil proposta o per rimorso, decisioncangiarono, ma un timore le colse: li lor parenti battute molto leavrebbero se a casa tornate fossero, in particolar lo padre diMonna Bice, lo quale grosso omo era, con mani sì forti e grandiche d’un ceppo di legno a mani nude briciole facea e, giacché talfine ella non avea desio di fare, a pianger si mise.Quasi da quel pianto destata, una voce subito si levò mesta eincerta, ma d’uomo sicuramente. Dalla tomba provenir parea, maimpossibile questo era giacché di dormir lì solo un morto poteaaver disio. Lo cane a correr si diede verso il nobil monumento loquale ancora molto parlava. Di Firenze narrava e della tristezzache quel pensier con sé portava. Monna Fiamma, non credendoalle orecchie sue, di più s’accostò e niuno vide nella tomba, mala voce senza sosta continuava. Fiamma, al miracol credendo,
con lo spirito molto parlò mentre la Bice e la Betta, colte daindicibil paura, strette al cane s’erano.Lo dialogo fu lungo, ma al suo fin riuscì: dallo spavento riprese,le tre meschine a Fiorenza deciser di tornare e verso la staziones’avviarono con l’animo di sospetto ancor pieno. “Forse con treregali si placheranno li parenti nostri” le rassicurò Fiamma; “Lituoi forse sì, perché a scuola onor loro sei, ma li miei moltelegnate mi daranno così che la schiena china non solo perstudiare dovrò tenere” disse Monna Bice. Monna Betta, daldubbio ancor sconcertata, niuna parola fece finché un ricordo allamente le sovvenne: la passata settimana dall’acconciatrice eraandata come di sabato soleva fare e un articolo avea letto cheridere molto l’aveva fatta; al che esclamò: ”Sciocche, al miracolcredeste, ma vittime d’una beffa siamo state difatti sabato dallamia acconciatrice un articolo lessi d’una banda di giovani che inmille modi a rubar si davano nella ricca città di Ravenna.L’attenzione delle donne coglier solevano per rubare gioielli edanaro.”A queste parole Fiamma subito si voltò: ”Allora ragione avevo: tudalle acconciatrici passi li pomeriggi e non a casa a rimirar li libridi scuola!”“Lo problema non si pone- ribadì Betta- giacché tu li nostricompiti da ora, come hai detto, farai! Ma una cosa ancor mi turba:le mie tasche assai leggere sono!” “Anche le nostre” affermaronole due. “Derubate ci hanno, ora anche li soldi persi abbiamo e
altre dieci bastonate in conto ci siam messe!” fece Bice, la qualdella punizione solo si curava.Niuna cosa da far restava se non a casa tornare con fare mestoe triste. Fortuna volle che sullo treno niun controllore passònonostante lo viaggio a lungo durasse. A Firenze tornate, liparenti trovarono alla stazione donde erano partite, giacché laBetta gli orari dei treni a casa in bella vista avea lasciato.Tutti scuri in volto e pronti a menar forte le mani, li parentiinterrotti furono da Monna Fiamma la quale per l’ultima volta inquella giornata saggiamente venne a parlare: ”Torto abbiamo,ma di libertà un forte disio ci colse; d’un falso miracolo siam statevittime e niuna cosa bene andò tranne una: d’un gran poeta latomba abbiam visto! “ E li genitori, allentanti li pugni, chiesero:“Di Dante forse tu parli? Dal treno per Ravenna siete scese!”“Si signor mio, lo gran poeta che di noi da sciocche giovani qualieravamo, argute fanciulle ha fatto: insieme più impegno e rispettoa voi giuriamo “.Li parenti, che stanchi del lavoro e della ricerca erano, le figliecon qualche ceffone batterono, ma assicurarono che lo screzioperdonato avrebbero se Bice e Betta a studiar si fossero messecon la stessa lena assicurata quotidianamente da colei che tuttisecchiona solevan chiamare; ma a quest’ultima quale punizionedare? “ Queste somare a studiar dovrai aiutare finché ad un belvoto non giungeranno”. Così lo padre di Fiamma sentenziò; glialtri d’accordo furono e, del patto contenti, alle loro dimore fecero
ritorno; le tre fanciulle imparato aveano che la brama di libertànon porta seco facil fortuna. Lo sommo poeta avea peròseminato lo germe del sapere che per sempre avrebbe illuminatole menti loro.
Lorenzo CarpitelliSulla tomba di Messer Boccaccio
In cui si racconta di come la tomba del Boccaccio volesse esseraperta per veder se dentro ci fosse lui veramente; e di come tre ragazzi ordiron l’inganno per ripagar con la stessa moneta un loro compagno.Un dì che ben ridir non so, ma se la memoria non mi inganna eraun giorno non lontano da quello in cui adesso siamo, un ragazzodi nome Federico lesse sul giornale una notizia un po’ originale,che molto lo interessò. Sull’articolo, infatti, c’era scritto, che tresettimane più tardi un gruppo di specialisti avrebbe aperto latomba del celebre scrittore di novelle, per riportare alla luce leeffigi mortali di colui, che diede lustro imperituro al paesetoscano, pensando che questo avrebbe intrigato i turisti chesarebbero accorsi in massa per vedere, osservare, contemplarele mere ossa del povero riesumato. Ora, dato che Federicoabitava a Certaldo, mentre egli passeggiava disinvolto nel belpaese, vide due ragazzi di nome rispettivamente Lorenzo eTommaso, che fama avevan di essere grandi amici; allora,ricordandosi dell’articolo che aveva letto e poiché il coordinatoredei lavori per la ricognizione dei resti era un tale che trattò in malomodo i due, questi pensò di dire la cosa ai ragazzi. Si avvicinòloro e gli spiegò tutto. Appresa la notizia Lorenzo e Tommaso, aiquali era riaffiorato nella memoria il ricordo di ciò che avevanosubito, (così nitido nelle loro menti che dimostrava quanto ancorafacesse male l’attimo antico che aveva toccato la superficie della
loro piena coscienza) con la stessa moneta di ripagarlo decisero.E così, mentre riflettevano su quale fosse il modo migliore pervendicarsi di lui, Federico propose di attuare uno scherzo che,ancora in fase embrionale nella sua testa, si sarebbe in cotalmodo dovuto articolare: conoscendo molto bene il parroco dellacittadina, un certo Don Cristiano, gli chiesero se avessero potutola tomba aprire, prima che del team di esperti iniziassero i lavori,prender l’ossa (se ci fossero state veramente), lasciare unbiglietto con l’indicazione dell’esatta ubicazione dello scheletro,il più fedelmente possibile riprodurlo (dato che due amicistudiavano chimica e Federico archeologia all’Università) emettere le ossa dove avevano stabilito. E così fecero.Il giorno seguente, di mattina presto, nella chiesa dei santiJacopo e Filippo entrarono, dove Don Cristiano stava celebrandomessa, aspettarono che la liturgia fosse terminata e poi il pretein sacrestia raggiunsero. Qui Federico gli espose il suo piano,sperando che, in nome della vecchia amicizia che lo legava alsacerdote, avesse accettato di aiutarlo, ma egli, conscio delsacrilegio che avrebbero commesso, fu reticente; alloraFederico, che fama di essere grande oratore e sofista aveva,cominciò a parlare dicendo:- Carissimo e reverendissimo DonCristiano, ancora non ti accorgi di quel che stai facendo? Perchéacconsenti al vostro comun nemico di aprire una tomba proprioqui, nella tua chiesa? Forse non rimembri che fece torto anche ate, anzi gravissimo oltraggio contro la tua sacra persona, la quale
offesa ti ha condannato per diverso tempo ad essere lo zimbellodel paese? Ora, nel momento in cui noi possiamo porre rimedioa questo, io mi appello a te, eccellentissimo padre, affinché tupossa darci il permesso di attuare il nostro piano; non vedi che ilnemico a comun danno impera e solo con questo possiamoaggiustare tutto?-. Quando ebbe finito di parlare il prete lo presein disparte chiedendogli se dei due ragazzi che erano con lui sipotesse fidare, allora Federico rispose: - Caro amico, io conoscoquesti due ragazzi non molto più di quanto tu li possa conoscere,ma se c’è una cosa che di lor si dice è che siano moltoriconoscenti ad un che li aiuta e semper fidelis -.Dopo qualche tentennamento, in virtù dello stretto rapporto tra idue, il sacerdote acconsentì ai tre ragazzi di recarsi in chiesaall’imbrunire del giorno. Così fecero e dopo che anche l’ultimofedele fu uscito, il sacrestano le porte del sacro luogo chiuse e itre ragazzi, avendo portato gli attrezzi necessari, la bella lastramarmorea, sulla quale vi è scolpito in bassorilievo la figura delBoccaccio, iniziarono a sollevare. Poggiato il lastrone a terra, icompagni poterono osservare ciò che Lorenzo aveva giàsupposto: la tomba era vuota quindi altro non era che uncenotafio. Chi sa in quale luogo riposano le spoglie mortalidell’illustre novellatore, forse non lo scopriremo mai, ma nonimporta, non è forse crudele disturbare di una persona il sonnoeterno?
I ragazzi lasciarono nell’urna un biglietto (la carta era così beninvecchiata da apparire almeno di seicento anni), che in letteregotiche, il luogo esatto di sepoltura dello scrittore riportava. Fattoquesto richiusero la tomba.Nei giorni successivi i tre iniziarono a lavorare senza sosta sullapreparazione delle finte ossa dello scrittore (dato che, come hogià detto, uno di loro studiava archeologia e fortunatamenteritrovò, negli scavi condotti presso la Pieve di Sillano, ossaumane); modificarono e invecchiarono lo scheletro in modo cosìsimile ad uno del secolo decimo quarto, che persino uno studiosodi paleontologia avrebbe stentato a credere che fosse falso.Lungo e complesso fu il lavoro e quando i ragazzi lo terminarono,mancava esattamente una settimana all’apertura della tomba delBoccaccio.La sera seguente verso la chiesa, ormai sconsacrata, dei SantiTommaso e Prospero i compagni si incamminarono e, sempredal prete aiutati, la lapide memoriale della famiglia Boccaccio,vicino l’abside sulla parete sinistra della chiesa trovarono.Così come fecero per la tomba rimossero anche la lapide e,accuratamente lo scheletro dentro l’urna inserito,meticolosamente la richiusero. Con successo il progetto era statoportato a termine e i ragazzi non poterono fare altro se nonaspettare.
Precisamente una settimana dopo iniziarono i lavori sulla tombadel Boccaccio e, con il pieno stupore della collettività, il team diesperti un biglietto con su scritto il luogo, nel quale si trovasseroveramente i resti dello scrittore rinvenne. Ci fu una mobilitazionegenerale di uomini, donne e bambini, che aspettavano di vederecosa l’urna, nella chiesa sconsacrata, avesse contenuto, e anchei nostri tre ragazzi si apprestarono a entrare nella chiesa pervedere la reazione del pubblico. C’erano anche varie tv locali,pronte a intervistare il direttore dei lavori che, proprio in quelpreciso istante si accingeva a togliere la lapide. Un momento diassoluto silenzio, come se tutta la comunità stesse riflettendosulla soluzione di problemi filosofici, aleggiò fra gli astanti che,un secondo dopo il sensazionale ritrovamento di un corpo (che aparere degli esperti e del direttore in primis era sicuramentequello del Boccaccio) iniziarono a urlare dalla gioia della scopertae ciascuno con i promotori del progetto si complimentava. Anchei tre applaudirono, consci di dovere aspettare ancora un po’, inmodo tale che la notizia a macchia d’olio si spargesse, perrivelare la verità.Passata circa una settimana dal ritrovamento, l’entusiasmo perla scoperta non si era ancora spento, anzi era in seguito almassiccio arrivo di turisti aumentato; i quotidiani e le riviste altronon facevano che parlare di questo fatto che aveva all’apice delsuccesso il nemico dei compagni portato.
A questo punto Tommaso spronò gli altri, e così decisero chefosse arrivato il momento propizio per agire. Si fecero intervistareda una emittente locale, che però una grande risonanza ebbe alivello nazionale; il direttore del progetto fu il primo a opporsi aqueste ridicole calunnie, ma quando i ragazzi gli spiegarono cosaavessero fatto e le prove inconfutabili mostrarono, il direttore furicoperto di vergogna dalla comunità scientifica con l’accusa dinon esser riuscito a capire che fosse un falso ciò che trovatoaveva. I giornali scrissero di lui a loro volta tanto che la sua famadalle stelle andò alle stalle.Tommaso e Lorenzo, da ciò che avevano compiuto appagati,tanto delle odierne sciagure del loro bersaglio risero. Vero è peròche non ce l’avrebbero mai fatta a ideare un piano così bencongegnato se di Federico l’aiuto non avessero avuto. Questi erafelice di vedere i due amici così entusiasti, ma allo stesso tempo,in cuor suo, paura aveva che finita questa picciola avventura, iragazzi lo dimenticassero senza con lui stringere un’amiciziaduratura. In fin dei conti però il ragazzo si sbagliava; Tommaso eLorenzo, infatti, erano rimasti sorpresi fin dall’inizio dell’altruismodi Federico che aveva tutto quello che era nelle sue possibilitàfatto perché loro e Don Cristiano potessero esser del tortoripagati. Anche durante l’attuazione del piano, Federico li avevacosì tanto aiutati che i due lo considerarono il modello più altod’ingegno e di ferrea volontà al quale ispirarsi, apprezzando di luiogni cosa che ai loro occhi potesse essere virtuosa. Non c’è
dubbio quindi se i due ragazzi, accortisi del grande dono che laFortuna fatto gli aveva, chiesero a Federico se loro amicovolesse diventare. Dal canto suo, il ragazzo era entusiasta,aveva capito che il duo gli era grato per tutto quello che avevafatto e così, senza pensarci due volte, di buon grado la propostadei compagni accettò.Decisero in quello stesso giorno i tre amici di festeggiare la lorovittoria, ma a un certo punto mentre i ragazzi stavano brindando,Lorenzo fu colto da un po’ di malinconia nell’aver rovinato la vitaad un loro compaesano per cui disse: - amici miei non abbiamfatto forse un grosso danno? - Allora i due lo rassicuraronodicendo: - t’è piaciuto forse quando abbiamo ordito l’inganno? –-Sì –rispose quelli.- E allora non ti crucciar troppo perché s'ei piace, ei lice(T. Tasso).-
Camilla Cornacchia Infinita estate...
Ricordo una storia che mi è stata raccontata qualche anno fa damio nonno; parlava di un uomo anziano di nome Patrick cheaveva lavorato tutta la vita nella fattoria di famiglia. Un giornod’inverno dopo che ebbe un malore, gli fu diagnosticato uncancro all’intestino, che fortunatamente era allo stadio iniziale.La famiglia appena saputo, rimase incredula dinanzi alla notizia.Ben presto però decise di regalare un compagno di viaggioall’anziano con la speranza di rallegrargli le giornate: un cucciolodi cane. L’uomo appena si vide arrivare addosso quella creaturaa quattro zampe, ebbe un attacco d’ira poiché si sentiva preso ingiro proprio dalle persone che sperava in quel momento glistessero accanto. D’altra parte come chiedere a un uomo cheper la vita ha usato gli animali solo per lavorare e sfamarsi, ditrovare un seme di speranza in un cane?Il tempo passava e Patrick pian piano iniziò a ricredersi su tuttociò che aveva sostenuto per tutta la vita.Scheggia, come lo chiamò, riusciva per ore e ore a fardimenticare all’anziano tutti i suoi problemi. Adesso amavarincorrere, per quanto poteva, il suo velocissimo amico, amavagiocare nel prato insieme a lui, fare il bagno nel mare, coccolarloe farsi coccolare… L’uomo sembrava essere nato una secondavolta.Ogni mattina d’estate appena dopo l’alba andavano a fare unapasseggiata sulla spiaggia. Un giorno prima di tornare a casa perl’ora di pranzo, Patrick decise di riposarsi un po’ ascoltando il
dolce fruscio delle acque marine. Al suo risveglio, passataqualche ora, non trovò il fedele amico al suo fianco. Pensò:“Forse è andato da qualche cagnolina o forse a prendermi unlegnetto”, e così iniziò a chiamarlo una, due, tre volte. Niente. Ilcucciolo era sparito.Allora l’uomo chiese aiuto ai suoi familiari, infatti per giorni egiorni cercarono per tutta la città, ma non c’era traccia. Patricksmise di mangiare, di uscire, di sorridere. Inoltre dagli ultimiaccertamenti effettuati, la sua situazione di salute era peggioratadrasticamente. Le ricerche continuarono per mesi e mesi ma lasperanza sembrava svanita del tutto.Ormai erano passati due anni da quando il cane era sparito.Patrick non si riconosceva più fisicamente, era diventato moltomagro e la malattia piano piano gli stava consumando tutto ilcorpo. Gli rimaneva poco tempo da vivere, forse qualche mesese considerava le previsioni che i medici avevano fatto sulla suamorte. Tanto tempo era trascorso ma l’uomo ogni giorno tornavasulla spiaggia, nel punto in cui aveva perso quell’amico, quelpezzo di cuore.Durante la notte del 10 Agosto, fissava le centinaia di stelle checontinuamente cadevano dinanzi ai suoi occhi: infinite volteespresse lo stesso e unico desiderio di ritrovare il suo cane.Improvvisamente, sentì un leggero lamento provenire dal di sottodella sua finestra, così, con fatica, si affacciò e senza credere ai
suoi occhi, vide Scheggia. Urlò di gioia e scese ad abbracciarlo.Anche lui era diventato magro, con il pelo sporco e arruffato, conferite sparse per il corpo, gli occhi lucidi e le zampe consumatefino a vedere la carne viva. Forse era stato rapito da qualcunoche voleva fargli del male oppure era stato portato lontano etanta strada aveva fatto per tornare indietro, a casa sua. Avevasul corpo segni di violenza e non solo, ma ce l’aveva fatta.Patrick nonostante avesse visto il suo fedele amico in quellecondizioni era felice, anzi felicissimo: sentiva dolore alla facciaper quanto rideva, ormai da un po’ non era più un’abitudine.Allora decise di uscire per andare sulla spiaggia. Qui sisedettero l’uno di fianco all’altro e dopo aver passato la notterannicchiati insieme nelle loro membra, caddero in un profondosonno.Qualche ora dopo, furono ritrovati nella sabbia senza vita,abbracciati. Seppur per cause diverse, i due compagniterminarono quel lungo viaggio INSIEME.
Ada CrocillaMaglioni e sigarette
Il giorno in cui Daniele ha un problema e trova un amico laddovemen se l'aspetta.Daniele Gentilini si era sempre considerato un ragazzo piuttostofortunato.La sua breve vita era stata intensa, piena di divertimenti. Non gliera mai mancato affetto, né da parte dei suoi genitori né da partedi Samuele, suo fratello minore, che lo idolatrava.Passava le giornate fuori con il suo gruppo di amici, non sipreoccupava troppo della scuola ed aveva sempre una ragazzanuova al braccio.Insomma, la sua vita era sempre stata uno spasso.Certo, fino a quel momento.In quel preciso istante, sotto lo sguardo scrutatoredell'insegnante e dei suoi genitori, a Daniele sembrava che lecose non potessero andare peggio di così.-Si può sapere esattamente perché ci ha convocato qui? Danielenon ha mai parlato di nessun problema avuto a scuola-La voce di sua madre lo distolse dalle sue riflessioni.Ecco, c'era forse questo piccolo problema nella sua vita cheaveva dimenticato di contare.
Come forse si sarà già capito, a Daniele non piaceva andare ascuola.Nonostante questo, copiando, era sempre riuscito a mantenerela sufficienza e, di conseguenza, a tenere a bada i suoi genitori.Ultimamente non era più riuscito a copiare nulla e aveva presoqualche insufficienza, niente di troppo grave.L'unico piccolissimo problema era che non aveva ancora trovatol'occasione di informare i suoi genitori di quest'insignificante calodidattico.-Vede signora, abbiamo notato che i voti di suo figlio hannoiniziato a calare drasticamente e abbiamo pensato che, prima diprendere provvedimenti, informarla sarebbe stata la cosamigliore.-Okay, forse non era un calo così insignificante.Ma i tre sono assolutamente recuperabili, giusto?-Ci siamo permessi di pensare che, dato che anche la suafrequenza scolastica è diminuita, e non poco, questo fattopotesse essere collegato a dei problemi in famiglia, che magaripotrebbe risolvere con voi.-Lo sguardo gelido sul volto di sua madre non preannunciavaniente di buono.Perfetto, davvero.
Con due frasi ben piazzate, quell'uomo malefico aveva appenarovinato la sua vita. ****Fantastico.Assolutamente fantastico.Non bastava un mese segregato in casa, adesso dovevanoanche affibbiargli un ragazzino perché gli desse ripetizioni!E per di più, non un ragazzino qualunque: Michele Falci.L'essere umano più disgustosamente superbo e pomposo sullafaccia della terra.Andava in giro sempre da solo, vestito in camicia e maglioni,come se non avesse mai visto una maglietta in vita sua.Il suo accessorio migliore però era quell'espressione arroganteche aveva sempre stampata in faccia.Con la sua pagella impeccabile, le sue scarpe lucidate e i suoiocchiali da borghesino era ovvio che si credesse migliore di tuttii poveri comuni mortali che percorrevano i corridoi della scuola.Daniele non aveva mai avuto occasione di parlargli, ma sapevache non lo avrebbe sopportato fin da subito.
Ora sarebbe stato rinchiuso nella stessa stanza con lui perameno quattro ore a settimana.E non solo, avrebbe anche dovuto anche 'ricambiare il favore'.Se c'era una cosa che Daniele non sopportava era essere alservizio delle persone.E se c'era una cosa che tollerava ancora meno era essere indebito con qualcuno.Quel maledetto ragazzino sembrava riunire in sé tutto ciò cheDaniele odiava e si stava evidentemente impegnando perrendere la sua vita un inferno.Con questi pensieri in testa Daniele si diresse verso il baraccendendosi una sigaretta per passare quella che sarebbestata, per molto tempo, la sua ultima serata di libertà con i suoiamici davanti a una birra, sperando che la combinazione dialcool, battute senza senso e magari una bella ragazza daapprocciare al bancone, gli avrebbero fatto dimenticare i suoiproblemi per un po'. ****Il 'grande momento' era arrivato.Certo, se per grande momento si intende 'passare due ore conla persona che odi di più al mondo'.
Con un sospiro rassegnato, Daniele entrò in biblioteca.Si avvicinò al tavolo con passo sicuro e si lasciò cadere sullasedia accanto a quella dove era seduto Michele.Quest'ultimo sembrava non averlo nemmeno notato, presocom'era dalla sua lettura.'Sei tu quello che mi deve dare ripetizioni allora. Io sonoDaniele.'Il ragazzo si presentò timidamente senza alzare nemmeno gliocchi dal libro.Iniziando già ad irritarsi, Daniele decise di arrivare dritto al punto:-Senti, mi è stato detto che volevi qualcosa in cambio delleripetizioni, quindi facciamola finita e dimmi cosa vuoi .-Michele sembrò esitare e alzò finalmente gli occhi.-Non ho richiesto esplicitamente che tu facessi qualcosa per me.Apprezzerei tuttavia che il nostro accordo non fosse solo a tuobeneficio, ma che ne potessimo trarre vantaggio entrambi.- dissepacatamente.Ma aveva ingoiato un dizionario o cosa questo ragazzino?Parlare con lui era come leggere direttamente daun'enciclopedia.Daniele sbuffò e alzò gli occhi al cielo.-Se la vuoi mettere così, va bene; dimmi solo cosa dovrei fare.-
-Ho richiesto quattro ore apposta cosicché potessimo dividere iltempo a nostra disposizione tra lo studio e, appunto, la tua partedell'accordo.Avevo sperato che per le due ore rimanenti tu mi portassi a fare...quello che fanno di solito i ragazzi della nostra età.-Fermi tutti.Cosa?Portarlo.. a fare quello che fanno i ragazzi della nostra età?-Mi stai cercando di dire che non sei mai uscito a, che ne so,prendere un caffè, non sei mai andato al cinema o cose delgenere?-Michele lo guardò un po' intimidito e si affrettò a spiegare:- Lamia famiglia è molto credente e tradizionalista. Sono statocresciuto in un ambiente molto severo e praticante, dove ogniforma di divertimento odierna era considerata un peccato. Hosempre passato il mio tempo libero a leggere, nient'altro.Vorrei solo iniziare a vivere come un ragazzo normale.Mi aiuterai?-Michele era davvero un ragazzo strano, ma non gli stavachiedendo niente di troppo impegnativo, alla fine.Daniele si affrettò ad annuire e a stringere la mano che gli erastata porta.
Dopo alcuni momenti di silenzio però realizzò qualcosa.-Aspetta un attimo...tu mi stai dicendo che non hai mai visto StarWars?-Allo sguardo perso di Michele il suo stupore si fece ancora piùgrande.-Harry Potter? Il signore degli anelli? Star Trek? Indiana Jones?-Quando Michele scosse la testa, Daniele fece una promessa ase stesso: a questa situazione si doveva rimediare subito.Disse così anche al ragazzo, che gli sorrise grato.Accordarono di vedersi il giorno seguente all'uscita di scuola, perpoi andare a casa di Daniele e fare una maratona di Star Wars.Quest'ultimo stava appunto per alzarsi quando Michele gliricordò che avevano ancora un'ora e mezza per ripassarealmeno le basi del programma di chimica di quell'anno.Con un mugugno di disappunto Daniele si sedette nuovamentee tirò fuori il libro di chimica.Un'ora e mezza dopo, con orbitali e numeri quantici che, invecedi girare attorno al nucleo, giravano intorno all sua testa, uscendodalla biblioteca, pensò che se tutte le lezioni fossero state comequella, questa punizione sarebbe potuta diventare anchesopportabile.
****I pomeriggi seguenti furono altrettanto sopportabili.Sì, sopportabili. Daniele non si sarebbe allargato oltre ilsopportabile dicendo che, in fin dei conti, gli piaceva trascorreredel tempo con quel ragazzino strano.Assolutamente no.Perché a lui non piaceva, per nulla.Diciamo solo che le lezioni erano utili, sì ecco.Però quelli che prima erano pomeriggi passati a guardare film inun silenzio imbarazzato ora erano passati a parlare, con unabevanda in mano.Piano piano diventarono amici.Continuando a uscire con il suo gruppetto e allo stesso tempocoltivando un'amicizia sempre più profonda con Michele, la vitadi Daniele sembrava non poter andare meglio. ****Ovviamente, le cose non possono mai andare bene per troppotempo di seguito.
E' una delle crudeli leggi della natura e Daniele lo sapeva bene.Quando i suoi genitori annunciarono la loro separazione e suopadre dichiarò che avrebbe portato Samuele a vivere con lui inFrancia, gli cadde il mondo addosso.A nulla valsero le suppliche, i pianti di Sam, il silenzio ostentatoe rabbioso di entrambi i fratelli.Così, una triste mattina di novembre, la famiglia si divise a metà,qualche migliaio di chilometri a separarli.Stranamente non pioveva.Nei film piove sempre quando ci sono gli addii.E fu in un soleggiato pomeriggio di novembre che Daniele sitrovò da solo al bar con un bicchiere di whisky. La birra stavoltanon era abbastanza.Una vocina nella sua testa, che assomigliava tremendamente aquella di Michele, lo rimproverava dicendogli che era troppopresto per bere, soprattutto alla sua età.-Finirai per rovinarti il fegato. E poi sono le tre di pomeriggio, nonè usanza aspettare almeno le nove di sera per iniziare a bere?-Quella era davvero la voce di Michele, non era abbastanzaubriaco per avere già le allucinazioni.-Mio fratello se ne è andato, tutti i miei amici, o a questo puntodovrei dire compagni di sbornie, mi hanno dato buca, e da
qualche parte sono le dieci di sera, smetti di rompere le scatole.-sbuffò Daniele.Michele si sedette accanto a lui e sospirò.-Non mi sembra che tutti i tuoi amici se ne siano andati-Daniele lo guardò senza capire.In una perfetta imitazione dell'espressione usuale di Daniele,Michele indicò se stesso e ghignò benevolmente.-Forza, andiamo a casa, ti preparo un tè-Daniele si lasciò trascinare verso l'uscita del bar.Una volta che entrambi furono seduti sul divano con una tazza ditè fumante tra le mani, Daniele riuscì a sorridere debolmente.-Grazie amico, è proprio quello di cui avevo bisogno.-Michele gli fece l'occhiolino.-Maratona di Star Wars?--Tu sì che mi conosci.-
Chiara GentiliniA tutta Olimpiade!
Nel 2016 una brigata di dieci giovani, composta da tre maschie sette femmine dell’età di sedici anni, decide di rifugiarsi perdieci giorni in un casolare a Reggello per sfuggire a un attaccoterroristico che si pensa colpirà la città di Firenze. I dieci giovani,iscritti all’Istituto Alberghiero “Pellegrino Artusi” di ChiancianoTerme e impegnati in attività di stage presso il ristorante storico“Il Latini” di Firenze, decidono di raccontarsi cento novelle a temalibero per animare le giornate e sfuggire alla paura. Il primogiorno, venerdì 12 febbraio, l’argomento scelto dai ragazzi èl’amicizia. A proporre il tema dell’amicizia è Chiara, la più saggiae matura del gruppo.«Per contrastare il terrorismo- sostieneChiara - tutti i paesi del mondo dovrebbero fare un patto diamicizia».LORENZO, UN RAGAZZO MALDESTRO E PASTICCIONE,DECIDE DI PARTECIPARE ALLE OLIMPIADI CULINARIE,AIUTATO (A SUA INSAPUTA) DAI SUOI TRE AMICI SERGIO,GIACOMO E DANIELE. Come già si vociferava nel paese di Reggello a giorni sisarebbero svolte le Olimpiadi culinarie. Le Olimpiadi sisvolgevano a Firenze ogni tre anni e vi potevano partecipare tutticoloro che desideravano vincere il titolo di “Cuoco dell’anno”. Ipartecipanti erano invitati a cucinare un piatto a loro scelta.
Particolarmente interessato era Lorenzo, che a Reggello erafamoso fin dalla nascita per la sua sbadataggine e per il suoessere pasticcione. Tutti lo prendevano in giro, in particolare,Jacopo, un bullo, nonché campione in carica delle Olimpiadi. Jacopo, dopo aver saputo che Lorenzo voleva parteciparealle Olimpiadi, quando lo vide non perse l’occasione perscreditarlo: - ‘Gnamo, ohicchè tu fai, tu partecipi anche te? Te seiproprio bischero! Ti sei bevuto il cervello?! -. Lorenzo con untono risentito rispose: - Ma icchè tu vuoi? Oh pallino, te m’avrestianche rotto -. Jacopo iniziò a ridere e poi disse: - Te sei tuttogrullo, pasticcione che non sei altro, ma indò tu vai? Torna qui!Te la cavo io la sete col prosciutto! -.Lorenzo preso dalla malinconia corse dai suoi amici, Giacomo,Sergio e Daniele e raccontò di voler vincere le Olimpiadi culinarienon solo per desiderio personale, ma anche perché Jacopo loaveva preso in giro fortemente. Inizialmente gli amici risero unpo’, ma poi dissero: Lorenzo, te devi sta’ calmo, non arrabbiarti,ora siediti tranquillo e prendi un fiasco di vino,vedrai che domanici faremo venire in mente qualcosa -. La mattina seguente Lorenzo e gli altri si sedettero al tavoloper decidere quale pietanza far cucinare alla gara. Daniele preseper primo la parola: Tu devi cucinare le nostre famose crespellealla fiorentina, icché ci vuole a prepararle…la preparazione èsemplice. Io sono molto bravo a farle -. Tutti erano d’accordo efelici. Sergio disse: Con questo piatto stenderai tutti, per fino quel
ciarlatano e presuntuoso di Jacopo- . Lorenzo esordì dicendo:Sì, mi garba come ricetta!Ma c’è una cosa che mi preoccupa,io so di essere un po’ pasticcione e grullo in cucina, come farò apreparare le nostre crespelle senza combinare guai? -. Danieledisse: Roba da chiodi, se tu seguiti con ‘sti discorsi prendiuna sberla in faccia! Stai tranquillo!Ci siamo noi. Te basta cheguardi quello che faccio io! Bando alle ciance, iniziamo subito,prendi un ciotola e inizia a sbattere le uova, io intanto mi occupodella farcitura …-Hai ragione - disse Lorenzo. E così andò versola credenza, ma era troppo alta e non arrivava a prendere laciotola richiesta da Daniele, così salì sopra una sedia, aprì ilmobile, prese la ciotola, ma quando stava per scendere persel’equilibrio e cadde, rovesciandosi addosso anche qualchepentola. Daniele,sentendo questo fracasso, corse subito daLorenzo e lo vide a terra dolorante; inevitabilmente rise un po’,ma subito dopo lo incitò a riprendere i lavori ai fornelli. Lorenzocontinuava a combinare guai e allo stesso tempo iniziava acredere di essere bravo in cucina visto gli incoraggiamenti degliamici. Quando tornarono a casa Giacomo e Sergio videro la facciadi Daniele e, non avendo avuto il coraggio di domandare comeandassero i lavori, si sedettero silenziosi, aspettando diassaggiare le crespelle preparate (o meglio pasticciate) daLorenzo. Non appena arrivò in tavola il vassoio con dentro lecrespelle alla fiorentina, Giacomo e Sergio si servirono e
assaggiarono la pietanza. Fu allora che Lorenzo esclamò: “Allorache ve ne pare? Io dico che stenderò tutti alle Olimpiadi” .Giacomo e Sergio commentarono così: - Certo che vincerai! -.Nessuno dei tre amici poteva negare l’evidente inefficienza diLorenzo nel cucinare, ma allo stesso tempo non volevano che larassegnazione dominasse la sua voglia di vincere. Sergio a un certo punto rilesse il bando del concorso e fuallora che notò un piccolo particolare che era sfuggito a Lorenzo:da quell’anno alle Olimpiadi si poteva partecipare anche ingruppo. Scoperto ciò Sergio prese la parola: Lorenzo, non so setu lo sai, ma da quest’anno si può partecipare anche a gruppi allagara, perché non lasci che partecipiamo? Non sarebbe ganzo? -. Lorenzo rispose: Grazie per la proposta; l’idea è buona, maormai sono diventato bravo…la gara la vinco in tre balletti -. Gliamici capirono che per Lorenzo non c’era più nulla da fare:Lorenzo era molto determinato a portare a casa la vittoria, manon ci sarebbe mai riuscito da solo e così iniziarono a rimuginaresul da farsi. Ad un certo punto Giacomo disse: A male estremi,estremi rimedi. Perché non boicottiamo i piatti, truccando leOlimpiadi? Basta solamente travestirsi da giudice …icché civuole. Noi addormentiamo tutti i giudici e a quel punto dovrannoper forza cercane altri, e noi saremo lì, pronti a giudicare il migliorpiatto…quello di Lorenzo!- . Poi a Sergio venne un’idea miglioree disse: - Perché invece di addormentarli, non gli somministriamodel lassativo? Sarà più facile così far credere ai presidenti che la
giuria è stata colpita da un disturbo intestinale, anziché da unattacco di sonno…Vedrai come abboccano!-. -Bella idea! Io houno zio che ci può procurare una boccetta di quella roba, i giudicisaranno impegnati per un bel po’ - disse Giacomo. Tutti eranod’accordo e si dovettero affrettare per mettere in atto il progetto,le Olimpiadi, infatti, sarebbero iniziate tra due giorni. Lorenzointanto continuava a esercitarsi senza alcuno risultatosoddisfacente. Sergio e Daniele andarono a fargli visita e Sergiogli chiese: Ormai siamo alla vigilia delle Olimpiadi, non è l’ora dirigovernare e dirci come ti senti? -. Lorenzo rispose un po’risoluto: Ho imparato benissimo la ricetta e sono molto fiero dellavoro che ho fatto e, devo ammette che in parte … ma solo inparte eh… è anche merito vostro e dei buoni consigli di Daniele,sono molto ansioso per l’inizio delle Olimpiadi. Vedrete…Jacoporesterà con l’amaro in bocca! -. Giacomo intanto si era procurato tutto l’occorrente permettere in atto il piano. Finalmente arrivò il giorno delle grandiOlimpiadi e tutti erano ansiosi di iniziare. Lorenzo era entusiastaperché i suoi amici gli avevano dato, e soprattutto Daniele, dellebuone dritte e adesso sapeva che i suoi amici erano tutti lì inplatea in attesa di vederlo e applaudirlo. Ma Giacomo, Sergio eDaniele non erano in platea: non appena arrivarono i giudici sierano diretti da loro per offrire un caffè. All’inizio i giudicirifiutarono l’invito, ma poi Simone Rugiati, unica persona giovanepresente in giuria, convinse i colleghi a fare uno strappo alla
regola. Disse Simone Rugiati: – Siamo vicini a decretare il migliorpiatto dell’anno, per cui meglio bere un caffeino per rimanere benvigili e presenti. Dobbiamo essere super concentrati -. I giudici siconvinsero a bere il caffè, ma non fecero nemmeno in tempo aposare la tazzina sul tavolo che dovettero correre in bagno,lasciando campo libero a Giacomo, Sergio e Daniele, che, dopoessersi travestiti da giudici, chiamarono altri sette loro amici percompletare la nuova giuria. Il concorso era già a buon punto;mancavano solo dieci minuti al termine della gara quando i nostrigiudici arrivarono a destinazione. Si misero a sedere e siavviarono all’assaggio dei piatti, screditando tutti i piatti in garatranne uno, quello di Lorenzo, che si aggiudicò la vittoria. I concorrenti erano rimasti di sasso, soprattutto uno,Jacopo, che subito lo attaccò: Oh come hai fatto a vincere? -.Lorenzo non si fece scrupoli a rispondere: - Possibile o meno ioho vinto, quindi vedi di andartene…e ricordati che la vita è fattaa scale: c’è chi le scende e c’è chi le sale - . Mentre tutti si congratulavano con il vincitore, Giacomo,Sergio e Daniele, si nascosero in bagno, dove si trovavano igiudici doloranti a terra, e si cambiarono con molta velocità.Appena tornati nei loro panni corsero da Lorenzo percomplimentarsi con lui. Lorenzo non appena li vide disse: Madove eravate finiti? Credevo vi facesse piacere assistere alleOlimpiadi e invece non siete venuti -. I tre amici si giustificarono
rispondendo: - Abbiamo avuto un disguido con un caffè, poicapirai, ora però godiamoci la tua vittoria-. Lorenzo, tranquillizzato dalle loro parole, riprese afesteggiare insieme a tutti i cittadini. La festa si concluse con unsuo discorso: “Dedico questo premio ai miei amici. Purtroppoproprio oggi che avrei avuto bisogno di loro non c’erano. Per unostrano gioco del destino, infatti, non sono potuti essere presentialla premiazione, ma voglio che sappiano che il loro affetto mi hasostenuto ugualmente. Evviva l'amicizia vera, onesta e sincera!Grazie a tutti. Sono al settimo cielo!”.
Alessia PapiniDario il ristoratore
A Firenze viveva un uomo di nome Dario, titolare di un buonristorante situato in Piazza de' Ciompi. Egli da sempre aveva duegrandi amici: Bruno, il lampredottaio di zona, il cui chiosco sitrovava proprio nella via dietro il ristorante, e Lucifero, unfunzionario del Comune che soleva andare a pranzo proprio nelristorante dell'amico.E' però necessario dire che tra Lucifero e Bruno non scorrevabuon sangue, poiché quest'ultimo riteneva che Lucifero fosse unapprofittatore e non un vero amico per Dario. Egli infatti pranzavasempre da Dario e al momento di pagare diceva: “Te li darò, te lidarò!”, rinviando ogni volta il pagamento e chiedeva favori di ognigenere a Dario, dal guardargli i figli il lunedì sera, quando ilristorante era chiuso, al portargli a lavare la macchina. Dario, dibuon grado, accettava sempre, non riuscendo mai a dire di no aquello che lui considerava uno dei suoi due più grandi amici,verso il quale aveva una ossequiosa riverenza.Bruno, stanco della sopraffazione che vedeva continuamentesubire dall'amico Dario, tentava invano di aprirgli gli occhi e difargli capire che Lucifero non era il grande amico che eglicredeva. Durante una delle loro battute di caccia domenicali inCasentino addirittura Bruno e Dario arrivarono a litigare proprioparlando di questo argomento. Bruno infatti, con il poco tatto chelo contraddistingueva, aveva esclamato: “Mio caro Dario, vuoicapire una volta per tutte che quel tuo amico Lucifero è tuttofuorché amico, ma se ne approfitta e basta?!”. Dario allora,
offesosi per l'affronto e volendo difendere il suo legame conLucifero, aveva risposto malamente; i due avevano finito perlitigare.Quanto accaduto non aveva certo fermato Bruno che, portandouno dei suoi soliti carichi di lampredotto al ristorante dell’amicoDario, aveva ancora una volta ripreso quel discorso. Dario loascoltava svogliato, mangiando a grossi bocconi il paninoinzuppato di brodo, che attirava la sua attenzione certamente piùdel discorso del suo amico. Dal momento che Bruno non sisentiva considerato, per richiamare l'attenzione dell'altro, avevaalzato non di poco la voce. Il caso volle che fosse appunto ora dipranzo, e che proprio in quel momento entrasse nel ristoranteLucifero che, come al solito, si stava già pregustando il pranzogratuito che Dario gli avrebbe servito di lì a poco. Quando peròsentì la voce alterata di Bruno in cucina, si avvicinò di soppiatto,e sentì chiaramente Bruno dire: “... quel Lucifero non è un uomoper bene! Fidati di me, la sua amicizia con te è frutto di unasemplice comodità!”.Il funzionario astuto richiamò su di sé l'attenzione con un colpodi tosse, e fece finta di non aver sentito niente, salutandolinormalmente. Ma non si dimenticò delle parole di Bruno, al qualeanzi decise di farla pagare. Proprio al termine di quel pranzo,Dario dette all'amico Lucifero una bella cesta di vimini rossapiena di baccelli, quasi a dimostrare all'altro quanto lui tenesseall'amico.
Lucifero, dal canto suo, non appena tornato in ufficio deliberò dimandare un controllo al chiosco di Bruno e, la sera stessa,mentre il lampredottaio era, come suo solito, al ristorante asalutare l’amico ristoratore prima di andare a casa, riempita lacesta di vimini di verdure marce, la nascose ben bene sotto ifornelli del chiosco. Quando Bruno tornò, stanco, chiuse ilchiosco senza prestare troppa attenzione.L'indomani, giorno del controllo, Bruno trovò davanti al chioscoad attenderlo due vigili e, senza preoccuparsi tanto, fece lorostrada. Non appena entrati però, i due vigili sentirono un tanfoinsopportabile e, cercando, trovarono la cesta piena di verduremarce. Bruno, impallidito, non si spiegava come potesse esserefinita lì, ma i vigili non ascoltavano certo le sue lamentele,ritenendolo un semplice modo per discolparsi. Era chiaro che lapulizia del locale non era sufficiente perché Bruno potesseproseguire la sua attività: il chiosco doveva essere chiuso.Il negoziante, sbalordito, stava quasi per svenire per strada,quando giunse Dario che, come ogni mattina, si stava recandoad aprire il ristorante. Preoccupato, chiese all'amico cosa stesseaccadendo e, tra un singhiozzo e l'altro, Bruno lo informò dei fatti.Non appena entrò nel chiosco, Dario riconobbe però la cesta cheaveva dato la sera prima a Lucifero e, collegando i fatti, costrinseLucifero a fare in modo che l’ispezione fosse chiusaimmediatamente senza conseguenze e inoltre tagliò con lui ognitipo di rapporto.
E ancora oggi, se passate davanti al ristorante di Dario, trovatesulla porta un cartello con su scritto: “Vietato l’ingresso aimangiatori a ufo”.
Serena ParriniUn patto in silenzio
Amicizia. Una parola. Un sentimento. Un patto indissolubile fradue persone.Questa è la chiave per vivere senza sentirsi soli o inutili. Unamico è quella persona che è sempre presente al momentogiusto, che ha il coraggio di dire la verità anche se sa che faràmale.Amicizia. Una parola che racchiude l'eternità.Ne è l'esempio la storia di Gabriel e Alex. Non si consideravanomigliori amici, odiavano etichette del genere. Servivano solo perl'apparenza e loro lo sapevano bene. Venivano da due mondidiversi, da due realtà opposte e furono proprio le loro differenzead unirli.Gabriel aveva otto anni quando suo padre morì, lasciano lui, suamadre e i suoi quattro fratelli più piccoli. La morte di suo padre loaveva fatto diventare il capofamiglia e sapeva di doversicomportare come tale. Era lui a lavorare per poter pagare lacasa, le bollette, il cibo e la scuola per i suoi fratelli.Non aveva mai chiesto aiuto a nessuno e non lo avrebbe maifatto, era troppo orgoglioso per ammettere di avere bisogno diqualcuno. Stava sempre lontano dagli altri per evitare i problemima era come se fossero loro a cercarlo.
Alex, invece, era ricco, viveva in una casa in uno dei quartieri piùesclusivi della città e la sua famiglia era considerata perfetta.Come sempre, le apparenze ingannano. Ma a chi interessa? Ciòche si vede è tutto ciò che conta. La scuola che frequentava eraprivata e costava moltissimi soldi. Conosceva tutti nel suoquartiere.Era una mattina di settembre e Alex stava camminando verso ilcentro della città quando, improvvisamente, andò a sbatterecontro un'altra persona. Era un ragazzo portoricano, alto più omeno come lui. I suoi capelli erano neri come la notte e i suoiocchi davano l'impressione che stesse scappando da qualcosa.La sua pelle era leggermente olivastra e indossava un paio divecchi jeans consumati e una maglietta nera.Il ragazzo si scusò con Alex e continuò a camminare. Invecel'altro ragazzo rimase come pietrificato perché aveval'impressione che stesse per succedere qualcosa. Fu propriocosì.Dopo un minuto, dallo stesso angolo dal quale era sbucato ilgiovane portoricano, arrivarono tre ragazzi che Alex conoscevabene. Avevano la fama di essere degli arroganti e sapeva chestavano cercando qualcuno con cui azzuffarsi. Lui li ignorò e lorofecero lo stesso. Non era lui che stavano cercando.
Gabriel non sapeva neanche con chi si era scontrato poco prima,aveva solo capito che era una persona ricca perché aveva vistole scarpe: erano l'ultimo modello di una marca famosa. Nonaveva avuto il tempo nemmeno di alzare gli occhi. Dovevascappare. Quei ragazzi lo massacravano da oltre una settimanae lui non sapeva come fare per seminarli. Non aveva fatto nientedi male. La sua unica colpa era quella di non essere americanoal cento per cento, accelerò il passo pensando a quello che gliavrebbero fatto quei tre se lo avessero preso. Quella volta loavrebbero picchiato più forte. I lividi vecchi che aveva sullecostole ancora facevano male. Gabriel si sentì toccare su unaspalla e, temendo che fossero i tre teppisti, sferrò un pugno allacieca colpendo il naso del ragazzo che si trovò di fronte una voltache si era girato nella sua direzione. Il biondino era disteso interra con la mano sul naso. Stava sanguinando. Gabriel era nelpanico. Non sapeva cosa fare, sarebbe voluto scappare ma nonpoteva lasciarlo lì in quel modo. Lo aiutò ad alzarsi e si diresseroinsieme verso casa sua mentre continuava a chiedere scusa percercare di riparare alla pessima figura fatta.Alex si appoggiava a quel ragazzo meno che poteva. Avevapaura. Non sapeva dove lo stesse portando. Lo aveva seguitosolo perché nello scontro il ragazzo aveva perso un bracciale cheaveva al polso, era rimasto impigliato nella sua giacca e volevasolo restituirglielo. Ed eccolo lì, con il naso sanguinante solo
perché voleva essere gentile. Il portoricano si fermò davanti allaporta di una casa ed entrò. Lo fece mettere seduto su di unasedia e andò a prendere del ghiaccio.<<Scusa amico, non volevo colpirti. Pensavo fosse qualcunaltro.>><<Beh. Mi fa piacere.>> disse sarcastico Alex <<Comunque haiun ottimo destro e una mira perfetta.>>I due si misero a ridere e non sapevano nemmeno loro il perchédi tanta sintonia. Si presentarono e, aspettando che il naso diAlex smettesse di sanguinare, parlarono.<<Allora?>> chiese Alex <<chi pensavi che fossi?>><<Nessuno>> rispose Gabriel <<non ha importanza.>>Alex lo guardò negli occhi e capì. Quei ragazzi. Era destinato auno di loro quel pugno. Con un solo sguardo aveva capito ciòche mille parole non sarebbero state in grado di esprimere. Fuquello il momento nel quale, con una sola occhiata, si eranopromessi che non sarebbe mai più successo niente del genere anessuno dei due.Rimasero in silenzio per dieci minuti e, quando finalmente Alexsmise di perdere sangue, se ne andò.Magari non si sarebbero mai più rivisti ma il destino volle che ciòaccadesse una settimana dopo. Questa volta, quando si videro,
fecero entrambi un cenno di saluto verso l'altro e risero alpensiero di come si erano conosciuti. Quel giorno Gabriel stavaandando a lavorare nell'officina nella quale riusciva aguadagnare i soldi necessari per la sua famiglia, mentre Alex sitrovava all'entrata del suo liceo, con indosso l'uniforme.La differenza fra di loro era evidente e razionalmenteinsormontabile.Ma cos'è razionale? Sicuramente non un sentimento comel'amicizia.I due ragazzi continuarono a vedersi ogni mattina per il restodell'anno scolastico. Non si scambiarono mai una parola ma neiloro occhi era possibile leggere un “contratto” fra i due. Non eracartaceo ma tangibile nell'intensità dei loro sguardi. Un pattoindissolubile. Controllavano se ognuno di loro fosse presente eche andasse tutto bene. Il loro patto era in silenzio ma più fortedi ogni altro legame possibile.Continuarono a fare lo stesso per i due anni successivi. Inqualche caso uno era intervenuto per proteggere l'altro. Sempresenza rivolgersi parola, solo sorrisi e piccoli gesti. In quel periodoavevano bisogno entrambi di sapere che c'era una personapronta ad aiutarli in caso di bisogno, nonostante il fatto chenessuno di loro avrebbe mai chiesto un aiuto apertamente. Soloquesto avevano in comune: l'orgoglio.
L'amicizia non aveva portato soldi a Gabriel ma gli faceva trovareogni giorno un panino per il pranzo, sapendo che pur di spendereil meno possibile non avrebbe mangiato. Non era neanche statautile per le apparenze di Alex che, però, trovava rifugio nelsilenzio di quegli sguardi; anche se non avevano voce, dicevanotutto.Uno sguardo bastava.Il silenzio parlava.Quello era tutto ciò di cui avevano bisogno.
Sara TelliniL'amicizia val bene una cena
Un ragazzo molto tirchio costringe sempre gli amici ad andare amangiare nei posti meno cari di tutta la città o a invitarlo. Loro,preso a noia questo suo comportamento, lo fanno giocare al lottoe gli fanno credere di aver vinto 10.000 euro. Il ragazzo, ancorprima di ricevere i soldi, preso dall'euforia, porta i suoi amici inuna delle osterie più costose di Firenze, spendendo tantissimo,per poi sentirsi dire di esser stato burlato.Giovanni è un giovane studente universitario abituato dallafamiglia a far tesoro dei soldi e a stare attento a come spenderli.Ogni volta che i suoi migliori amici, Andrea e Luca, gliproponevano di andare a mangiare in uno di quei ristorantitipicamente toscani nascosti in quelle belle e antiche stradinefiorentine, lui faceva un sacco di storie: lamentandosi dell'altoprezzo della bistecca alla fiorentina abbinata al vino rosso, sifaceva offrire il pasto o costringeva gli amici ad andare amangiarsi il solito, pur se buono, panino da tre euro dal paninarovicino all'università.Talvolta anche la sua ragazza Elisa provava a convincerlo delfatto che, se avesse speso bene i suoi soldi una volta ogni tanto,non sarebbe successo niente di grave; ma lui non voleva dareascolto alle sue parole e continuava a comportarsi nello stessomodo. La sua era diventata un'ossessione tanto grande eassillante che proprio i suoi due migliori amici e la sua ragazza
decisero di trovare un modo per sbloccarlo e anche per farsirendere tutti quei soldi con cui gli avevano offerto i pranzi.Una sera che erano tutti insieme nell'appartamento tanto piccoloquanto disordinato di Luca, stravaccati a vedere la Fiorentina chegiocava contro la Roma, durante l'intervallo venne trasmessal'estrazione dei numeri del lotto. Fu allora che a Luca e Andreavenne l'idea di far giocare l'amico e provare a fargli vincere cosìtanti soldi che non si sarebbe più preoccupato di spendernetroppi; inoltre speravano così di farsi pagare una bella cena nellaloro osteria preferita in s. Lorenzo.Quindi quella sera stessa, presi anche dall'euforia per la vittoriadella Fiorentina, col modernissimo nonché ultimo modello ditablet di Luca, i due andarono sul sito del lotto e, senza chiedereun parere a Giovanni, lo iscrissero per farlo giocare.Quando lo dissero all'amico, quello scrisse dei numeri, nonfacendosi troppe illusioni poiché sapeva già come andavanoquesti giochi: la fortuna capitava a pochi e lui non sarebbe statomai uno di quelli.Qualche giorno dopo quando sul sito Internet apparvero i numerivincenti, gli amici videro che Giovanni aveva vinto giusto unadecina di euro, ma quelli, truccando l'email che comunicavaquesta piccola vittoria, gli fecero credere che ne aveva vinti10.000.
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