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PICCOLODECAMERON 2.0

Published by Gino Nencioni, 2016-09-09 14:56:16

Description: Boccaccio Giovani IV Edizione

Le Novelle

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Giovanni allora, accecato dalla gioia per quella grande vincita,senza aspettare il giorno in cui gli sarebbero stati consegnati isoldi, decise di offrire ai suoi due migliori amici e alla sua ragazzaun'abbondante cena, proprio nella loro osteria preferita. Quellasera incitava gli amici a prendere tutto ciò che volevano, e alcameriere chiedeva il vino rosso migliore da abbinare alla carneal sangue più buona, senza badare al prezzo.Luca e Andrea uscirono da quel ristorante per la prima voltasenza aver aperto il portafoglio. Giovanni, sentendosi alquantogeneroso, come non era suo solito, li portò anche a prenderequalcosa da bere in uno dei bar più eleganti di Firenze, e anchelì offrì tutto lui.Elisa, la sua ragazza, non reggendo molto le bevande alcoliche,bevve giusto poco più di mezzo bicchiere di Cosmopolitan, il suococktail preferito, che si abbinava sempre ai suoi vestiti da sera,ma le bastò per dire a Giovanni, ridendosela come poche voltele succedeva, che loro tre avevano truccato l'email riguardantela vincita del denaro e che la somma vinta era solo 10 euro e non10.000.Il ragazzo allora, stupito del loro comportamento, lì per lì si feceprendere dalla rabbia ma subito prevalse in lui la felicità per avertrascorso una bella serata tra risate e tanto cibo con i suoi amicie la sua ragazza nei loro posti preferiti. Si unì così alla granderisata di Elisa e capì che ella aveva ragione: ogni tanto valevaproprio la pena spendere per divertirsi con i propri amici.

Aurora CapitaniLa mia nemica Rebecca

Mi chiamo Alice, ho 21 anni e sono al terzo e ultimo anno diuniversità. La persona più importante della mia vita è la miamigliore amica: siamo più che sorelle.La conobbi qualche anno fa, quando andavamo al liceo. Lei erasempre stata una di quelle ragazze considerate perfette: era, edè ancora, molto bella, era molto brava in inglese e tedesco(eravamo al liceo linguistico), e riusciva persino a frequentare ilcorso di danza tre giorni alla settimana.Non so se fosse per questo, ma, per i primi tre anni, non mi eramai andata a genio: aveva una voce troppo stridula ed era troposicura di sé. Con lei avevo solo il rapporto che si ha con icompagni di classe, poiché la vedevo tutti i giorni.Una notte di settembre ci fu un terremoto piuttosto forte, che fuavvertito soprattutto nel paese vicino. Qui, purtroppo, questo èun fenomeno abbastanza frequente (viviamo in Abruzzo, inprovincia di Pescara).La mattina dopo, infatti, andammo a scuola normalmente;eravamo all'inizio del quarto anno. Alla terza ora, mentreseguivamo una noiosissima spiegazione di matematica, ci fuun'altra scossa di terremoto, molto forte e prolungata.Insieme al professore e a tutti i nostri compagni, ci precipitammofuori. Non tutti riuscirono a recuperare il proprio cellulare, masapevamo che non era importante.

Quando eravamo tutti nel cortile, ed era già stato fatto l'appello,Rebecca mi afferrò per un braccio e mi disse:-Alice, vieni con me, per favore. Mi devi aiutare-Iniziò a correre, ed io la seguii; girammo attorno alla scuola, finoalla finestra della nostra aula, che si trovava in un punto in cuinessuno poteva vederci.-Non dire una parola a nessuno, ok? Altrimenti finisci dal presideanche tu!--Che hai intenzione di fare?- le chiesi. Avevo già capito chevoleva entrare in classe dalla finestra.-Voglio prendere il cellulare. Non è rischioso: parlano sempre tuttidella sicurezza, ma non succede mai niente-.-Rebecca, ma sei pazza?! Cosa ti importa del cellulare adesso?Potrebbe esserci un'altra scossa in qualunque momento,torniamo dagli altri-.Ma Rebecca è sempre stata una ragazza fin troppo determinata,e con la testa dura.C'era una grande confusione sul pavimento, perché i nostricompagni, nella fretta di uscire, avevano spostato banchi, sediee zaini, ed era difficile trovare quello di Rebecca. Così decisi dientrare anch'io, per aiutarla e risparmiare tempo.

Mentre stavamo cercando, ci fu un'altra scossa, e sentimmo unrumore assordante al piano di sopra; ci rifugiammo sotto ad unbanco.Improvvisamente, la parete della finestra da cui eravamo entratecedette, e così fece anche parte del soffitto sostenuto da questa.Così rimanemmo lì a guardarci, in silenzio, sconvolte. I nostriocchi passavano dagli occhi dell'altra alla finestra da cui eravamoentrate, che era stata completamente occlusa da tutto quello cheera caduto.-Dobbiamo trovare il tuo cellulare e avvertire i professori- le dissi.-Hai ragione. Ma...--Ma..? Siamo in pericolo. Abbiamo fatto una cosa sbagliata eadesso rischiamo grosso. Per una volta, ascoltami e fai quelloche ti dico--Ecco, lo vedi?! E' la prima volta che ci troviamo da sole, eabbiamo già iniziato a litigare-.-Hai per caso una soluzione migliore? E soprattutto, perché tiarrabbi?!--Non voglio chiamare nessuno ora, voglio parlare con te--Io parlerei di come possiamo riuscire ad uscire da qui--Oppure di che problemi ci sono tra di noi: non siamo mai andated'accordo, questo è innegabile-

-Potrei porti la stessa domanda-Rebecca, a questo punto, mi sembrò molto pensierosa e triste:non sapeva cosa dire, proprio lei che aveva sempre la rispostapronta per tutti.-Forse...forse un po' è colpa mia, credo...- disse -Me lo diconotutti che da qualche anno a questa parte sono diventata piùscontrosa, e me ne rendo conto, ma non posso farci nulla...--Sbattermi in faccia che ci sono dei problemi,e con quel tonod'accusa non è certo la mossa migliore-.-Ma non è colpa mia...---Ti capisco, certo, e scusami. Anche io sono molto stressata eirritabile da un po' di tempo--No, il mio atteggiamento non è dato da questo...--C'è qualche problema?--Mio fratello--Ah, capisco: hai un fratello più piccolo che distrugge tutto quelloche trova e non ti permette di studiare, vero? Anche per me è lostesso con la mia cugina di quattro anni...--No, non hai capito: mio fratello non c'è più. E' morto, quandofrequentavo le medie. E' da quel momento che il mio carattere èpeggiorato; forse è perché non l'ho ancora del tutto superato eanche i miei genitori non mi aiutano per niente-.

Non credevo a quello che sentivo: lei era Rebecca, erapraticamente perfetta, sempre sorridente, così glaciale edistaccata...allora anche lei aveva dei problemi, come le personenormali. Si annullò in un attimo tutta l'antipatia che avevo provatoper lei in quegli ultimi anni, e mi accorsi che stavo iniziando avolerle bene, semplicemente perché...lo meritava.-Mi dispiace davvero tanto Rebecca. Credimi: non avrei maiimmaginato una cosa del genere--Lo so, non preoccuparti: sono tutti increduli quando lo dico...--Come si chiamava?--Lorenzo--Era più grande di te?--Sì aveva diciannove anni-A quel punto mi tornò in mente qualcosa, quell'evento che io,invece, avevo superato da tempo, e che mai e poi mai avrei avutointenzione di ricordare.-Scusami se te lo chiedo, ma è stato investito da un'auto?--Sì! Come lo sai?--Ed è successo in pieno inverno? I primi giorni di Gennaio?--Esatto!-Ora era tutto chiaro: era lui.

Lorenzo, il ragazzo di diciannove anni che era stato travolto dauna macchina che superava i limiti di velocità, mentreattraversava la strada.Questo ragazzo non era solo: era insieme al suo migliore amico.Erano usciti, quel sabato sera. E insieme erano stati trasportatid'urgenza al pronto soccorso, e, successivamente, insieme sen'erano andati, quasi nello stesso momento.Il suo amico, che aveva diciotto anni, si chiamava Massimo.-Massimo-le dissi. -Massimo e Lorenzo furono i due ragazziinvestiti in centro, di fronte al cinema, alle 11 di sabato sera--Sì, è tutto vero, ma ora dimmi come fai a sapere tutte questecose-.-Rebecca, Massimo era mio fratello-.Mi guardò, incredula, come fanno i bambini molto piccoli quandovedono qualcosa che non conoscono e che li spaventa. Poi miabbracciò, ed iniziò a piangere.Non parlammo più di quanto ci eravamo dette. Dopo cheRebecca si fu calmata, trovammo il cellulare, avvisammo i nostricompagni e, qualche giorno dopo, fummo entrambe sospese peruna settimana.Ma diventammo due amiche inseparabili, e lo siamo ancora.

Un po' come succedeva nella Grecia antica, in cui il vincolodell'ospitalità aveva un valore così alto da continuare anche tra idiscendenti dei due ospiti, lo stesso abbiamo fatto noi: siamodiventate migliori amiche, un po' come se l'amicizia dei nostrifratelli non se ne fosse andata con loro, ma continuasse con noi,per sempre.

Federico ConticelliAmicizia Florentina

Io non so come viver si potea in dentro dalla porta della cittàtribolata, ove lo lungo fiume li belli colli e fioriti attraversava, sulcolmo de li quali risiedea l’egregia città oltre a ogni altra italicanobilissima. In ella discorse subitamente la mortifera pistolenza,che già verso l’Occidente s’era ampliata, e per la quale niunapersona sollecitudine non avea ancor provato. V’era tantaafflizione e miseria, tra le case antiche e le dimore nove, e quelliche era ancora licito in qualcosa adoperare, per ventura o nonancor colpiti dall’opposità d’essa, presi dall’avvedimento, molti sistringevano nelle vivande; secondi andavano allargandosi tra ledissoluzioni, e altri attorno giravano portando per le manimaniere di spezie e erbe odorifere. Omini e donne dallo stessoargomento mossi, non curarono di niuna cosa se non di sé,abbandonando la propia città, i lor doni e le lor case, cercando illor quanto lontano contado. Quantunque volte a omini e donnenelle braccia e per le cosce infermavano macchie nere o livide,questo era manifesto del cominciamento dell’infermità che névirtù né medicina alcuna pareva che valesse, e pure la ignoranzade’ medicanti non conosceva da che movesse. Quasi tutti infra ‘lterzo giorno dalla apparizione de’ sopraddetti segni, finivano;solamente pochi ne guarivano. Un venturato di questi ultimi fuLeonardo de’ Burravanti, mercatante fiorentino, che nella vita glifu molto più la fortuna benevola che alla mercantia stata non era.Egli concesso alla misericordia scappò dalla morte intra ‘l primogiorno. Leonardo conoscea, o d’amicizia meglio discuter

sarebbe, Gianni d’Aviscaltro, che certo povertà incontrata mai piùnon l’ebbe, ma neppure avarizia alcuna. Sì bella cosa fu la loramicizia, dal grembo primo della giovane età, alla eternachiusura degli occhi d’entrambe. Gianni comportava dellamalattia da due dì, i parenti suoi l’avean abbandonato, e li proprifigliuoli e moglie di lo visitare e servire schifavano. Leonardo soloavea dell’altro cura, e a Florenza, assai n’erano che l’unocittadino l’altro schifasse; ed egli non con cure d’erbe, ma tal fiatacon sonetti, talora con novelle il riposo dell’amico suoaccompagnava lungo, e nel mentre s’occupava della nettezzastudiosamente. Le novelle sue chiamavano vicino Colui, la qualeira avea sprigionata a punire le iniquità degli uomini. il mercatantecampava l’altro mezzo vivande che taluni nelle propie dimoreavevan lasciato morire, e sì trascorrean ‘l tempo. Al da sezzo delterzo giorno, lo signorotto infermo vocò a gran tono Leonardo, ilquale preso dai pensieri, corse subitamente. Ello stavasollazzandosi tirando fuori le pallide cosce, aprendo la niunapresenza de gavoccioli sul proprio corpo. Immaginate voi la gioiadell’amico che s’apparteneva a quel momento. Cominciaron sì adiscutere sulla virtù della misericordia, e di come ella agisca o nodove più a grado le fa; infine se restare o movere dalla cittàintrapresero ‘l discorso.Gianni subitamente, per premiar l’amico volle movere per ‘lcontado suo, ove hacci le sue terre e le dimore con la propriafamiglia, e lì viver una nova vita tra li curiosi piaceri e ripiena di

sollazzamento; e niun verso ci fu d’atare nella scelta il nobil omo.Sì dicendo, si misono pel cammino chetamente al cominciar delgiorno che seguiva e alle nona furor già a riguardare le lunghedistese d’albuscelli prima all'abitura. Nella prima giunta furonserviti da’ siniscalchi nella sala, satolli lasciandoli; e sì modoavrieno fatto pel resto de loro giorni, mai lascivi e da cari eorrevoli trattati. Questa fu l’addivenire della storia de’ due amiciGianni d’Aviscaltro e Leonardo de’ Burravanti, la quale rettacagione per l’amico atare fece patir la miseria, ma sì dimostrò labellezza dell’amicizia che pochi aveano nella tribolata Florenza.

Zakaria El GoutbiCalandrino e Fiammetta

Un giorno, Bruno e Buffalmacco, vedendo arrivareCalandrino, diedero vita alla beffa che già da tempoprogettavano. Facendo leva sulla sua inesperienza con leragazze, lo convinsero a dirigersi in un bosco, dove avrebbedovuto attenderlo una ragazza ben disposta, ma così non fu.Attendendo il calar del sole, data la popolarità ottenuta, deciserodi raccontare un’altra delle novelle di Calandrino. Fu proprioLauretta, regina della giornata delle beffe, a raccontarnel’undicesima.Boccaccio non inserì mai questa novella all’interno della suaopera poiché i protagonisti, sebbene censurati con dei nomi incodice,si sarebbero potuti identificare in tali soggetti. Per evitare quindiconflitti, egli la tenne per sé.“Allora, sei sicuro di volerci andare?” sussurrò Bruno aBuffalmacco.

Sapendo che Calandrino li stava già ascoltando, Buffalmaccorisponde entusiasta: “Certo, mai mi lascerei scappareun’occasione simile!”.Ma Bruno, esitante: “Sei sicuro che suo fratello sia ancora inprigione? Ho sentito dire che settimana scorsa l’hannorilasciato…”“Puoi stare tranquillo: dopo ciò che ha fatto all’ultimo ragazzo cheha beccato con sua sorella, credo passerà ancora molti anni ingattabuia!” rispose l’amico pieno di sé.A questo punto Calandrino, non potendo più contenere la suacuriosità, irruppe nella conversazione:“Ragazzi, ditemi! Di chi state parlando? E chi è questo fratellotanto temibile?”Buffalmacco quindi, ormai certo di aver attirato la sua attenzione,gli spiegò tutto: “Ehi Calandrino! Stavamo giusto parlando di unaragazza un po’... particolare, ecco!”

“In che senso particolare? Cosa intendi?” chiese incuriosito.Buffalmacco, aveva fatto centro.“Questa ragazza ha avuto dei problemi in famiglia, in più, giranovoci che sia un po’ pazza. Fatto sta, che è ben disposta neiconfronti di qualsiasi uomo le si presenti: vecchio, giovane, belloo brutto. Anche se…”“Anche se cosa?!” esclamò a gran voce Calandrino, ormaitraboccante di curiosità.“Anche se…neppure suo fratello c’è tutto tutto! Si dice che nonabbia preso molto bene il comportamento della sorella, tanto daaver bastonato a sangue l’ultimo ragazzo con cui l’ha sorpresa!Poverino, non avrei voluto essere in lui…ma tranquillo, ora è inprigione e ci passerà molto tempo”.“Non ascoltarlo,- ribatte Buffalmacco a bassa voce per non farsisentire dal compagno- si comporta così solo per poterla averetutta per sé! Ha provato a convincere anche me prima.Quell’imbroglione….non badare a lui!”.

A quel punto Calandrino, entusiasta della facile conquista cheavrebbe fatto, accettò di andare con loro, e credette pure diessere stato lui l’astuto, poiché era convinto di aver scopertol’inganno di Bruno.Arrivata la fatidica sera, i tre amici si diressero in un bosco pocofuori città, dove Calandrino avrebbe dovuto incontrare laragazza. Addentratisi un po’ in esso, arrivarono in una raduradove, secondo i due imbroglioni, si sarebbe dovuta trovare laragazza. Facendo leva sulla voglia dell’infelice di avere questodolce incontro, lo convinsero a raggiungerla, indossando lescarpe e nient’altro.Intimidito dal buio, ma desideroso di avere quell’incontro,Calandrino si addentrò nella vegetazione più fitta. Si sentìchiamare da una voce femminile, cui seguirono dei passi. Passipesanti. Alle sue spalle. Sempre più vicini, più vicini. Un brividogli corse lungo la schiena. Calandrino, travolto dal desiderio dipossederla, nemmeno si accorse di quanto stonati fossero queipassi rispetto alla figura descrittagli dai suoi amici.Neanche ebbe il tempo di voltarsi, che una voce tuonò alle suespalle. A malapena riuscì a distinguere queste parole:

“Tu, a mia sorella, non devi neanche pensare!”Gli bastò un istante per realizzare chi fosse costui: il fratello dellaragazza! Inghiottito dalla paura, Calandrino corse a più nonposso verso la città, così come era entrato nel bosco: nudo.Raggiunte le prime case, vide venirsi incontro i due “burloni” che,restituitigli le sue vesti, gli fecero luce su tutto: la ragazza non eramai esistita, era frutto della loro fantasia, come d’altronde ilfratello, inscenato da Lorenzo il Maciste, così nominato data lasua stazza.Amareggiato e desideroso di vendetta, “Calandrino” corse da meper progettare uno scherzo degno di quello subìto. Chissà se inquesta rivincita troverò ispirazione per un’altra novella…

Chiara PrevedelloLa frittata dei campioni

Alfio e Santo, due ragazzi diventati adulti e, a seguito di molteplicischerzi, anche amici.Alle pendici del monte Vesuvio si trovava un piccolo borgo dipochi abitanti chiamato Somma Vesuviana.Aggirandosi per le strade, nel pomeriggio, si trovava a ogniangolo un gruppo di amici che giocavano per strada a muretto.La domenica, i ragazzi, si riunivano per disputare un torneocalcistico. Le squadre che avevano portato a casa più vittorieerano quelle capeggiate da Santo e Alfio. Questi erano dueragazzi, dell’età di quattordici anni, che oltre a voler vincere a tutticosti ogni domenica, proprio non si piacevano l’un l’altro, infattisi schernivano con scherzi di ogni tipo.Un giorno la madre di Alfio lo mandò a comprare delle uova malui decise di rubare quelle di Santo. Nel paese si diceva che lafrittata era la colazione dei campioni e quindi, se avesse rubatole uova a Santo, questi non le avrebbe potute mangiare ed egliavrebbe vinto il torneo. Alfio entrò di soppiatto nella capannapoco distante da casa dove le galline chiocciavano. Alzò il palettodi ferro che bloccava la porta, e aprendo la porticina di legnoentrò nel pollaio. Era mattina presto e nessuno della famiglia siera ancora recato lì per prendere le uova. Alfio aprì il sacco chela madre gli aveva dato e iniziò a metterci quante più uova

possibili. Con la mano che gli era rimasta libera riaprì la porticinae sgattaiolò fuori. Arrivato alla porta della capanna pensò:”Se Santo non trovasse le galline, domani e i giorni a venire nonavrebbe la frittata e potrei essere io il campione indiscusso.”Sogghignando tornò indietro, aprì la porta del pollaio e le gallineuscirono. Alfio contento del risultato ottenuto, uscì dalla capannae se ne tornò a casa.Dopo qualche ora Santo vide il pollaio aperto e capì subito cheera stata sicuramente opera di Alfio; infatti, per terra si vedevauna sottile linea arancione di tuorlo d’uovo che dalla stradaarrivava fino alla porta della casa di Alfio.“Alfio non doveva rubarmi le uova proprio oggi che mia madreaveva deciso di farmi una bella frittata di strigoli.” pensò Santo,ma ormai gli restava soltanto da recuperare le galline sparse nelprato.Santo non aveva perdonato l’amico, anche perché quelladomenica, nella finale del torneo, Alfio aveva vinto. Dovevatrovare il modo di rendere pan per focaccia a Alfio. Passaronoalcune settimane e Santo non aveva ancora ideato la suavendetta fino a che non si sporcò la maglietta da calcio. Nessunonel paese aveva una maglia di ricambio ed era regola del giocoche chi non aveva la maglietta pulita non avrebbe potuto giocareil gran campionato; Santo ora sapeva come agire.

Era arrivato il giorno del torneo, il sole era alto nel cielo e facevamolto caldo. I ragazzi si stavano preparando ognuno nelleproprie case per poi recarsi al campino. Alfio quella mattina ebbeperò una brutta sorpresa. Fece colazione con una frittata di uovafresche e spinaci e si recò sul retro per vestirsi e raggiungere glialtri. Aprì la porta e incredulo non trovò la maglietta linda e pulitama fangosa e in qualche punto anche sciupata. Da bianca eradiventata letteralmente marrone; se non avesse trovatovelocemente un rimedio sapeva che non avrebbe potuto giocarela partita. Preso dall’agitazione, corse dalla madre che in fretta efuria provò a lavare la maglia. Erano passati quindici minuti, lamaglia non voleva saperne di smacchiarsi e Alfio corse subito adannunciare alla squadra l’accaduto.Al termine del campionato, la squadra del fuoco, capeggiata daSanto, percorrendo le strade del paese, alzava alto il trofeo.Da quel giorno Alfio era talmente giù di morale che non si univapiù agli amici per giocare ma li guardava da lontano correre dietroal pallone, che dopo la sconfitta in gran campionato, vedeva perquello che era, una piccola pallina fatta di vestiti vecchi. Ai suoiocchi il calcio, aveva perso il suo splendore pur ricordandogli imomenti felici. Era invitato dagli amici a partecipare ai giochi madeclinava sempre l’invito per recarsi a casa, fare i compiti eleggere uno dei tanti libri che si trovavano nella biblioteca delpaese.

Alfio si recava lì tutti i giorni e leggeva un libro fino a che non eraora di andare casa. Santo, invece, attraversava la suaadolescenza sempre a scontrarsi nel campino da calcio vicinoalla piazza. Non aveva mai rivelato di essere stato lui, quel giornodi quattro anni fa, a sporcare la maglietta di Alfio. Questo lofaceva sentire in colpa ma il suo orgoglio non gli permetteva discusarsi.I due ragazzi erano ormai diventati adulti e avevano varcato lasoglia di confine tra l’adolescenza e l’età adulta: i diciotto anni. Siavvicinava l’esame di maturità. Santo, poiché aveva idee pocochiare, già prima di dare l’esame aveva deciso che avrebbepreso sicuramente un anno sabbatico per dedicarsi al calcio.Alfio, studioso com’era diventato, avrebbe continuato gli studi e,con i soldi messi da parte dalla sua famiglia, avrebbe frequentatol’università d’economia a Napoli.Quell’anno il consiglio d’istituto aveva deciso di regalare unaborsa di studio all’alunno che avesse raggiunto il miglior risultatoalla prova di maturità.Passarono gli scritti e in seguito gli orali finché non arrivò il giornodei risultati. Questo giorno e quelli precedenti erano stati vissutida tutti i ragazzi con molta ansia anche perché molti volevanol’ambita borsa di studio che avrebbe garantito l’accesso aun’importante università.

I risultati erano esposti. La calca degli studenti spingeva controle porte. Chi piangeva, chi era felice e chi come Alfio fissavaincredulo il foglio. Aveva vinto la borsa di studio! Potevapermettersi l’università che sognava, la Bocconi. Sarebbe partitoper andare a Milano e diventare così un commercialista. Santolo guardava da lontano, lui era passato con il minimo di voti. Sividero l’un l’altro ma non si scambiarono neanche una parola ecosì Santo si diresse al campino e Alfio a casa per annunciare labella notizia.Alfio pochi giorni dopo partì prendendo il treno che da Napoliarrivava fino a Milano, la sua nuova città. Alfio non si era maiallontanato dalle pendici del Vesuvio. Appena arrivato a Milano,fu colpito dal perenne traffico e dal rumore dei clacson che nonfiniva più. Non era abituato a camminare scontrandosicontinuamente con le spalle altrui a causa del gran numero dipersone che camminavano sui marciapiedi. Tutti i giorni sentivala mancanza di casa ma cercava di reprimere quel sentimento dinostalgia. Passò le ultime settimane prima dell’inizio del primoanno esplorando la città. Mancavano pochi giorni e la prima cosache faceva, oltre che rispondere alle costanti chiamate dei suoigenitori, era studiare e recarsi spesso in biblioteca e nelle librerieper comprare i grandi volumi che gli sarebbero serviti di lì a pochigiorni. L’università era molto grande e si era dimostrata subitopiù faticosa e pesante di quanto lui si aspettasse.

Nel frattempo Santo, sempre a Somma Vesuviana, giocava nellostesso campino polveroso chiedendosi quando Alfio sarebbetornato a casa dalla sua famiglia per prendere parte a un altrogran campionato. Inoltre pensava che Alfio, anche se fossetornato a giocare a calcio, non lo avrebbe mai, per nessunaragione al mondo, battuto sia perché era fuori allenamento siaperché a Milano non esistevano i pollai dove prendere le uovafresche per prepararsi la frittata dei campioni.Trascorsero gli anni, Alfio e Santo non si erano più visti dal giornodei risultati. Ognuno si era creato una vita. Alfio conseguiva ottimivoti in tutti gli esami universitari e Santo, che dopo l’annosabbatico non aveva continuato gli studi, era andato a lavorarenel negozio di famiglia. Alfio, laureatosi a pieni voti, tornò aSomma Vesuviana e trovò lavoro nella vicina Napoli così dapoter star vicino ai propri genitori che stavano diventandoanziani. Quelli furono anni difficili e la famiglia di Santo fucostretta a chiudere il negozio.Santo, ritrovatosi senza lavoro, si recò a Napoli alla ricerca di unimpiego. Aveva sentito parlare di un posto libero in un’impresa dipulizie e quindi vi si recò per sostenere un colloquio. Mentrescendeva le scale, dopo essere stato rifiutato dal direttore,incontrò una persona a lui familiare:”Santo da quanto tempo? Non mi riconosci? Sono Alfio, ricordi?”.

Santo rimase perplesso, lo riconosceva a stento, naturalmentenon era più il giovane di un tempo e inoltre vestiva abiti elegantie non più i soliti indumenti. “Certo che ti riconosco, anche sesudare sui libri ti ha reso vecchio” rispose Santo.“Tu invece hai ancora la polvere del campino addosso” disseAlfio “Ma che ci fai qui?”“Ero venuto a cercar lavoro ma mi hanno appena detto che nonsono idoneo perché non ho nessuna qualifica.” Alfio rimasecolpito dallo sconforto di Santo: essendo arrivato da poco eavendo bisogno di un segretario decise di prenderlo a lavorarecon lui, sebbene Santo non avesse un curriculum adeguato.Dopotutto era, in un certo senso, merito di Santo, che gli avevasporcato la maglietta, se lui era riuscito a laurearsi.Santo non credeva alle parole dell’amico e accettò conentusiasmo il lavoro. Mentre Santo stava scendendo le scale,Alfio lo rincorse e dal pianerottolo gli urlò:“Ricorda che dal tuo primo stipendio ti detrarrò il costo dellamaglietta che mi hai sporcato e che ho dovuto buttare”.Salvo guardando in alto rispose:“Certo ma prima mi devi ripagare tutte le uova che prendesti dalpollaio e soprattutto mi devi offrire una frittata di strigoli”.Entrambi fecero una risata, felici di essersi ritrovati.

Annalaura RotondiL'amicizia a primavera

Può nascere un’amicizia tra un uomo e una donna? C’è chi cicrede e chi , invece, si lascia condizionare da pregiudizi. Ora, carilettori, leggerete in questa novella cosa accade ai suoiprotagonisti.E’ primavera e da lontano, sotto una pianta di ginepro, da unapiccola collina, si possono scorgere due persone anziane sedutesu due sedie. Mentre il sole tramonta, illuminando con i suoi raggirosei tutta la vallata, i due ricordano i bei tempi trascorsi ingioventù.Era primavera e un ragazzino di nome Gianni scorrazzava per ilprato, quando si scontrò con una bambina chiamata Tessafacendola cascare. Gianni era dolce e simpatico , mentre Tessascorbutica. Ella apparteneva ad una famiglia povera, suo padrefaceva il falegname e sua madre la donna di servizio in unafamiglia di ricchi imprenditori. Tessa sapeva cosa voleva dire faresacrifici e rinunciare alle cose che possono rendere felice unabambina. Per Gianni era diverso: la sua era una famigliabenestante dedita al commercio di tessuti.I due, ben presto, strinsero tra loro amicizia e ogni pomeriggio siincontravano per giocare insieme spensieratamente sui prati. Laprimavera e l’estate passarono in fretta e, arrivato l’autunno,Gianni dovette trasferirsi in città a causa del lavoro del padre. Idue, in una giornata fredda, si salutarono entrambi con le lacrime

agli occhi, ma non piansero l’una per orgoglio, l’altro perdimostrare di essere un bambino forte.Passarono gli anni ed i due presero strade diverse. Un giornod’estate finalmente si rincontrano a Ravenna, città dove Giannisi era da tempo trasferito. Tessa non era una donna molto bellae molti suo amici e conoscenti la criticavano per il suo modo divestire stravagante. “Ciao, Gianni ,come stai? Non sei contentodi vedermi?” Domandò la ragazza. Alla vista di Tessa Giannidiventò tutto rosso e, poiché si vergognava di avere un’amicanon ricca come lui, rispose seccatamente ”Ciao, chi sei? Noncredo di averti mai incontrata; io non ho amiche che vestonocome delle indiane!”. Dopo questa affermazione Tessa se neandò senza rispondere, molto arrabbiata e sconcertata. Gli amicidi Gianni che assistettero alla scena si misero a ridereapprovando il comportamento del ragazzo. Tessa capì cheGianni era cambiato; a lui prima non importava il modo di vestireo l' estrazione sociale dei suoi amici. Stando, però, nell’ambientedell'alta società, si era fatto influenzare dai pregiudizi e ormairiteneva che il punto di vista dei più forti fosse quello giusto perdimostrarsi veri uomini.Quando Gianni tornò a casa la sera pensò tutta la notte al visodeluso di Tessa e a ciò che le aveva detto; in fondo non le pesavacerte cose, ma, nel contempo, voleva mostrarsi forte come i suoiamici. “Sei sciocco e infantile, pensi solo a te stesso e non saicosa vuol dire la parola AMICIZIA, forse non l’hai mai saputo.

AMICIZIA vuol dire divertirsi insieme, ma anche raccontareall’altro le paure più nascoste, mettere da parte ogni pregiudizio.”Queste parole di Tessa gli martellavano la testa, ma Giannitemeva il giudizio dei suoi amici. Un giorno questi lo convinseroa fare uno scherzo, secondo loro innocuo, ad un ragazzo diqualche anno più piccolo di loro. Il suo nome era Teo, ma tutti losoprannominavano occhialuto poiché portava degli occhialigrandi rotondi con una lente molto spessa. “Io non ce la faccio.Come posso fare uno scherzo ad un ragazzo così buono comeTeo?” - disse Gianni impaurito. Uno dei ragazzi si fece avanti einiziò a spintonarlo dicendogli: ”Hai paura? Se è così, anche tuper noi sei entrato nel club dei perdenti. ”Accompagnaronoqueste parole con spintoni e pugni, ma per fortuna arrivò Tessache immediatamente li minacciò di far intervenire la polizia ecosì permise a Gianni di liberarsi di loro; lo accompagnò, quindi,zoppicante a casa.Passarono gli anni e Tessa sposò un imprenditore, lui, invece,una giovane studentessa di medicina. I due ogni primavera siincontravano in quel bellissimo prato sotto quel fiorito gineproraccontandosi i giorni trascorsi lontani, ridendo e scherzando.Anche quel giorno i due, ormai entrambi vedovi, seduti su quellesedie si raccontavano le loro giornate, quando siaddormentarono l’uno poggiando la testa sulla spalla dell’altro.Furono seppelliti sotto quell’albero di ginepro e le loro tombe

furono ricoperte di fiori colorati , racchiudendo in quel luogo ilsilenzio della loro amicizia che non cesserà mai di esistere.


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