Le difficoltà di trasmissione culturaleIn considerazione di ciò che avevo conosciuto di lei non me la sono sentita di toglierleil saluto, ho cercato di fare uno sforzo per pensare, per capire. Però, a dir la verità,ancora non ho capito e, se ci ripenso, mi viene ancora voglia di mollarle un ceffone.E ancora Andrea Bajani: Da anni in Italia ci si chiede in che cosa consista la cosiddetta integrazione degli altri quando vengono qui. All’altro non si chiede se non integrazione, laddove per integrazione si intende, in maniera fascista, un’attitudine mimetica, la disponibilità a mimetizzarsi, a scomparire.Quindi razzismi europei nonostante innumerevoli giornate della memoria?Teresa Rossano: Già... il giorno della memoria: organizzato da una scuola italianacon la scuola italiana di Bucarest e la collaborazione dell’università. Vengono studentida un liceo di Bologna, io ci vado con alcuni studenti del mio liceo – rumeno – dovenon se ne parla affatto. Parlano alcuni sopravvissuti e fra loro ci sono dei rom. Imiei ragazzi, anche quelli con cui ho discusso più accanitamente, accettano di fareda interpreti. Bisogna parlare in italiano perché gli italiani capiscono solo la lorolingua. Loro invece capiscono e parlano in romeno, in italiano e in inglese. Andreitraduce fitto fitto al vecchio rom col cappello e i denti d’oro. E pensare che ci siamoaccapigliati fino a un attimo prima, per lui sono inferiori pure quelli della Bucovina.Andiamo a mangiare tutti insieme da McDonald’s che tutti unisce, poi gli indigenifanno da guida per la città. Il video riprende i ragazzi davanti al Palazzo del Popolo.Andrei discute con gli italiani del comunismo. Lui è assolutamente avverso,sostiene il suo punto di vista, ma è critico, non sputa solo sentenze. Gli italiani,dopo, commenteranno fra loro quanto sia difficile, per i romeni, staccarsi dal loropassato. Meno male che loro hanno capito tutto, penso fra me e me. Però sono carini,intelligenti, ce l’hanno messa tutta. Quando Andrei e gli altri vedono il video diconosolo che vorrebbero incontrarli ancora, mi ringraziano per l’occasione che gli ho dato.Questo video è stato realizzato con fondi europei. È stato presentato nell’ambito diun progetto a livello europeo ma a Bucarest lo abbiamo visto solo noi, nelle scuole.Marco, ma come può un italiano rubare il lavoro ad un rumeno?Marco Belli: Tornato a Ferrara e finita la tesi, mi sono chiesto: come praticare il romeno?Detto, fatto! «Chiamata alle armi» e pronta assegnazione, per compiere il mio serviziocivile, all’Assessorato della Pubblica Istruzione di Ferrara; tra i numerosi compiti che hosvolto, anche quello di mediatore culturale di lingua romena nella scuola elementare. 101
Viaggi dialogici tra Italia e RomaniaTerminati i dieci mesi di servizio civile, ho continuato come libero professionista ainserire bambini romeni e moldavi nella scuola italiana, «rubando» il lavoro a tantissimiromeni e moldavi che sapevano la propria lingua madre molto meglio di me.Oggi faccio l’insegnante precario, non faccio più il mediatore culturale per il comune– oggi i mediatori sono quasi tutti madrelingua – ma utilizzo il mezzo fotograficonella mia attività di insegnante di sostegno e ideatore di progetti per l’integrazionedegli stranieri nella scuola.Quindi la tua passione per la fotografia è nata in Romania?Marco Belli: Dopo la prima esperienza in Romania, tornai in Italia, mi laureai eritornai l’anno dopo per specializzarmi a Timişoara, all’Universitatea de Vest. Lìscattai la mia prima foto con una macchina manuale analogica: una veduta sul fiumeche attraversa la città più grande del Banato. L’apparecchio fotografico in questioneera una Seagull che troneggia tuttora sulla libreria di casa mia, una 6X6, copia cinesedella più celebre e costosa Rollei, che avevo comprato su Calea Victorei – la splendidavia in stile liberty dove ha sede il Cafè Capşa, meta di ritrovo dell’intelligenzia romenatra le due guerre – a Bucarest, per sole sedicimila lire con il cambio di allora.La Romania mi ha «trasformato», attraverso una metamorfosi da film espressionistadegli anni Venti, in un fotografo. È stata la patria della mia prima vera solitudine, delseme che ha fecondato per la prima volta autenticamente la mia creatività.Dopo Porno Bloc ho avuto il privilegio di pubblicare con un altro Mihai della mia vita– autoproclamatosi l’Osservatore Romeno – il libro Dal Comunismo al Consumismo.Fotosafari poetico esistenziale romeno-italiano, quel volume che contiene le acuteriflessioni di Andrea Bajani.È una raccolta di poesia e fotografia caratterizzata dalle nostre due esperienzeesistenziali complementari che insieme hanno riflettuto sul passaggio dal comunismoal consumismo, vent’anni dopo la caduta del Muro di Berlino. Molte fotografiepresenti nel testo sono state scattate durante il mio soggiorno di ricerca a Timişoara.Cosa fare allora nei due paesi, secondo voi, per migliorare un pacifico flusso culturalein entrambe le direzioni?E che cosa si potrebbe fare nel futuro, incominciando già da oggi?Anna Carrozzo: Per conoscere la Romania servirebbero delle finestre aperte sulla suacultura per suscitare in chi si approccia ad essa il desiderio di esplorare gli scritti deiCarpazi per poi, zaino in spalla – come farò a breve – partire alla scoperta della suasplendida terra. 102
Le difficoltà di trasmissione culturaleMarco Belli: A volte mi chiedo: cos’è successo? Perché i romeni sono visti con sospettoda tre-quattro anni a questa parte? Perché quando sono tornato in Romania recentementele persone mi hanno trattato in maniera meno ospitale rispetto alla mia prima visita nel1999? Perché giornali più o meno moderati dopo l’omicidio Reggiani hanno incominciatoa parlare in questo modo: «Mandiamoli tutti a casa», «Sono una razza di stupratori», ecc.Cosa è successo alla nostra cuginanza, alla nostra medesima appartenenza all’orizzontelatino che ha suggellato nei secoli solidità negli scambi culturali e commerciali? Quantioperai e manovali italiani hanno lavorato in terra romena prima della seconda guerramondiale? Centinaia? Migliaia? Perché solo oggi la politica e l’opinione pubblica italiana sista scagliando contro una comunità integrata nel nostro tessuto civile e presente nel nostroterritorio già da parecchi anni? Cos’è successo? Chi o cosa ha dato il via a tutto questo?Certamente l’incalzare negli ultimi quindici anni di una politica irresponsabile checrea a tavolino un prototipo d’immagine dell’immigrato, oscura e pericolosa, cheutilizza come capro espiatorio di tutti i mali del «Bel Paese». La totale assenza diun progetto serio di politica della migrazione e di investimenti consistenti nellaformazione e nella scuola per una integrazione dei cittadini stranieri, determina nellasocietà un costante senso di emergenza – alimentato dai media – che produce nellagente paura, razzismo e odio. Questi sentimenti vengono utilizzati dalla politica percreare consenso e legittimare scelte politiche discutibili. La mancanza di investimentonella cultura e nell’istruzione si trasforma in un perverso investimento nel complottodi chi non vuole una società con coscienza critica e civile, una scuola che possadiventare laboratorio per la creazione di nuove forme di cittadinanza interculturalepiù responsabili e nuove generazioni aperte ad una società globale e multiculturale.Sembra che i media e la politica – spesso coincidenti – celebrino tronfi questaignoranza, questa mancanza imperante di criticità e coscienza che chiamano «pensarecon la pancia». E le vittime di tutto questo non saranno soltanto i romeni d’Italia opiù in generale gli «immigrati».Esiste una speranza o semplicemente la possibilità di una decenza civile? Certamente!Un viaggio, un incontro, una domanda disinteressata, la ricerca dell’altro.Marcella Fortunato: Ad esempio qui in Germania la curiosità e l’interesse che invecehanno i rumeni per gli italiani proprio non ci sono. Ecco, se dovessi suggerire cosafare per stimolare un’ondata turistica dall’Italia verso la Romania, certamente pensereidi sfruttare la potenzialità dell’apertura rumena rispetto all’Italia, il desiderio semprevivo dei rumeni di contattare italiani, il loro piacere di ospitarli. In Italia sono naticome funghi tanti bed&breakfast in svariate città; in Romania non potrebbe avverarsiqualcosa del genere? Sarebbe bello se gli italiani, andando in Romania, soggiornasserosempre più spesso presso famiglie; attraverso queste potrebbero avere un contatto verocon il paese, conoscerne la storia, le abitudini, anche culinarie, le tradizioni. 103
Viaggi dialogici tra Italia e RomaniaEd anche a livello politico è presto detto: pensando ai potenziali nuovi giovani turistiitaliani in Romania, il governo italiano, anziché fomentare paure nei confronti degliimmigrati rumeni, potrebbe sostenere progetti turistici inediti verso la Romania,andando incontro da una parte agli interessi degli italiani impegnati a pianificarlie metterli in atto, ma anche aiutando indirettamente le – immagino numerose –famiglie rumene disposte a entrare in una rete di nuovo turismo culturale.Così Andrea Bajani nella postfazione citata, efficace quanto indispensabile saggiorivolto a italiani, rumeni e altri viaggiatori: Il genocidio culturale italiano, pensavo in Romania, è cominciato quando abbiamo cominciato a vergognarci di essere un popolo di contadini, e abbiamo accettato (e preteso) di essere un popolo di cittadini e consumatori. Quando ci siamo chiesti da soli di lasciare le scarpe fuori dalla porta, di lasciare le nostre cose, quel che eravamo, che siamo stati, fuori dall’uscio. Nella dimenticanza forzata, nella rimozione, c’è tutto lo smarrimento di questi tempi, in cui non ci si può permettere di mescolarsi con l’altro per paura di non saper più dire ‘io sono’. Perché quel’ ‘io sono’ è frutto di una costruzione.Quanto vi ha cambiati il contatto con la Romania?Anna Carrozzo: La frequentazione di una parte della letteratura romena mi ha donatonuovi occhi per guardare e nuove orecchie per ascoltare, mi ha insegnato a credere inme stessa e, cosa altrettanto importante, negli altri.Teresa Rossano: Sono di quelli che vivono ancora in una dimensione collettiva, credoche non bisogna smettere di lottare, che ribellarsi è giusto. Mi piace andare in giro e,dovunque sia, mi metto in cerca del mio posto in riva al fiume. Dal giorno che ci sonoarrivata al primo giorno che ci sono ritornata, a Bucarest, ho visto che le luci dellacittà dall’alto già mi avevano cambiata.Anche io ho visto le luci della città che si accendevano tutte insieme. Mi ci hannoportato i miei alunni, a Natale.Marco Belli: La mia passione per Cioran, la fotografia, la mediazione culturale,l’insegnamento, mi sembra che emani da quella campagna transilvana, piena disorgive, dove ho fatto la mia prima e unica esperienza del silenzio e dalle rotaie sucui corrono scuri treni romeni notturni con scompartimenti caldissimi, altre volteglaciali, dove ho fatto l’esperienza del vuoto, della libertà e della solitudine.Oggi, a Ferrara, vivo vicino ai binari del treno… Mulţumesc, România! 104
Le difficoltà di trasmissione culturaleSe ci fossimo trovati a casa mia, a Sesto San Giovanni, nell’hinterland milanese, pensoche i miei amici avrebbero optato per sarmale e ţuică, tra le poesie di Mihai Eminescu,gli aforismi di Emil Cioran e con la musica di George Enescu e Bartók Béla.Diceva, in conclusione, Marcella Fortunato: «Il mio soggiorno rumeno si è rivelatouna scoperta di me stessa e di un nuovo mondo».Che sono poi i due obiettivi fondamentali di un buon viaggio. 105
Parte Seconda Il viaggioa cura di Federico Zannoni
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Laggiù dove i viaggi riposano Laggiù dove i viaggi riposano di Federico ZannoniEsiste un posto, da qualche parte nella vecchia Europa, in cui riposano gli oggettismarriti o gettati dai viaggiatori distratti. Non mi è consentito svelare la precisa collo-cazione di quel posto, sarebbe come fargli violenza. Posso però dirvi che la notte, que-sti oggetti, parlano. Ultimamente sono un po’ incazzati e sommessamente polemici,forse perché bagnati dalla troppa pioggia invernale, oppure perché delusi dall’inerziadella politica e dall’oblio planetario cui sono sottoposti.Certe sere mi assento da casa, accampo la scusa del calcetto con gli amici e spariscoin quel luogo. Ho dovuto imparare le lingue, il solo inglese non basta, per potercomunicare con gli oggetti abbandonati. Conosco alla perfezione le denominazionidelle pietanze che localmente vado cercando, di cui in quel posto rintraccio briciole econtenitori sporchi; conosco le parolacce, ancora più opportune in questo momentodi recriminazione collettiva; conosco gli slang, le parole d’affetto, come si dice binarionei lunghi percorsi delle rotaie.Ho imparato a distinguere i tratti somatici di questi oggetti, ora non mi confondopiù, riconosco quando un boccale si esprime con francesismi o quando assume l’ani-ma pragmatica delle genti del nord; capisco quando una ruota ha tracciato sentierimediterranei e quando autostrade sovietiche; mi accorgo persino quando qualcuno diloro mente, come quella bambola di pezza che, maliziosa e cattiva, asseriva un passatoda geisha.Non è stato semplice conquistarmi la loro fiducia. Ricordo il primo giorno che liincontrai, quasi per caso. Pioveva a dirotto, cercai un riparo sotto una tettoia. Tutt’at-torno, sagome rotte ombreggiavano il buio della notte priva di comete. Non sapendocome ingannare il tempo, presi a sputare verso terra, mirando un barattolo.«Mi stai macchiando».Percepii un sussurro gentile ma brusco. Provai a guardarmi attorno, osai addiritturaun paio di passi sotto il diluvio, ma non scorsi presenza umana. 109
Viaggi dialogici tra Italia e RomaniaLa giornata non era stata particolarmente stressante né triste, non avevo assunto unitàalcoliche e, trovandomi nel mezzo di un mio scorcio di vita tutto sommato sereno,non sentivo il bisogno di dover provare impellenti sensi di colpa. Mi parve strano chequella voce si trattasse di un’allucinazione uditiva. Mancavano i presupposti.« Smettila, non te lo ripeto più! ». La voce si faceva minacciosa.« Ha ragione, smettila! »« Portaci rispetto, straniero, solo così potrai essere nostro ospite! »« Non ci sei solo tu su questa superficie! »« Allora, ancora non ti sei deciso? »Deglutii di soprassalto. Le voci si sovrapponevano l’una sull’altra, maschili e femmi-nili, giovani e mature, singolari e plurali. Concrete e anche primitive.Deglutii nuovamente, poi osai domandare:« Ma chi siete? Chi è che mi sta parlando? »Mi sentii stupidamente assurdo, c’ero solo io in quell’angolo di notte, eppure sentivoche non mi stavo sbagliando, che non avrei potuto assumere un comportamento piùrazionale. Finalmente le nubi liberarono uno scorcio di luna, la cui luce si posò suglioggetti tutto intorno: zaini sgualciti, barattoli vuoti, scatole strappate, calzini bucati,scarpe dalla suola consumata, ruote, libri, quaderni, matite colorate, occhiali e lentid’ingrandimento, orologi da taschino, bandane, bucce di banana, marsupi e borselli,sciarpine colorate, obiettivi di macchine fotografiche, non mancava proprio niente.Per istinto mi venne voglia di procurarmi una valigia e fare man bassa di tutto, men-tre la notte copriva i cattivi odori. Mi chinai per afferrare un diario, ma mi bloccaiun attimo prima: fu in quel momento che percepii che a parlarmi erano gli oggettiabbandonati sul suolo. Chiesi scusa. Mi risposero in modo scomposto.Ritornai a visitarli la sera seguente, e così le settimane, i mesi, gli anni a venire.Quegli oggetti erano buoni amici, mi raccontavano storie di viaggi e persone, di fra-gole e sudore, animali smarriti e bambini fuggiti, caramelle e veleni, acque salate evette nevose. Ciascuno di loro, a turno, narrava le proprie avventure appena prima didormire, poi tutti si acquietavano, sospirando trasognati nel candore dei ricordi. Ognipiccolo accadimento, il più stupido degli imprevisti, in più insignificante dei partico-lari, assumeva nel racconto dimensioni eroiche, l’epica li trasportava lungo i sentieridell’immortalità. Attraverso le parole della buona notte, cominciava per questi oggettiun viaggio a ritroso, una nuova esplorazione verso le rotte già percorse, ma con esiti 110
Laggiù dove i viaggi riposanotutti da scoprire, incontrando persone già incontrate, ma trovandole più mature, piùbuone, più accondiscendenti. Rimaneva il rimpianto per l’impossibilità del presenteviaggiare, del rimettersi in moto, trasportati da qualcuno, per scoprire nuovi posti,farsi toccare da inedite genti, rompersi e usurarsi nelle traiettorie della terra. Se ne sta-vano sempre lì, soli e abbandonati, ringraziando la pioggia per la ruggine e il logorio.Un giorno pensai che solo io avrei potuto rimetterli in moto, donare ai miei amici unpresente e un futuro mai statico: decisi di prendermi cura di loro e, posti in democra-tica lista di attesa, li portai con me nei miei viaggi nel mondo.Alle stazioni e più ancora agli aeroporti, la gente prese a guardarmi in modo strano,vestito com’ero, di stracci e bandane bucate, ma imparai a camminare con ineditasapienza e mai fu avversa l’acqua sui miei piedi, quando calzavo le logore scarpe dallasuola precaria. Nei momenti di solitudine, i vecchi oggetti mi facevano compagnia;quando mi perdevo, mi rivolgevo a loro e in un attimo ritrovavo la direzione. Nonseppi più smettere di viaggiare, ma ogni trasferta presupponeva il ritorno, per rac-contare le nostre avventure agli amici rimasti presso il dormitorio degli oggetti ab-bandonati. Tutti erano lieti di ascoltarci, ogni parola rievocava mondi, accadimenti epassioni, al punto che mi accorsi di come migliorò la qualità dei miei sogni, la notte,quando mi coricavo. E coi sogni miei, i sogni loro.Soltanto un amico se ne stava in disparte, corrucciato e cupo. Si trattava di un vec-chio Ducato bianco, irregolarmente ammaccato, ma ancora piuttosto in forma, setrascuriamo la miopia allo specchietto sinistro. Ogni volta che raccontavo, si inner-vosiva e metteva in azione i suoi tergicristalli, spruzzando acqua sporca come fosserolacrime. Provavo per lui una grande tenerezza e un affetto speciale, ma non sapevocome farglielo capire, né potevo portarmelo con me durante i miei viaggi, era troppoingombrante, con quel motore che credevo morto. Era timido, ma un giorno ebbeil coraggio di avvicinarmi. Mi raccontò di un bel viaggio che fece, parecchi anni fa,con un gruppo di ragazzi. Era lui, la Tigre Asiatica, il poderoso e indistruttibile bolideche li condusse ovunque, affrontando buche e strettoie, automobili schizofreniche ecarretti in mezzo alla strada, negli anfratti più fatati di una soleggiata Romania.Fui pervaso da una irresistibile sensazione di famigliarità, mi immaginavo le tappedell’avventura come se effettivamente l’avessi vissuta, come se per ogni accadimentoavessi potuto prevedere sviluppi e conseguenze, perché già sperimentati.Dilatai quelle emozioni.Il meccanico ha fatto un ottimo lavoro. Oggi il motore della Tigre Asiatica può torna-re a ruggire. Partiremo insieme, come vecchi amici. Torneremo in Romania. 111
Diari emozionali e fotografieIl viaggio in Romania nell’estate 2009 e 2010
La grande pianuraÈ monotonia apparente quella che ti cattura gli occhi quando attraversi la grandepianura. Potresti aspettarti obese pecore in fila indiana capitanate da ossuti pastori,cadaveri di cani non ancora in decomposizione nel bel mezzo della strada, accantoa una buca, di quelle che farebbero strippare persino la più insensibile fra tutte leautomobili, ma non il nostro nobile Ducato. Potresti ipotizzare campi al momentonon in fiore e alberi con succosi prugnotti, poco traffico e abitazioni raccolte invillaggi addormentati, privi di piazze ma con ottimi bazar in cui comprarsi le mutandesorseggiando una birra.Tutto questo esiste, ma sono altre le cose che non ti aspetteresti. Il sonoro risvegliosotto i colpi di un contadino che inveisce contro la portiera, per esempio.Cambiando prospettiva, forse a quell’uomo non capita spesso di svegliarsi alla buon’orae trovarsi sul ciglio del campo cinque inediti figuri, appisolati dentro a un furgone.Nemmeno ti aspetteresti di trovarti a sottovalutare gli effetti a scoppio – mai terminefu più appropriato – ritardato di un liquore alla prugna, la ţuică, destandoti inermee confuso, disteso sull’erba, a riconsiderare in modo critico anni e anni di viziosetentazioni, mentre accanto appare un bambino dai piedi scalzi. Quella stessa creaturaspalancava gli occhioni, ipnotizzata dal fuoco, la notte passata.Ciondolava tutto attorno con la grazia dei suoi tre anni, ed è dolce pensare che l’interofirmamento brillasse di più perché impegnato a osservarlo.Nella grande pianura della monotonia soltanto apparente è bello perdersi nei propripensieri e ancora di più confonderli con la realtà. Il sole, la strada, i campi non infiore, il distillato alle prugne ancora nel sangue: per un attimo l’Africa ti chiama.Poi alcune voci ti accarezzano il lobo, parcheggi il furgone ed entri alle terme. Tiimbatti in una copiosa comitiva di uomini, donne e bambini dell’Africa vera. Provimeraviglia per il taglio degli occhi di alcuni di loro, poi scatti foto.Nel pomeriggio, alle terme, gironzolando in Romania. Certi incontri li vuole il caso,che in questo modo smette di essere caso.Parola di turisti non a caso. F. Z.
TimişoaraTimişoara è timida, Timişoara è donna. Non lo si deduce soltanto dal nome, quello èuna conseguenza. La si percepisce costeggiando la sera i muretti di periferia, tutta questagarbata timidezza. Tra un blocco di cemento e il successivo, ancora più imponente,permangono evanescenti zone franche, vuoti d’aria e di materia che chiedono alpassante di poter essere riempiti: sono i battiti del cuore, ciò che desiderano, per dareritmo alla notte silenziosa.Un cane abbaia, un semaforo brilla, strizzi gli occhi e la prospettiva muta: i colori ele forme dei palazzi barocchi tracciano il perimetro della grande piazza. Al centro, ilineamenti sottili di una statua a spirale, come volesse arrampicarsi nel blu, mentrein silenzio ti abbandoni al tempo che fu e che non hai avuto modo di sperimentare,parrucca bianca sul capo e fitta cipria sulle gote, secondo l’etichetta.Passano ragazze con minigonne dai colori sgargianti, abiti adeguati a valorizzarne icorpi: perfetta forma di armonia tra presente e passato, tra classico e pop, con unpizzico di kitch che male non sta. L’etica del bello esalta i contrasti, si manifestanei sorrisi disegnati sui volti delle ragazze. Sorrisi timidi, rispettosi, silenziosi, chenascondono placidi segreti e tanta, tanta grazia. Benvenuti a Timişoara, che la pacesia con voi. F. Z.
BRAN StokerTransilvania, Kill-Silvania, mordimi il collo, succhia più forte.Ingoia il mio sangue, fallo grondare, viola il mio corpo, trafiggi la carne.Piangi, bastardo, piangi.Senza pietà, paura e tormento, voglio il mio brivido di uomo che soccombe.Fottiti, Dracula, fottiti e grida.Nessuna principessa accoglierà il tuo lamento. Il sangue vampiro profuma di incenso,mi appendo alla croce, ricerco te. Mi immolo.Questa volta non cadrò, nel vortice limbo affido i ricordi.Ti strapperò le membra, fottuto bastardo la luna è con me.Le tue principesse sogghignano amaro.Porgi il calice del tuo passato, color madreperla brillerà la tua essenza.Le tue principesse socchiudono gli occhi.Il canto dell’orso è l’eco del lupo, lo strazio e il dolore della natura ferita.Leccami il sangue, cicatrizzami addosso. Ti avvelenerò.È dolce il lamento delle tue principesse.Evapora dal veleno un’inedita vita, metamorfosi e catarsi del guerriero triste.Le tue principesse aspettano te, amabile conte dal morso sublime. F. Z.
Lo strazio e il dolore della natura ferita - BranTransilvania, terra di vampiri.Nell’immaginario di un bambino, un luogo magico, tetro.Nebbia, strade deserte,vecchie che al tuo passaggio si segnano il viso con la croce protettrice.Aglio sulle porte, croci dappertutto.Niente di tutto questo.Dei lupi ululanti solo il ricordo.Un fiume di turisti inondano le strade.Souvenir del mito di Dracula.In ogni dove odore di pulito, cani randagi rispettosi.Cartelli che vietano di inquinare la casa di bambole costruita per noi.Nulla della tradizione.Le insegne della Coca-Cola padroneggiano.Nessuna differenza tra noi e loro, solo la lingua.Souvenir, souvenir, souvenir.Una signora vende strumenti musicali tradizionali.Mi avvicino contenta, sperando di aver trovato un ritaglio di mondo antico.Bluff di strumenti che suonano ritmi tradizionalie occhi dolci di ricordi passati: «Mio padre li ha fatti».Usciti da Bran i suoni son cessati. Gli strumenti erano finti!Il Castello, ambita tappa di occidentali alla ricerca del famoso mito:DRACULIA, l’Impalatore, DRACULA, il Vampiro.Odore di vernice fresca.Tutto perfetto, tutto delusamente in ordine.Libri italiani, foto anni Trenta,sembrava di visitare l’ennesimo appartamento da affittare.Mancava la guida... ovvero, l’agente immobiliare.Foto ricordo e via.Il Castello di Dracula scompare nel nostro immaginario. F. S.
Quando viaggiare apre gli occhiVi voglio raccontare ciò che è successo con una famiglia di Bucarest alle ore 23, ap-pena arrivati davanti all’ostello dopo un lungo viaggio in furgone. C’era una donna,che io e Francesca abbiamo ribattezzato come Maga Magò per la sua statura, il suoportamento e il suo modo di fare che, urlandoci in rumeno, ci ha fatto capire chenon potevamo parcheggiare di fronte a casa sua e che soprattutto temeva che alcunidi noi fossero dei gipsy (gli zingari, che vengono chiamati gipsy o indo-rom, nonsono sopportati dai rumeni). L’aggressività con cui si è rivolta a noi, il figlio che haminacciato di investirmi, venendomi contro a tutto gas con la sua auto e che, uscitodalla macchina, non mi ha nemmeno guardata in faccia... insomma, capirete il miosconcerto, misto di paura e di disagio, per un tono molto aggressivo che non avevaapparentemente motivo di esistere, anche se, col senno di poi, abbiamo pensato chemi avessero scambiata per una gipsy. Ciò non giustifica, ma dimostra la loro profondaostilità verso i rom.Questo è stato un incontro senz’altro spiacevole e che ricorderò con amarezza, mache per il momento non mi ha fatto cambiare idea sui romeni e sulla Romania chequi sto imparando a conoscere. Ed è così perché sto avvicinandomi a una Romanianuova, che porta con se molti più pregi di quelli che mi sarei aspettata di incontrareprima di partire, a conferma di come le mie opinioni non erano altro che una rispostaconfusa a un’immagine ben precisa che mi veniva data di questo popolo attraverso imedia italiani.È per questo, immagino, che questo viaggio mi sta coinvolgendo molto. Perché primadi partire la Romania era un Paese che mi era solo stato raccontato dagli altri, da altriche a questo punto posso pensare che parlino della Romania senza averla mai vista oche preferiscano ricordarla con lo sguardo sterile di chi si rivolge al passato. Certo, lecose dopo Ceauşescu non sono cambiate del tutto, al governo rimangono per lo piùgli stessi personaggi che prima della rivoluzione dell’89 erano a fianco del leader, equesto i romeni lo sanno. Ma, al di là di questo, in Romania, da parte mia, si respiral’aria di cambiamento, un cambiamento positivo, avente come bussola la speranza peril futuro – c’è grande fiducia nelle nuove generazioni – mista a una forma di saggezzanel riconoscere senza farne un dramma quello che c’è stato in passato. Questo pen-siero mi fa capire che dal periodo della dittatura di Ceauşescu i romeni se ne sianodistaccati davvero e che ora si stiano muovendo portandosi appresso uno sguardonuovo, in rispetto della dignità di essere cittadini romeni. G. Z.
Taxi BucarestVibrano i vetri che pulsano tecno, la ruggine aggredisce inferriate e cemento. Sonogrigie le strade di Bucarest, anche il sole è spento. Apollo non abita più qui, al suoposto c’è luce alogena. Il taxista solleva il pollice, gradisce quel ritmo. È tecno la suaguida, nervosa sugli ostacoli.Le gote piene e rosse sono in tono con il suo ventre. Non porta la cintura, però mostrasicurezza. Aggredisce poderoso le corsie più veloci, mentre scruta i marciapiedi. Ha ilvolto placido, gli occhi piccoli tradiscono indolenza.I fili della luce non trasmettono energia, la città è un deserto di smog e palazzoni,persone e macchine. L’orizzonte è anonimo, il taxista questo lo sa.Passano ragazze con vestiti succinti, principesse tecno in terra di vampiri. Orgogliosoil taxista solleva il pollice. Ora l’orizzonte acquista colore.Un nuovo giorno è cominciato sulle strade di BUCAREST. F. Z.
Bucarest, Ceauşescu e i suoi abitantiBucarest parla della megalomania di Ceauşescu e del conseguente eccessivo sfarzosuo e di sua moglie, ma parla anche di un popolo che unito ha scavalcato le paureaccumulatesi in 25 anni di dittatura e che ha avuto la forza di vincere le ingiustizieincivili e inumane. Questo pomeriggio andremo a vedere il Palazzo del Parlamento,che viene ironicamente chiamato Casa del Popolo perché in realtà è il più imponentesfoggio delle ricchezze dell’ex leader. È un edificio su 12 piani, composto da 3100stanze decorate e contenenti addobbi di extra lusso. Quando sarò lì dentro con losguardo su di un lampadario di cristallo di 2,5 tonnellate e il cuore, immagino, rivoltoa tutti coloro che in quei tempi si sono trovati senzatetto perché costretti a sottostareai vizi di Ceacescu, credo che mi saranno di sostegno le semplici parole di un taxistadi Bucarest che nel raccontare di quello che è stato ha aggiunto: «Questa è storia èqualcosa che è successo e che bisogna ricordare, così come all’epoca c’era stato unNerone e noi continuiamo a ricordarlo».Ciò che mi ha colpito è che la sua voce era priva di tragicità. Credo che questa sia unagrande testimonianza perché, se da una parte questo atteggiamento potrebbe esserela conseguenza di un immenso trauma a cui è difficile dar voce, dall’altra significaanche, secondo me, che in quest’uomo c’è la saggezza di chi ha la forza di uscire daldolore e l’energia di aprire una nuova porta illuminando il capitolo della propriastoria e del proprio Paese. Questo, assieme al desiderio di raccontarsi e di condividerebattute e sorrisi, è ciò che ho sentito nell’animo rumeno, e non desideri di vendetta,odi, frustrazioni o ben altro che noi italiani conosciamo bene per sentito dire dalletelevisioni. G. Z.
Danza in BucarestLe prime immagini che ho trattenuto della Romania sono quelle di una birra serale aBucarest. È una piazza completamente buia.Scegliamo di comprare qualche bottiglia e ci sediamo a un tavolo in legno presso unbenzinaio. L’unico luogo «ben» illuminato, quasi un palcoscenico, quasi un recinto.Sono passati pochi minuti quando un ragazzo si avvicina a noi. In mano ha unsacchetto di plastica e ne tiene ben stretta l’apertura. Iniziamo a parlare e gli offriamouna sigaretta, poi un po’ di birra.Ogni tre minuti aspira la polvere che ha nel sacchetto, interrompendo ogni tipo dicontatto con noi. Il suo sguardo diviene assente, sembra senz’anima. Gli chiediamo sequella che inala è colla e lui ci spiega ridendo che è ferro.Non so ancora adesso se ci siamo capiti. Lo chiamo ragazzo, anche se a tratti mi èsembrato di vedere in lui un uomo più anziano.A tratti mi è sembrato che non si vergognasse affatto della sua condizione, al contrario,che ci guardasse con una sorta di compassione: avete mai provato questa dipendenza?Poveretti, pensano di aiutarmi con la loro bontà.Abbiamo parlato con lui a lungo e credo che ciascuno abbia provato emozionicontrastanti.Ci alziamo, lo salutiamo e gli regaliamo una banana.Ci dirigiamo verso l’ostello, che non dista che dieci minuti.Rientriamo nel buio, nella città.È bello assaporare questo misto di paura e eccitazione: il ragazzo ci segue, ridendobeffardo. Non era più quello di poco prima: è casa sua ora e noi veniamo lentamentemangiati da strade che sono sue. Al benzinaio parlavamo francese, era la lingua incomune, la sola che aveva imparato a scuola. Adesso in strada parla rumeno. Noncapiamo più nulla di ciò che dice, ma ci tentiamo in continuazione. Parliamo tra noiper tranquillizzarci.Prendiamo il vicolo che ci porta alla via dell’ostello. Lui scompare dietro l’angoloprendendo una strada che può portare nella stessa via. Ho paura che sbuchiall’improvviso. Controllo alla mia destra. Cerco di prevedere le sue mosse. Nessunatraccia, benché avremmo dovuto intravederlo.Un attimo di sollievo, un altro di sconfitta: è lui che ha vinto la danza in Bucarest.Al culmine della simbiosi con la sua città, ha vinto su di noi.Era lucido in rapporto a quanto noi eravamo vulnerabili. I. M.
Vila 11Nella stanza al primo piano, mentre dormi, una gatta fa le fusa. Tu sorridi nel sonno,nonostante il caldo, nonostante le zanzare canterine, stai proprio bene. Ti culla l’inti-mità di quelle mura, veglia su di te l’angelo della vecchia Bucarest gitana. Angelo, chisei? Porta il volto di un bambino. Candide le sue gote profumano marzapane. Nonfanno paura gli spiriti che aleggiano assopiti. Traghettano i tuoi sonni verso lidi pla-cidi. Si nascondono tra i cristalli di antichi recipienti d’erboristeria, magiche alchimiedi barbuti saggi ortodossi. Profumano di eternità. Sussurrano nella notte avvolgentinenie balcaniche, anche le zanzare si fermano ad ascoltare – sulla pelle di Francesca,mentre pizzicano. Giocano a nascondino tra le stanze e le fessure, tra i vecchi libri e levaligie di cartone riposte nei bauli senza lucchetto.Cercare l’invisibile, rincorrere l’invisibile, ipotizzare l’invisibile, essendo certi che èreale. A Vila 11, a pochi passi dalla stazione, tutto questo accade. F. Z.
Vila 11Il pianto e la malinconia di un amore andato via. Dolci le lacrime solcano il viso.Dolce ogni ricordo che attraversa la mente. Passioni che potrebbero non tornare.Rabbia, sconforto. Il corpo pesante sprofonda nel letto di quella stanza del passato, diquel letto di Vila 11. Federico entra dalla porta. Ha in mano una birra che mi porgegentile.Riemergo dal letto, asciugo le lacrime. Si va in cortile, tra i gatti dei tetti di Bucarest,tra i gatti di Vila 11. I panni appena stesi profumano di Casa. Il pomeriggiocaldo dell’estate di Bucarest, la birra fresca, le caramelle patatose – o le patatitinecaramellose – comprate per sbaglio, la maschera di Spiderman, un computer e tantestorie da riscrivere. Il pianoforte antico ci guarda dalla porticina vetrata, quasi sembrachiamarmi, vuole suonare, ma deve aspettare. La tristezza mi abbandona, l’alcoolaiuta, ma Federico è carico! Detta le sue storie, un miscuglio di immaginarie realtà.Torna il sorriso, si risveglia l’animo fanciullo assopito per troppo tempo nella miamente. L’euforia mi travolge. Voglia di scrivere, voglia di comporre, voglia di creare.A Vila 11, a pochi passi dalla stazione, tutto questo è possibile. F. S.
Progettandoci un motivo«In Romania? Ma perché? Per un progetto o...»Questa la domanda che mi è stata posta ogni volta che mi sono ritrovata a dire ladestinazione della mia vacanza, quasi che fosse impossibile, per noi italiani, recarci inquesta terra senza uno «scopo umanitario» o qualcosa di simile...Ma perché?Che cos’è la Romania nell’immaginario collettivo italiano?Non è forse anche lei una parte del necessario «Progetto Europa»?Un’Europa diversa, però, quella rumena. Fatta di povertà, criminalità, sporcizia edegrado. Un’Europa che, ancora una volta, necessita di un aiuto straniero.La curiosità non è sufficiente per partire per questo paese.È questa la verità. Io stessa, infatti, non sarei di certo partita se non ci fosse statal’occasione di farlo con «Turisti Non a Caso».E nonostante la volontà non sia quella di un viaggio con scopi umanitari, in quanto ciòche ci prefiggiamo di fare è una sorta di turismo responsabile-solidale-interculturale,mi ritrovo anch’io a partire grazie a un progetto!Però parto.Mi rimetto in discussione portandomi dietro gli stereotipi e le paure mie e altrui,ancora una volta curiosa e pronta a scoprire qualcosa che in fondo non so ancoracos’è. R. M.
Mare Nero, mare d’OrienteSulle sponde del Mare Nero, ancora non so se le rose fioriscono tre volte, ancora nonso per quale mistero il tempo è sospeso e i colori si confondono. Ancora non so tuttoquello che non so. Mi crogiuolo nell’assenza. Il vuoto assume forme rassicuranti, rico-perto di luci e di spettri riflessi. Rivendico il diritto ai miei fantasmi. Mi chiedo perchétutto ciò che appare debba essere materia. Ho voglia di metafisica.A Costanza riposa il poeta Ovidio. Troneggia nella piazza la sua lapide severa. Ha losguardo fiero di antico romano in esilio. Dispensa pace e leggerezza, la levità necessa-ria dell’uomo conciliato col mondo. Nei secoli dei secoli, porgo omaggio ai suoi versi.Sulle sponde del Mare Nero, dove il tempo si è fermato solenne, dove i cavalli nitrisco-no e profumano, sotto gli occhi di un poeta, lungo le spiagge di vacanzieri e neonati,attorno agli alberghi ormai abbandonati e ai centri commerciali di recente apertura,una bambina mi vende una banana. Scarto la buccia, un morso alla polpa. Ha il sa-pore di un tramonto, col retrogusto dell’alba che verrà. Domani, chissà dove, lungo isentieri protetti dal Sole. Anche questo è Oriente. F. Z.
Lady Danubio – Una storia d’amore a TulceaTi incontrai nel mio tempo delle mele, e tu spietata mi mordesti il cuore. Vienna tro-neggiava su di noi, elegante e sacrale scandiva i nostri battiti. Non paghi di tanto amo-re, una notte fuggimmo via, lungo una scia di stelle e cicogne. Ci trascinò la corrente.L’alba su Budapest era tutta per noi, romantica e fredda suggeriva promesse di eternapassione. Ogni cosa è per sempre, a quell’età, soprattutto con te, che età più non hai.Poi intercorse la vita. La lontananza è un fiume in piena, io che naufragavo e sparivoall’orizzonte, in balia di onde vorticose e schiumanti, tu che dolcemente fluivi comeun velo di Maya. Mai riuscii a staccarmi da te, ogni ritorno fu agognato e magnetico,ti salutavo con un «Addio», ti ritrovavo con un «Ti voglio ancora», e tu sempre prontaabbracciarmi più forte. Ogni volta, un morso al cuore. Ora il mio cuore è a brandelli,mi sento debole e confuso, rivoglio il mio sangue. Ridammi il mio cuore. Lo preten-do. Sono giunto fin qui, sul tuo letto di morte, per chiederti il mio cuore. Nuvolecupe su Tulcea, il languore mi prende. Scorre sangue sul tuo corpo, ma sei viva piùche mai. Brandelli di cuore ovunque, quante volte mi hai tradito? Vorace cannibale,quando mai ti sazierai? Il sangue che ristagna odora di zolfo. Un pescatore china ilcapo su di te, altri amanti solitari reclamano il loro organo battente. Galleggiamo tuttisulla medesima barca, sopra acque assopite. Cadono gocce a dipingere pianti, nessunvento interviene ad asciugarli. Solo navi e silenzio, lo smarrimento di chi cerca il suocuore. Lo straniamento della Tulcea lontana dal mondo. Avrei voluto odiarti, avreicercato vendetta, ma ora i miei occhi si specchiano nei tuoi blu. Mi arrendo al miodestino. Ti amerò per sempre, Signora Mia Danubio. F. Z.
Gli angeli di BrăilaRisveglio traumatico, dolore di gambe, corpo febbricitante. Poca voglia di relazio-narsi. Bambini in agguato dappertutto. Sensazione di fastidio, nonostante lo spiccatosenso materno che mi caratterizza. Poca voglia di riconoscenza, nonostante la spiccatapropensione «religiosa». Fastidio dappertutto. Dalla sporcizia del corpo di una giorna-ta in furgone al dolore fastidioso, insostenibile, insopportabile delle gambe.Le forze mi hanno abbandonata. Nervosismo per l’illusione perduta. L’unica dellacomitiva ancora in piedi, l’unica che ancora si sentiva forte come un toro.Penso: «Ma chi se ne frega! Rimango in macchina a dormire, non voglio neanchecenare, sto male!». Porco senso di responsabilità! Perché, perché sto crescendo?Ok, si scende. Ci si presenta da buona ed educata signorina per bene! Appena mettoil piede fuori del furgone, il pensiero muta immediatamente. Alla fine non è poi cosìmale. Mi accolgono sorrisi di ragazzine eccitate, felici, emozionate, come se il nostroarrivo significasse qualcosa di davvero importante, magari una bella novità. Presen-tazione con le suore. Angeli bianchi sembravano. Volto sereno, visi giovani, donnebellissime vestite di bianco. Il nervosismo comincia ad abbandonarmi completamen-te. La stanchezza e il dolore alle gambe, no! Mi trascino in casa per posare i bagagli.Ora di cena. Varco la porta della casa e in un baleno, senza rendermene nemmenoconto, mi trovo catapultata in casa di Peter Pan. Vengo travolta da bambini che siarrampicano sul mio povero corpicino sfinito e mi tirano da una parte e dall’altra.Non capisco niente, ma non sono infastidita, mi vien da ridere piuttosto. A un certopunto un bambino si lancia tra le mie braccia, vuole esser preso in braccio. Non cela faccio, ma non mi tiro indietro. Baci, abbracci, coccole, che bello! Il sorriso torna,la stanchezza c’è; le gambe sono pesanti, ma il cuore è leggero, la mente rilassata. Aun certo punto, mi guardo intorno e vedo i miei amici trasformati in parco giochi.Federico sembra una montagna la cui vetta è l’ambita meta di quattro piccoli scalatoriesperti. Ognuno di queste tenere locuste con sembianze umane si sceglie uno di noie lo trascina verso un tavolo! Gli angeli bianchi assistono alla scena con aria divertita.Vengo trascinata verso un tavolo da due simpatiche pulci che hanno la forza di ungorilla! Rido divertita e ripenso al nervosismo di pochi minuti prima. Ogni volta misembra di vivere tremila stati d’animo in un secondo solo: quando credi di vivere nelmondo d’inferno pensi che la risalita sia impossibile... un istante dopo ti accorgi diavere una scala mobile davanti al naso! La cena è un susseguirsi di risate, forchetteche volano e bicchieri che si rovesciano. Due bimbi ti parlano contemporaneamentee tu sei sfinita, ma non puoi fare a meno di ridere, divertita per una situazione che hadell’assurdo. Ebbene, BENVENUTI A BRĂILA! F. S.
Cos’é Willow’s Ville?La casa dei nani. Il frutto perverso di un tagliaboschi sbronzo.La fontana di Gardaland. Tutte casette di legno alte quasi due metri e mezzo.La veranda degli sposini in luna di miele. Domani il marito va a lamentarsi con ladirezione perché manca la sedia a dondolo e perché una cuccuredda ha rotto le palletutta la notte!Moquette in pelle d’orso... sintetica... arancione.Due lettini con copertina in pandant con il pavimento di moquette di pelle d’orso...sintetica... arancione.Guardiano notturno che attraversa furtivo il piazzale davanti. Porta una giacca rossaper non confondersi con la vegetazione, composta da alberi collocati in vasi da fiori.Due bicchieri.Due sgabelli.Due sedie.Porticina con vetrata in plexiglass.Bottiglia di ţuică.I vicini vengono a brindare con noi. Portano altri due bicchieri e due sgabelli.159 lei a notte.La notte comincia a WILLOW’S VILLE! A. F. e F. S.
Delirio a Willow’s VilleSembra pongo, senti che odore strano. Pronta... per la buonanotte, prugne.Ti sbatterei giù sulla lamiera, oggi l’hai già fatto.Bambine basta!Sembra mongola.Io chiamerei la guardiana, ma c’è la guardiana?Io verserei un po’ di grappa .Noroc. Noroc. Noroc. Noroc.Buone le prugne!E fu così che si sbronzarano tutte.Perche ridete?Sta scrivendo una sceneggiatura... siete teatrali!Perché Franzo oggi ridevi?Non ricordo bene, aspetta… credo il mio piede, o forse il piede di Rita. Lo sguardo diFra, quello di Rita, sì ricordo bene, ho riso forte. A. F.
Crossing RomaniaLe macchine squadratela Daciai cani randagii covoni di fienoil cavallo e il carretto ai bordi delle stradela puzza di fogna che sorprendele case degli zingari ma soprattutto i loro tetti argentatiil paradosso contrastanteil traffico, anche se non troppocampagna e città che si intrecciano restituendoci un unico paese in evoluzioneBrăila e l’arrivo, desolante, in battellocampi, campi, campi… palazzi, palazzi, palazziarchitetture sovietiche che si susseguonoin un flusso interminabile di vetri, finestre e balconile strade dalle corsie ambigue: ma io, da che parte sto?!Muzumesk ripetuto orgogliosamente all’infinitolo specchio con le pubblicità digitali a intermittenzanel bagno del ristorante di Cluj-NapocaLeu\lei\ron\banii piatti di carnele verdure surgelate su ogni piatto o pizza: mais, quadratini di carota, pisellisbiaditi e fagiolinii paesaggi che richiamano l’Italia, dalla Val d’Aosta alla Toscanail silenzio durante l’attraversamento dei Carpazii villaggi anni ’40 della Moldaviai bungalow per due persone in finto legno, poco chic e inospitalile troppe zanzare della prima notte a Bucaresti marciapiedi inesistenti e i camminatori solitari ai bordi delle stradel’assenza di una reale, stupefacente, distante, diversitàuna lingua a tratti comprensibile, amicaFede, Franzo, Joy, Francesca e GiuliaIrene ed Ioil mare agrodolce di Tulceail ricordo di un paese ancora tutto da scoprire e da vivereCrossing Romania. R. M.
Sentimental go backLa pigra alba mi coglieva sonnacchioso, a Cadice, porto andaluso. Era l’estate 2006,vagavo nella città spoglia alla ricerca di una prima colazione; la nottata era stata alle-gra, avrei dormito di gusto, col dolce torpore di una brioche sul palato e nel sangue.Il marciapiede era stretto, passò una ragazza. Piangeva. Assomigliava a Ornella Muti.Le porsi un fazzoletto di carta, si prese il mio abbraccio. Intenerito e stonato, le chiesiil perché di tutte quelle lacrime. Mi raccontò della sua estate precedente trascorsa suquelle spiagge e dell’emozione che stava provando, un anno dopo, ripercorrendo queiluoghi. Aveva passato l’intera nottata da sola, sul lungo mare, piangendo. Mi colpìmolto il suo racconto, sino quasi a ferirmi. Mi sopraggiunsero ricordi, riconobbi i mieiocchi riflessi sulle sue lacrime. Eravamo affetti dalla medesima sindrome: innamorarsidei posti, confondere luoghi, persone e ricordi, catturare gli attimi e conservarli sullapunta del cuore, cercando di non farli scivolare troppo dentro, per non annegarli nelsangue, per legittima autodifesa, talvolta vana.Non sono guarito. Torno ancora in Romania, due settimane dopo il viaggio coi Tu-risti Non a Caso. Non ripercorro gli stessi posti, ma la sensazione di famigliarità eaffetto immediatamente mi fa camminare con piglio più sicuro. Mi sembra tuttoestremamente sentimentale: i sapori, gli odori, i rumori, quello che vedo. Non riescoa elaborare un pensiero critico, non trovo difetti in terra romena. Confondo la realtàcon la mia realtà, la Romania con la mia Romania: cerco visioni, non fatico a trovarle.Il presente si confonde con l’eterno dentro me, poi col passato prossimo. La piccolaMatiz blu non è un Ducato, ma vedo Joy e Franzo ogni volta che i miei amici si ado-perano per sistemare ad arte le valige nel bagagliaio, o quando scandiscono tabelle eorari di marcia. Vedo Giulia quando attraversiamo i piccoli villaggi di montagna, eRita e Irene negli scatti delle macchine fotografiche. Poi ci sediamo a tavola, ascoltoFrancesca nella lettura e traduzione istantanea del menù, o nei momenti di shoppingcompulsivo di bottiglie di plastica.Vivo le mie dimensioni parallele e schizzate, mi sembra di governare il tempo, divolteggiare a piacimento dentro uno spazio sterminato. Chiedo alla Romania di por-tarmi via, maledico la Romania perché non vuole farmi guarire, perché mi spinge atrascurarmi, a cronicizzare la mia dolce malattia. Vorrei prendermi più cura di me,tenere lontane le nuvole dal capo, guardare le cose con precisione e dettaglio, porreun freno a certi viaggi fuori tracciato, ma poi smetto di provarci: in Romania è cosìbello divagare, perdersi per poi ritrovarsi, talvolta sospirare. O anche piangere: comeOrnella Muti, quella mattina, sul marciapiede di Cadice. F. Z.
Fotografie realizzate da: Luigi Storto, Leonardo Farina, Alessando & Barbara, Archivio TNC.È possibile rivivere i viaggi, attraverso diari, fotografie e video, sul blog di Turisti Non a Caso: http://italia-romania2010.blogspot.com
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