Turismo e ricerca antropologicaCipollari C., 2005a, Il turismo rurale a Botiza (Romania). Costruzioni della località e interazioni nell’incontroturistico, tesi di dottorato discussa il 7 giugno 2005 – tutor Cristina Papa – Dottorato di ricerca in «Metodologiedella ricerca etnoantropologica» (XV ciclo), Università degli Studi di Siena, [sede amministrativa], Universitàdegli Studi di Cagliari – Università degli Studi di Perugia [sedi consorziate].Id., 2005b, «Rural Tourism in Botiza (Romania): Interactions in the tourism encounter», in D. Picard e M.Robinson (a cura di), Tourism and Performance: Scripts, Stages and Stories, Conference Proceedings, Centre forTourism and Cultural Change, Sheffield, Sheffield Hallam University, (CD Rom).Id., 2007, «Botiza, Romania: un paesaggio per i turisti», in La Ricerca Folklorica, 56, pp. 97-10.Id. (a cura di), 2008, Scenari turistici, Roma, CISU.Id., 2008, «Il “passato” da esibire, vedere e portare a casa. Il caso del turismo rurale in Maramureş (Romania)»,in L. Faldini (a cura di), Saperi antropologici, media e società civile nell’Italia contemporanea.Crick M.,1995, «The anthropologists as tourist: an identity in question», in M.-F. Lanfant, J. B. Allcock e E.M. Bruner (a cura di), International Tourism. Identity and Change, London, SAGE Publications, pp. 205-223.Lanfant M.-F., Graburn N., 1992, “International Tourism Reconsidered: The Principle of the Alternative”,in Smith V.L., Eadington W.R. (a cura di), Tourism Alternatives. Potentials and Problems in the Development ofTourism, Chichester, John Wiley & Sons, p. 88-112.Leed E.J.,1992, La mente del viaggiatore. Dall’Odissea al turismo globale, Bologna, Il Mulino.Gellner E., 1979, Spectacles and Predicaments: Essays in social theory, Cambridge, Cambridge University Press.Gmelch S.B. (a cura di), 2004, Tourists and Tourism. A Reader, Long Grove, Waveland Press.The University of Pennsylvania Press, (I ediz.) (1978), Hosts and Guests. The Anthropology of Tourism, Oxford,MacCannell D., 2005 [1976], Il turista. Una nuova teoria della classe agiata, Torino, UTET [ed. or. 1976, TheTourist. A new Theory of the Leisure Class, New York, Shocken Books].Nogués-Pedregal A. M., 2008, «Tre momenti epistemologici nella relazione fra antropologia e turismo», inScenari turistici, Roma, CISU, pp. 91-106.Robertson R., 1992, Globalisation: Social Theory and Global Culture, London, Sage.Selwin T.,1996, «Postlude», in J. Boissevain (a cura di), Coping with Tourists: European Reactions to MassTourism, Oxford, Berghahn Books, pp. 247-254.Id., 2007, «The Political Economy of Enchantment, Formations in the Anthropology of Tourism», in SuomenAnthropology: Journal of the Finnish Anthropological Society, 32:2, pp. 48-70.Simonicca A.,1994, Per una lettura antropologica del turismo, in Ossimori, vol. 5, pp. 13-37.Id., 1997, Antropologia del turismo. Strategie di ricerca e contesti etnografici, Roma, NIS.Id., 2004, Turismo e società complesse. Saggi antropologici, Roma, Meltemi.Id., 2007, «Turismo fra discorso, narrativa e potere», in La Ricerca Folklorica, 56, pp. 7-31.Smith V. (a cura di), 1989, Hosts and Guests. The Anthropology of Tourism, Philadelphia, The University ofPennsylvania Press, (I ediz.),1978, Hosts and Guests. The Anthropology of Tourism, Oxford, Blackwell.Urry J.,1995, Lo sguardo del turista. Il tempo libero e il viaggio nelle società contemporanee, Roma, SEAM.Waldren J., 2006, Insiders and Outsiders. Paradise and Reality in Mallorca, New York, Berghahn Books. 51
Viaggi dialogici tra Italia e RomaniaLa Romania però negli ultimi tempi, anche in Italia, è diventata famosa oppure passata allaribalta per una serie di problematiche di natura sociale all’inizio del duemila, soprattuttoper la questione delle adozioni. Bambini rumeni abbandonati all’epoca di Ceausescu ocomunque subito dopo la rivoluzione sono stati dati in adozione – si stima circa 35.000 –un flusso di bambini rumeni adottati in giro per il mondo di cui 3.000 in Italia.Accanto al fenomeno dei bambini abbandonati vi è anche l’altro testuale fenomeno deibambini in situazione di difficoltà, sia perché malati; qui, per esempio, l’infezione dell’HIV in età infantile è stata molto alta, perché ai tempi di Ceausescu e subito dopo, letrasfusioni di sangue non venivano controllate e quindi sia le madri che i feti si sonofacilmente ammalati. Ci sono migliaia e migliaia di persone ormai in età quasi adulta chesoffrono di questo problema. 52
La storia di Claudia La storia di Claudia «Ragazzi di strada» in Romania; voci di resistenza in contesti violenti di Cristina BezziDopo la caduta del regime di Ceausescu (1989), la Romania divenne un paesetristemente noto per le condizioni in cui viveva un gran numero di minori sia negliistituti di stato – i cosiddetti «orfani di stato» – sia sulle strade della capitale Bucarest– conosciuti come i «bambini delle fogne», in quanto molti di loro si rifugiano neicanali sotterranei della città dove passano le tubature dell’acqua calda –.Le condizioni di vita impressionanti in cui questi minori vivevano sono diventatefamose anche tramite la diffusione di immagini scioccanti pubblicate dai mass mediadi tutto il mondo.A partire dal 1989 il paese apriva le porte alla democrazia e al libero mercato eprobabilmente era nella speranza di tutti che le ristrettezze subite, in particolare apartire dagli anni ‘80, sarebbero finite. A più di venti anni dal dicembre 1989 laRomania risulta essere un paese profondamente trasformato che attraverso un processodi riforme importanti è diventato, nel gennaio 2007, un paese membro dell’UnioneEuropea. Questo esito è generalmente riconosciuto come molto positivo per il paese,però non si deve dimenticare che gran parte della popolazione ha dovuto pagare unalto prezzo per questa trasformazione sociale e politica.Se negli anni Novanta la Romania era conosciuta come la patria dei bambiniabbandonati, a partire dal 2002, con l’allargamento del paese allo spazio Schengen,si è assistito ad un fenomeno di migrazione di massa che ha portato negli altri paesiEuropei un grande flusso di manodopera ma anche una serie di problemi sociali tracui quello legato ai cosiddetti «minori stranieri non accompagnati 1». Per l’ennesimavolta i minori rumeni ritornano quindi al centro dell’attenzione, destando in questocaso la preoccupazione di numerosi stati, inclusa l’Italia, per la loro presenza sulterritorio nazionale. Preoccupazione giustificata anche dall’aggravio economico perle amministrazioni pubbliche che si sono trovate ad affrontare i costi della presa incarico di questi minori. 53
Viaggi dialogici tra Italia e RomaniaNegli ultimi anni il popolo rumeno è stato messo sotto i riflettori e posto sotto accusaper situazioni ed eventi che, sebbene non possano essere rappresentativi della totalitàdi un gruppo di persone, hanno contribuito a creare una percezione negativa nei loroconfronti.Le immagini di minori che puliscono i parabrezza ai semafori, che chiedono la carità,commettono piccoli furti o sono perfino coinvolti nella prostituzione minorile; ildibattito sui «disagi» provocati dagli accampamenti dei rom rumeni e i numerosi fattidi cronaca nera, hanno contribuito a creare un vero e proprio stigma nei confronti diquesto popolo.Il fatto che numerosi rumeni svolgono, in diversi paesi europei, attività nonqualificate e spesso a basso costo o pagate in nero è passato inosservato così come,almeno in Italia, esiste poca consapevolezza dei contesti di origine di queste persone.Allo stesso modo si riflette poco sulle conseguenze che questo esodo ha determinatonelle famiglie di origine dei migranti che se da una parte hanno potuto beneficiarein termini economici delle rimesse provenienti dall’estero, dall’altra hanno dovutofronteggiare le conseguenze relative all’assenza di uno o più membri della famiglia.Solo recentemente, per esempio, si è iniziato a dedicare attenzione ai cosiddetti «orfanibianchi» (Bezzi, 2010), ossia quei bambini che vivono in Romania senza le cure diuno o entrambi i genitori in quanto migrati all’estero.In questo articolo attraverso la presentazione di alcuni materiali della mia tesi di laurea edi dottorato cercherò di fare luce almeno in parte sul contesto di provenienza di questepersone.Le mie ricerche iniziate in Romania nel 1999 e proseguite fino al dicembre 2006riguardanti le categorie dei «ragazzi di strada» a Bucarest e dei «minori rumeni nonaccompagnati» a Roma, hanno toccato dei contesti particolarmente degradati e nonhanno quindi la pretesa di descrivere lo scenario dell’intero paese ma piuttosto di fareluce su questi fenomeni.Sebbene i minori migrati verso Bucarest negli anni ‘90 e quelli migrati verso l’esteroa partire dal 2002 non siano gli stessi e sebbene le condizioni di vita a Bucarest sianomolto diverse da quelle delle capitali europee, alcuni elementi accomunano questibambini e ragazzi.In primo luogo condividono l’«indipendenza» dal mondo degli adulti e la provenienzada un contesto di marginalità sociale e di violenza strutturale e in secondo luogo, la sceltadella migrazione e spesso della strada come strategia di emancipazione. Nonostantequesti minori vengano frequentemente rappresentati e percepiti come totalmenteseparati dal mondo degli adulti, la maggioranza di loro, anche coloro che provengonodagli istituti di stato, hanno dei contatti con i loro genitori, per quanto sporadici. 54
La storia di ClaudiaPer giustificare e comprendere le ragioni di questa piaga sociale si sono spessodemonizzati l’eredità del regime comunista e l’atteggiamento degli adulti cheabbandonano, vendono e abusano dei loro bambini. Ma quanto di questa immagineè stata socialmente costruita?Sicuramente le politiche pro-nataliste e il divieto di abortire (1966) imposti dalregime, hanno determinato un importante incremento delle nascite e un conseguenteaumento del numero di bambini abbandonati a se stessi o negli orfanotrofi di stato icui effetti sono diventati visibili solo a partire dal 1989.Uno studio condotto da Unicef (1997) dimostra però che dopo il 1989, nonostantela liberalizzazione dell’aborto e la diminuzione del tasso di nascite, il numero deibambini abbandonati negli istituti anziché diminuire è aumentato.È necessario considerare che la situazione economica e sociale del paese nei primianni della transizione peggiorò e le politiche attuate ebbero effetti negativi per lamaggioranza della popolazione. Le industrie di stato iniziarono a chiudere rapidamente,la disoccupazione a crescere e i sussidi di stato in beni primari, che avevano garantitoun minimo di sussistenza alle famiglie, furono congelati. Contemporaneamentediventò molto difficile ottenere dei sussidi sociali che divennero comunque moltoesigui anche a causa dell’inflazione molto elevata. A questo si devono aggiungere lepressioni esercitate sul governo romeno da parte delle agenzie internazionali – WBe IMF – per apportare allo stato sociale quelle riforme ritenute necessarie per esserecompetitivi sul mercato globale. La stessa Commissione Europea per l’allargamentoche hanno spinto la Romania ad attuare delle riforme, a volte premature2, nell’ambitodella protezione dell’infanzia per risolvere il problema dei bambini istituzionalizzatie «abbandonati». È importante quindi analizzare il fenomeno dei bambini di strada edei minori stranieri non accompagnati senza separarlo dal più ampio contesto politicosociale ed economico in cui sono inseriti.Nella prima parte di questo scritto affronterò alcune questioni metodologiche relativeall’etnografia condotta in contesti di marginalità sociale mentre nella seconda partedarò spazio alla voce narrante di Claudia 3, la mia principale informatrice di cui hoseguito il percorso di vita dal 1999, quando si era appena allontanata dalla strada,fino al 2006.Attraverso le sue parole e la sua storia di vita tenterò di portare il lettore all’internodel contesto di violenza strutturale da cui provengono numerosi bambini e ragazzi distrada mettendo in luce allo stesso tempo come questi ragazzi non vadano consideratisolo come delle vittime e tanto meno come dei soggetti devianti ma come personeche mettono in atto strategie di sopravvivenza e forme di resistenza sociale contro unsistema che li esclude e cerca di togliere loro voce. 55
Viaggi dialogici tra Italia e RomaniaMarginalità sociale e «seduzione etnografica»L’etnografia è una scienza di frontiera, nata su una frontiera (Fabietti, 1999). Tutticoloro che in qualche modo siano entrati in contatto con la marginalità sociale,come ricercatori, come operatori sociali o quanto altro, questa frontiera l’abbianoben presente. Non si tratta di una frontiera fisica, spaziale, ma della sensazione divivere la frontiera, un limite sottile che separa l’io dall’altro. La volontà di conoscere edescrivere l’altro a volte spinge fino al punto di correre il rischio di non sapere più chisia l’io e chi sia l’altro, fino al punto di confondere l’io e lasciarlo sospeso in uno spazioin cui non è più possibile descrivere l’altro perché il punto di vista è troppo offuscato.Per questo motivo, saper mantenere la giusta distanza dai soggetti con cui si conduceetnografia è indispensabile perché diventare troppo empatici sarebbe controproducente.Questo discorso è più in generale valido per quanto riguarda la tecnica etnograficadell’osservazione partecipante. Come nota Fabietti (1999) di per sé l’osservazionepartecipante esprime un paradosso, ossia quello di osservare e prendere la distanzadall’osservato ma nello stesso tempo partecipare e quindi farsi coinvolgere dalla suavita fino a cogliere il punto di vista del nativo. L’identificazione con il nativo e il suopunto di vista non potrebbe infatti produrre conoscenza antropologica. Affinché vi sia conoscenza antropologica occorre che vi sia differenza; ma anche che, nel tentativo di cogliere il punto di vista del nativo, non si deve prendere quello che Malinowski chiama la sua visione del mondo come il punto di arrivo della conoscenza antropologica. Ciò vorrebbe infatti dire appiattirsi sulle interpretazioni che i nativi danno della loro visione del mondo. (p. 60)Per condurre una buona etnografia è necessario stabilire dei buoni rapporti con gliinterlocutori cioè stringere dei rapporti di fiducia, perché solo in base a questi ilricercatore riuscirà ad ottenere o meno delle buone informazioni (Licausi cit. in TosiCambini, 2000: p. 40). Stringere dei buoni rapporti non significa però partecipareemotivamente o attivamente a tutte le attività dei propri informatori.La mia difficoltà maggiore durante la ricerca è stata forse quella di stringere rapportidi fiducia con alcuni di questi ragazzi, per riuscire a cogliere almeno in parte il loropunto di vista. Non ho però partecipato attivamente a tutte le attività del gruppo, aBucarest non ho mai fatto uso di aurolac4 o di eroina né ho rubato o mi sono fermatasulla strada a dormire.Durante l’ etnografia in un degradato quartiere portoricano di New York, Burgois(2005 [1996]) si immerge invece completamente nella realtà degli spacciatori di cracke delle loro famiglie, trasferendosi con la moglie e il figlio piccolo per quattro anniall’interno del quartiere. 56
La storia di ClaudiaSebbene non avesse partecipato direttamente all’attività dello spaccio il suocoinvolgimento era stato molto intenso e solo dopo avere instaurato un rapportodi lunga durata con gli spacciatori era riuscito a porre loro domande provocatorie oinopportune aspettandosi da questi una risposta veritiera. [...] come potremmo pretendere che un individuo specializzato nel rapinare anziani ci fornisca informazioni dettagliate circa le sue strategie di produzione di reddito? [...] per raccogliere dati attendibili gli etnografi violano i canoni positivisti della ricerca: viviamo un intimo coinvolgimento con le persone che studiamo (p. 41).L’esperienza etnografica di Bourgois sicuramente rappresenta un modello esemplarema non sarebbe stata riproducibile nel mio caso e non solo per una questione ditempi. All’interno di quella che Bourgois chiama la «cultura della strada» 5, terminee concetto che adotto ed applico anche al contesto della mia etnografia a Bucarest eRoma, anche la questione di genere ha la sua rilevanza e in quanto donna non erastato semplice essere riconosciuta e rispettata.Anche l’antropologa Tosi Cambini (2000) nella sua ricerca condotta con i senza tettoa Firenze pone la questione dell’immersione totale nel campo come indispensabileal raggiungimento di risultati soddisfacenti, problematizzando la questione in modoarticolato e soprattutto proponendo diversi gradi di immersione nel campo, praticabiliquindi non più solo dagli antropologi più «radicali» o «maschi». Cosa avviene però sempre con l’obiettivo di raggiungere scopi conoscitivi su un mondo “altro” e non perseguendo obbligatoriamente un’ antropologia dialogica- si comprende che per capire bisogna immergersi, poiché è il campo stesso a richiedere un grado di coinvolgimento più ampio, per cui questa “parolaccia” che è l’empatia diviene insieme risultato (di un rapporto) e condizione necessaria (ma non scientificamente sufficiente) affinché tratti salienti del vivere vengano a galla? In altre parole ci si accorge, come Leonardo Piasere fa notare per i roma, che ci possono essere dei casi dove non è possibile svolgere la ricerca etnografica “da manuale” (p. 41).Tosi Cambini sottolinea l’importanza dell’esserci e del condividere anche attraversoil corpo lo stesso spazio, in quanto il ricercatore per poter comprendere deve porsialla minor distanza possibile. Quest’antropologa segue quindi un gruppo di senzafissa dimora passando con loro un periodo prolungato di tempo presso la stazione deitreni di Firenze dormendo anche alcune notti con loro all’aperto presso la stazione efamiliarizzando con alcuni in particolare.Un’altra ricerca interessante condotta questa volta con un gruppo di senza fissa dimoraa Roma è quella di Bonadonna (2001), che ribadisce in questi termini la necessità diporre una distanza tra sé e l’oggetto osservato: 57
Viaggi dialogici tra Italia e Romania la telecamera serve come filtro delle emozioni, come diaframma interposto tra il ricercatore e l’evento, come modo per distanziarsi, attraverso il mirino, dall’oggetto osservato al fine di non lasciarsi coinvolgere eccessivamente. Il timore di una identificazione emotiva destrutturante con quanto andavo osservando è stato ricorrente durante i mesi della ricerca. La telecamera è stata un ancora di salvezza (p. 59).In queste parole Bonadonna esprime una delle paure che io stessa ho provato durantealcune fasi della ricerca ed allo stesso tempo mette in luce, anche se in termini unpo’ esasperati, un nodo problematico per chi conduce ricerca o lavora in contestimarginali.Seguire dei minori che per loro natura sono in movimento, che per vivere spessocompiono attività considerate illegali, che non facilmente danno confidenza a degliestranei, che percorrono i non luoghi delle capitali europee, non è cosa semplice. Nonè cosa semplice nemmeno trovare una metodologia per seguire delle probabili piste,né essere una donna sola senza un ruolo riconosciuto che percorre la frontiera dellastrada e della marginalità. Durante la ricerca ho dovuto muovermi con diverse strategiee in diverse direzioni, a volte ho cercato di proteggermi cercando collaborazioni conONG, istituzioni, e mediatori, altre volte invece ho percorso questo cammino dasola. Per esempio durante il periodo trascorso a Calarsi a casa di Claudia ho corso ilrischio di perdere l’equilibro e quella giusta distanza della quale avevo bisogno percontinuare ad osservare. In quel periodo una delle strategie che avevo adottato eraquella di passare 4-5 giorni della settimana a Calaraşi e 2-3 a Bucarest dove mi recavoa scrivere nella mia camera in affitto.La mia scelta di vivere in uno spazio minimo con Caludia e la sua famiglia, in unquartiere degradato, anziché trovare una sistemazione singola in un altro quartieredella città, era stata pensata e voluta. Infatti solo lo stretto contatto con la quotidianitàdella vita di Claudia mi avrebbe permesso di entrare in quel contesto e di esperirlonon solo attraverso sporadici incontri o interviste registrate ma attraverso la miapresenza e la condivisione della vita con loro. Questa confidenza che si crea con gliinformatori, a volte diventa però difficile da gestire tanto che in certi momenti la miavita ha rischiato di confondersi con la durezza e i problemi delle vite delle persone concui stavo conducendo la ricerca.In una ricerca condotta sulla memoria dei crimini della giunta militare in Argentina,Rooben parla a questo proposito di seduzione etnografica; con questo termine l’autoredescrive il tentativo dei suoi informatori, di fargli condividere il loro punto di vista: quando il ricercatore è sopraffatto dall’emozione e sente di non poter fare nessun altra domanda, perché non c’è nient’ altro da chiedere di fronte all’enormità della tragedia, allora 58
La storia di Claudia rischia di non essere più ricercatore. “In questi momenti di completo collasso della distanza critica tra i due interlocutori perdiamo ogni dimensione dell’impresa scientifica”. (Dei, 2005: p.59)Robben richiama come «armi» che possono difendere il ricercatore: la lucidità,l’obiettività e lo scetticismo.Violenza strutturale e limiti del decostruzionismoIn alcuni miei scritti precedenti (Bezzi, 2004 e 2007), in seguito ai primi periodi diricerca a Bucarest mi ero concentrata in modo particolare sulla critica decostruttivadella categoria dei «bambini di strada». Nel 2006 durante il dottorato di ricerca avevoiniziato ad occuparmi anche della categoria dei «minori stranieri non accompagnati»,occupandomi dei giovani rumeni che vivevano sulle strade di Roma dimostrandocome anche in quel caso la categoria fosse costruita socialmente e quindi essa stessa de-costruibile. La ricerca è poi continuata a Calaraşi, una cittadina del sud della Romaniada cui provengono un gran numero di minori stranieri non accompagnati e non acaso anche molti bambini che nei primi anni Novanta migravano verso Bucarest tracui anche la mia principale informatrice, Claudia.Il seppur breve soggiorno a Calaraşi, a stretto contatto con la famiglia di Claudia ealcune altre famiglie dei quartieri degradati della cittadina mi avevano permesso divivere in un contesto tipo dal quale i minori di cui mi ero occupata se ne andavano.La realtà di povertà economica, sociale, culturale mi aveva profondamente toccataa livello umano e mi aveva sollecitato a rileggere il significato dei dati raccoltiprecedentemente facendo luce anche su alcuni nodi contraddittori della mia ricerca. La politica decostruzionista in genere rimane confinata in discorsi accademici ermeticamente chiusi intorno alla “poetica” dell’interazione sociale o a cliché sull’esplorazione del rapporto tra il sé e l’“altro”. Sebbene gli etnografi postmoderni rivendichino spesso un carattere sovversivo, la loro contestazione dell’autorità si incentra su una critica intellettualistica delle forme che ricorre a vocabolari evocativi, sintassi ludiche e polifonie di voci, anziché fondarsi su un coinvolgimento reale nelle lotte quotidiane. [...] soprattutto il decostruzionismo radicale impedisce di definire e valutare le esperienze di ingiustizia ed oppressione. Questo si traduce in una subdola negazione delle reali esperienze soggettive di dolore e sofferenza socialmente e strutturalmente imposte lungo le coordinate di classe, genere, sessualità (Bourgois, 2005 [1996]: p. 42) 59
Viaggi dialogici tra Italia e Romania ...e aggiungo io, di età.È stato solo vivendo a Calaraşi attraverso l’esperienza di vita all’interno di uno deiquartieri marginali che è venuto chiaramente alla luce il sistema oppressivo di violenzastrutturale che sta stringendo nella morsa della povertà un gran numero di personeed è alla luce di tale violenza che il fenomeno dei «bambini di strada» e dei «minoristranieri non accompagnati» vanno letti. Il concetto di violenza strutturale è statoutilizzato la prima volta dal sociologo norvegese Johan Galtung (1969), ed un semprecrescente numero di antropologi ha iniziato a dedicarvi attenzione, (Das, 2000; Dei,2005; Farmer, 2006; AA.VV., 2006; Sheper-Huges and Bourgois, 2004). Tra questisicuramente una voce centrale è quella dell’antropologo medico Farmer (2006: p. 22)che così definisce la violenza strutturale: [...] una violenza esercitata in modo sistematico- ovvero in modo indiretto- da chiunque appartenga a un certo ordine sociale: da cui deriva il disagio che queste idee provocano in un’economia morale ancora legata all’attribuzione degli encomi o delle colpe ad attori individuali. In breve il concetto di violenza strutturale mira a informare lo studio dei meccanismi sociali dell’oppressione. L’oppressione è il risultato di molte condizioni, non ultime quelle consapevoli. [...] molti hanno celebrato varie forme di resistenza nei confronti di ordini sociali dominanti e dei loro sostegni, simbolici o materiali. Al di là di ogni romanticismo, l’impatto della povertà estrema e della marginalizzazione sociale è assai profondo in molti dei contesti in cui generalmente gli antropologi lavorano. Questi ambiti, non includono solamente le baraccopoli del terzo mondo (o come le si chiama oggi) ma anche, spesso, le città degli Stati Uniti...e aggiungo io, dell’Europa.Vivere in un quartiere dove non ci sono le canalizzazioni, dove senti il rumore deisacchi di immondizia che vengono gettati direttamente dalle finestre e creano untanfo soffocante, dove condividi la scala del bloc 6 con un magnaccia che gestisce laprostituzione, mi ha insegnato che in quanto donna, dovevo avere paura di tornarea casa dopo l’imbrunire, ma sopratutto mi ha insegnato ad avere stima di chi riesce anon lasciarsi avvolgere dall’odore e dai colori del degrado e a mantenere comunqueuna dignità e dei sentimenti positivi.È stato solo vivendo con Claudia e le altre quattro persone della sua famiglia in unappartamento di non più di 30 metri quadrati che ho imparato che cosa significa nonavere spazio, moltiplicare i pani e i pesci, andare dalla vicina a chiedere del pane perchénon c’è nulla da mangiare, così come ad andare a dormire vestita e con il berretto dilana in testa perché il gas della cucina è l’unico modo gratuito7 di riscaldarsi e non cisi può addormentare lasciandolo acceso. 60
La storia di ClaudiaMa ancora di più è stato soltanto quando il figlio di Claudia è stato investito, ironiadella sorte, sulle strisce pedonali da una macchina della polizia mentre tornava dascuola, ed è entrato in coma che il mio equilibrio è totalmente saltato. La polizia nonsi era nemmeno preoccupata di accompagnare Claudia da Calaraşi a Bucarest, checosì aveva potuto raggiungere il figlio solo il giorno dopo, né di sostenerla con unminimo aiuto economico. Claudia si era allora trasferita con me nella mia camera aBucarest ed assieme andavamo avanti e indietro dall’ospedale.È stato soltanto il vivere questa esperienza fianco a fianco con Claudia, all’internodi un ospedale di Bucarest, che mi ha portata a comprendere come funzionasse quelmeccanismo di oppressione e ingiustizia e che mi ha costretta ad abbassare la testae a passare io stessa la spaga, cioè la bustarella, al dottore per fare in modo che sioccupasse di suo figlio.All’interno di quell’ospedale ho raccolto la frustrazione e la sofferenza delle esperienzeumane di una massa di persone di «quarta classe» che, sebbene già costrette allasofferenza fisica e al dolore per i propri cari, dovevano anche adeguarsi a lasciarel’intero stipendio nelle mani di chi, solo, le poteva guarire. La violenza strutturale è strutturata e strutturante. Essa limita la capacità d’azione delle sue vittime. Stringe un cappio intorno ai loro colli, e tale strangolamento determina le modalità in cui le risorse- cibo, medicine, ma anche affetti- sono allocate e vissute Farmer (2006: p. 39).Attraverso quel luogo e i racconti delle persone in ospedale mi era stato possibilecomprendere meglio le storie di Alina, Catalin, Claudia, gli altri ragazzi di strada diBucarest così come dei minori romeni che avevo incontrato a Roma.Nel 2001, durante una delle mie visite ai ragazzi del cantier8, avevo con me un piccololibro la cui copertina riportava una foto in bianco e nero di un bambino che stavauscendo da un tombino. Il libro, intitolato Copii straziii, era una ricerca sui «bambinidi strada» condotta da una sociologa rumena ed appositamente avevo voluto tenerlofuori dalla borsa per vedere se qualcuno mi avrebbe domandato qualcosa. Alina avevapreso il libro tra le mani e aveva fatto scorrere velocemente le pagine speranzosa ditrovarvi qualche sua foto, poi avendo visto che erano solo pagine scritte mi avevabruscamente rimesso il libro in mano chiedendomi con un tono altrettanto scortese:«beh, e che cosa scrive questa di noi?». Le spiegai che la sociologa aveva fattoun’indagine su un certo numero di bambini che vivevano in strada e aveva constatoche la maggioranza di loro proveniva o dagli istituti o da famiglie povere e disgregate.Alina mi aveva guardato con un’aria perplessa, quasi lei non avesse mai riflettutoprima sul fatto che le ragioni della sua vita di strada fossero legate anche allo statusdella sua famiglia. 61
Viaggi dialogici tra Italia e RomaniaIn seguito, come se qualcuno l’avesse svegliata, aveva iniziato a raccontarmi dellasua famiglia, di come la madre fosse morta e il padre non lavorasse e avesse moltiproblemi con l’alcool e di come ogni volta che lei tornava a casa finiva sempre perubriacasi con il padre. Alina in strada si distruggeva con l’aurolac e poi con l’eroina,ma il suo corpo era troppo fragile e magro per sopportare tutto ciò, assieme allebotte del suo ragazzo Catalin e ad una gravidanza in corso. Alina mi aveva parlatouna sola volta di quando in strada l’avevano rapita e per un lungo periodo l’avevanoimprigionata in una camera obbligandola a prostituirsi. Si vergognava molto di quellaesperienza, Alina si sentiva in colpa di tutto.Rispetto alla consapevolezza che avevo trovato tra i bambini di strada in Brasile,sicuramente dovuta anche all’opera di coscientizzazione politica e pedagogica portataavanti da numerosi seguaci della teologia della liberazione9, tra i bambini e i ragazzidi strada in Romania mi sembrava ci fosse meno consapevolezza che le cause delloro vivere in strada non erano semplicemente il risultato delle loro scelte e di eventifortuiti realizzatisi nella loro vita ma avessero le radici nelle ingiustizie di processieconomici e sociali più ampi. Ed è proprio la non consapevolezza che rende piùdoloroso vivere certe situazioni, perché spesso la vittima finisce per incolpare se stessaanziché il sistema. La faccia di Alina che si stupisce per quello che c’è scritto nellibro, mette in luce come per lei quegli atti quotidiani di violenza strutturale sianosemplicemente la normalità.Alina, se così si può dire rappresenta l’anello fragile della catena, cioè è la persona chesubisce sia la violenza strutturale dettata dalla macroeconomia della situazione delpaese, ma allo stesso modo la violenza da parte del genere maschile in strada.Ed è proprio davanti allo sguardo di Alina che non capisce che non posso fare cheabbracciare la riflessione che Bourdieu fa in La misere du monde, relativamente alruolo della ricerca socio-antropologica nei confronti della sofferenza sociale: Sottoporre a scrutinio i meccanismi che rendono la vita dolorosa, addirittura insostenibile, non significa neutralizzarli; far emergere le contraddizioni, non significa risolverle. Ma per quanto scettici si possa essere circa l’efficacia sociale del messaggio sociologico, non possiamo sminuire l’effetto che esso può avere nel permettere a coloro che soffrono di scoprire le possibili cause sociali della loro sofferenza, e così di venire liberati dalla colpa; di fare emergere l’origine sociale, collettivamente occultata, della sofferenza sotto tutte le sue forme, comprese le più intime e le più segrete. (cit. in AA.VV., 2006: p. 13)Una delle voci più provocatorie relativamente al ruolo dell’antropologo che si trovaa testimoniare quelli che lei chiama «crimini contro l’umanità» è sicuramente quelladi Nancy Scheper-Huges 10 che ha condotto numerose ricerche in ambiti al limite 62
La storia di Claudiadell’etnograficamente osservabile così come anche lo stesso Bourgois 11 assieme alquale ha curato un’interessante raccolta di saggi e ricerche, Violence in War and Peace(Scheper-Huges and Bourgois, 2004) accostando situazioni di storici genocidi a quelledelle violenze quotidiane che si compiono attraverso azioni di esclusione sociale, edi disumanizzazione nei confronti di soggetti che vengono considerati inferiori perquestioni di genere, razza, etnia o più semplicemente di classe sociale (Dei, 2005).La Scheper-Huges (1995) esplicita che il ruolo dell’antropologia che si occupa diviolenza non può fermarsi all’empatia scientifica ma deve essere «militante». SiaScheper-Huges che Bourgois (Scheper-Huges and Bourgois, 2004) mettono inevidenza che così come l’etnografo è chiamato a testimoniare anche in mododettagliato le situazioni che osserva per quanto siano cruente e violente, con uno stileanche realista perché è suo compito riportare alla luce quella verità, allo stesso tempoperò deve stare attento a non correre il rischio di fare una pornografia della violenza.Nei paragrafi che seguono darò quindi voce a Claudia una delle ragazze di strada concui sono entrata i contatto in questi anni. La sua vita non è chiaramente rappresentativadi quella di tutti gli altri ragazzi di strada che vivono a Bucarest né tanto meno di quelliche ho personalmente conosciuto, la maggior parte dei quali si trova tutt’ora a viverein strada.La scelta di dare voce a Claudia è stata determinata non solamente dal fatto che ècolei con cui ho condiviso più tempo ed esperienze ma anche dal fatto che è unapersona molto consapevole della sua situazione e che nei suoi racconti, come nellavita, difficilmente si lascia andare a descrizioni vittimistiche o pietistiche della suasituazione, dimostrando sempre grande lucidità di analisi della realtà.La storia di ClaudiaClaudia è la persona che in tutti questi anni di ricerca ha rappresentato la mia principaleinformatrice, nonché il mio filo conduttore e simbolico punto di incontro tra ilfenomeno dei «bambini di strada» e quello dei «minori stranieri non accompagnati».Attraverso il percorso di Claudia, sarà possibile deostruire alcuni assunti spessoutilizzati dalla letteratura giornalistica e a volte anche specialistica e accademica perindicare i «bambini di strada». L’identificazione tra il bambino e il luogo in cui sitrova: la strada, tende a mostrare come la strada sia l’unico luogo vissuto dal bambino,mentre, come vedremo nella storia di Claudia, la strada è soltanto uno dei luoghivissuti. Infatti il legame famigliare, nel caso in cui i bambini abbiano una famiglia,raramente viene reciso in modo definitivo. 63
Viaggi dialogici tra Italia e RomaniaLa storia di Claudia è costituita non solo da lunghi periodi in strada ma allo stessotempo da lunghi periodi all’interno di associazioni e da altri periodi a casa dellamadre. Spesso succede che le ragazze che non riescono a badare ai proprio figli instrada li affidino periodicamente alle loro famiglie piuttosto che essere costrette amandarli nelle case de copiii 12.Ritornando alla storia di Claudia vediamo infatti come il suo sia un percorso continuodentro e fuori la strada. Claudia era andata via da Calarşi e dalla famiglia all’età diundici anni e da allora aveva vissuto in strada a Bucarest intervallando la vita distrada a momenti in cui stava nelle strutture di diverse ONG. Sia in strada che nellediverse associazioni Claudia, pur essendo una donna, aveva sempre rivestito un ruolodi leadership, quando era in strada cercando di accoppiarsi con i ragazzi più influentio menando le mani visto che il suo fisico era abbastanza imponente; all’interno delleassociazioni proponendosi invece come educatrice.Ci siamo incontrate la prima volta nel 1999 anno in cui io avevo vissuto all’internodi un appartamento sociale della ONG C., per il recupero di ragazzi di strada e dovesi trovavano Claudia e altri otto ragazzi di strada. Lei era appena uscita dalla stradae aveva iniziato il percorso con la ONG C. all’interno della quale l’avrei incontratanuovamente nel 2001, quando lavorava come peer educator 13 in un appartamentoper bambini piccoli e gestiva assieme a George, uno psicologo, un centro diurno.Questo stesso lavoro le dava la possibilità di essere «fuori» dalla strada e quindi inseritain un contesto lavorativo e sociale diverso ma allo stesso tempo «dentro» la stradain quanto con un nuovo ruolo continuava a percorrere gli stessi luoghi nei qualiaveva vissuto e a mantenere il legame con i suoi amici e con la sua famiglia di strada.Camminare su questo crinale, se da una parte permetteva a Claudia di valorizzare lasua storia, dall’altra non le dava la possibilità di uscire veramente dal mondo dellastrada, mantenedola in una situazione pericolosamente ambigua.Durante i successivi periodi di ricerca sul campo nel 2003 e nel 2005, avevo inveceperso ogni traccia sia di Claudia che degli altri membri del gruppo di strada che avevoconosciuto nell’appartamento sociale e che nel 2001 seguivo sulla strada. Durante glianni successivi non avevo più avuto nessuna notizia di loro, né diretta né attraverso glioperatori sociali che conoscevo. Soltanto nel 2004 avevo avuto informazione da unaamica italiana che lavorava in una ONG a Bucarest, che Claudia in quel momentoviveva vendendo penne nel metrò. Il centro diurno dove lavoravano Claudia e Georgeera infatti stato chiuso per motivi poco chiari. In seguito questa amica aveva offertoa Claudia un lavoro come guardiana notturna di un appartamento per ragazzedeistituzionalizzate ma Claudia il primo giorno di lavoro aveva sfondato la cassafortee rubato tutti i soldi. 64
La storia di ClaudiaA partire dal 2005 era infine tornata a vivere a Calaraşi: per un primo periodo a casadella madre e successivamente a casa dei genitori di Victor, il suo nuovo compagno.Nel 2006 infine Claudia stava vivendo con Victor in un piccolo appartamento aCalaraşi dove sono stata ospite per circa cinque mesi.L’incontro con ClaudiaHo incontrato Claudia per la prima volta nel 1999, avevano entrambe 22 anni; lei eraappena uscita dalla strada e aveva iniziato a frequentare l’appartamento sociale gestitoda George, un educatore, io invece ero arrivata a Bucarest da poco.Avevo contattato George per chiedergli alcune informazioni e per incontrarlo e lui miaveva stranamente dato appuntamento di lì a poco davanti al pronto soccorso di unospedale di Bucarest.Quando arrivai lì fui immediatamente colpita dal suo aspetto abbastanza trasandato edalla presenza di una ragazza di media statura, robusta, con i capelli cortissimi e tintidi biondo, Claudia. Lei mi aveva accennato un mezzo sorriso e per presentarsi mi avevaallungato la mano dalle lunghissime unghie smaltate di nero. Il sorriso era appenaaccennato perché stava cercando di nascondere il vuoto causato dall’assenza dei due dentiincisivi superiori, mi aveva però stretto la mano con forza e fierezza, senza vergognarsiminimamente delle cicatrici dei vecchi tagli che le ricoprivano completamente tuttoil braccio e l’avambraccio 14. Dopo essersi presentata Claudia mi aveva passato unabottiglia di coca-cola dalla quale aveva appena bevuto ma io avevo rifiutato. Più avantimi racconterà che lo aveva fatto di proposito per vedere se avessi avuto il coraggiodi bere dalla stessa bottiglia dove aveva bevuto una ragazza di strada, e poiché quelcoraggio io non lo avevo avuto le ero subito entrata in antipatia 15.Nel frattempo Claudia e George erano entrati all’ospedale per andare a visitare unaragazzina di strada ricoverata a causa di una vertebra schiacciata ed io li avevo seguiti.Per cercare di rompere il ghiaccio avevo domandato a Claudia se la ragazza era unasua amica, lei molto agitata mi aveva guardato come se avessi fatto una domandacompletamente fuori luogo e mi aveva risposto seccata: «tutti i bambini di strada sonomiei amici!».L’infermiera intanto ci aveva bloccati fuori del reparto perché non era orario di visitae nessuno di loro aveva una tessera di riconoscimento dell’associazione. George sene era andato a fumare una sigaretta. Claudia invece era rimasta lì impalata davantiall’infermiera con una borsa di plastica contenente alcune cose per la sua amicaottenendo infine il permesso di entrare per pochissimo tempo. 65
Viaggi dialogici tra Italia e RomaniaNel frattempo George era tornato ed aveva iniziato a spiegarmi come all’internodell’ospedale ci fosse molta corruzione e che spesso era necessario passare di nascostodei soldi al medico. La ragazzina era in ospedale già da una settimana ma non eraancora stata operata perché essendo una ragazza di strada nessuno pagava per lei,inoltre non aveva i documenti e se la avessero mandata via e fosse successo qualcosanessuno avrebbe potuto sapere chi fosse e che era stata ricoverata lì.Claudia intanto era uscita dalla stanza dell’amica e tra le lacrime aveva iniziato adimprecare contro l’ospedale e gli infermieri presenti: «Ci trattate così solo perchésiamo boschetari 16 !».Essere boschetari significa anche questo, significa essere emarginati e stigmatizzatidalla società e questo stigma molti di loro lo hanno fortemente interiorizzato e fattodiventare parte della loro stessa identità.In seguito a quella giornata avevo iniziato a comprendere quanto sarebbe stato difficileconquistarsi la fiducia dei «bambini e ragazzi di strada».La «carriera» di strada a Bucarest: la violenza, la famiglia di strada, le strategie di vitaNel 2001 Claudia lavorava come educatrice in un appartamento sociale e nel centrodiurno della ONG C. assieme a George. In quel periodo Claudia era relativamentetranquilla perché aveva ricongiunto a sé il figlio Marius e anche la sorella Rosica cheda poco aveva subito violenza sessuale da parte del nuovo compagno della madre.Dal punto di vista sentimentale invece stava attraversando un momento difficile equindi le avevo proposto alcune volte di partecipare ad alcune escursioni che avevoprogrammato durante l’estate assieme ad un gruppo di amici.Io stavo invece continuando la mia etnografia con un gruppo di ragazzi di strada cheviveva nella casa diroccata denominata il chantier, e contemporaneamente continuavoa frequentare Claudia e a seguirla sulla strada quando andava a trovare i suoi vecchiamici nei diversi gruppi. Alcune volte ci incontravamo dopo il lavoro o il fine settimanae facevamo lunghe camminate nei parchi di Bucarest. Durante le nostre chiacchieratechiedevo il permesso di registrare i suoi racconti che riguardavano molte volte il suopassato.Seguirà quindi il racconto di Claudia che sarà interrotto dalle mie domande e daalcune riflessioni.Cristina (C.): Mi racconti di quando sei scappata la prima volta di casa? 66
La storia di ClaudiaClaudia: Quel giorno la mamma mi aveva lasciata a casa con i miei tre fratelli, R.,M., G., lei tornava dal lavoro alle 12:00 per la pausa pranzo e poi ripartiva all’una.Quando lei tornava dal lavoro anch’io mangiavo e poi partivo con lei all’una.Quando mia mamma mi lasciava con i piccoli a casa la mattina io dovevo fare lepulizie, avere cura di loro. [...] Io ero piccola, mi annoiavo a stare a casa con i piccoli eallora uscivo e giocavo fino alle undici e lasciavo i piccoli a casa, alle undici preparavoda mangiare, rifacevo le coperte sui letti e davo da mangiare ai piccoli e li lavavo.Una volta la mamma è arrivata prima dal lavoro ed io non ero in casa, stavo fuoria giocare a calcio con altri bambini e sono arrivati mio papà e mia mamma... e ionon sono più rientrata, sono rimasta circa una mezzora ancora fuori e alla fine sonorientrata in casa. Quando sono rientrata mia mamma mi ha uccisa di botte mi haanche tolto tutti i vestiti e mi ha mandato fuori sulle scale del palazzo. Maehhh…avevo una vergogna!!C.: Ma eri completamente senza vestiti?Claudia: Sì, totalmente senza vestiti. Sono rimasta giù e ho mangiato qualcosasull’altra scala del palazzo, perché c’erano due scale e su quella di servizio passavameno gente e poi sono andata da un’amica che stava al quarto piano.Mi ha dato un vestitino perché me lo mettessi e andassi fino a casa a prendermi i mieivestiti. Sono andata quando la mamma era al lavoro, sono andata ho preso dei vestitie me ne sono andata e per due giorni non sono più tornata a casa, sono rimasta fuorinella città.Poi questo è successo altre volte, invece che andare a scuola me ne sono andata perdue tre giorni in città.C.: E ci andavi da sola o con altri amici?Claudia: Ci andavo sola, perché avevo paura che gli altri bambini facessero la spia.Alla fine mia mamma ha scoperto che non andavo più a scuola e anche quella voltami ha picchiata forte. Alla fine ho perso sangue e allora quando ho visto che perdevosangue avevo paura di mia mamma che mi uccidesse di botte e allora sono partita perBucarest.Claudia si presenta qui sia come una bambina ribelle che mal accetta le violenze ele imposizioni da parte della madre, ma allo stesso tempo mostra la realtà di unabambina che già da piccola deve farsi carico della sorveglianza dei fratelli e dei lavoridomestici. 67
Viaggi dialogici tra Italia e RomaniaTutte le storie che ho raccolto o la maggior parte di queste partono o da situazioni diabbandono dei bambini alle case de copiii, o, come nel caso di Claudia, da situazionidi violenza sia psicologica che fisica, molto spesso nel caso delle femmine i padri o ipatrigni esercitano violenza sessuale sulle bambine.Ciò nonostante non sarebbe giusto presentare generalmente questi bambini comevittime passive della violenza perché sono i bambini stessi che preferiscono andare instrada piuttosto che accettare questa violenza.Bucarest rappresenta in genere una seconda tappa nel percorso che porta il bambinodal luogo di origine fino alla Gara de Nord a Bucarest. La maggior parte dei bambinie ragazzi che vivono sulle strade di Bucarest provengono infatti da tutto il paese, ingenere vengono dalle zone più povere dove l’economia dopo l’89 è completamentecollassata.Prima di prendere il treno diretto verso la capitale solitamente il bambino/a scappadi casa per alcuni giorni e dorme all’aperto in qualche rifugio nella sua città diprovenienza, a volte da solo, a volte con un gruppo di amici. Lucchini (1993) nelsuo studio sui bambini di strada in Brasile, parla di carriera della vita di strada perindicare il percorso attraverso cui il bambino apprende nuove competenze per potersidestreggiare sempre meglio in strada. Nel testo utilizzerò anch’io il termine carriera distrada riferendomi a questo percorso.Una volta raggiunta la capitale il bambino non perde ogni contatto con la famiglia o conil mondo degli adulti; questo processo è graduale. Il contatto con la famiglia, quandoesiste, difficilmente si viene a perdere completamente poiché spesso, nonostante leviolenze subite, molti di loro sperano in un appianamento dei contrasti con i genitori.A volte i figli fanno riferimento ai genitori anche solo per motivi strumentali; peresempio quando nasce un figlio, come vedremo nel caso di Claudia, oppure quandohanno bisogno di un periodo di pausa dalla strada, soprattutto d’inverno. Le figuregenitoriali rimangono comunque nel bene e nel male delle figure importanti per ibambini e ragazzi che vivono in strada.Molti dei ragazzini che ho conosciuto che provenivano dagli istituti hanno sempremanifestato il desiderio di conoscere i veri genitori e a volte tornavano nelle zonedi provenienza per iniziare delle vere e proprie ricerche. La carriera del bambino distrada non si evolve solo nel percorso dalla sua città d’origine alla capitale, ma ancheall’interno di quest’ultima. Non tutti i luoghi di Bucarest frequentati dai bambini distrada sono gli stessi, ma diversi luoghi hanno connotazioni diverse.Per esempio la Gara de Nord è sia punto di arrivo, in quanto la stazione è il primoposto in cui arrivano i bambini, ma è anche punto d’incontro importante per ibambini e ragazzi di strada. Qui infatti bambini e ragazzi si incontrano e si scambianofavori o organizzano attività illegali, la Gara inoltre è per eccellenza luogo d’incontrotra le persone e anche luogo controllato da gruppi mafiosi. 68
La storia di ClaudiaClaudia non va subito a vivere alla Gara de Nord, ma solo in un secondo momento,dopo aver imparato parte dei codici e delle regole della vita in strada.Ecco come Claudia racconta il suo percorso verso Bucarest e all’interno di essa.Claudia: Quando sono arrivata la prima volta a Bucarest non conoscevo nessuno.Quando sono scappata ero con un amico di Calarasi, ho rubato da casa mille equalcosa lei, al tempo erano tanti soldi, ho comperato il biglietto per Bucarest.Abbiamo visto che non conoscevamo nessuno, avevo paura perché ero piccola. [...]Il ragazzo che stava con me poi non voleva più restare e ha deciso di tornare a casa. Ioavevo paura di tornare a casa, e sono rimasta a Bucarest.Quando sono arrivata a Bucarest sono andata alla Gara de Nord e non conoscevonessuno, mi ha preso subito la polizia e mi ha portata in un centro per minori. Lì hoconosciuto subito degli altri bambini, un ragazzo... Remus, Catalin, e altre ragazze diPiazza Obor. Dal centro hanno chiamato mia mamma che è venuta, mi ha uccisa dibotte e mi ha riportata a casa. Ma io mi ero fatta degli amici, Julian, Gianina e altri trequattro amici e loro mi hanno detto: «Se ti portano via e poi tu ritorni qui ricordatiche ci trovi ad Obor, puoi stare dove dormiamo noi!».Quando sono scappata di nuovo di casa mi sono incontrata con loro ad Obor ed holavorato con loro... rompevo le vetrine dei negozi per rubare...C.: Ma quanti anni avevi?Claudia: Dodici anni.C.: E a quella età avevi già incominciato a rubare?Claudia: Si, rompevo i vetri dei negozi, delle macchine e rubavo.C.: E avevi paura di fare questo?Claudia: All’inizio avevo più paura ma essendo più piccola avevo anche più coraggio,avevo coraggio perché non è che pensavo molto.C.: E a Bucarest hai vissuto in più gruppi?Claudia: Si, sono stata alla Gara, a Brancovieanu, a P. Victoirei.C.: Prima mi dicevi che tu in strada ti sei anche divertita. Come ti divertivi? 69
Viaggi dialogici tra Italia e RomaniaClaudia: Quando ero piccola, prendevamo con il gruppo e andavamo in montagna,siamo stati anche al mare, ci stavamo un po’ di giorni; stavamo in piedi tutta la notte,a parlare a scherzare, quando riuscivamo a fare i soldi andavamo al bar.Quando ero piccola, quando riuscivamo a rubare molti soldi, andavamo in pizzeria,bastava rubare mille, duemila, tremila, cinquemila lei; subito dopo la rivoluzione,dopo Ceausescu, erano molti soldi, erano qualche salario... noi andavamo al ristorantee se una frittura costava dodice lei noi ne davamo anche duecento perché avevamosoldi, rubavamo, non ci preoccupavamo... eravamo anche piccoli.C.: Ma a chi rubavate a quel tempo? La gente era molto povera allora.Claudia: Spaccavo le vetrine dei negozi, delle macchine grandi, dei ristoranti.C.: E quanto sei rimasta a P. Obor?Claudia: Sono stata li fino a dodici tredici anni e poi sono andata alla Gara. Sonorimasta alla Gara circa cinque mesi ma da sola.C.: Da sola significa che non dormivi con loro?Claudia: No, dormivo con loro ma non avevo nemmeno un ragazzo! Con il tempoho incominciato a conoscere ragazzi che mi guardavano e ho conosciuto Dan, dettoC., ma lui tu non lo conosci.Il percorso da Calaraşi a Bucarest è quindi graduale e durante tale percorso si evidenziaun allontanamento sempre maggiore dalla madre e in generale dalle figure adulte edun avvicinarsi agli altri bambini e ragazzi che vivono in strada. Il gruppo dei paridiventa in strada una sorta di famiglia a cui si fa riferimento e nella quale ci si senteaccettati. Dalla prima fuga a Bucarest e dalle prime esperienze in strada la vita diquesti bambini evolve e con essa anche la loro carriera di strada. Nella vita di Claudiainizia infatti a comparire l’esigenza di avere un ragazzo. Per le ragazze è molto difficilestare sulla strada senza avere un ragazzo perché in genere il ragazzo protegge dagli altri,anche se poi capita spesso che la ragazza subisca violenza anche da lui.Claudia mi ha raccontato molto sbrigativamente della violenza sessuale subita dapiccola e del rapporto difficile in famiglia, in particolare con la madre per arrivare aspiegarmi dei suoi rapporti con i ragazzi. La situazione famigliare descritta da Claudiapotrebbe qui sembrare esasperata anche per la freddezza con cui sembra descriverla,quasi fossero degli eventi separati dalla sua vita. 70
La storia di ClaudiaIn realtà la storia di Claudia non è che una delle numerose storie che parlano diviolenza e disgregazione famigliare.Claudia: Quando mia mamma mi ha partorita mio padre mi voleva già uccidere.Alla fine mia mamma si è messa con uno zigano 18 e ha fatto mia sorella, e poi è statacon questo uomo sette anni, e quando io avevo sette anni e mia sorella tre anni, miamamma è fuggita con il fratello dell’uomo con cui stava, è fuggita con lui e a me miha lasciata lì, dagli zigani. Quando mia mamma mi ha lasciata lì ed è fuggita, allora ilsuo uomo, il fratello di quello con cui lei era fuggita mi ha violentata. Dopodiché miamamma è tornata, mi ha portata dalla nonna e così via.Allora quando avevo quattordici anni ed ero alla Gara, tutti sapevano che io erosignorina – domnişoara, che in rumeno significa signorina anche per riferirsi allaverginità di una ragazza – nessuno sapeva che non ero signorina. Ho parlato con Dancinque sei mesi, ma lui non mi ha fatto niente! Pensava che ero signorina, [...] avevapaura. Lui abitava vicino alla stazione e sua mamma lavorava di notte; allora lui miportava a casa dormivamo tutti e due nel letto, mi facevo il bagno, mi dava vestiti, midava da mangiare.C.: Ma lui quindi non dormiva fuori!Claudia: No, lui abitava vicino alla stazione, aveva una casa. Alla fine lui, dopo seimesi è partito con suo padre per lavorare in un cantiere. Quando è partito con suopadre per il cantiere, avrebbe dovuto tornare una volta ogni due settimane in città.Ma alla fine non è venuto né la prima volta né la seconda né la terza, è venuto laquarta dopo due mesi. Io lo aspettavo. Ma poi quando vedevo che non veniva mi sonoarrabbiata e pensavo che lui si era preso gioco di me e allora ho conosciuto Cola. Sonodiventata la ragazza di Cola alla Gara e quando è arrivato Dan ed ha incominciato acercarmi tutti gli dicevano di lasciare perdere che oramai ero con Cola. E’ arrivato dame e mi ha detto: «Io ho dormito con te e non ti ho fatto niente... e non so che, hoavuto cura di te, ti ho portato da mia mamma a casa, ti ho dato da mangiare, ti hoportato da mangiare sulla strada e non sono nemmeno venuto a letto con te, non tiho fatto niente ti ho rispettato, e quando sono partito tu..!»,«Io aspettavo che tornassi dopo due settimane e tu invece non tornavi, non mi haineanche scritto una lettera, qualcosa, la potevi mandare alla donna del chiosco 19», chélei sapeva la situazione e ci amava sia a me che lui, io domandavo se c’erano lettere perme, ma lei diceva sempre di no. Alla fine mi sono arrabbiata anch’io e sono rimastacon Cola e sono rimasta incinta di Marius. 71
Viaggi dialogici tra Italia e RomaniaLa nascita del figlio rappresenta per Claudia, come per le altre ragazze di strada unmomento importante di responsabilizzazione e il passaggio ad un’altra fase della vita.Le ragazzine di strada sono generalmente molto legate ai propri figli forse proprioperché rappresentano uno dei pochi legami umani stabili, l’unico che si può decidere.Differentemente da quanto ci si potrebbe aspettare le ragazzine sono molto attaccateai loro bambini e proprio perché loro hanno trascorso un’infanzia difficile vorrebberoevitare che i loro stessi figli debbano trascorrere del tempo o nelle case per copiii ocomunque distanti da loro. Per questi motivi Claudia decide infine di tornare per unperiodo a casa della madre nonostante i loro cattivi rapporti.Claudia: A quindici anni sono rimasta incinta. Dan tutto il tempo veniva alla Gara,lavorava, vedeva Cola. Quando veniva alla Gara mi diceva sempre: «Guarda comesei finita! Cola ti picchia!» perché mi picchiava forte, tutto il tempo. Sempre Danquando mi vedeva mi dava soldi: «Vedi come sei finita anche con questo, io non tipicchiavo! Adesso che lavoro, tra qualche mese, due, tre mesi, quando la mamma e ilpapà vedono che sto lavorando, poi ti porto a casa con me!». Poi sono passati un po’di mesi buoni, lui quando mi vedeva mi dava sempre soldi, quando lui era lì e vedevache Cola mi picchiava, si picchiava con lui. Io intanto ero incinta di Marius.Quando ero incinta di quattro mesi Cola è finito in prigione.Allora Dan si prendeva cura di me. Ma con lui non ho mai fatto niente, era tuttouguale, lui aveva cura di me così gli altri ragazzi mi lasciavano in pace, tutti sapevanoche ufficialmente io ero la sua ragazza.Ero incinta di otto mesi, e sempre uguale, stavo con Dan [...] infine è nato il bambino.Da quando ho avuto Marius, la mia vita è cambiata molto, sai prima pensavo solo adivertirmi, a giocare. Quando i miei amici della Gara hanno scoperto che aspettavoun figlio, mi dicevano che dovevo abortire, erano preoccupati, dicevano che una pazzacome me non sarebbe stata in grado di accudirlo. Quando sono stata all’ospedale perpartorire ho avuto dei problemi perché il mio bambino, quando aveva otto mesi emezzo, gli si è rotto il cordone ombelicale e quindi hanno dovuto farmi il cesareo – emi mostra una lunga cicatrice sulla pancia – così non ho sentito niente.Era il bambino più grande di tutto l’ospedale... quattro chili e due etti!Quando le infermiere mi chiedevano quale era il mio bambino perché lo dovevoallattare, io gli rispondevo: «Il più grosso di tutti è il mio!»; loro mi chiedevanospiegazioni e allora io gli dicevo: «Vai! Vai a vedere il più grosso di tutti è il mio!».Tutti mi chiedevano come una mamma così piccola poteva aver fatto un bambinocosì grosso e che cosa gli avevo dato da mangiare.Ed io gli rispondevo: «Gli hamburger della Gara, i sandwich di qualche associazione…quello che mi dava la gente!» 72
La storia di ClaudiaSai qui in Romania si dice che quello che ti danno gli altri ti ingrassa... e così il miobambino è tanto grande! Erano tutti stupiti che io, che non avevo avuto nessun tipo diattenzione, nessun tipo di cura per me stessa, avessi partorito un bambino così grandee sano.La nascita del figlio Marius e il suo avvicinarsi alla maggiore età, la costringono amettere in atto nuove strategie per sopravvivere. Mentre quando era più piccola potevapensare solo a se stessa e poteva rubare senza correre il rischio di finire in prigione,essendo quasi diciottenne Claudia realizza non solo che le sue esigenze sono cambiate,ma anche che presto le ONG non si occuperanno più di lei perché generalmentequeste preferiscono occuparsi dei minorenni.Anche il suo rapporto con i ragazzi, per esempio con Dan, diventa strumentale, faparte di una delle tante strategie di sopravvivenza, così come il rapporto con le ONG.Claudia dimostra qui la sua intelligenza nell’adattarsi a situazioni che non siconfannnno alla sua indipendenza ma dalle quali può trarre dei benefici. Per esempioaccetta di sposarsi con Dan per garantirsi una situazione di stabilità che le permetta diavere il figlio vicino, pur non essendo innamorata di lui.Claudia: Allora quando sono tornata a Bucarest sono stata a letto con Dan, ho parlatocon lui e quella volta siamo andati a letto per la prima volta, quando io avevo diciassetteanni. Sono stata insieme a Dan circa due anni e qualcosa e poi ci hanno preso alla ONGV. si L.. Quando eravamo a V. si L. le relazioni tra me e Dan c’erano e non c’eranoe si sono un po’ raffreddati i rapporti [...] io di fatto lo rispettavo e anche adesso lorispetto molto, è venuto anche al mare con noi 20.Ho questo rispetto perché ha avuto cura di me, ma in realtà come uomo non homai provato attrazione per Dan, ma mi conveniva la relazione con lui perché glialtri mi lasciavano in pace, lui non mi picchiava mai, tutto il tempo mi dava ciò cheaveva di migliore, mi rispettava e questo mi piaceva. [...] Ma la relazione tra di noiha incominciato a rovinarsi. Quando ho incominciato con lui a V. si L. ci hannoconosciuto, ci hanno chiesto se eravamo una coppia, noi abbiamo detto di sì ed èincominciata una discussione molto seria tra me e Dan e lui mi ha detto: «Sarebbebene che se noi fossimo una coppia [...], tu sei mamma». Lui zigano, io romena e c’èun bambino... era una situazione ideale per fare pubblicità all’associazione.Ho parlato ancora con Dan e mi ha detto: «Dai che rimaniamo tutti e due che quiabbiamo una chance tutti e due e può essere che con il tempo tu incominci a teneredi più a me, perché può darsi che fino ad ora con una vita troppo... così per strada,ma può darsi che se noi ci sposiamo e viviamo in una casa nostra e prendiamo con noianche Marius, può essere che con il tempo sarà qualcosa di diverso». 73
Viaggi dialogici tra Italia e RomaniaQuindi ci siamo trasferiti a V. si L., sono stata in un appartamento con uneducatore, poi sono stata ad un appartamento dove sono stata io stessa educatrice,mi hanno offerto questo lavoro e invece Dan andava a lavorare in cantiere.Sono andata a riprendere Marius, [...] l’abbiamo portato a Bucarest e quelli dellaassociazione, il grande capo – il direttore – faceva pressione tutto il tempo perché cisposassimo legalmente, perché [...] era importante poter mostrar che eravamo unacoppia e non so che. E io dicevo «No!» e Dan diceva «Dai pensaci!».C.: Ma tu quanti anni avevi?Claudia: Circa diciotto. Per riuscire a convincermi di sposarmi con Dan, ci hannomesso un anno. Come mi hanno convinta? Perché pensavo che se non mi sposavocon lui le chance per entrambi erano nulle, perché ad un certo momento loro cihanno detto direttamente «Se non vi sposate noi non abbiamo modo di tenervi qui!»e quindi saremo dovuti tornare tutti e due per strada.C.: Ma perché questo?Claudia: Perché erano pentecostali 21, erano religiosi.A diciotto anni e mezzo mi sono sposata con Dan, ma con l’idea che noi ci eravamosposati per convenienza, per avere un posto dove stare... e così via.C.: In tutto quanto siete rimasti a V. si L.?Claudia: Alla fine in tutto circa tre anni. Alla fine sono andata con un altro ragazzo,Dan già lo sapeva [...] e alla fine ci hanno mandati via tutti e due e siamo tornati sullastrada.L’atteggiamento di Claudia, come noterò anche più avanti si alterna tra il desideriodi essere completamente libera come quando era bambina sulla strada e il bisogno divivere una vita considerata «normale», avere un lavoro e una casa dove poter viverecon il figlio e il suo uomo.La cosa a cui è più difficile rinunciare è la famiglia di strada, i suoi amici, le personeche condividono e comprendono il suo linguaggio. Staccarsi dal mondo della strada,dalla famiglia di strada, dalle sue regole non è facile ed è ancora più difficile nelmomento in cui gli operatori della ONG cercano di imporre i loro valori anzichévalorizzare il grande spirito di autonomia e indipendenza dei ragazzi.C.: E poi sei tornata alla Gara? 74
La storia di ClaudiaClaudia: No, sono stata molto tempo in affitto perché allora stavo con Mihai. Quandostavo con Mihai, perché io da allora sono rimasta con lui, sono stata in appartamentoin affitto.C.: Praticamente dormivi in una casa, ma continuavi ad andare per strada?Claudia: Sì, continuavo a drogarmi, andavo sulla strada, ad un certo punto ho ancheincominciato a prostituirmi, l’ho fatto per circa otto mesi.C.: Ma hai deciso tu oppure ti costringeva qualcuno?Claudia: No, no ho deciso io perché mi sono trovata da sola [...], allora Mihai rubavaha avuto certe complicazioni con la polizia, doveva andare in prigione [...], abbiamocercato lavoro ma non l’abbiamo trovato e lui nemmeno. Io perché non essendo diBucarest non mi prendeva nessuno, così per otto mesi mi sono prostituita.Alla fine c’erano con noi degli zigani. [...] Questi a volte ti prendono dalla strada, tibuttano in macchina, ti fanno andare con questo e con l’altro, fai soldi per loro. Eallora mi sono detta: «No, no, non mi prostituisco più, piuttosto che arrivare così,non mi prostituisco più, faccio qualcos’altro».C.: Ma anche tu eri stata presa prigioniera oppure..?Claudia: No! Stavo per essere presa ed allora basta, ho deciso di smettere, basta, hodetto faccio qualcos’altro, qualsiasi cosa. Non volevo che Mihai rubasse e nemmenovolevo rubare io, perché anch’io avevo paura della prigione, per questo avevoincominciato a prostituirmi, perché per la prostituzione ci sono meno probabilitàdi andare in prigione rispetto ai furti. Ma dopo che mi è successo che gli zigani mihanno presa e non so proprio come sono riuscita a scappare ho detto: «adesso basta,non mi prostituisco più». Alla fine sono riuscita a trovare un lavoro di pulizia dellescale dei condomini, sono stata lì un po’ di tempo e intanto hanno preso Mihai el’hanno mandato in prigione. [...]Il fatto di non essere più una bambina, ma una giovane adulta, costringe Claudiaad adottare nuove strategie di sopravvivenza quale quella di vendere il suo corpo perevitare di rubare o di compiere attività illegali che potrebbero portare lei e il compagnoil prigione. Anche mentre parla della prostituzione Claudia mette in evidenza che siprostituisce per sua libera scelta come una strategia per sopravvivere; nel momento incui però rischia di essere fatta schiava dagli zingari, deicide di smettere. 75
Viaggi dialogici tra Italia e RomaniaAnche Alina, un’amica di Claudia che vive al chantier mi racconta di essere statarapita dagli «zigani» e di essere stata rinchiusa e legata per mesi in una casa dove gli«zigani» portavano i clienti. Come nota Claudia è ben diverso prostituirsi perché tiservono soldi e decidi di farlo oppure essere ridotta in schiavitù. Alina non raccontamai volentieri di quel periodo, se ne vergogna, ma tutti sulla strada sanno che lei èstata rapita.Per le ragazze, scegliere di opporsi alla famiglia o alle istituzioni per vivere in strada èmolto più difficile. Sulla strada per loro è molto più dura che per i ragazzi e nonostanteil fatto che questi ultimi spesso le picchino o le costringano a prostituirsi, spesso tuttoquesto non è ancora sufficiente a sottometterle.C.: Ritornando alla tua storia, dopo che è successo?Claudia: Dunque poi dalla Gara quando Mihai era in prigione, sono andata in P.Victoriei, Una volta quando ero alla Gara è arrivato George, io non lo conoscevo, eravenuto per portare un pomata per altri ragazzi che erano lì con me, io ero drogata eavevo un piccolo taglio, ma una cosa piccola e allora sono andata da lui e gli ho detto:«dai anche a me un po’ di pomata, guarda ho una ferita!», lui ha guardato il taglio escherzando mi ha detto: «Ma dai che non hai niente, vai via!»Una volta George mi disse che stava andando in P. Victoriei a trovare gli altri ragazzi eallora io ho approfittato e gli ho detto: «Dai vengo anch’io con te, che ho degli amicilì, mi mancano e vorrei vederli».Lui mi ha preso con se e siamo andati in P. Victoriei, quando siamo arrivati in P.Victoriei, c’erano lì anche due stranieri, siamo stati a parlare un po’ con loro, e quindinon sono riuscita a parlare molto a Claudiu. Volevo riuscire a parlare di più conClaudiu, ad avvicinarmi a lui, e volevo riuscire ad andare via da sola con lui perraccontargli qualcosa di me.C.: Perché tu già pensavi che non volevi più stare sulla strada?Claudia: Sì, perché vedevo che ormai non venivano più molti assistenti sociali allaGara e io ero stufa di stare in strada, volevo avere un posto dove stare. [...] Quindiogni volta che veniva George io cercavo di stargli vicino e di parlargli e gli dicevo chenon volevo più stare in strada, e avanti avanti.Claudiu andava sempre in P. Victoriei, così io mi sono trasferita lì perché volevo chelui vedesse che ero una brava ragazza, facevo da mangiare per tutti e lavavo i lorovestiti, così lui vedeva che sapevo fare tutte queste cose.Così piano piano lo conoscevo sempre meglio e poco alla volta ho incominciato ariporre in lui tutte le mie speranze. 76
La storia di ClaudiaAlla fine Claudia riuscirà a convincere Claudiu e a farsi prendere all’appartamentosociale dove io l’avrei conosciuta poco dopo.Il ritorno a Calaraşi: una casa una famigliaDal 2001 al 2006 avevo perso ogni traccia di Claudia e degli altri ragazzi del gruppo.Grazie a fortuite circostanze nella primavera del 2006 ero riuscita a rimettermi icontatto con lei che era tornata a Calaraşi nella sua città natale, dove viveva conun ragazzo «ţigano» 22, suo figlio Marius e le due figlie piccole della sorella emigratain Spagna. Dopo averla contattata ed avere organizzato una prima visita nell’agosto2006 decisi di trasferirmi per alcuni mesi a Calaraşi per condurre lì la mia indagineetnografica.Claudia e il suo nuovo compagno Victor vivevano in un quartiere della città moltodegradato, conosciuto da tutti come Fantoma – cioè fantasma – ed abitavano nelpiccolo appartamento di un parente che stavano comperando. Lo spazio era moltoristretto e la situazione disagiata poiché mancava l’acqua corrente in bagno, la finestrain camera e i fili elettrici erano stati arrangiati da Victor alla meno peggio.Conoscendo Claudia mi chiedevo come mai fosse tornata a Calaraşi, come mai nonfosse partita anche lei come la sorella e la madre per la Spagna. In realtà la situazionele permetteva di rimanere in Romania, poiché in quel modo poteva occuparsi dellefiglie della sorella oltre che della supervisione della casa della madre poco distante dalloro appartamento. Più tardi scoprii che in una della camere della casa, poco primadel mio arrivo, avvenivano anche degli incontri tra clienti e prostitute.Victor infatti aveva dei conoscenti che gestivano alcune prostitute e per far entrareun po’ di soldi aveva allestito una camera a questo scopo e si faceva dare un parte delguadagno. Claudia non ha mai voluto affrontare l’argomento con me direttamente,facendomi capire tra le righe che lei non ne voleva sapere nulla ma che quandoaveva bisogno di soldi ogni metodo era lecito. A questo proposito mi raccontava chedurante l’estate con Victor e un nipote lontano di lei che ogni tanto veniva a trovarlada Costanza 23, andavano nei giardini delle case a rubare ferro per rivenderlo poi alchilogrammo. Quando arrivai a Calaraşi, Claudia era venuta a prendermi alla stazionedei treni, in braccio aveva una bambina di circa sei mesi, la figlia della sorella. Appenal’avevo vista mi ero rilassata moltissimo, ci eravamo abbracciate e ci eravamo fermatea bere un succo di frutta.Claudia mi aveva chiesto di me e senza che io le chiedessi nulla anche lei avevaincominciato a raccontarmi di cosa fosse successo in tutti quegli anni in cui non cieravamo viste. 77
Viaggi dialogici tra Italia e RomaniaClaudia mi aveva spiegato di essere cambiata molto e che in fondo era contenta di essereandata via da Bucarest perché a Calaraşi era più tranquilla e riusciva a concentrarsi dipiù sulla sua vita e su quella del figlio.Il primo periodo a Calaraşi era tornata a casa della madre, una casa di proprietà,grande con quattro stanze, la cucina e il bagno.Ovviamente abituata a gestire la sua vita in modo indipendente e ad avere ancheuno stipendio a Bucarest, il ritorno a casa della madre, la stessa donna dalla quale erafuggita all’età di undici anni, era stato traumatico.Dopo poco Claudia avrebbe voluto tornare sulla strada a Bucarest perché la situazionea casa era insopportabile, ma Victor glielo aveva impedito e l’aveva invitata a starea casa dei genitori di lui. Per due anni quindi, Claudia e il figlio Marius si eranotrasferiti a casa dei genitori di Victor dove però le condizioni non erano meno difficili:poca igiene, alcolismo, promiscuità sessuale.Questo compromesso aveva però permesso a Claudia di lasciare che Marius continuassea frequentare la scuola media a cui era iscritto.Dopo due anni riescono ad ottenere un piccolo appartamento che apparteneva adei parenti di Victor in un fatiscente edificio della città che è l’appartamento dove lafamiglia si trovava nell’estate del 2006 e dove sono io stessa stata ospite da agosto finoa dicembre 24. Prima di dirigerci verso casa, Claudia mi aveva avvisato che le condizionidove abitava non erano delle migliori, perché nel bloc abitavano molti rom, e vivevaanche un magnaccia molto influente a Calaraşi e quindi era meglio per me che la seranon andassi in giro da sola: «Sai qui è pieno di spoitori 25, non è tranquillo, ma quicostava meno e poi io ho la mia casa, mi chiudo dentro e non ho nulla a che fare con ivicini del bloc. Mi faccio gli affari miei.»Claudia mi aveva però rassicurata perché se le persone mi avessero vista in giro conloro, in particolare con Victor, non avrei avuto problemi.Victor era infatti parente degli ţigani che vivevano lì prima e che erano a suo diremoto influenti nella città. Con il tempo la mia presenza era diventata famigliare e,sebbene le persone non capissero fino in fondo che cosa io facessi lì, avevano imparatoa vedermi arrivare e partire e sapevano che io ero l’italianca 26 amica di Claudia.L’edificio si trova molto vicino al centro città, a pochi metri da una delle stradeprincipali ma per arrivarci è necessario intrufolarsi in un vicoletto sterrato che digiorno pullula di bambini mezzi svestiti e a piedi nudi che giocano tra di loro.Ogni giorno in cima al vicoletto stazionano due anziane donne rom che, appollaiatesopra un sasso, espongono sopra un pezzo di cartone dei pacchetti di galuoises rosseche costano pochi lei perché provengono di contrabbando dalla Bulgaria, che confinaproprio con la città.Nel nuovo contesto di Calaraşi Claudia è molto concentrata sulla sua famiglia e sullerelazioni famigliari. 78
La storia di ClaudiaNel piccolo appartamento comperato grazie alla liquidazione della ONG con cuiaveva lavorato e alcuni soldi che la madre le spedisce dalla Spagna dove è emigrata elavora già da alcuni anni, vivono Claudia, il suo compagno Victor, suo figlio Mariuse le due figlie piccole della sorella che da circa un mese ha raggiunto la madre perlavorare in Spagna. Claudia e Victor svolgono più che altro dei lavoretti occasionali ela famiglia vive attraverso queste piccole entrate e le rimesse che ogni tanto mandanola sorella e la madre. Anche Victor vorrebbe andare in Europa a lavorare ma non inSpagna dove c’è sua madre perché tra i due non corrono buoni rapporti. Victor mispiega che gli stipendi a Calaraşi sono molto bassi e che non riesce a guadagnare piùdi 4 milioni 27 di lei al mese.Durante la mia permanenza Victor era riuscito ad avere dei lavori come guardianonotturno di certi cantieri di Bucarest, ma per ottenere quel lavoro aveva dovuto pagaredei soldi al «mediatore» di Calaraşi che solo poi gli aveva procurato il lavoro. La famigliadi Claudia sopravvive quindi con i soldi delle rimesse che arrivano dalla Spagna e conl’aiuto della mamma di Victor, infermiera, che fa il possibile per passargli almenoparte dello stipendio. Il sostentamento principale proviene comunque dalla Spagna.Il fatto che le figlie della sorella siano accudite e nutrite da Claudia presuppone infattil’obbligo della sorella di spedire i soldi a Claudia.Claudia ha un atteggiamento ambivalente nello spiegarmi il suo rapporto con lerimesse dalla Spagna. Da una parte mi comunica che non pretende di avere sempredei soldi dalla madre e dalla sorella spiegandomi come lei capisca che anche per loronon sia facile. Altre volte invece quando i soldi non arrivano mi spiega di essere moltoarrabbiata e di non capire fino in fondo in particolare l’atteggiamento della sorella:Claudia: Però credo che mia sorella dovrebbe mandarmi più soldi perché non possolavorare avendo due bambine piccole a casa e quindi non posso permettermi dimantenerle. [...] Credo che lei dovrebbe rendersi conto e mandarmi più soldi, perchélei è partita solo da un mese e lei lo sa quanto costa la vita qui, non è come 4 anni faquando è partita mia madre, lei probabilmente non si rende conto, ma Rosica lo saquanto costano le cose qui ora.Claudia mette qui in luce una realtà fondamentale cioè il fatto che il costo della vita inRomania in pochi anni sia incrementato notevolmente e che 150-200 euro al mese, cioèquanto in genere mandano la madre e la sorella, non siano sufficienti per mantenereuna famiglia, sebbene corrispondano circa ad uno stipendio medio. La maggior partedelle famiglie ha almeno un membro della famiglia che lavora in Europa. Da Calaraşiil flusso migratorio è indirizzato principalmente verso l’Italia e la Spagna. 79
Viaggi dialogici tra Italia e RomaniaSolo le famiglie più povere che abitano soprattutto nei quartieri di Oboru nou e didoi Moldoveni, sono in genere troppo povere per partire poiché non hanno i soldiper affrontare il viaggio.Il tipo di migrazione è principalmente di tipo circolare (Diminescu, 2002), cioè ilsoggetto migrante parte per un lasso di tempo più o meno lungo mantenendo però icontatti con i famigliari e quasi sempre con l’obiettivo di tornare a vivere in Romania.Chi non può usufruire di risorse che provengono dall’estero è costretto ad una livellodi vita molto basso. Molte persone acquistano nuovi beni di consumo, che primaerano impossibili, attraverso la rateizzazione come la televisione, la lavatrice e il divano.Come mi spiega Claudia, ci sono alcuni beni che sono diventati negli ultimi anni deglistatus symbol in città.Claudia: Chi ha soldi compera la porta blindata e le finestre in termopan oltreovviamente al cellulare e alla televisione.Quando parla della sua condizione di madre, all’interno di un contesto dove tuttimigrano per tornare poi a Calaraşi con molti soldi, Claudia mostra un atteggiamentomolto maturo:Claudia: La cosa più difficile è cercare di fare capire a Marius tutto questo. Io cercodi stargli vicina come mamma, credo che l’ho trascurato anche troppo, ma questosignifica anche che noi abbiamo meno risorse che altri suoi compagni di scuola.Sai qui tutta la gente va a lavorare o a rubare all’estero e poi ritorna a casa con un saccodi soldi. Marius non riesce a capire che noi non possiamo permetterci di spenderecento euro o più per un paio di scarpe.Sai lui torna a casa da scuola e si sente frustrato perché tutti hanno questo e quello.Io cerco di parlargli, di fargli capire che lui è fortunato perché ha una mamma che glivuole bene e con cui può parlare di tutto, che questo è più importante di un paio discarpe... e lui capisce anche, però sai non è facile per lui.Claudia ora è concentrata sulla sua famiglia, non vuole andare all’estero e si sentemolto responsabile del futuro del figlio quattordicenne che sta attraversando la criticafase adolescenziale. 80
La storia di ClaudiaClaudia: [...] Sai anch’io ho pensato di partire come mia sorella e andare a lavorare inSpagna, ma se io adesso lasciassi Marius da solo farei un grandissimo errore, io adessogli devo stare vicino, è la sua vita e io ne sono responsabile.Claudia mette qui in evidenza un problema che è molto reale nella società rumenaattuale. Mentre infatti in Italia le istituzioni sono preoccupate per l’elevato numerodi minori rumeni non accompagnati, in Romania la situazione è diametralmenteopposta, ossia vi è una crescente preoccupazione per i minori che rimangono a casasenza genitori 28, i cosiddetti «orfani bianchi» (Bezzi, 2010).I minori che hanno i genitori all’estero spesso dispongono di più risorse economichee beni di consumo rispetto ai coetanei che invece hanno i genitori a casa. Spessosono affidati alla supervisione dei nonni o dei parenti che però non hanno lo stessomandato educativo né lo stesso attaccamento emotivo nei loro confronti.In un contesto particolarmente degradato come quello di Calaraşi, Marius era entratofacilmente in contatto con gruppetti di ragazzini che rubavano; una volta Marius erastato arrestato dalla polizia perché era stato sorpreso in una proprietà privata a rubaredel rame per rivenderlo poi al chilogrammo. Un’altra volta, in seguito ad un litigiocon la madre perché aveva rubato alcune penne a scuola, Marius era scappato ed eraandato a Bucarest al cantier dove vivevano Radu e altri amici di Claudia con cui luiaveva vissuto da piccolo.Claudia: Ma quella volta avevo sbagliato io, ero stata troppo dura; alla fine lui èpartito per andare a scuola con i quaderni e tutto e non è più tornato. È arrivato aBucarest e l’ha trovato Alina, è stato con loro in strada per un po’, le ragazze poi mihanno avvisato e alla fine io sono andata a Bucarest a riprenderlo.Claudia lontana oramai dalla realtà di Bucarest sembra guardare più da vicino ilrapporto con suo figlio e realizzare che averlo amato e desiderato tanto non era statosufficiente a dare un equilibrio emotivo e psicologico a Marius.ConclusioniSicuramente rispetto ad altri ragazzi che ho conosciuto in strada Claudia ha unasensibilità e una intelligenza particolarmente spiccate. 81
Viaggi dialogici tra Italia e RomaniaAttraverso l’esperienza di vita in strada Claudia aveva avuto l’opportunità di impararecose che non avrebbe mai imparato se fosse rimasta a casa a subire abusi e violenze.Avere affiancato per tanti anni George, l’educatore e psicologo della ONG C., leaveva permesso di approfondire e di rileggere la sua storia di vita valorizzando la suaesperienza. Essere riuscita a staccarsi dal contesto della strada per costruire una famigliapropria che, sebbene vivesse principalmente di espedienti e in un contesto degradato,rappresenta sicuramente un traguardo importante nel percorso di vita di Claudia.Gran parte dei ragazzi che avevo conosciuto negli anni precedenti vivevano invece perla maggior parte ancora in strada o alternando periodi in strada a periodi all’internodelle strutture di qualche ONG. Tentare di reintegrarsi in società, richiede da parteloro un grande coraggio e una grande fatica. Sulla strada questi ragazzi hanno un ruolo,un’identità di gruppo in cui si riconoscono e da cui prendono forza; nel momento incui tentano di inserirsi nella società dominante ne vengono esclusi o vengono accettatiall’interno di un mercato del lavoro in cui devono adeguarsi a condizioni di vita danuovi schiavi che anziché riconoscere loro dignità non fa che umiliarli ulteriormente.La «cultura di strada» come intesa da Bourgois (1996: p.38) una rete complessa e conflittuale di convinzioni, simboli, modalità d’interazione, valori e ideologie che si è consolidata in risposta all’esclusione imposta dalla società dominanteoffre ai ragazzi un’alternativa per una vita autonoma; anziché accettare quotidianamentela «violenza strutturale» ed il razzismo della società dominante. La vita di strada permettea molti ragazzi di mettere in atto forme di resistenza all’interno di una sottoculturaparallela a quella dominante, che però permette loro di affermarsi e di conquistarsidignità anche attraverso l’esercizio della violenza e della pratica di attività illegali.È importante leggere e interpretare le vite di questi ragazzi, non solo all’interno dellerelazioni di strada ma anche all’interno delle strutture economiche e politiche dellasocietà rumena e del contesto internazionale. Oggi numerosi gruppi di strada sonoformati da adulti e adolescenti che vivono in una sorta di limbo, sospesi tra la vecchiacategoria a cui appartenevano e l’attuale situazione in cui le ONG non si occupanoquasi più di loro in quanto non più bambini.Il sogno di una giustizia sociale sembra oramai essere demandato da loro fatalisticamentead un qualcosa di nuovo che succederà e che riporterà in equilibrio l’asse dellabilancia. Nemmeno l’entrata della Romania nell’Unione Europea ha portato ad unmiglioramento della loro situazione, anzi, l’inasprirsi generale delle condizioni divita della maggioranza della popolazione è andata a minare anche quelle nicchie disussistenza sulle strade di Bucarest che si erano create con gli anni. 82
La storia di ClaudiaNote1. La categoria di «minori stranieri non accompagnati» è riferibile ai minori romeni fino al dicembre 2006,mese in cui ho concluso la mia etnografia, ossia prima dell’ingresso della Romania nell’UE.2. Faccio qui riferimento anche al dibattito sulla questione delle adozioni internazionali che vennero sospesedal 2001 al 2004. Nel giugno del 2004 viene approvata una legge sulle adozioni che sostanzialmente rendequasi impossibile l’adozione internazionale. A questo riguardo così si espresse la Commissione Bicamerale peri Diritti per l’Infanzia, manifestando il suo disaccordo nei confronti della Commisione Europea affermando:«Evidentemente a Bruxells il tema dell’infanzia è considerato secondario rispetto al fatto che ci siano le condizioni– almeno di facciata – per l’ingresso della Romania nella Comunità Europea [...] la prospettiva è quella di farcambiare questa legge» ([Rioli, 2007]: fonte citata non indicata).3. Il nome di Claudia, così come quelli di tutti gli altri bambini e ragazzi di strada, l’educatore, e i famigliaridi Claudia sono stati modificati per questioni di privacy..4. La colla dal colore grigio metallico, che molti «bambini di strada» a Bucarest inalano da sacchetti di plastica.L’Aurolac ha degli effetti molto dannosi, soprattutto se inalato da bambini molto piccoli: blocca il loro sviluppofisico, causa problemi gravi all’apparato respiratorio, cardiovascolare, gastrointestinale nonché disturbi neurologici.5. Cultura della strada: una rete complessa e conflittuale di convinzioni, simboli, modalità di interazione,valori e ideologie che si è consolidata in risposta all’esclusione imposta dalla società dominante. La cultura dellastrada offre un contesto alternativo per l’autonomia e la dignità personale. (Bourgois, 2005 [1996], p. 38).6. Sono le tipiche costruzioni costruite durante il periodo comunista che caratterizzano le cittadine romenerendendole per molti versi simili. La tipica struttura è squadrata e il colore è generalmente grigio7. Il gas per cucinare nei bloc, era comunemente fornito dallo stato.8. Cantier significa cantiere. Il cantier è la casa in costruzione dove si rifugiava il gruppo di ragazzi con cuiho condotto l’etnografia nel 2001. Gran parte dei bambini e ragazzi di strada a Bucarest vivono nei canalisotterranei dove passano le tubature dell’acqua calda; da qui anche la definizione «bambini delle fognature»utilizzata soprattutto in ambito giornalistico. Tuttavia non tutti i bambini e ragazzi vivono nei canali, diversigruppi si sono sistemati anche negli scheletri delle numerose case non terminate abbandonate in questo statoancor prima dell’89.9. Per approfondimenti vedi Freire (1971).10. Per alcuni articoli e ricerche condotte dall’antropologa Sheper-Huges vedi: Sheper-Huges (1995, 2000,2004) e Scheper-Huges N. e Wacquant L. (2004).11. Per alcuni articoli e ricerche condotte dall’antropologo Philippe Bourgois vedi: Bourgois (1989a, 1989b,2004, 2005).12. Istituti di stato per minori.13. Educatore alla pari. Persona che in passato ha vissuto esperienze simili a quelle dei ragazzi di strada concui attualmente instaura una relazione educativa proprio in virtù di tale trascorso.14. Sono molto frequenti tra i bambini di strada comportamenti autolesionistici. Spesso si tagliano i polsi, lebraccia e gli avambracci per provocarsi dolore fisico e far passare in secondo piano la sofferenza psicologica;come mi spiega Claudiu è una sorta di autopunizione. 83
Viaggi dialogici tra Italia e Romania15. Claudia mi ha confidato questa cosa dopo esserci conosciute meglio: «L’ho fatto apposta! volevo vederese bevevi dopo che avevo bevuto io, che sono una ragazza di strada, e tu non hai bevuto. Allora ho pensatoche eri una con la puzza sotto il naso. Mi piace fare cosi con le persone, metterle alla prova, vedere comereagiscono per capire se posso fidarmi di loro. Una volta per esempio c’era una studentessa che era venutaper fare pratica sulla strada, Claudiu mi aveva detto che secondo lui non era adatta. Quando siamo andateinsieme sulla strada ho detto a due dei ragazzi di andare vicino a lei e di toccarle le mani e le braccia, conle mani dei boschetari… tutte sporche e nere! Volevo vedere come reagiva… e questa subito ha cercato diallontanarsi da loro. Vedi, una persona, che vuole lavorare con i bambini di strada non può avere la puzzasotto il naso, se vuoi lavorare con loro non puoi avere schifo di loro! Infatti questa ragazza non è più venuta».16. Molti ragazzi di strada hanno questo problema, infatti sulla strada perdono i documenti o accidentalmenteli bruciano e per rifarli hanno bisogno di denaro.17. È un termine dispregiativo con cui vengono chiamati i «bambini di strada» e più in generale le personesenza abitazione a Bucarest. Il termine deriva da boschet che significa boschetto. Il boschetaro sta ad indicareappunto colui che non ha casa, che vive nel boschetto, luogo dove la gente si nasconde anche per escoriarequando non può usufruire del gabinetto. Boschetaro non significa quindi soltanto vagabondo, ma ad esso sonoattribuite delle connotazioni più negative legate alla sporcizia, all’immondizia, agli escrementi. Gli attributidegradanti che si riferiscono al luogo, vengono di conseguenza trasferiti sulla persona.18. Il termine zigano è utilizzato da Cluadia generalemente per indicare una persona di etnia rom. Tuttaviaspesso questo termine viene utilizzato anche per connotare negativamente una persona. Per un approfondimentodella storia della etnia rom in Romania vedi Emanuele Pons (1999), il quale mette in evidenza come nelperiodo di particolare difficoltà che sta attraversando la Romania a causa della transizione economica che hasignificato per buona parte della popolazione un peggioramento delle condizioni di vita, l’etnia rom sembraessere uno specchio che ingrandisce l’immagine delle difficoltà che sta attraversando la società. Così come lasocietà rumena anche Claudia tende ad associare ai cosiddetti zigani, come generalmente vengono definiti,tutto il giro di attività illegali, quali la prostituzione, il traffico di bambini e di ragazzine e quello dell’eroina. Inrealtà dietro a questi traffici ci sono sia persone di etnia rom che persone rumene. Con zigano quindi Claudiaintende indicare persone che compiono questo tipo di attività più che fare riferimento alla loro etnia.19. Una delle signore che lavorano nel metro di Bucarest nei chioschi che stanno nei corridoi. I bambini eragazzi di strada frequentano moltissimo i corridoi del metro, sia come luogo dove fare l’elemosina sia dovesocializzano con gli altri attori sociali tra cui principalmente le donne che vendono giornali, dolci e caffè.Durante la mia etnografia al chantier anch’io avevo socializzato con alcune di queste donne e quando nonriuscivo a trovare i ragazzi loro sapevano sempre dove erano o a che ora erano usciti.20. Durante l’estate nel 2001 Claudia era andata al mare con i bambini dell’appartamento sociale ed alcuniragazzi del centro diurno. A tale vacanza aveva partecipato anche Dan come collaboratore.21. Ho avuto occasione di conoscere i pentecostali durante il fieldwork al cantier, Alina e Catalin e i miei due informatoriprincipali mi hanno spesso parlato dei pocaiti che significa letteralmente penitenti, cioè coloro che si sono pentiti. Moltiragazzini di strada frequentavano in particolare un gruppo religioso dove anche io sono stata diverse volte assieme a loro.In particolare nel 2006 ho avuto modo di conoscere meglio un programma che loro stanno realizzando con i ragazzi chehanno problemi di dipendenza da eroina. Problema questo che si è molto diffuso a partire dal 2000. 84
La storia di Claudia22. Uso qui il termine con cui Claudia amava definirlo.23. Durante la mia permanenza questo nipote era rimasto per un po’ di tempo, poi la madre era tornata aprenderlo e aveva lasciato invece un altro figlio. I due ragazzini di circa 12-13 anni cercavano di darsi da farefacendo lavoretti e procurando delle cose da mangiare per il pranzo e per la cena. Nessuno dei due andava ascuola e a casa avevano altri sei fratelli.24. Eccetto un breve periodo durante il quale ero andata a vivere a casa della madre di Claudia per lasciarealla coppia un po’ di privacy e per avere io la mia.25. La parola spoitore deriva dal mestiere tradizionale dello spoito, cioè, stagnare, l’antico mestiere dellostagnino, anche se in realtà la maggioranza degli spoitori di Calaraşi, vive più che altro di rimesse provenientidall’Italia e il mestiere non viene più esercitato.26. Significa italiana ed era il modo in cui generalmente venivo appellata dai vicini.27. All’epoca equivalevano a circa 100 euro.28. Per approfondimenti sulla situazione dei bambini lasciati soli in Romania, il profilo delle loro famiglie ei problemi legati alla sfera educativa e sociale vedi lo studio realizzato dalla ONG Alternativa Sociala di Iasi,con il finanziamento dell’Unicef: Analiza la nivel national asupra fenomenului copiilor ramasi acasa prin plecareaparintilor la munca in strainatate, 2008, reperibile anche on-line al seguente sito: http://www.alternativesociale.ro/_images/servicii_sociale/publicatii_si_resurse/UNICEF&AAS_Studiul_national_SA.pdfBibliografiaAA.VV., 2006, Sofferenza Sociale, Antropologia Annuario, anno 6, n. 8, Roma, Meltemi.Bezzi C., 2004, «The Intervention of NGOS and the social construction of the category of “street children”in Bucharest», in The Journal of the IUAES Inter-congress Calcutta, Calcutta.Bezzi C., 2007, «La costruzione sociale della categoria dei “bambini di strada” a Bucarest: politiche e retorichedelle ONG», in Annali dell’Università degli Studi di Perugia, Perugia, Università degli Studi di Perugia.Bezzi C., 2010, Orfani bianchi. i figli dell’allargamento, Osservatorio Balcani e Caucaso, http://www.balcanicaucaso.org/ita/aree/Romania/Orfani-bianchi-i-figli-dell-allargamentoBonadonna F., 2001, Il nome del Barbone, Roma, DeriveApprodi.Bourgois P., 1989a, Crack in Spanish Harlem. Culture and Economy in the inner city, in Anthropology Today,vol. 5, n. 4, pp. 6-11.Bourgois P., 1989b, Ethnicity at Work: Divided Labor on a Central American Banana Plantation, Baltimore,John Hopkins University Press,.Bourgois P., 2004, «The Everyday Violence of Gang Rape», in Scheper-Huges, N. and Bourgois, P., 2004,Violence in War and Peace. An Anthology, Oxford, Blakwell Publishing, pp.343-347.Bourgois P., 2005, Cercando Rispetto. Drug economy e cultura di strada, Roma, Derive e Approdi [ed. or.,1996, In search of Respect. Selling Crack in El Barrio, Cambridge, Cambridge University Press,]. 85
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Viaggi dialogici tra Italia e RomaniaInfine un’ultima caratterista da valorizzare sono le alte espressioni artistiche e culturali chela Romania offre all’Europa e al mondo. «Tra i romeni ci sono moltissimi intellettuali», iltema è espresso in connessione alla difficoltà di riconoscimento dei titoli di studio conseguitiin Romania. Ciò rende difficile l’accesso dei romeni a livelli professionali corrispondential proprio livello di preparazione: «difficilmente riescono ad utilizzare appieno le lorocapacità».La lingua è rimasta sostanzialmente una lingua neolatina, forse anche per questo lacomunità rumena si è mossa in massa verso l’Italia, proprio perché nel giro di pochi giorniun rumeno o una rumena riescono a imparare, o comunque a comprendere, l’italiano.Questo aspetto della comune origine latina è importante perché potrebbe ricollocare ilrapporto tra i due paesi ad un livello, anche culturale, più elevato. 88
Le difficoltà di trasmissione culturale Le difficoltà di trasmissione culturale tra Romania e Italia Conversazione a più voci con alcuni dei testimoni del rapporto tra Italia e Romania di Mihai Mircea ButcovanRicordo quel primo gennaio 2007: i romeni diventavano neocomunitari. Finoal 31 dicembre 2006 – il giorno prima dell’anno prima – erano extracomunitari.Condizione giuridica che per l’Europa assumeva un’accezione di inclusione-esclusionedall’Unione Europea.In Italia extracomunitario era più sinonimo di immigrato, per la maggior parteproblematico, quando non delinquente. Facile allora ignorare la nuova condizionedei romeni e quindi continuare a definirli e considerarli extra comunitari, fuoridalla comunità, condizione peraltro condivisa con altri milioni di immigratid’Italia provenienti da tutto il mondo. Mi interrogavo già allora su quanto pocosia stato fatto in fase di avvicinamento della Romania e della Bulgaria all’UE – sindalla firma, nel 2005, del trattato di adesione dei due paesi – per una conoscenzareciproca più approfondita, per un avvicinamento culturale tanto necessario quantoindispensabile, perché l’allargamento di una comunità europea si arricchisse anchecon gli insegnamenti e l’esperienza dei precedenti ampliamenti.E così ci siamo ritrovati nel 2007 a scoprire in Italia che un popolo e un paesecosì vicini storicamente, linguisticamente, culturalmente e – dal 1 gennaio 2007 –anche politicamente, risultava talmente estraneo ed enigmatico da lasciare spazio aincomprensioni davvero incresciose. Tanto che nel novembre dello stesso anno,quando la conflittualità e l’intolleranza nei confronti dei romeni ha raggiunto livelliinimmaginabili, un onorevole italiano parlava addirittura di una «Europa dei 25».Questo accadeva a ben undici mesi dall’ingresso della Romania nella comunità europea.Ci sono state poi scaramucce tra i due governi, concluse, come spesso accade, constrette di mano bilaterali e qualche iniziativa piuttosto dispendiosa che mirava, nonsenza ritardo, ad un «cambiamento dell’immagine dei romeni in Italia» e rivelavasoltanto un tardivo quanto poco efficace «piacere di conoscersi». 89
Viaggi dialogici tra Italia e RomaniaQuanto segue vuole essere una conversazione a più voci con alcuni testimoni delrapporto tra i due paesi, un forum di sguardi riferiti ad esperienze che hanno lasciatopiù di un segno indelebile. Perché si dovrebbe rilanciare il dialogo partendo dalle piccole– ma non necessariamente minori – buone pratiche sperimentate quotidianamenteda persone di buona volontà, mosse da cosmopolitismo e da uno spirito di ricercaintelletualmente onesto.Sono persone animate dal coraggio di guardarsi dentro e di rielaborare esperienzesenza ipocrisie, senza piaggerie, con la sincerità ed il buon senso che dovrebbero essereil punto di partenza e la base per qualsivoglia dialogo culturale. Nei loro raccontici sono innumerevoli spunti per una riflessione contro le demagogie e le retoricheautoreferenziali, oltre gli innamoramenti superficiali da turisti del fine settimana.Turisti umili con il sogno – e a servizio – di un mondo migliore.Se li avessi invitati a casa mia, dalle parti di Sesto San Giovanni, alle porte di Milano,per conversare, avremmo mangiato sarmale o pastasciutta, poco importa, dopo unaperitivo a base di Campari o ţuică, poco importa.Marcella sarebbe arrivata con un paio di libri di Paul Celan e di Herta Müller, trovatisu una bancarella berlinese.Marco avrebbe rimediato una bottiglia di grappa di Fortana, per fare un esamecomparativo con la pălincă arrivata dalla Transilvania.Anna avrebbe portato un piano di viaggio per la sua imminente prima visita inRomania.Teresa, loquace quanto Marco, ci avrebbe portato un video sul giorno della memoria,girato a Bucarest con fondi europei.E Andrea? Andrea mi avrebbe chiamato due giorni prima per dire che è in partenzaper qualche sperduta capitale baltica. La sua assenza l’avremmo sopperita leggendoqualcosa di suo. Qualcosa di molto importante.Si sarebbero salutati a casa mia in romeno, poi si sarebbero abbracciati felici di scoprireprovenienze che li legano, il romagnolo con la pugliese, la romana col torinese, lacalabrese con il sestese. Un po’ italiani, un po’ romeni, persone con la città felsinea nelcuore, persone che hanno viaggiato tanto coi libri quanto con lo sguardo curioso dichi vuole sapere e sa che domandare è un ottimo metodo per sapere.Ma gli amici che ho invitato a discutere con me in questo «forum» li ho raggiunticon la complicità della tecnologia: telefono, skype, posta elettronica. Eccoli arrivare,nell’ordine cronologico dei miei importanti incontri di vita con loro: 90
Le difficoltà di trasmissione culturaleMarco Belli, insegnante di storia-filosofia e di sostegno, mediatore culturale, unodei fondatori della casa editrice ferrarese LineaBN. Tra le numerose esposizionifotografiche c’è anche Dor. Sospiri di tempo, progetto poetico-fotografico ideato incollaborazione con un poeta transilvano.Le sue fotografie corredano i volumi Porno Bloc. Rotocalco morboso dalla Romaniapost post-comunista (con Lorenzo Mazzoni, LineaBN 2009), Dal comunismo alconsumismo. Fotosafari poetico esistenziale romeno-italiano (con M.M.B., LineaBN2009) e In cuniculum (con Lapin, LineaBN 2009).Marcella Fortunato, oggi insegnante di italiano in Germania, è stata in Romaniacome lettrice MAE da febbraio 2008 ad agosto 2009 ed ha insegnato lingua eletteratura italiana all’Universitatea de Vest di Timişoara.Anna Carrozzo, nata in Puglia e trasferitasi dopo la maturità a Bologna. Nel 2010 siè laureata in Lettere all’Alma Mater Studiorum con una tesi sull’attività letteraria diun rumeno in Italia. Attualmente si sta specializzando in Italianistica.Teresa Rossano, docente bolognese di origini calabresi. Ha curato progetti diintercultura e per l’insegnamento di Italiano L2. Ha fatto l’insegnante di sostegno,di Italiano e Storia alle superiori, di Italiano agli stranieri e – a Bucarest – di Storia eCiviltà Italiana ai rumeni. Oggi insegna italiano lingua straniera in Grecia.Andrea Bajani, scrittore, giornalista, autore e conduttore radiofonico, romanotrasferitosi a Torino, globetrotter, autore di vari libri pubblicati da Einaudi.Tra questi troviamo Se consideri le colpe (Einaudi 2007), romanzo ambientato inRomania, vincitore di vari premi. Ha scritto la postfazione Sull’abiura, lo stile e lescarpe fuori dalla porta per il volume Dal comunismo al consumismo. Fotosafaripoetico esistenziale romeno-italiano (LineaBN 2009).Ed è proprio Andrea Bajani a scrivere nella postfazione al libro Dal comunismo alconsumismo: La prima volta che sono stato in Romania, l’ho fatto per capire che cos’era l’Italia. Ho preso un biglietto per Bucarest e in tasca avevo soltanto un numero di telefono. Era di un imprenditore italiano, uno dei tanti che all’improvviso hanno cominciato ad andare. Era uno dei tanti che aveva preso a pensare che l’est fosse il Far West, che andare a est significasse la possibilità di ricominciare da capo, il miracolo della resurrezione. 91
Viaggi dialogici tra Italia e RomaniaE voi perché siete andati in Romania?Marco Belli: Il mio primo arrivo in terra rumena, nel marzo del 1999, è stato celebratoda poche ed epifaniche parole: «Benvenuto in Romania, qui tutto è possibile».Ero appena uscito dall’aeroporto di Arad e stavo aspettando la macchina che mi avrebbeportato nella città di Cluj-Napoca dove avrei soggiornato con una borsa Erasmus itre mesi a venire. All’improvviso mi si pose davanti una strana signora di mezz’etàcon lugubri fiori blu tra i capelli che pronunciò queste sette parole: «Benvenuto inRomania, qui tutto è possibile». Mi guardò fisso negli occhi e se ne andò. Rimasidi sasso. Mi dicevo: accidenti, altro che Dracula e vampiri! Ma andai oltre, la miaavventura era appena iniziata.Mentre aspettavo Mihai, il ragazzo che mi doveva portare a Cluj – da lì a tre anni sareidiventato il suo naş, il suo testimone di nozze – ripensai ai discorsi che avevo fatto inaereo con i miei compagni di viaggio, uno squadrone di imprenditori del trivenetocon una moglie in Italia e un’amante in Romania, una fu «fabbrichetta» fallita inItalia e una prospera nell’est-Europa, costo del lavoro bassissimo e «i sindacati chenon rompono i coglioni». Uno di loro si vantava di lavorare tra l’Italia e la Romaniada nove anni e di non sapere neanche dire «buongiorno» in romeno.Mi aveva incalzato dicendo «Sono loro che devono imparare l’italiano». Io invecespiegai all’imprenditore di Treviso che stavo andando a Cluj per studiare il romeno elaurearmi su un filosofo di quelle terre, però emigrato in Francia, Emil Michel Cioran.Lui mi guardò male e immaginai che nel suo cervello balenasse la domanda: «Qualè la perversione di sto ragazzo?». Poi mi chiese perché non sono andato a studiare aParigi visto che il mio filosofo si era rifugiato là e aveva scritto la maggior parte dellesue opere in francese… Bella domanda! Anche mia mamma me l’aveva fatta.Chissà?! Perché non ho scelto una bella bohème parigina invece dei bloc rumeni?Saranno state le letture salgariane della mia infanzia.Marcella Fortunato: Sono stata in Romania, a Timişoara, come lettrice MAEda febbraio 2008 ad agosto 2009. Ho insegnato lingua e letteratura italianaall’Universitatea de Vest. Quando sono stata nominata dal ministero su questa sede,devo ammetterlo, sapevo molto poco di questo paese ed ero spaventata dalle insistentinotizie preconcette che gravavano su tutta la Romania. Dopo tre semestri universitarisono andata via a malincuore dalla Romania, soprattutto per venire incontro alleesigenze della mia famiglia.Anna Carrozzo: Non sono ancora stata in Romania, anche se lo farò a breve, ma essaè divenuta una parte di me da un paio d’anni, da quando l’ho conosciuta attraverso 92
Le difficoltà di trasmissione culturalele parole e gli sguardi pieni d’amore per essa di un romeno d’elezione. Ho scritto unatesi sulla sua opera letteraria e, dato l’influsso che la letteratura romena ha avuto sullasua formazione, non ho potuto né voluto esimermi dal provare a conoscerla.Teresa Rossano: Quando sono partita per la Romania non volevo proprio andarci.Confesso che sono stata presa dal panico quando mi hanno detto che la destinazioneper il mio incarico era Bucarest. Nel mio immaginario c’era l’Africa, il Sud America…il «mondo» insomma.Ho cominciato a reagire quando leggevo il compianto sullefacce di alcuni, compianto che si è ripetuto spesso anche dopo, quando dicevo diabitare a Bucarest. Mi dicevano «Ah… e com’è?» ma nelle facce leggevo «Poverina!».Anche ora, che vivo ad Atene, molti mi dicono con sollievo che «finalmente è tuttaun’altra cosa!»Prosegue Andrea Bajani nel libro citato: Parlare dell’altro è un po’ parlare di altro, se nel ruolo dell’altro ogni tanto non ci mettiamo anche noi. Quando sono atterrato in Romania l’ho fatto perché volevo vedere che cosa ne era, della retorica dell’altro, quando l’altro eravamo noi. [...] Che cosa ne è della pretesa di integrazione quando sono gli italiani a installarsi a casa d’altri.Cosa ne pensi, Anna, tu che in Romania ancora ci devi andare per la prima volta?Anna Carrozzo: Per conoscere la Romania, e innamorarmene, ho iniziato leggendo leMemorie e i romanzi di Mircea Eliade, un intellettuale romeno del Novecento, notoanche agli studiosi italiani, soprattutto per la sua attività di storico delle religioni.Leggere le sue opere è stato per me illuminante e credo, appropriandomi di alcune sueriflessioni, che si potrebbe ripartire proprio dalla cultura romena per far conoscere laRomania nel mondo. Eliade rifletteva sul fatto che certi libri fossero più vivi di moltiuomini e carichi di esplosivo, di dinamite. I libri esplosivi scuotono le coscienze,infiammano gli animi e spingono ad attivarsi e a conoscere. E quindi a viaggiare.E tu, Marco, quale Romania hai trovato lì? E quali romeni?Marco Belli: Vedi, di fronte all’imprenditore veneto di cui sopra, schifato, ripresi aguardarmi attorno e pensai: «Ma dove sono finito?». Chiesi a un tassista di portarmiin città per telefonare a Lucia, la mia professoressa di romeno in Italia, che inquei giorni si trovava a Cluj dalla sua famiglia – è la moglie del grande scrittoreromeno Eugen Uricaru – e le domandai informazioni sulla macchina che mi dovevaprelevare all’aeroporto per portarmi a destinazione. Lei mi rassicurò dicendo di non 93
Viaggi dialogici tra Italia e Romaniapreoccuparmi, la macchina con suo figlio sarebbe arrivata di lì a momenti.Dopo essermi fatto riportare in aeroporto e fatto fregare una discreta sommetta daltassista – ancora non conoscevo le tariffe dei taxi rumeni – intravidi una Dacia rossa dacui uscirono due ragazzi e una ragazza: Mihai, Mihai e Milo. Il primo Mihai era MihaiUricaru, il figlio di Lucia, laureando in informatica. Il secondo Mihai invece era ungrosso omone laureando in matematica – un discreto hacker?! – con uno splendidosguardo «ripieno» di intelligenza. Milo era una ragazza ungherese e stava con il primoMihai. Guidava la macchina il secondo Mihai, la conversazione era frizzante e tutti etre erano ansiosi di parlare italiano con me. E pensare che ero andato in Romania perparlare romeno; forse era per questo motivo che l’imprenditore veneto non aveva maiimparato una parola di romeno?!Verso le nove di sera ci fermammo in un piccolo locale con l’insegna della Coca-Cola,in una stradina buia, per mangiare mici cu muştar, piccoli salsicciotti accompagnaticon la senape... Che goduria! Arrivai a Cluj a notte fonda e dormii, distrutto per ilviaggio, da Mihai Uricaru nel quartiere abitato dagli intellettuali clujani.Immagino il «risveglio»...Marco Belli: La mattina mi alzai e attorno a me c’erano solo bloc, casermoni socialistiche dieci anni dopo avrebbero dato il titolo ad un libro fotografato da me e scritto daLorenzo Mazzoni, Porno Bloc, rotocalco morboso dalla Romania post post-comunista.Decisi che non volevo vivere solo tra gli studenti Erasmus; il secondo Mihai, mi offrìin affitto, per una modica cifra, una stanza della sua casa. Gli risposi subito con unsì entusiasta. D’altronde ero lì per stare con romeni e non con spagnoli, finlandesi ovenusiani venuti per fare casino in Erasmus. Non mi fraintendete… casino ne volevofare anch’io, ma alla romena… gli erasmus li avevo già frequentati a Padova, la cittàdove studiavo e dove ero il primo borsista della storia di lettere e filosofia a partire perla Romania… Insomma, avevo voglia di immergermi in acque assolutamente inedite.E che meraviglia! All’università erano tutte donne, sembrava che gli uomini fosseroin via d’estinzione come i panda. Frequentai corsi di romeno con una classe che piùvaria non poteva essere: due ceche di Praga, studentesse di lettere che facevano lemodelle per arrotondare quello che gli passavano i genitori, una flautista bulgara,un dandy polacco che studiava arte medievale, una grossa archeologa di Napoli e unlaureando di antropologia di Perugia che stava raccogliendo notizie sul troc (baratto),una pratica contadina della tradizione romena ormai in via d’estinzione. Un’ArmataBrancaleone che decise di viaggiare la Romania ogni weekend cu ocazie, in autostop.Furono settimane di rifugi in montagna, di stalle offerte dai contadini per la notte, dicontadini che ci portavano a colazione mămăliga cu lapte, polenta e latte, di biplania motore che attentarono alle nostre vite… 94
Le difficoltà di trasmissione culturaleQuesta però...Marco Belli: Ah! non ci credete?!Un giorno eravamo in gita per la campagna transilvana quando attraversando uncampo ci accorgemmo che un biplano – tipo Barone Rosso – stava annaffiando il suoterreno con del fertilizzante chimico. Il Barone transilvano, incazzato per la nostraintrusione, ci annaffiò come se fossimo castraveţi, cetrioli, e poi salì in alto...Noi lo guardammo virare incantati – avete presente Benigni nella Voce della Luna diFellini? – il biplano si stava avvicinando pericolosamente e io non ero più Benigni maCary Grant in Intrigo Internazionale di Hitchcock. Non è possibile, non può venirciaddosso – pensammo tutti – qui non siamo mica in un thriller del maestro del brividoe invece sì… ci buttammo a terra appena in tempo e il folle biplano transilvano cipassò a pochi metri dalla testa. Miseria! Aveva ragione la strana signora dell’aeroporto:«Qui tutto è possibile!».È questa l’impressione che hai raccolto anche tu, Teresa?Teresa Rossano: In effetti io posso parlare di Bucarest. La Romania, il resto delpaese, mi è sembrato un’altra cosa. La commistione fra vecchio e nuovo, l’immaginestereotipata di un paese a due velocità ormai ha preso piede pure nei manuali dipronto uso e consumo per i nuovi arrivati nel Far West. Trovi queste approfonditeanalisi sociologiche perfino sulle riviste degli aerei, tradotte pure in inglese. Bucarestviene identificata totalmente con l’ultramoderno che convive con le macerie deivecchi edifici cadenti. Come dire che operai che lavorano in ciabatte di gomma suimpalcature precarie costruiscono uffici per le multinazionali. Questo però non èmolto pittoresco, non se ne parla sulle riviste. Tranne quando ci sono morti, incidentisul lavoro, un tasso fra i più alti d’Europa.Ma comunque non c’è troppo da preoccuparsi, più volte ho sentito imprenditoriitaliani dire che i romeni devono essere educati ma che, «col pugno di ferro», primao poi ci arrivano anche loro. Anzi, il lavoro sporco con le maestranze gli stranieri lofanno fare proprio ai rumeni, molti hanno un vice, a volte detto «il boia», che sioccupa di tutti gli aspetti «spiacevoli» del lavoro. E d’altra parte, a partire dalla miaesperienza, posso dire che anche da parte rumena la durezza non manca.Domanda provocatoria, Teresa: Bucarest come Atene?Teresa Rossano: Eppure per molti aspetti Atene è molto meno europea di Bucarest.Non parlo dei greci che conosco ancora poco, anzi dei neo-greci, visto che la miamente condizionata mi fa vedere Eschilo ad ogni angolo di strada. 95
Viaggi dialogici tra Italia e RomaniaParlo dei rumeni che, a dispetto di tutti i cliché mi sono sembrati lanciatissimi versol’Europa. Anche troppo, per i miei gusti. La voglia di sentirsi europei ad ogni costoemerge in tutti i discorsi sull’economia, sulla società, sulla cultura. Prima l’Italiaera considerata un obiettivo, un target da raggiungere. La diffusione della lingua,lo studio della cultura italiana era coltivato da molti come un interesse personale.Adesso, ho avuto più volte la sensazione che avvicinarsi alla cultura italiana, da partedei più giovani soprattutto, sia considerato un tramite, un elemento di somiglianzalinguistica e culturale che serve da viatico per rivendicare un’appartenenza europea.Essere «latini» aiuta a distinguersi dagli altri, dai turchi e dagli slavi, credo.Quando esci dalla capitale ti viene incontro un mondo molto diverso, che intravedinei grandi viali cittadini solo se stai molto attento. L’impatto è forte. La campagna èdesolata, facile il confronto con l’Italia del secondo dopoguerra.Però, fra le bellissime piccole città, i villaggi, le montagne e il mare della Romania,ognuno ha la sua specificità. Un’ovvietà è vero, ma bisogna rendersene conto quandosi arriva con un’idea bella confezionata di partenza, anche del tutto in buona fede.Un po’ come quando in Italia si parla di «stranieri» o, più politically correct, di«migranti». Questa cosa mi ha sempre fatto arrabbiare, a scuola.Ma come faccio a progettare e pianificare per gli «stranieri» se poi mi trovo davantiragazze e ragazzi di paesi diversi, dell’est europeo, dell’Africa o dell’Asia. Spesso fraloro si odiano pure!Ma poi tu lavori con ragazzi e ragazze...Teresa Rossano: Il mio lavoro l’ho fatto a scuola. Mi sono trovata a fronteggiarel’onda d’urto dei venti antiromeni da sola, in prima linea. Si parlava di romeni e diitaliani invece che di uomini e di donne. Mi sono vergognata della stampa italianama bisogna dire che quella rumena non era da meno. Gli stessi toni, le stesse reazioni,uguali e contrarie.Sono entrata nelle classi sapendo che la cosa peggiore sarebbe statase i ragazzi avessero fatto finta di niente. E loro, invece, volevano sapere da me. Mihanno accolta seri, hanno sfogato la loro rabbia, io ho lasciato fare. Ho capito chedovevo ascoltare. Per un po’. Ho reagito con fermezza quando se la sono presa coni rom. Gli ho detto arrabbiata che se i rom sono delinquenti allora lo sono anche iromeni, come alcuni italiani dicono. Poi ho aggiunto soltanto: io sono qui, mi piacestare con voi, vengo tutti i giorni a scuola volentieri, sicuramente faccio degli errori ea volte non ci capiamo. Però ce la metto tutta e anche voi, lo so. Senza altri discorsi,hanno continuato ad accogliermi con il sorriso tutti i giorni, hanno capito il miodisagio, abbiamo continuato a fare quello che dovevamo fare: studiare, scherzare,entrare in conflitto come si fa tra prof e alunni. 96
Le difficoltà di trasmissione culturaleScrive Andrea Bajani: Era da molto tempo che mi interessavo a quest’Italia di migranti con la ventiquattrore, il computer portatile nello zainetto, e la faccia di chi arriva in un posto per far da padrone. C’era, in quella migrazione al contrario, dal benessere al malessere (o meglio, alla difficoltà della ricostruzione) qualcosa che più di mille discorsi diceva la temperatura morale del paese in cui ero nato e cresciuto.Teresa, tu eri lì, in Romania, mentre qui in Italia imperversava, apparentementesenza via d’uscita in una soluzione pacifica, la campagna anti-romena.Teresa Rossano: Inutile organizzare tavole rotonde e pubblici incontri di scuse,anche se il nostro ambasciatore è stato bravo e pacato. La chiave di tutto è il lavoroquotidiano. Si lavora insieme, così si costruisce. Si persegue un obiettivo comune,i massimi sistemi se li costruiscano altri. Chi lo fa senza troppa pubblicità lo sabenissimo. Se poi i nostri ministri evitassero certe boutade razziste sarebbe meglio, mafrancamente, la cosa ci tocca fino a un certo punto.Ma quando arrivi invece cominci già a fare dei distinguo: fra te e loro certo, perché siè diversi, non c’è che dire. E per fortuna, sennò che ci sono venuta a fare?Le donne per esempio. Molte donne viaggiano su tacchi altissimi, ci vanno in metro,in autobus, ci calpestano i perenni lavori in corso delle strade. Per me sono fuori ditesta, non lo so se ci vogliono sedurre gli uomini, questa visione autocompiacente, giàsentita prima della partenza, mi fa solo arrabbiare. Fatto sta che io giro in scarpe daginnastica e mi ci presento anche a scuola il primo giorno. La cosa non viene moltoapprezzata. L’impatto è durissimo. Mi mettono di fronte ad una serie di decisioni giàprese, io non incido su niente, non posso discutere niente. Cioè, per discutere discuto,ma non ci sarà niente da fare. Mi accorgo subito di una deferenza rigidissima verso lagerarchia, il rispetto ossessivo della formalità nella quale ognuno ricava poi la sua bellanicchia di fancazzismo. Quello che ci vuole per farmi irrigidire di brutto.Col tempo imparo a conoscere i colleghi, devo però liberarmi dell’incazzatura inizialee non è facile. Ci parlo un po’ in italiano e un po’ in inglese ma quando comincio acomunicare anche in romeno in molti si avvicinano ed io divento più disponibile. Sonoimpressionata dalla competitività che mi vedo attorno, ma non so valutare quale sia laposta in gioco. Anche i modi che a me sembrano aggressivi non li so valutare.Almeno capisco che i parametri non possono essere i miei di sempre, visto che ancora delrumeno non conosco neanche le intonazioni. Quindi sospendo il giudizio e comincio afare amicizia con le persone più miti, quelle che non ho mai sentito parlar male degli altrie che sono gentili con gli alunni.Gli alunni... Quando conosco i ragazzi, il mio cuore si apre. 97
Viaggi dialogici tra Italia e RomaniaLoro sì che li riconosco. Sono come tutti i ragazzi del mondo, fanno un gran casino inclasse, non studiano, mettono in atto tutto il repertorio di scuse – internazionali – pernon farsi interrogare. Insomma, mi fanno ridere oltre che farmi faticare come una matta.Dovrei fargli entrare in testa qualcosa di Storia. Ecco, pensavo di andare ad insegnareItaliano e invece mi tocca insegnare Storia e civiltà italiana, in italiano, a ragazzi rumeniche, per la maggior parte, di italiano non ne sanno due parole in croce.Ma poi ce l’hai fatta...Teresa Rossano: Vado a scuola contenta, spesso però sono meno contenta quandoesco. La città è dura. La gente è triste. Gli unici, appunto, sono i ragazzi che si amanoe si baciano e ascoltano gli iPod nella metro, isolati da tutto. Per fortuna che sto inzona universitaria. C’è di tutto, ma soprattutto ragazzi.Ci sono anche tanti senza casa, non so se è vero, ma qui mi sembrano ancora piùmiseri. La gente passa e non li sfiora di uno sguardo. Ai poveri, invece, ho visto gentemal vestita fare l’elemosina e dire parole di conforto. Si vede che c’è una gerarchiasulla base dell’esclusione sociale. Pure questo mi scandalizza, a me, italiana, abituata achissà quale pietosa attenzione democratica.Vedo spesso bambini di strada. Non sono quelli che ti trovi davanti nelle strade delcentro cittadino, capita che giri l’angolo di una strada elegante e ce n’è una fangosa eloro giocano cenciosi. No, quegli altri non giocano, si sniffano la colla nella stazionedella metro. C’è una ragazzina con gli occhi da cerbiatta. È così, nonostante tutto,nonostante la disperazione. Il naso è tutto bruciato, pieno di croste. Le piaccionole arance e le chiede sempre alle signore con le sporte della spesa. Un giorno, che èfreddo freddo fuori, sulle scale del metrò li fanno stare un pochino più in basso. Lei èseduta e mentre io arrivo, da lontano, una signora si china e le parla all’orecchio, condolcezza. Vedo i suoi occhi farsi liquidi mentre io vado in fretta verso casa.Con i ragazzi ci esco, ci rido, mi diverto. Anche adesso continuiamo a scriverci. Miraccontano i loro problemi che non sono molto diversi da quelli dei ragazzi italianie greci. Diventano diversi solo quando arrivano in Italia da «immigrati» quando noncapiscono la lingua e scoprono di essere solo «Romeni». Non a tutti interessa sapere cosac’è dietro a questo, è sufficiente la provenienza, a dirci tutto di chi abbiamo davanti.Fra i miei problemi di sopravvivenza quotidiani, insieme a dove andare a fare la spesae l’allaccio ad internet, c’è la continua ricerca di espedienti per oltrepassare il murolinguistico e veicolare qualche contenuto, almeno qualcuno. Me le invento tutte,mobilito tutte le mie risorse professionali ma anche personali, compilo lessici, schemialla lavagna, invio appunti via mail. Ma spesso le mie lezioni diventano sceneggiate,l’importante è che il concetto arrivi. Finisce che iniziamo a farci ridere reciprocamentee questo mi riempie di soddisfazione soprattutto quando vedo che, ridendo, si 98
Le difficoltà di trasmissione culturalebuttano sotto il banco dove sono accatastati zaini e cappotti e mi spiegano la guerradi posizione.Italiani e romeni oltre le guerre di posizione?Anna Carrozzo: Io, leggendo, ho scoperto la Romania esotica e stereotipata delconte Dracula e quella irresistibile perché frammentaria, come la realtà della civiltàodierna, degli aforismi di Emil Cioran. Ho trovato, in alcune letture, la Romaniapoetica e quella drammatica, quella ripudiata e quella da riconquistare nellamemoria e nella vita di ogni giorno.Molto spesso, ai giorni nostri, veniamo bombardati da campagne mediatichedenigratorie che hanno per soggetto/oggetto dello scontro proprio i Romeni, capriespiatori sui quali spostare la paura che dilaga in seguito a sporadici episodi di cronacanera e a causa dell’uso politico del ben noto «problema sicurezza».Un modo sbagliato di fare informazione può alimentare i pregiudizi e precludercila conoscenza reale dell’altro. A questo bisogna reagire osservando meglio la realtà,decentrando i nostri punti di riferimento e raffrontandoli con quelli degli altri,cercando di conoscerli meglio per capire anche noi stessi.Marco Belli: Non potrò mai dimenticare la mia esperienza come naş (padrino, ovverotestimone di nozze) nel 2002 in un paesino sperduto del Maramureş, Ungureni, almatrimonio di Mihai, quel grosso omone con cui avevo vissuto tre magnifici mesi aCluj e a cui ho insegnato a fare gli spaghetti alla carbonara; ne rimase così entusiastache per due settimane non si mangiò altro. A Ungureni uscii vivo dalla celebrazione edai festeggiamenti di un matrimonio ortodosso durati due giorni. I vari saltimbanchi eattori della cerimonia, nel giorno del grande passo per Mihai e Simona, mi ubriacaronoa dovere già dalle 8 di mattina con la ţuică – un distillato di prugne – a 75 gradi.Due giorni tra balli e banchetti scatenati, cerimonie religiose e segni della croce fattial contrario che hanno fatto gridare al sacrilegio del demone italiano. Un’esperienzaprofonda ed esaltante di cui ringrazierò a vita Mihai, «mio demone delle uova».Teresa Rossano: In primis, alla base degli accordi bilaterali che danno luogo adesempio alla presenza di insegnanti italiani in scuole e università rumene, c’è larichiesta di personale preparato da impiegare nelle numerose imprese italiane presentisul territorio. Finora con l’italiano si riusciva a trovare da lavorare abbastanza bene.Le mie alunne però mi hanno raccontato che negli ultimi anni molte di loro hannodovuto accettare di lavorare nei call center con paghe da fame. Quando chiamiamodall’Italia, spesso ci rispondono con un leggero accento rumeno. Basta farci caso.Altrettanto efficace ma molto più economico. 99
Viaggi dialogici tra Italia e RomaniaLa delocalizzazione è iniziata da parecchio, con i servizi per esempio. Non solo con ilwelfare affidato alle badanti che affollano i voli continui con l’Italia. I ragazzi lo sannoma lo considerano un prezzo da pagare.Molti di loro però si impegnano moltissimo per farcela bene, per realizzare i lorosogni. Studiano due o tre lingue tanto per cominciare. Mica come gli italiani chesanno poco anche l’inglese ma si sentono depositari della cultura universale. Tipicisintomi di una civiltà in piena decadenza.Negli scambi culturali che abbiamo organizzato fra Bucarest e Palermo, negliincontri con i ragazzi bolognesi, le osservazioni più frequenti che mi venivano fattesottovoce dagli italiani erano che ‘sti rumeni però erano bravi, preparati, «moderni».Sorprendente. Sorprendente anche per quegli italiani che vivono a Bucarest in regimedi apartheid. Non tutti ovviamente.Ho visto italiani che lavorano in organizzazioni di base, nel sociale in primo luogo,con i bambini di strada. Parada per esempio, il cui presidente in Romania è uncalabrese delle mie parti. Uno dei motivi per cui mi dispiace di non essere rimasta,insieme ai miei alunni, è il lavoro di queste persone, al quale mi sarei unita. C’erala sopravvivenza quotidiana da affrontare ma mi rendo conto che ho anche avutobisogno di tempo per orientarmi, ho dovuto ascoltare, capire, anche me stessa. Hoavuto reazioni che non immaginavo. Non è facile trovarsi davanti a cose di noi stessiche non ci piacciono.Scrive Andrea Bajani nella postfazione: Ho visto all’opera il più elementare colonialismo economico, con tutto l’armamentario di retoriche e pratiche paternalistiche.Del razzismo di alcuni italiani sappiamo ormai abbastanza, anche perché molti nonfanno nulla per nasconderlo. Ed il razzismo dei romeni?Teresa Rossano: In quanto a razzismo però bisogna dire che a Bucarest ne ho trovatoun bel po’. Verso i rom naturalmente. Che sono odiati molto più che da noi. Lorodicono che è a causa della politica di Ceauşescu che avrebbe concesso incredibiliprivilegi ma le spiegazioni troppo semplicistiche non spiegano niente, si sa. Fatto stache l’avversione verso i rom l’ho trovata in tante persone, assolutamente trasversalea tutte le mentalità, anche le più progressiste. Un’insegnante molto intelligente esimpatica, dopo aver assistito al racconto di un rom in occasione del giorno dellamemoria, è sbottata dicendo che mai e poi mai si può pretendere che si chieda scusaaddirittura ai rom. 100
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