Postfazione Postfazione Il viaggio, fra stereotipi, pregiudizi e scoperte di solidarietà di Antonio GenoveseI viaggi cominciano in tanti modi: spesso, dalle fantasie che ci si fa sul mondo esugli altri, su persone, popoli e luoghi; alle volte, dai libri e/o da racconti da cuiarriva qualche suggestione che si stampa nella mente; oppure da immagini vistenei mass media, dalle sollecitazioni degli amici, dai resoconti di chi ha vissuto inun certo paese... Quelli più «normali» nascono in qualche agenzia turistica o dacataloghi patinati, o dalla navigazione in Internet. Il mio viaggio verso la conoscenzadella Romania, invece, è cominciato in un’aula universitaria, nelle lezioni di laureamagistrale che tenevo alcuni mesi fa nella Facoltà di Scienze della formazionedell’Alma Mater - Università di Bologna. In quella facoltà, insegno Pedagogiainterculturale e, frequentemente, affronto tematiche e problemi legati alle diverseculture e ai possibili incontri culturali. Fra i tanti studenti interessati ai temi chetrattavamo – e lo dico con un po’ di orgoglio professionale per essere riuscito inalcuni casi a trasmettere un certo interesse intellettuale per le altre culture – ce n’erauno particolarmente attivo e alle volte anche un po’ critico nei miei confronti. Poi, hoscoperto che si trattava del Presidente della (allora) neonata associazione Turisti nona caso, Joy Betti. Dall’incontro in quelle lezioni, Joy Betti e alcuni altri componentidell’associazione hanno cercato di farmi capire e anche partecipare alle loro attività;penso ne abbiano fatto quasi una questione d’onore: io dovevo capire – e apprezzare– il loro impegno e il loro spirito di avventura non tanto turistica, quanto soprattuttointellettuale e culturale! Da lì in avanti si è svolto un vero e proprio assedio: per laverità era accerchiamento simpatico, perfino affettuoso, ma molto interessato ad unconfronto approfondito di idee (in cui hanno, qualche volta, perfino accettato e presoin considerazione le mie critiche!). E così, un po’ alla volta – e non sempre in manierasufficientemente chiara – mi hanno presentato le loro esperienze e di quelle vorrei,brevemente, fare un’analisi non superficiale e una lettura critica. Parto con l’esaminareun po’ più da vicino la loro idea di «turismo dinamico».In effetti, questa piccola associazione ha maturato un’idea di attività turisticasicuramente singolare e, a mio parere, anche appropriata alle dinamiche culturali e 153
Viaggi dialogici tra Italia e Romaniaagli incontri/scontri che si sviluppano, nel nostro tempo, fra paesi, popoli e gruppidiversi. Certo, da più parti si sostiene la necessità di migliorare la conoscenza reciprocafra popoli e culture diverse, e da più parti si pensa anche che viaggiando ci si possaavvicinare all’altro, apprezzarne la cultura, le tradizioni, l’ambiente fisico e sociale. Maoramai anni di esperienze in questa direzione hanno messo in evidenza come il giroturistico in altri contesti, lasci poco, se non qualche immagine esotica, spesso moltidanni ecologici nei paesi visitati, e lo sviluppo di un circuito che tende a consumareterritorio e risorse in molti casi non rinnovabili.L’esperienza di Turisti non a caso, al contrario, tenta di partire proprio dal versantedella reciprocità e dalla solidarietà, con la voglia di conoscere l’altro in profondità,con la sua rete di relazioni, ma anche con la disponibilità a farsi coinvolgere e amettersi in condizione di essere, a sua volta, conosciuto. Questo «anomalo» viaggio diconoscenza poggia sull’ipotesi di fondo che se uomini e donne si avvicinano ad altriuomini e donne, con l’intenzione di guardarsi reciprocamente dentro e intorno, se c’èun’attenzione critica a vedersi come soggetti, allora si possono costruire legami chehanno la forza di andare al di là della semplice tolleranza reciproca e sono in grado dipuntare ad un riconoscimento reciproco che nasce dal basso.Con Turisti non a caso non si parte per un viaggio dopo una più o meno rapida oapprofondita lettura di varie guide e di materiali turistici; prima di tutto si coltivanointeressi culturali e sociali relativi al paese da visitare, poi si analizzano in gruppoproblemi comuni o specifici, s’individuano figure e luoghi significativi, e infines’identificano itinerari di qualità che devono avere valore culturale e, soprattutto,sociale. Percorsi che possano permettere di cogliere atteggiamenti e comportamentidella quotidianità, che puntino alla conoscenza reciproca di persone in carne e ossa,ad esperienze culturali rilevanti, a trasformazioni nelle relazioni sociali in sensoumanitario, in accordo con le prospettive dei diritti umani.Il viaggio dei Turisti non a caso implica non solo un’accurata preparazione, maprevede un’andata e un ritorno in reciprocità: un gruppo di giovani italiani va inRomania, vive un’esperienza di vita immergendosi, nei limiti del viaggio, nella realtàsociale e culturale di quel paese, ha contatti con persone, organizzazioni, associazioni,significative. Il ritorno, in questa prospettiva, implica che il viaggio non sia conclusocon il rientro a casa, anche se è pieno di interrogativi, emozioni e di qualche conoscenza,anche di persone. Il viaggio culturale continua in una specie di restituzione: così comealcuni giovani italiani sono andati in Romania, allo stesso modo un gruppo di giovanirumeni, con cui si è in precedenza entrati in contatto nella loro realtà, viene in Italiaove farà un’analoga esperienza di vita.Questo percorso, culturalmente ed emotivamente significativo, però, si fa caricoanche delle contraddizioni e dei conflitti culturali che nascono da questi incontri siaquando essi sono intenzionali, sia quando sono spontanei: imbattersi in stereotipi e 154
Postfazionepregiudizi fa parte delle «sorprese» di questo viaggio particolare. Anzi, in un certosenso, far emergere e rendere visibili – ma anche «gestibili» – i conflitti e ciò che staalla loro radice - appunto: stereotipi e pregiudizi - fa parte integrante degli obiettivi delviaggio «dinamico»: è alla realtà umana che dobbiamo rivolgere la nostra attenzionedi viaggiatori «non a caso», mettendo in atto una nuova – o ritrovata? – capacità dinuotare nella liquidità della società globalizzata.Questo incontro con il pregiudizio è ben dimostrato dal racconto di Giulia, una delleragazze che ha partecipato al viaggio, la quale racconta che, all’arrivo in una piccolacittà rumena, avendo parcheggiato il furgone davanti ad una villetta, si sono sentitiapostrofare in malo modo: urlandoci in rumeno, ci ha fatto capire che non potevamo parcheggiare di fronte a casa sua e che soprattutto temeva che alcuni di noi fossero dei gipsy (gli zingari, che vengono chiamati gipsy o indo-rom, non sono sopportati dai rumeni). L’aggressività con cui si è rivolta a noi, il figlio che ha minacciato di investirmi, venendomi contro a tutto gas con la sua auto e che, uscito dalla macchina, non mi ha nemmeno guardata in faccia... insomma, capirete il mio sconcerto, misto di paura e di disagio, per un tono molto aggressivo che non aveva apparentemente motivo di esistere, anche se, col senno di poi, abbiamo pensato che mi avessero scambiata per una gipsy. 1Stereotipi e pregiudizi fanno davvero parte del bagaglio di qualsiasi viaggiatore e,spesso, si materializzano finanche in scene del quotidiano. Ma che cos’è il pregiudizio?Proviamo a fare un breve viaggio al suo interno: Gordon W. Allport, nel suo importantee noto saggio su La natura del pregiudizio 2, considera il pregiudizio come una formadel pensiero, presente in tutti gli individui e da tutti utilizzata molto spesso, chetuttavia, benché non sia fondata su dati obiettivi, né sull’esperienza diretta, arriva allaformulazione del giudizio sulla base di valutazioni che sono fondamentalmente dinatura emotiva.Per approfondire la conoscenza del pregiudizio 3 è opportuno riferirsi a Pierre AndréTaguieff che è autore di un importante studio sul razzismo e l’antirazzismo dal titolosignificativo La forza del pregiudizio. Saggi sul razzismo e sull’antirazzismo 4.Taguieff indica il pregiudizio come «un’opinione preconcetta, socialmente appresa,condivisa dai membri di un gruppo, sfavorevole, o persino ostile, rivolta contro adeterminati individui e/o gruppi che vengono etichettati a partire da una “credenzarigida” fondata sulla generalizzazione e l’attribuzione di tratti stereotipati a diversigruppi umani (razze, etnie, nazioni, ecc.).» 5 I pregiudizi sono dei veri e propri giudizidogmatici che, molto spesso, resistono alle più diverse forme di messa in discussione;essi sono il risultato di acquisizioni cognitive per lo più inconsapevoli, rafforzate elegittimate dall’ambiente sociale, familiare e amicale. 155
Viaggi dialogici tra Italia e RomaniaIl pregiudizio ha una natura soggettiva e, allo stesso tempo, sociale: il pregiudiziosociale, infatti, nasce spesso dalla paura che i propri interessi e i propri spazi possanoessere minacciati dall’altro. In questo senso esso è uno scudo verso l’esterno, una difesaverso gli «altri», che si trasforma in strumento per riaffermare e meglio difenderei propri privilegi e i propri spazi. Però, il pregiudizio è anche un mezzo utile allapropria socializzazione che permette di diventare parte di un gruppo: si accettanoacriticamente le idee del gruppo, per partecipare alla cultura identitaria propria diquel gruppo, per essere pienamente accettati da quel contesto.Il pregiudizio è strettamente connesso con lo stereotipo che viene, in genere,considerato come il nucleo cognitivo del pregiudizio stesso, la base ideologicasu cui si fonda, e trova la propria verità il contenuto affermato nel pregiudizio: lesupposte verità contenute nello stereotipo, attraverso il pregiudizio, si diffondono,si generalizzano e si stabilizzano. Infatti, lo stereotipo è un’idea fissa, rigida, associatain modo indissolubile ad una categoria; per esempio, la pigrizia è associata ai «neri»,l’avarizia e l’avidità agli «ebrei», la violenza agli «arabi» (possiamo anche aggiungereche, come mette bene in evidenza l’articolo di Gabriela Pentelescu, in Italia spesso laviolenza è anche associata ai «rumeni»).Lo stereotipo è, dunque, un modo di categorizzare l’altro in maniera rigida epersistente – una modalità che resiste ai tentativi di cambiamento dell’immagine –che tende ad aumentare le differenze tra il proprio gruppo di appartenenza e gli altrigruppi e a legittimare la reciproca paura.6Lo stereotipo disegna il profilo e traccia i segni caratteristici della categoria discriminata(come abbiamo visto: «arabi» uguale a violenza; «ebrei» uguale a cupidigia; «neri» apigrizia; ma anche «zingari» a furto; «italiani» a mafia; «donna» a fragilità; e così via).Lo stereotipo costruisce, per così dire, l’immagine di famiglia di determinati gruppietnici e/o sociali e attribuisce loro – in maniera indelebile – una qualità negativa.Il pregiudizio ascrive e allarga – attraverso il meccanismo della generalizzazione– quell’immagine stereotipata a tutti i soggetti appartenenti a quella categoria.Se ho nella mia mente l’immagine stereotipata di un arabo, appena ne vedo o neincontro uno, lo includo inconsapevolmente in quella categoria. «È un violento»,indipendentemente da chi effettivamente sia quel determinato soggetto, da qualisiano le sue caratteristiche e le sue qualità, da quale sia la mia reale conoscenza diquella persona. Così se incontro un nero, senza alcun dubbio, «è un pigro»; se vedoun ebreo, «è un avido»; se m’imbatto in uno zingaro si tratta sicuramente di «unladro»; se in Italia incontro un rumeno, è certamente un «individuo pericoloso eviolento»; allo stesso modo, se un europeo incontra un italiano che lavora nel suopaese lo immagina come un «mafioso» o lo chiama «maccheroni»!Inoltre, stereotipi e pregiudizi insieme – attraverso la loro duplice azione di esclusione 156
Postfazione(effetto di contrasto verso l’altro, il diverso) e di inclusione (effetto di assimilazioneverso il proprio gruppo) – tendono, da un lato, a gratificare l’individuo e a legittimarei suoi comportamenti nei rapporti includendolo nel gruppo; dall’altra parte e nellostesso tempo, costruiscono forti contrapposizioni negative nelle relazioni con l’altro,escludendo ciò che è conosciuto solo attraverso quelle immagini rigide, che nonlasciano spazio né alle differenze, né alla specificità dell’altro soggetto umano.Nelle pagine precedenti, Gabriela Pentelescu nel suo saggio Pregiudizi e stereotipisui romeni 7 mette bene in evidenza come una comunità, che in Italia supera ormaiun milione e duecentomila presenze, sia oggetto continuo di pregiudizi alimentatiin particolare dal modo in cui questo gruppo di immigrati «comunitari» vienerappresentato dai mass media italiani. Gabriella ha proposto di fare un piccolo, masignificativo esperimento: scrivere su Google news la parola romeno e il risultato èuna serie davvero numerosa di «cattive» notizie relative a fatti avvenuti in Italia chehanno come protagonista un rumeno. Quasi mai viene fatto notare che, sovente,vittima e aggressore sono della stessa nazionalità: un’omissione che arriva quasi asovrapporre l’immagine stereotipata di «violento», tanto all’aggressore, quanto allavittima. E se poi nelle risse o nelle violenze sono coinvolti anche degli italiani, la loropresenza è molto spesso sfumata, collocata nello sfondo, quasi sempre vittime, quasimai aggressori. Se gli italiani aggrediscono, è ovvio, lo fanno sempre per reazione o perrispondere a provocazioni violente oppure a soprusi.I pregiudizi contribuiscono in maniera consistente – forse finanche decisiva – acostruire la realtà attraverso la diffusione d’immagini semplificate: rumeno – nellarappresentazione della realtà sociale italiana costruita negli ultimi anni a seguitodell’aumento dei flussi migratori – significa violenza e delinquenza. Eppure i datidel Dossier Caritas Migrantes del 2010, presentati nel saggio di Renato Marinaro eFranco Pittau 8, a proposito del rapporto fra stranieri e criminalità, confermano cheil nesso è prevalentemente contenuto nella percezione che ci facciamo dei fatti reali,piuttosto che nella realtà. Dai dati riportati nell’articolo 9, emerge, per esempio, chenon esiste alcun nessun nesso tra l’aumento del numero degli stranieri e l’incrementodelle denunce (vale a dire che l’equazione «più immigrazione più criminalità», piùvolte utilizzata a fini di propaganda politica in questi anni, non è affatto vera!): tra il2007 e il 2009 calano del 13,5% le denunce nei confronti degli immigrati regolarie irregolari, mentre nello stesso triennio gli stranieri residenti, cioè soltanto quellicon regolare permesso di soggiorno, crescono del 25%. Se ai dati relativi ai regolari,si aggiunge che tutte le stime fatte sugli irregolari parlano di una loro consistentecrescita, si comprende che la correlazione fra denunce per attività illegali di stranieri el’aumento della loro presenza e ancora più debole. 157
Viaggi dialogici tra Italia e RomaniaCome sottolineato anche nelle pagine precedenti, è da segnalare il caso dei rumeni:«In particolare, è vero che per i romeni le denunce nel periodo 2005-2008 sonoaumentate del 32% (da 31.405 a 47.234) ma la popolazione romena i è quasitriplicata (da 297.570 a 796.477), così che a fronte di un’incidenza del 24,9% suiresidenti corrisponde la quota del 13,8% sulle denunce.» 10Ma, in questo gioco degli specchi – reciproco – in cui ognuno vede e mette inrilievo i pregiudizi degli altri, forse può essere interessante sapere come gli stranieriresidenti in Italia percepiscono noi italiani, la nostra cultura, le nostre tradizioni e icomportamenti più quotidiani. Da un’interessante ricerca 11 svolta a Roma negli anni’90, condotta su immigrati di diversa provenienza, emergeva un ritratto dell’italianobasato su vari tipi di pregiudizi: secondo quelli postivi, l’italiano è ingegnoso, allegro,estroverso; sa adattarsi, sa vivere senza farsi troppe domande; ma è anche superficiale,curioso, disponibile senza, però, prendere soverchi impegni. Poi, arrivano anche i trattinegativi: l’italiano non si assume alcuna responsabilità; non ama i coinvolgimentieccessivi; è cordiale, ma semplifica esageratamente le cose. Alcuni aspetti sono ritenutiparticolarmente negativi: gli italiani non rispettano gli anziani, anzi la famiglia liabbandona, cinicamente, ad un amaro destino e ad un’esistenza in solitudine.In questa ricerca la famiglia italiana è, spesso, vista come un nucleo chiuso di affetti einteressi, senza alcuna apertura verso l’esterno, il che comporta anche un’educazionesbagliata: i figli sono molto viziati e crescono senza responsabilizzarsi né nel nucleofamiliare, né all’esterno di esso. Fra gli stranieri di religione musulmana, il giudizionegativo sulla famiglia italiana si aggrava: i ragazzi e le ragazze hanno troppa libertà;le donne stanno fuori casa oltre misura; nell’educazione dei figli vengono trasmessivalori fondati sull’egoismo e l’individualismo; in esse manca il dovuto rispetto versola figura paterna.Analoghe valutazioni potrebbero essere rivolte, e spesso lo sono, anche ad altri gruppidi maggioranza, ai gruppi che costituiscono l’ossatura della società nella quale ci siè trasferiti o si è stati costretti a trasferirsi: com’è possibile intuire, i pregiudizi siaggregano, si sommano fra loro fino a formare un quadro completo della condizionedell’altro, una rappresentazione a tutto tondo.Catene di stereotipi che alimentano pregiudizi che a loro volta possono produrreconflitti, esclusioni, discriminazioni, scontri e violenze: i rumeni manifestano pesantipregiudizi nei confronti dei rom, i rom diffidano dei gagè, gli italiani discriminanoi rumeni, i rumeni considerano gli italiani mafiosi e donnaioli: tutti viviamo in unmondo d’immagini rigide e difficilmente modificabili, prodotte dalla paura di essereaggrediti e di perdere le posizioni conquistate e che ognuno, dalla propria fortezza,ritiene gli appartengano di diritto! 158
PostfazioneAttraverso questa perversa e triste catena di discriminazioni reciproche, gli stereotipiei pregiudizi possono facilmente aprire la strada al razzismo.Secondo Albert Memmi 12, un importante sociologo francese, il razzismo costruisce,per sé e per il proprio gruppo, l’universo del bene; l’altro, anche nel caso sia unavittima, deve necessariamente appartenere all’universo del male. Fabbricato questouniverso dicotomizzato e antagonista, in cui l’altrui territorio sociale e culturale èpieno di senso negativo, ne consegue che il razzista deve proteggersi da quel male cheegli stesso ha materializzato e deve difendere quelli che appartengono al suo gruppoda quel «male», in altre parole dall’aggressione degli altri; quindi, deve essere in gradodi attaccare per primo. «Il razzista è un uomo che ha paura – scrive Memmi – cheha paura perché aggredisce e che aggredisce perché ha paura. Che ha paura di essereaggredito o che ha paura perché si crede aggredito, e che pertanto aggredisce peresorcizzare la paura.» 13 In questo modo, il razzista trova la strada per giustificare lapropria aggressività e per legittimare, grazie soprattutto all’approvazione sociale o delgruppo, anche l’uso della violenza. «Spinto dalla paura verso l’aggressione, il razzistapunta a realizzare la finalità principale del razzismo stesso che è la dominanza, cioèl’esercizio del potere totale nei confronti dell’altro e della diversità.»14È possibile contenere i pregiudizi, limitarne la portata o almeno ridurre il loro potenzialediscriminatorio e la loro carica distruttiva che si materializza quando il pregiudizioapre la strada al pensiero e alle azioni razziste? Se sì, come dare avvio e sostegno ad unacomunicazione, fra soggetti e gruppi diversi, più corretta e, soprattutto, amichevolee nonviolenta in un contesto multiculturale com’è quello nel quale oggi viviamo eoperiamo, non soltanto in Italia e in Europa?Dal punto di vista pedagogico è possibile ipotizzare linee d’intervento e di contrastounitamente ad azioni efficaci a patto, però, di collocare gli incontri multiculturalie i processi comunicativi che ne derivano in uno sfondo in cui tutte le diverseagenzie educative – intenzionali o no – e quelle socializzanti siano consapevoli dellacomplessità degli scenari globali e della precarietà degli equilibri che li dominano.Le diverse agenzie – in particolare, mass media, politica e scuola – devono esserechiamate, innanzitutto, ad operare in maniera da «raffreddare» le tensioni socialiche sono determinate dalle trasformazioni multiculturali che ci trasportano, tutti, indimensioni di vita completamente nuove e che possono far emergere quella sommersapaura dell’altro, dello straniero, che si cela nel profondo di ciascun individuo. A questecondizioni si possono sviluppare relazioni umane meno distorte, pacifiche ed efficacioperando in direzione di interculturalità, vale a dire costruendo legami positivi fra gliuomini e creando maggiori opportunità di comprensione reciproca.Un indirizzo di lavoro possibile, comune a molte tipologie d’intervento, è ildecentramento culturale, cioè la capacità di effettuare dislocazioni culturali diverse da 159
Viaggi dialogici tra Italia e Romaniaquelle solite e rassicuranti. Come? Mettendosi al posto degli altri per capire le diverserealtà; stando nel conflitto senza trasformarlo in scontro; collocandosi su un pianodi reciprocità che permetta di cogliere i valori dell’altro, senza esprimere giudizi disuperiorità o di rifiuto aprioristico.Detto in termini pedagogici – che molto spesso appaiono noiosi e pedanti, tuttavia,a mio parere, hanno la potenzialità di indicare degli obiettivi di futuro, di guardaread uno scenario possibile! – occorre contribuire alla costruzione di identità culturaliaperte al pluralismo, capaci di orientarsi in un ambiente multiculturale com’è quellocontemporaneo, e allo stesso tempo in grado di scoprire che anche la nostra cultura– sia quella alta, sia quella quotidiana – e la nostra quotidianità di vita e di relazionisi presentano, come quelle degli altri, estremamente diversificate al loro interno:differenze fra maschi e femmine, fra nord e sud, differenze nel cibo, nei gusti, nellescelte politiche e culturali, negli orientamenti religiosi, ecc.Da questo punto di vista e in questo quadro di riferimento, possono anche esserecollocate e interpretate esperienze come quelle messe in atto da Turisti non a caso. Ilviaggio di turismo dinamico può riuscire – se si generalizzano queste esperienze, e se aloro volta esse ne partoriscono altre analoghe e, magari, più vitali – ad incrementare,partendo dal basso, una cultura solidale e di pace che aiuta gli individui a vivere ledifferenze fra i soggetti e le culture, a valorizzare la pluralità delle idee e ad apprezzarela diversità dei contesti. Nel viaggio – se orientato verso un incontro fra uomini edonne con uguaglianza di diritti e doveri – non si materializzano soltanto stereotipi epregiudizi; spesso, si può far conoscenza della bellezza ambientale e sociale, e si scoprecosì il fascino delle rispettive culture, delle emozioni che si generano nei rapportiumani sviluppati in altri ambienti, si vedono altri volti e si trova la profondità dei lorosguardi nonché le sorprese che nascono dagli approcci personali.Certo non è il viaggio da solo, comunque orientato, che può far conoscere la positivitàdei legami sociali e il valore implicito nell’esperire l’alterità: ma esso può essere unodegli strumenti che, inserito in una cultura di relazioni ecologiche, insieme a tantialtri tipi di esperienze solidali possono aiutarci ad umanizzare l’altro e a darci il piaceredell’avventura della conoscenza. 160
PostfazioneNote1. Si veda il diario Quando viaggiare apre gli occhi nel paragrafo Diari emozionali e fotografie. Il viaggio inRomania nell’estate 2009 e 2010, a p. 122 di questo volume.2. Si veda Allport (1973).3. Si veda Genovese (2003).4. Si veda Tanguieff (1994).5. Cfr. Taguieff (1999): pp.115-118.6. «Il processo di categorizzazione stereotipante implica, da una parte, un’accentuazione delle differenze tra ilgruppo di appartenenza e gli altri gruppi (effetto di contrasto), e, dall’altra, un’accentuazione delle somiglianzesia all’interno del gruppo di appartenenza che all’interno degli altri gruppi (effetto di assimilazione)». (Taguieff(1999): pp.117-118.)7. Si veda il paragrafo di G. Pentelescu, Pregiudizi e stereotipi sui romeni, a p. 33.8. Si veda Marinaro e Pittau (2010)9. Cfr. Marinaro e Pittau (2010): p. 215-21610. Cfr. Marinaro e Pittau (2010): p. 21811. Si veda Delle donne (1994). La ricerca è stata condotta su 210 soggetti stranieri residenti a Roma, cheavevano fatto esperienze anche di qualche città del nord.12. Cfr. Memmi (1989): pp. 70-8513. Cfr. Memmi (1989): p. 7114. Cfr. Genovese (2003): p. 9BibliografiaAllport G. W., 1973, La natura del pregiudizio, Firenze, La Nuova ItaliaDelle donne M., 1994, Lo specchio del “non sé”. Chi siamo, come siamo nel giudizio dell’Altro, Napoli, LiguoriGenovese A., 2003, Per una pedagogia interculturale. Dalla stereotipia dei pregiudizi all’impegno dell’incontro,Bologna, BUP.Marinaro R., Pittau F., 2010, «Stranieri in Italia: criminalità vera e criminalità percepita» in Caritas/Migrantes, Immigrazione. XX Rapporto. Dossier statistico 2010, Roma, Idos.Memmi A., 1989, Il razzismo. Paura dell’altro e diritti della differenza, Genova, Costa & Nolan.Taguieff P. A., 1994, La forza del pregiudizio. Saggi sul razzismo e sull’antirazzismo, Bologna, il Mulino.Taguieff P. A., 1999, Il razzismo. Pregiudizi, teorie, comportamenti, Milano, R.Cortina. 161
Viaggi dialogici tra Italia e Romania Note biografiche agli autoriJoy Laureato in Scienze Politiche è iscritto alla Laurea Specialistica in PedagogiaBetti presso la Facoltà di Scienze della Formazione di Bologna. Dal 2001 lavora nelCristina sociale e nella cooperazione internazionale. È presidente della associazioneBeZZI «Turisti Non a Caso». Nel 2011 ha vinto la borsa di ricerca La percezione deiMihai Mircea diritti Umani in India dell’Università di Bologna. Ha dato un suo contributo nelButcovan libro Fuori dal silenzio. Volti e pensieri dei figli dell’immigrazione di F. Filippini,Chiara A. Genovese e F. Zannoni (2010). È anche fondatore della organizzazioneCipollari internazionale GreenFarmMovement, di cui attualmente è il direttore. Si occupa di ricerca etnografica in Romania dall 1999, come membro della Missione Etnoloigca Italiana in Romania. Nel 2009 ha conseguito presso l’Università degli studi di Siena il dottorato in Metodologie della Ricerca Etno-Antropologica. È interessata principalmente a questioni relative all’antropologia dell’infanzia nel cui ambito si è specializzata con un Master alla Brunel University di Londra in «Social Anthropology of childhood». Attualmente collabora come ricercatrice con Osservatorio Balcani e Caucaso, occupandosi di welfare trasnazionale tra Romania e Italia, conducendo ricerca su questioni relative al care drain, interessandosi principalmente alle donne che lavorano come assistenti domestiche e ai children and elder left behind. Nato nel 1969 a Oradea, in Transilvania, Romania. In Italia dal 1991, vive a Sesto San Giovanni e lavora a Milano come educatore professionale. Narratore e poeta, ha pubblicato il romanzo Allunaggio di un immigrato innamorato (Besa 2006). Con la raccolta di poesie Borgo Farfalla (Eks&Tra 2006) ha vinto, nel 2006, la XII edizione del Premio Eks&Tra. Nel 2009 ha pubblicato Dal comunismo al consumismo, fotosafari poetico esistenziale romeno-italiano, raccolta di poesie corredate dalle fotografie di Marco Belli (Linea BN edizioni). È membro del comitato editoriale della rivista El-Ghibli. Collabora con varie riviste e giornali, tra cui Internazionale, il manifesto e Caposud. Docente a contratto di Antropologia del Turismo presso la facoltà di Lettere e Filosofia nel corso di Laurea Magistrale in Scienze antropologiche dell’Università di Perugia. Ha conseguito il dottorato di ricerca in Scienze demo-etnoantropologiche presso l’Università di Siena. Ha svolto ricerche sul campo ad Hong Kong, in Romania e in Italia in particolare sui temi dello sviluppo turistico, delle trasformazioni delle aree rurali e delle feste popolari. Ha pubblicato su questi temi numerosi saggi in italiano e in inglese ed è curatrice del volume Scenari turistici (CISU, 2009). 162
Note biografiche agli autoriAntonio Professore odinario di Pedagogia interculturale nella facoltà di ScienzeGENOVESE della Formazione dell’Università di Bologna. Si occupa di interculturalià, porcessi migratori e ripercussioni sui fatti educativi e sociali. Tra i suoi saggi ricordiamo Impegno e conflitto. Saggi di pedagogia problematicista (insieme a M. Contini, 1997), Per una pedagogia interculturale. Dalla stereotipia dei pregiudizi all’impegno dell’incontro (2003); ha curato Intercultura e nonviolenza. Possibili strade di pace (2008) e Fuori dal silenzio. Volti e pensieri dei figli dell’immigrazione (2010).Gabriela Giornalista, è nata in Romania e vive a Napoli dal 2002, dove è iscrittaPentelescu all’Ordine dei giornalisti della Campania. È uno dei membri fondatori dell’ANSI – Associazione Nazionale Stampa Interculturale, un gruppo di specializzazione all’interno della Federazione nazionale della stampa italiana. Collabora con la Radio nazionale romena (Radio Romania Actualitati) e con testate italiane e romene. Ha collaborato con www.ilpassaporto.it e Metropoli – il giornale dell’Italia multietnica, l’insert del quotidiano La Repubblica.Patrizio Nato a Mantova, ma bolognese di adozione, è laureato al Dams di Bologna.ROVERSI Ha lavorato per molti anni come conduttore televisivo, prima su Mediaset (Mixer, Lupo Solitario, L’Araba Fenice), e successivamente alla RAI (Porca Miseria, Se rinasco, Per un pugno di libri, Turisti per caso, Velisti per caso, Evoluti per caso). Ha partecipato anche ad alcuni film cinematografici come La voce della Luna di F. Fellini, Volere volare di M. Nichetti e David Copperfield di A. Lo Giudice. Ha pubblicato diversi libri sul tema del turismo in particolare, Di passaggio in India, Quel poco che abbiamo capito del mondo facendo i turisti per caso, Chiudi il gas e vieni via, viaggi di un sedentario; insieme all’amico Martino Ragusa ha pubblicato anche due libri sul tema del cibo Turisti per cibo e Golosi per caso; infine il libro Le più belle del mondo, Atlante mondiale delle barzellette.Federico Dottorando in Pedagogia nel Dipartimento di Scienze dell’EducazioneZannoni dell’Università di Bologna. Si occupa di stereotipi e pregiudizi etnici in età adulta ed evolutiva, figli di immigrati, conflittualità e mediazione sociale, minori stranieri a scuola. Ha pubblicato Con gli occhi dei bambini. Come affrontare stereotipi e pregiudizi a scuola (insieme ad A. Di Rienzo, 1996) e Fuori dal silenzio. Volti e pensieri dei figli dell’immigrazione (insieme a F. Filippini e A. Genovese, 2010). 163
REALIZZATO CONIL CONTRIBUTO DI: PER UN TURISMO ALTERNATIVO RESPONSABILEViaggiare i Balcani (ViB) nasce nel 2002 dall’iniziativa delle associazioni trentine«Associazione Progetto Prijedor» e «Associazione Tremembè» come programma specificodedicato allo sviluppo del turismo responsabile nell’Europa sud-orientale.Il progetto, nato a partire dalle relazioni di cooperazione comunitaria ormai consolidatefra l’associazionismo trentino e diversi territori dell’Europa di mezzo, ha avuto ed ha comeobiettivo quello di far conoscere una regione della quale in genere si colgono solo gli stereotipie i luoghi comuni, quando in realtà vi ritroviamo straordinarie ricchezze sia di carattereambientale che culturale, ma anche tracce importanti di una comune storia europea.L’esito di sei anni di attività è stato positivo e, a partire da questa nostra iniziativa, l’idea diun turismo intelligente sensibile all’ambiente, alle culture, alle tradizioni e ai saperi locali,ma anche attento alle vicende che lungo la storia e da ultimo negli anni novanta hannosegnato questa parte d’Europa, si è fatta largo, divenendo un ambito di ricerca e di lavoroper numerose realtà della regione.Nel dicembre del 2008, al settimo anno di attività, proprio per lo sviluppo e la complessitàdelle attività in corso, «Viaggiare i Balcani» è diventato un soggetto giuridico autonomo,costituendosi come associazione di promozione sociale.Attraverso il nostro portale web, la formazione e le proposte di viaggio tentiamo ogni giornodi avvicinare il maggior pubblico possibile alla conoscenza di questa straordinaria regione: Il portale web Una piattaforma interattiva e multilingue. «Viaggiare i Balcani» è il primo sito italiano sul turismo responsabile nell’Europa sud-orientale. La formazione Corsi scolastici, progetti di formazione per operatori di turismo responsabile, percorsi formativi volti a diffondere la conoscenza e sostenere l’interesse verso la regione. Viaggi e itinerari «Viaggiare i Balcani» è anche un luogo di proposta per viaggi intelligenti a loro volta in rete con altre esperienze di turismo responsabile diffuse nella regione del sud-est Europa.Via Milano 120, 38122 TrentoTel. 0461-223224 / Fax. 0461-260397Mail. [email protected]
Ringrazio tutti cloro che hanno sostenuto i nostri ideali.A coloro che hanno percorso con noi un pezzo di strada e hanno scelto altre direzioni.Ad Andrea Franzoni che in amicizia non mi ha mai deluso.A Leonardo Farina che ha realizzato l’editing di questo libro nonostantele mie poche idee e ben confuse.Al professore Antonio Genovese, al giornalista Mauro Sartiche hanno creduto e credono ai «bamboccioni» di questa società.A Francesca Stoia che non ha mai abbandonato il sentiero di questo «progetto».Un particolare ringraziamento va alla mia compagna del viaggio più importante Enza Stoiache pazientemente mi ha supportatonel confronto e nell’esposizione delle mie «poche idee e ben confuse».Grazie a tutti coloro che indirettamente e direttamente ci hanno sostenuto:Irene Mistrello, Davide Panizza, Wlater Biondani, Giulia Zaccariotto, Paola Maruzzi,Giusy Vampo, Luca Fantin, Matteo Diambri, Giovanni Lapolla, Antonio Storto,Megumi Inakuma, Lahoussine Ait Etaleb, Luigi Storto. Joy Betti
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