Important Announcement
PubHTML5 Scheduled Server Maintenance on (GMT) Sunday, June 26th, 2:00 am - 8:00 am.
PubHTML5 site will be inoperative during the times indicated!

Home Explore Frammenti n° 4

Frammenti n° 4

Published by info, 2015-03-23 05:45:36

Description: Frammenti n° 4

Search

Read the Text Version

SOMMARIO In scena la solitudine di quattro uomini di Elisabetta Reale ........................................................ 3 Ensemble Berlin ........................................................ 6 E se non fossero suicidi? di Roberta Cortese........................................................ 8 Io mai niente con nessuno avevo fatto di Loredana Bruno ...................................................... 10 Il jazz mistico di Paolo Fresu di Germana Quartarone................................................ 14 La solitudine di padri e figli ...................................... 20 Intervista a Enzo Decaro di Marianna Barone .................................................... 22 Contenitori di epoca preistorica al Vittorio Emanuele di Franz Riccobono .................................................... 26 La luna caduta dal cielo di Domenico Colosi .................................................... 30 I luoghi siciliani descritti da Vincenzo Consolo di Gigi Giacobbe ........................................................ 32 “Il gioco delle perle di vetro” di Hermann Hesse di Carmelo Caminiti .................................................... 36 Universiteatrali.......................................................... 38 1

Fremiti e sussulti SOMMARIO di Eleonora Rao .......................................................... 40 Pino Daniele. Cantautore del mare e delle donne di Sergio Di Giacomo .................................................. 41 Lo squalo rosso, rosa e giallo di Nicola Costantino .................................................... 46 La breve parabola del Futurismo a Messina di Dario Tomasello ...................................................... 50 Il futurismo femminile si scontra con il femminismo di Antonella Cocchiara ................................................ 52 Il mito di Garibaldi nella percezione popolare di Sergio Todesco ........................................................ 54 Vitaliano Brancati. Scrittore e uomo di cinema di Nino Genovese ...................................................... 56 Successo di critica e pubblico per Espinosa di Lucia Lucà Trombetta .............................................. 58 Libri da leggere ........................................................ 59 Febbraio della Filarmonica Laudamo di Luciano Troja .......................................................... 60 Eventi del mese ........................................................ 622

In bilico tra farsa, ironia e poesiaLa solitudinedi quattro uominiin crisiIn un vecchio appartamento, intorno a un tavolo, quattro uomini, un pro-fessore, un barbiere, un attore ed un becchino, si ritrovano per giocarea carte. La stanza è il rifugio dove il fallimento è la regola, non l’ecce-zione. I soldi sono spariti da tempo, come qualsiasi possibilità di suc-cesso personale. E allora i quattro decidono di rischiare il tutto per tutto,ma la partita di cui tanto si parla non inizierà mai. «Il gioco come meta-fora dell’esistenza, di un’esistenza al limite del fallimento per uno spet-tacolo – spiega Enrico Ianniello che de “I giocatori” è regista, attore eautore della traduzione dal catalano di “Els jugadors”, di Pau Mirò, testo 3

I Giocatori vincitore del Premio Butaca 2012, riconoscimento assegnato dal governo della Catalogna agli autori teatrali che contribuiscano a valorizzare la cultura della comunità autonoma, come migliore testo in lingua catalana – che ha decisamente a che fare con la crisi, non tanto quella economica quanto quella personale, che attraversa i quattro protagonisti». Con il re- gista Ianniello parliamo innanzitutto del suo rapporto con Pau Mirò, «la nostra è un’amicizia di lunga data io metto in scena in italiano testi da lui rappresentati in catalano ed il confronto è sempre motivo di crescita per entrambi. Dopo lo spettacolo Chiòve, traduzione di “Plou a Barce- lona”, adesso con “I giocatori”, propongo un testo che utilizza come tratto distintivo l’ironia per avviare una profonda riflessione. Come per Chiòve ho ambientato la vicenda a Napoli, anche se questa volta si tratta di una collocazione esclusivamente linguistica,senza riferimenti geogra- fici precisi. Questa assenza di un luogo definito mi pare una cifra fonda- mentale dei quattro personaggi raccontati da Pau Mirò: quattro uomini senza un’età dichiarata, senza nome, senza lavoro e senza un vero amore che li faccia bruciare di passione. Quattro uomini che si incontrano per mettere in gioco l’unico capitale che hanno a disposizione: la loro soli- tudine, la loro ironia, la loro incapacità di capire. Quattro uomini che vivono dentro ad un rifugio, una zattera in mezzo al mare, se mettono4

Foto Pepe Russo Enrico Ianniello un piede fuori da essa, affondano». In scena al Vittorio Emanuele dal 26 febbraio al primo marzo, lo spettacolo oltre ad Enrico Ianniello vede pro- tagonisti Renato Carpentieri, Tony Laudadio, Luciano Saltarelli, per una produzione Teatri Uniti in collaborazione con OTC e Institut Ramon Llull. Volto noto del piccolo schermo, protagonista insieme a Terence Hill della fortunata fiction di Rai1 “Un passo dal cielo”, Ianniello ci con- fessa che «con una certa fatica ho portato a teatro un po’ di gente che mi ha conosciuto grazie alla televisione, e restano colpiti e stupiti nel vedere l’azione, il sudore, la fatica di uno spettacolo teatrale. Credo comunque che sia una grande fortuna per il pubblico poter vedere film, fiction, an- dare a teatro, ad un concerto, godere appieno di tutta l’offerta culturale possibile». Elisabetta Reale 5

Christoph Hartmann Ad ogni esibizione successo costante di pubblico e di critica Ensemble Berlin6

L’orchestra sinfonica Berliner Philarmoniker, fon- data nel 1882, rappresenta una delle massime espressione della musica classica mondiale, e ne sono “figli” i componenti dell’Ensemble Berlin complesso cameristico che nasce nel 1999 per ini- ziativa dell’oboista Christoph Hartmann, oboe solista dei Berliner Philharmoniker e di un gruppo di solisti della grande orchestra tedesca. Da allora ha effettuato nu- merosi concerti, esibendosi nei più importanti festival e sale da concerto d’Europa, un complesso aperto e flessibile che può includere archi, fiati e talvolta il pianoforte, una duttile articolazione che permette loro, di volta in volta un repertorio composito che parte dal cameristico classico, offerto attraverso eccellenti esecuzioni di adattamenti musicali, e spazia verso una sorprendente fusione di pezzi diversi. A Messina, al teatro Vittorio Emanuele, arrive- ranno domenica 22 feb- braio, alle 18, per un evento in collaborazione con l’Associa- zione musicale Vincenzo Bellini. in- sieme al grande oboista Hartmann, Sophie Dartigalongue al fagotto e Anna Kiri- chenko al pianoforte. In programma “Souvenir de Berlin” per oboe e pianoforte op.19 e il “Trio” per oboe,fagotto e pianoforte op.22 del compositore francese Casi-mir-Théophile Lalliet, la “Sonata” in sol maggiore per fa- gotto e oboe op. 168 e la “Sonata” in re maggiore per oboe e pianoforte op.166 di Sant-Saens, la “Sonata” in si bemolle maggior eper oboe e fagotto K. 292 di Mozart e il “Trio” per oboe, fagotto e pianoforte di Poulenc. 7

Tra amerezza e ironia, il “dubbio” sulle strane morti di Castellari, Cagliari e Gardini E se non fossero suicidi? È il 1992. Un’inchiesta avviata dalla Procura della Repubblica di Milano squarcia il velo sotto cui si cela un sistema di corruzione, concussione e finanziamento illecito ai partiti. Lo scandalo travolge il mondo della po- litica e della finanza. L’anno dopo Enrico Castellari, direttore generale degli affari economici del Ministero delle Partecipazioni Statali e consu- lente dell’Eni, Gabriele Cagliari, presidente dell’Eni, e Raul Gardini, capo indiscusso della Montedison e maggior azionista dell’Eni, si tolgono la vita. E se non fosse davvero andata così? Induce a riflettere sull’esistenza di un’altra e più inquietante verità “Suicidi?”, lo spettacolo tratto dal ro- manzo “3 suicidi eccellenti” di Mario Almerighi e diretto e interpretato da Bebo Storti e Fabrizio Coniglio che ha curato l’adattamento teatrale assieme allo stesso Almerighi. Siamo in piena Tangentopoli e due comuni Fabrizio Coniglio e Bebo Storti8

Bebo Storti e Fabrizio Coniglio cittadini, giocando a fare gli ispettori, inda- gano su questi tre drammatici fatti di cronaca. Attraverso le testimonianze, gli interrogatori, le analisi compiute sul luogo del delitto, gli esiti delle autopsie (tutto tratto da documenti, dichiarazioni e perizie ufficiali raccolti dal presidente del tribunale di Civitavecchia, Mario Almerighi), gli interpreti insinuano nello spettatore il dubbio che i casi di Castel- lari, Cagliari e Gardini possano essere forse non disperati gesti volontari ma omicidi. Per- ché infatti le scene dei suicidi sono state al- terate? E perché mai i tre (tutti legati all’Eni) scelgono di togliersi la vita proprio il giorno in cui dovrebbero incontrare i magistrati? «Tutti sappiamo – affermano Fabrizio Coni- glio e Bebo Storti – che era uso in quegli anni il “sistema” delle tangenti»: il favore al- l’amico di partito, alla persona vicina per ideologia o appartenenza. Una classe diri- gente e politica terrorizzata all’idea di per- dere il potere e i privilegi. «Riattraversare quel periodo con queste tre vicende è anche un modo per capire che cosa è il nostro Paese oggi e cosa continuerà ad essere se questo “sistema” non verrà smantellato». Roberta Cortese 9

Omosessualità, aids e stupro Faccia a faccia tra il macrocosmo di una certa Sicilia e il microcosmo di un’anima pura “Io mai niente con nessuno avevo fatto”, scritto e diretto da Joele Ana- stasi (compagnia Viccìria Teatro), e interpretato, oltre che dal lui, anche da Enrico Sortino e Federica Carruba Toscano, è un lavoro che affronta tematiche importanti - come omosessua- lità, aids, stupro - attraverso la storia di tre personaggi che si incrociano sul palco senza mai “incontrarsi”. E lo fa senza retorica, ponendo lo spettatore di fronte alla contrapposizione tra il “macrocosmo” di una certa Sicilia, gretta, provinciale piena di pregiudizi e il “microcosmo” dell’anima pura di Giovanni, il protagonista dell’opera.10

Enrico Sortino 11

Joele la felicità resta patrimonio esclusivo degli ingenui come Giovanni? In “Io, mai niente con nessuno avevo fatto” utilizziamo la Sicilia per rac- contare il nostro passato. Come fosse uno sguardo alle origini, lo spetta- colo è un continuo salto indietro nel tempo per i personaggi. E così viene fuori un universo cristallizzato, reso mitico proprio dagli stessi protago- nisti che urlano il loro disperato bisogno di ritagliarsi un posto nella sto- ria, di esistere a tutti i costi, di appartenere a se stessi. Tutto il peso del dramma ricade sulla figura di Giovanni, che però è molto più che un ingenuo. Giovanni è attaccamento alla vita, all’odore del mare per la strada, alle sottane della cugina Rosaria e al profumo che si sprigiona dai suoi lunghi capelli, al corpo dell’amato maestro di danza che lo desidera, alle tavole della sala da ballo, all’abito da sposa rubato alla zia...a tutto ciò che è vero e lo “muove”. Giovanni vive senza filtrare le sue emozioni cosicché è l’unico che riesce a non avere paura, a rima- nere saldamente attaccato alla sua natura e a riuscire, così, a vivere sem- plicemente del tempo presente. Per questa ragione Giovanni diventa un modello valido a tutti i livelli sociali... Esattamente...e l’isola diventa metafora dell’esistenza umana tutta, di ogni singola individualità che si avverte separata dalle altre da un mare immenso e profondo. E così, per sempre, in noi coesisteranno due forze: quella che ci suggerisce di rimanere arroccati per tutta la vita, immobili, allo scoglio più alto di quel pezzo di terra e quella che ci invita a tuffarci ‘’nel blu del mare’’ per raggiungere un altro pezzo di terra o, semplice- mente, per rimanere naufraghi in mare per tutta la vita “perché in fondo sarà come ballare”... Lo spettacolo, nonostante affronti temi già trattati, arriva dritto al cuore dello spettatore e riesce a colpirlo con una forza dirompente. E lo fa a prescindere dalla semplice comprensione del testo se pensiamo, ad esempio, che al San Diego International Fringe Festival avete portato a casa il premio più ambito, il ‘Best Show’, nonostante abbiate avuto l’ar- dire di presentare il testo in lingua originale L’esperienza a San Diego è stata un’occasione preziosa di crescita e di confronto e ci ha dato modo di verificare questo rapporto empatico tra pubblico e personaggi in questo spettacolo nel quale non c’è volontà di definire il limite tra “giusto” e “sbagliato”, ma solo di offrire un contatto empatico con tre anime denudate. Abbiamo “osato” decidendo di man- tenere il dialetto siciliano. Per il pubblico americano, abituato ai grandi12

show e ai grandi musi- Federica Carrubba Toscano e Joele Anastasicals, è stata una sor-presa trovarsi di frontead uno spettacolo conuna struttura così sem-plice. Siamo riusciti atrascinare gli spettatoriall’interno di un paesinodella Sicilia, mostrandoda vicino il dramma deinostri personaggi. Ed èstata una scelta vin-cente. Ci siamo messi “anudo” come artisti.Sempre più spesso il teatro “autoriale” finisce per essere un teatro perpochi, o di nicchia. Invece tu sottolinei di frequente l’importanza di unteatro “per tutti” che mira a coinvolgere gli spettatori tanto che, comequalcuno ha scritto, “verrà voglia di alzarsi per abbracciare i protago-nisti della storia”...Il teatro può dare l’occasione per allontanarci dalla “roccaforte” di car-tapesta che ci siamo costruiti e per avvicinarci a noi stessi accettando“l’essere” semplicemente per quello che è: qualcosa in divenire. Ab-biamo spesso bisogno di tracciarci un preciso confine dentro cui stare,per non impazzire. Noi stessi ci costruiamo la prigione che poi odieremo.È una condizione antica quanto l’uomo, perché l’uomo ha necessità didelimitarsi per conoscersi, di estendere la sua parte finita per sopportaremeglio il peso dell’infinito che sempre lo schiaccerà. La possibilità dicambiamento che offre il teatro, vale tanto per l’artista quanto per lo spet-tatore, perché appunto è un atto condiviso.Abbiamo bisogno del teatro perché abbiamo un estremo bisogno di au-tenticità. Ironia della sorte, ci serve una maschera per annullare un’altramaschera! Deve esserci una grande responsabilità da parte dell’artista.Perché il mezzo è molto potente e va preservato e, soprattutto, non vasvilito in quanto capace di generare non solo cultura, ma valori (e anti-valori) e quindi di incidere sulla società.Noi in fondo facciamo teatro perché vogliamo cambiare il mondo e,anche, per sopportarne il peso. È una missione utopistica, folle. Ma nonprovate a togliercela, moriremmo. Loredana Bruno 13

Il jazz mistico di Paolo Fresu Intervista a Paolo Fresu «Quando suono devo commuovermi fino quasi alle lacrime per divertirmi» Protagonista il jazz, con l’alchimia musicale di Paolo Fresu e Daniele Di Bonaventura, a Messina, dal 13 al 15 marzo. Il duo, che sarà accompagnato dall’Orchestra del Teatro Vittorio Emanuele, si esibirà con Vinodentro. L’album è la colonna so- nora dell’omonimo film noir di Ferdinando Vicentini Orgnani che, ispiratosi al romanzo di Fabio Marcotto, ha unito il mito del Faust alla passione per il vino.14

È un dialogo in musica dagli aromi mediterranei, un incontro di jazz, Foto Manuela Abistango, richiami alla tradizione sarda, alla musica sacra e operistica.Nell’album - che è stato il primo ad essere prodotto dalla Tuk Music,etichetta dello stesso Fresu - sono presenti anche due composizioni del Don Giovanni di Mozart, Fin ch’an dal vino e Madamina, il catalogo è questo, che confermano l’attenzione di Fresu per la musica classica e il suo gusto per la contamina- zione stilistica. Con Vinodentro, Paolo Fresu, che vanta nella sua car- riera oltre 350 dischi, torna dunque ad esibirsi nella città dello Stretto, con un concerto imperdibile, un viaggio sonoro in cui, su una tessitura di archi e percussioni, il fraseggio elegante della sua tromba lunare e malinconica, si imprezio- sisce delle note struggenti e laceranti del bandoneon, la fisarmonica simbolo del tango, di Daniele Di Bonaventura. 15

Foto Laurent LeducMusicista e compositore degli opposti, capace di far convivere sonorità an- cestrali e avveniristiche, Fresu unisce poesia e razionalità, slanci onirici a fini cesellature: l’essenzialità estetica, l’innovazione bulimica e il carisma di Miles Davis, con il verseggiare morbido, sognante e intimista di Chet Baker. È stato definito da Ralph Towner: “uno straordinario musicista lirico. Uno capace di raccontarti una storia mentre suona”. Paolo Fresu è un artista onnivoro, poliedrico, che di sé dice: “suono come sono”, e “ciascuno è mae- stro di ciò che è, non di ciò che sa”. Ha parlato del suo incontro col jazz come di una folgorazione; che cosa lo affascina ancora del jazz? È un genere che rimarrà fortemente legato al passato o, come afferma Gustav Mahler, nella frase che pone in epigrafe alla sua autobiografia Musica dentro: “la tradizione è salvaguardia del fuoco”, e dunque ha ancora la possibilità di rinnovarsi? Mi sembra che il jazz, oggi, goda di ottima salute e che si stia rinnovando ogni giorno; il jazz ormai è una musica del mondo. Ognuno la fa sua, e la sviluppa secondo la sua sensibilità e i propri parametri culturali. È una mu- sica in movimento perenne, che si evolve e che non è assolutamente morta, come alcuni pensano, anzi, al contrario, direi che è estremamente viva. Il jazz è un genere musicale che è nato con una forte connotazione sociale, e che esprime un profondo senso di libertà. Lei, recentemente, ha affermato che le “permette di stare dalla parte dei deboli”. In che modo? In una so- cietà come la nostra - in cui la libertà d’espressione sembra messa in di-16

Foto Jean-Louis Neveuscussione - la musica parla an-cora un linguaggio universale, edunque unificante?La musica è un linguaggio estre-mamente diretto, forse, tra le arti,uno dei più diretti. L’artista, oggi,ha la responsabilità di raccontareil presente, attraverso lo stru-mento che conosce. Io conosco lenote musicali, altri la fotografia, ladanza, la pittura. Essere artisti si-gnifica raccontare il presente checi piace e denunciare il presenteche non ci piace. La musica puòessere utile nei momenti difficiliper mettere insieme gli altri, peremozionare, per suggerire un per-corso, per accompagnare le per-sone, anche emotivamente, versoqualcosa. Io sono estremamenteconvinto sul senso, sul valore, sulsignificato dell’arte.Con la Sardegna, che lei definisce “isola posta in seno alla culla della ci-viltà”, rivela un legame ancestrale. Che cosa, della sua esperienza musicale,riconduce alla sua insularità? E come si concilia la sua profonda sardità,con la vocazione cosmopolita della sua musica?Io sono sardo, vengo da una famiglia di pastori e contadini, quindi ho vissutola Sardegna di allora, quella autentica. Ho avuto dei valori che sono di quellasocietà. La prima lingua che ho imparato è stata il sardo, l’italiano l’ho ap-preso a scuola. Questo è un imprinting estremamente importante, che nes-suno ti toglie di dosso. È una Sardegna che mi porto appresso come un beneprezioso. Succede spesso che, alla fine dei concerti, venga qualcuno a dirmi:“si sentiva un pezzo di Sardegna”, e probabilmente è vero. La musica di Mi-stico Mediterraneo, è un esempio di questa capacità di camminare nei cro-cevia del mondo, mantenendo la propria identità. È una musica fortementelegata al Mediterraneo e alla Corsica, ma che diventa universale dal mo-mento che si può spostare dappertutto e tutti possono percepirla alla stessamaniera.La musica e il volo: qualcuno l’ha definita l’Icaro di Berchidda e lei stessoha sottolineato che “siamo in relazione con la terra fino a quando non sen- 17

Foto Manuela Abis tiamo la necessità di un nuovo volo verso l’ignoto”. Quale direzione ha im- boccato col suo ultimo album, Mistico Mediterraneo, il progetto che ha portato avanti con Daniele Di Bonaventura, nel 2011? È un album che a me è piaciuto molto, l’incontro è stato quasi fulminante. È una musica che vola, che tende ad innalzarsi verso l’alto; è un progetto in cui veramente ci sentiamo parte di un qualcosa che quasi è intoccabile. Il sodalizio musicale con Daniele Di Bonaventura è nato un po’ per caso, gra- zie al progetto Mistico Mediterraneo. Da lì, l’idea di un duo, che oggi è di- ventata una cosa seria, importante e che sta dando ottimi frutti. Proprio nei giorni in cui saremo a Messina, uscirà il nostro prossimo disco. Si chiamerà In maggiore ed è solamente in duo acustico, senza nessuna strumentazione elettronica o altra. È una sorta di viaggio interiore un po’ mistico, intimo, in una dimensione molto raccolta, cameristica, che piace a entrambi. Noi, però, ascolteremo Vinodentro… E sono felice, perché è un progetto che facciamo poche volte. È la colonna sonora di un film che in Italia si è visto poco, ma che sta avendo un gran- dissimo successo fuori. È un album che ho scritto appositamente per il film di Vicentini Orgnani. Tra di noi c’è un rapporto sinergico molto bello. Ho pensato a questa colonna sonora da scrivere per un’orchestra da camera e per il bandoneon di Daniele Di Bonaventura. È una musica a cavallo tra la classica e il jazz e c’è anche il tango. Io credo che la cultura del vino sia molto legata al Mediterraneo. Il risultato è questa sorta di opera, che verremo ad eseguire nel teatro di Messina. Con l’esperienza di “Nuoro Jazz”, vanta ormai ben 25 anni di attività di- dattica; com’è nei panni di docente e cosa insegna ai suoi studenti? Fare gli insegnanti è una bella responsabilità. Una cosa è essere sui palchi,18

una cosa è trovarti davanti a dei ragazzi, a cui devi raccontare quello chesei. Ho sempre pensato che seminari, come quelli di Nuoro, siano fonda-mentali, non tanto per apprendere il linguaggio musicale, cos’è un accordoo una melodia, ma soprattutto per apprendere una certa filosofia del jazz: ilconcetto del silenzio, dell’interplay, del sentire gli altri. Concetti che non siapprendono sui libri. L’esperienza didattica è stata per me fondamentale,poiché, essendo autodidatta, ho dovuto costruirmi una didattica partendoda quello che facevo in modo spontaneo, per poi tradurlo all’esterno. Il rap-porto con gli studenti, visto egoisticamente, è qualcosa che arricchisce enor-memente e che si porta in seno alle proprie abilità.Crede sia ancora possibile pensare di costruire il proprio futuro sulla mu-sica?Questo è un momento particolarmente difficile, ma si può ripartire dalla crisicon delle idee nuove. È sempre possibile trovare degli spiragli per nuovestrade e di questo sono convinto. D’altro canto è anche vero che, quandoc’è un vuoto totale, c’è anche spazio per nuove idee, per nuove direzioni.Ovvio che non è semplice, ma non è neanche impossibile inventare cosenuove. La musica è un linguaggio complesso, che va studiato, praticato, in-teriorizzato. È un percorso lungo, per alcuni molto lungo, per altri, meno,dipende dalle capacità di ognuno. È un percorso fondamentale, che nonsempre ti porta ad essere un musicista, ma che comunque ti fa crescere enor-memente sul piano personale.Lei ha affermato che da Miles Davis ha appreso la filosofia del silenzio eche suono e silenzio sono due degli aspetti della musica che più la affasci-nano. Il grande jazzista statunitense diceva: “Non suonare quello che c’è.Suona quello che non c’è”. Si riconosce nel suo metodo sottrattivo? Qualè il significato del silenzio nella sua musica? È segno d’incomunicabilità, diassenza, del non-senso del nostro tempo o è come un grumo rappreso, unnodo in gola che non trova sfogo in un’emissione di fiato?Miles Davis è stato il mio maestro, dal punto di vista ideale. Un musicistache mi ha accolto nella sua filosofia del suono e del silenzio. Di lui ho moltoapprezzato e studiato l’idea di architettare la musica. Credo che Miles siastato per tutti i musicisti di questo nuovo secolo, una sorta di faro, di scia lu-minosa da seguire. Il mio modo di essere è molto vicino al suo; come lui,infatti, anch’io do molta importanza al silenzio. Preferisco suonare la trombapiano, piuttosto che sventolare il suono ai quattro venti. La magia della mu-sica, secondo me, sta proprio in questo: nella capacità di non dire e di la-sciare intendere delle cose che poi gli altri possono raccogliere. Se si dicetutto, non c’è più emozione, non c’è più magia. Germana Quartarone 19

La Solitudine di padri e figli alla ricerca di un rapporto Annibale Pavone Padri e figli, generazioni a confronti con i loro bisogni e le loro necessità. Sullo sfondo e in filigrana sempre il Pinocchio di Collodi che fa da ossatura al laboratorio permanente promosso dalla Daf-Teatro dell’Esatta Fantasia in collaborazione col Teatro di Messina che sta animando, da settembre, la sala Laudamo, nell’ambito del progetto “Laudamo in città”, ideato e curato da Angelo Campolo ed Annibale Pavone. E questa volta, con “Solitudine”, il gruppo di circa trenta allievi sta conducendo, sotto la guida di Annibale20

Pavone, regista di questa seconda stanza, un’analisi non tanto sulla solitu-dine di Geppetto, quanto, piuttosto, sulla solitudine che avvolge, oggi, padrie figli alla ricerca di un ruolo e di un rapporto tra loro. E allora la paroladrammaturgica, partendo dal testo di Collodi passa attraverso le istanze e lesensazioni dei giovani protagonisti invitati a riflettere sul ruolo dei padri oggie sulle necessità dei figli di ritrovare una guida e un esempio nell’agire quo-tidiano. In scena dal 27 febbraio al primo marzo e poi dal 3 all’8 marzo,“Solitudine” rappresenta la seconda tappa di un percorso multiforme, in-sieme a Pavone, la coreografa Sarah Lanza cura i movimenti scenici dellospettacolo. «Emozionante rivedere alla Laudamo, a distanza di un discretolasso di tempo, tutti i ragazzi che hanno partecipato ad “Istinto” – sottolineaGiuseppe Ministeri, organizzatore del progetto teatrale “Laudamo in Città”e responsabile delle attività alla sala Laudamo – significa non aver dispersonulla. Puntiamo nuovamente a grandi numeri». Intanto si è conclusa la ras-segna “Incroci”, «possiamo ritenerci piuttosto soddisfatti di questa sezionedel progetto – aggiunge Ministeri – sono stati tutti spettacoli partecipati, legatial territorio ma allo stesso tempo capaci di volare alto e trovare collegamentiimportanti, con interpreti affermati del panorama messinese quali lo straor-dinario e particolarmente apprezzato Luca Fiorino, e ancora Elio Crifò, NellaTirante, autrici emergenti come Auretta Starrantino. Per lo spettacolo “Ti-rone” invece, di concerto col direttore artistico Ninni Bruschetta, si è pensatoad una vera e propria produzione per il prossimo anno, per non disperderela mole di materiali raccolti». Marzo ospiterà anche il “Focus del verso” acura di Giovanni Greco, «avere un docente dell’Accademia Silvio D’Amicosignifica aver compiuto un deciso passo in avanti nello sviluppo e nella cre-scita del settore formazione che ormai da tanti anni curiamo. Due settimanecome anticipo di quello che faremo il prossimo anno, quando produrremouno spettacolo che vedrà assieme i ragazzi del nostro laboratorio e quellidella Silvio D’Amico andare in scena allo spazio India del Teatro di Roma»,conclude Ministeri. Mentre per la sezione “Libri in Città” il 24 febbraio pre- sentazione di “Un giorno sarai un posto bellissimo” dell’attore Corrado Fortuna, in collaborazione con la li- breria Bonanzinga e lo stesso Giovanni Greco, il 28 febbraio, con “L’ultima madre”, romanzo incentrato sul tema dei desaparecidos, frutto di un’inchiesta con- dotta sul campo a Buenos Aires. E.R.Foto Paolo Galletta 21

22

Il Gabbiano Jonathanvoglia di libertàe di trasgressione Intervista a Enzo Decaro In un clima narrativo nuovo e appassionante, il celebre attore Enzo De- caro porterà sulle scene del Teatro “Mandanici” di Barcellona Pozzo di Gotto il 20 e 21 febbraio il famoso testo letterario “Il Gabbiano Jonathan Livingston” di Richard Bach. Le parole saranno accompagnate dalle note del sassofonista Thierry Valentini, del tastierista Riccardo Cimino e del percussionista Moustapha Mbengue. Enzo Decaro, studi classici, laurea in Lettere moderne conseguita al- l’Università “Federico II” di Napoli e docente di Scrittura creativa alla facoltà di Scienze della comunicazione dell’Ateneo di Salerno, è un at- tore di cinema, teatro e televisione. Ma anche abile sceneggiatore e re- gista. Una poliedricità non comune che emerge magistralmente nei suoi spettacoli e nelle sue fiction. Foto Giovanni Somma 23

Tra le molteplici attività a cui si dedica quale la entusiasma maggiormente? Prima di tutto, c’è il progetto. E quel che maggiormente mi entusiasma è la ricerca del linguaggio adatto per il progetto. Si tratti di cinema, di teatro, di televisione o di altro. Come mai ha deciso di portare sulle scene “Il Gabbiano Jonathan Livin- gston”? E’ un testo che ha accompagnato molto quelli della mia generazione. Un testo sapienziale, stimolante e quanto mai attuale. In qualche modo, lei si identifica nel protagonista? La storia parla di tanti gabbiani. In ognuno di loro, si può trovare qualcosa di noi. Dipende anche dall’età in cui si legge e si ascolta il testo. E’ un po’ come succede nei classici: sono loro che leggono noi e non il contrario. Sono lo specchio di quel che siamo quando ci accostiamo alla loro lettura. Il romanzo di Richard Bach è un po’ una metafora della tensione dell’uomo verso la consapevolezza e la verità. Chi è, secondo lei, il Gabbiano Jonathan Livingston? Esprime il concetto laico di progresso e di libertà nella sua interezza. Non laico in senso religioso, ma in generale. È colui che, attraverso la propria au- tonomia, trova e scopre il suo essere sociale. La sua ricerca solitaria, infatti, andrà condivisa con gli altri gabbiani. Da solo, dunque. Ma insieme con gli altri. Lei è direttore artistico di una collana di letteratura in audiolibro. E “Il Gab- biano Jonathan Livingston” è, per l’appunto, una delle opere presenti in questa raccolta. Quanto è importante, oggigiorno, l’audio book in un mondo frenetico, in cui la comunicazione e l’editoria vivono ritmi sempre più accelerati, tanto da avere sempre meno tempo per la lettura “classica”? Credo che l’importante sia diffondere i classici in ogni modo e con qualsiasi supporto. Senza scandalizzarsi ed evitando di essere troppo conservatori. Attraverso l’ascolto, il testo viene assimilato. Un po’ come i racconti orali di un tempo. La specificità della scrittura, e quindi della lettura, non è qualcosa da sostituire, ma da integrare. Lei ha iniziato la sua carriera giovanissimo. Con Massimo Troisi e Lello Arena fondò il trio comico “La Smorfia”. Quale ricordo ha di quella espe- rienza artistica? Era la Napoli degli anni ’70, con un fermento culturale importante. Ed una generazione che desiderava i propri spazi per esprimersi. L’offerta dei con- tenuti era alta e la necessità di comunicazione era forte. E’ in questo contesto che si inserisce “La Smorfia”. Credo che in pochi ne abbiano compreso ap- pieno il reale significato. Era teatro legato alla tradizione che, allo stesso24

Thierry Valentini, Riccardo Cimino, Enzo Decaro e Moustapha Mbengu tempo, voleva rompere con la tradizione stessa. Discontinuità, voglia di comunicare, difficoltà a trovare i luoghi in cui poterlo fare. Praticamente, il contrario di oggi: meno contenuti, ma maggiori possibilità. Nella società attuale, i giovani hanno grandi stimoli. Troppi. Praticamente, ne sono so- verchiati. Per questo diventano passivi. Nel 2011, ha preso parte al progetto curato da Massimo Ranieri che ha riportato in televisione la commedia di Eduardo De Filippo. Quanta Napoli c’è nella sua formazione umana e culturale? Io e tanti altri della mia generazione abbiamo un legame forte con le nostre radici, con il profondo desiderio che possano fiorire un po’ più in là del proprio quartiere. Siamo fortemente legati a Na- poli, ma siamo anche pronti ad aprirci allo scam- bio e al confronto. Il suo sogno nel cassetto? In realtà, non mi piace pensare ad un sogno chiuso in un cassetto. Il sogno in sé fa pensare a qualcosa di grande, di immenso. Difficile da contenere in un cassetto. Mi piace immaginare, invece, una libreria aperta con tanti spazi da riempire. Il mio sogno più grande è certamente quello di migliorarmi conti- nuamente. Marianna Barone 25

Alzando gli occhi dall’ingresso principale del Vittorio Emanuele visibili e ignoti Quattro contenitori di epoca preistorica destinati alla inumazione Nel breve soppalco che sovrasta la parte centrale dell’ingresso del Teatro Vittorio Emanuele sono esposti quattro grandi vasi in terracotta di forma glo- bulare che, anche ad occhi ignari d’arte e d’antichità, poco hanno a che fare con il circostante contesto. In realtà si tratta di quattro pitoy (grandi con- tenitori in argilla) destinati, in epoca preistorica, all’inumazione. In particolare ogni pithos è diverso per forma e dimensione dagli altri, ma tutti sono riferibili all’età del bronzo (XVIII-XIII secolo a.c.) e sono stati ritro- vati nei livelli preistorici di scavi eseguiti negli ultimi 50 anni in città. L’ampia apertura doveva consentire l’introduzione del corpo dell’inumato, non vi era base in quanto il vaso veniva sepolto e ricoperto di pietre, a suggellare la tomba, mentre i manici o meglio le robuste prese, in numero e posizione diversa, servivano al trasporto. Al tempo della loro produzione non era stato ancora introdotto l’uso del tor- nio per cui questi grandi recipienti erano modellati a mano e venivano cotti in maniera approssimativa, non disponendo di adeguate fornaci. Questi curiosi vasi sono per Messina la testimonianza più appariscente di un insediamento pregreco di cui si ignorava l’esistenza fino al 1967, anno in cui avvenne il primo documentato ritrovamento in strato dei resti di un vasto insediamento preistorico riferibile appunto all’età del bronzo, grazie all’opera del Gruppo Archeologico del Circolo Codreano, costituito da gio- vani universitari messinesi la cui scoperta fu autorevolmente confermata e convalidata prima dal Prof. Aldo G. Segre, al tempo direttore dell’Istituto di Geologia e Paleontologia dell’Università di Messina e quindi del Prof. Luigi Bernabò Brea sovraintendente alle Antichità per la Sicila Orientale. Questi preziosi reperti che furono trovati( nella generale indifferenza) in di- versi scavi cittadini, oggi restano, muti testimoni di un vasto insediamento umano che tra i secoli XVIII e XIII , in varie fasi occupò la pianura alluvio-26

27

28

Foto Elisabetta Saija nale su cui sorge la città mo- derna, a partire dalla foce dello Zaera, a sud, sino a giungere, a nord, alla foce del torrente An- nunziata. Portati nelle sale del Teatro Vit- Momenti dello scavo torio in occasione di una mo- stra sugli scavi archeologici in città, rimasero per un decennio dimenticati e solo successivamente sistemati nell’attuale inadeguata collocazione. In attesa di essere trasferiti all’interno di un quanto mai auspicato Museo archeologico, sarà intanto quantomeno utile dotare di una scheda didascalica ciascuno di questi enigmatici reperti facendo così comprendere funzione ed importanza di queste straordinarie te- stimonianze del nostro remoto quanto negletto passato. Franz Riccobono 29

È la denuncia poetica dell’irrazionalità di ogni verità precostituita La luna caduta dal cielo Pubblicato per la prima volta nel 1985, “Lunaria” è l’unico lavoro teatrale firmato da Vincenzo Consolo lungo tutto l’arco della sua carriera, una gemma di fascinosa evocazione, un omaggio vivido alla memoria e all’opera di uno degli autori più vicini allo scrittore santagatese, il poeta Lucio Pic- colo. Favola morale o gioco di specchi, tra analisi sociale e surrealismo, “Lunaria” è un testo dalla scrittura complessa e dalla trama frammentata, emblema di una Sicilia dilaniata ed esaltata dalla stessa natura dei propri mali: scritta per non essere mai rappresentata, secondo le indicazioni del suo autore, l’opera ha poi vissuto negli anni fertili vicissitudini, tanto da divenire una sorta di simbolo libero ed intangibile della cultura meridionale. “Lunaria” è, ad esempio, il titolo della stanza che omaggia Consolo nell’Atelier sul Mare di Tusa, l’inusuale progetto artistico costruito con ambizione e coraggio da Antonio Presti, o la chiave di interpretazione dell’omonimo album della Lunaria, stanza del Museo-Albergo Atelier sul mare30

cantante catanese Etta Scollo, una tra le artiste italiane più noteed apprezzate in Germania. Il cuntu di Consolo, poesia selvag-gia dell’impossibile, si è rivelato e continuerà a proporsi, nono-stante i suggerimenti dell’autore, come puro Teatro diavanguardia per struttura ed intenti: è necessario ricordare, inquesta direzione, i due più recenti adattamenti: quello firmatodal palermitano Vincenzo Pirrotta e la versione oscura e sfer-zante di Roberta Torre del 2012. Se nella prima delle due rap-presentazioni citate, risalente al 2007, malinconia e sogno fannoda filo conduttore ad un viaggio nel degrado di una Palermo set-tecentesca con abili connessioni alle problematiche del pre- sente, l’adattamento della regista di “Tano da morire” si spinge invece verso direzioni imprevedibili, con il triste Viceré (interpre- tato da Franco Scaldati) afflitto dagli in- cubi di notti feroci e violente. Quest’ultima versione (felice produzione di Taormina Arte), definita dalla stessa re- gista una “fiaba nera”, ha messo in scena il primo effettivo tributo che la cultura italiana ha fatto allo scrittore santagatese dopo la sua morte, datata 21 gennaio 2012. A tre anni dalla scomparsa è sensibile il timore che uno scrittore dall’ele- ganza compositiva di Consolo, esplo- ratore della lingua degli avi ed indefesso sperimentatore, rimanga imprigionato nel circuito autorefe- renziale delle Accademie, levigato dalle seducenti asperità critiche e dalle rivoluzio-narie istanze sociali di equità ed uguaglianza; religione escienza, tradizione, corruzione e poesia, proprio all’interno di“Lunaria” si agitano con vibrante consapevolezza gli elementidella modernità, con quella Luna caduta dal cielo (fonte di im-barazzo per i sapienti di corte) pronta a simboleggiare l’irrazio-nalità di ogni verità precostituita. Un modo per allargare i confinidel reale, in una Contrada senza nome che è metafora di unmondo in cerca del riscatto dell’immaginazione, del “bisognodell’inganno, del sogno che lenisce e consola”. Domenico Colosi 31

A Parigi una mostra fotografica racconta I luoghi siciliani descritti da Vincenzo Consolo Strade, paesaggi, uomini, donne, sembrano davvero essere emersi dalle opere dello scrittore siciliano «È nel 2006 che io sono andato in Sicilia per cominciare il mio progetto di libro su l’Isola con lo scrittore Vincenzo Consolo. Nel 2013 le foto erano fatte, ma i viaggi in territorio siculo continuavano. Il mio primo incontro con la Sicilia e i siciliani risale al 1982. Alcune foto restano di questo primo sguardo. Ma i viaggi nella Sicilia di Vincenzo Consolo, caro amico e grande scrittore siciliano, sono quelli che mi hanno realmente rivelato lo splendore della più grande Isola in superficie del Mediterraneo e la più bella, senza alcun dubbio per me. Io continuo ad andare in Sicilia. Io andrei sempre, questo viaggio non finirà mai per mia volontà. Gli incontri con i paesaggi, la gente di Sicilia resteranno impressi nel mio cuore, nella mia anima, fino alla fine». È una lettera di Carlos Freire scritta a Parigi nel novembre del 2014, che ho tradotto dal francese, inserita all’interno d’una bacheca a vetri a corollario d’una sua mostra fotografica sui luoghi siciliani raccontati da Vincenzo Consolo, allestita nella Galleria Dina Vierny, diretta da Olivier Lorquin, situata al n°36 di Rue Jacob, nel centralissimo quartiere parigino di Saint-Germain de-Pres, Carlos Freire, fine fotografo brasiliano, nato a Rio de Janeiro nel 1945 e residente a Parigi dal 1973, noto per aver immortalato personaggi dello spessore di Marguerite Yourcenar, Roland Barthes, Francis Bacon, Orson Welles, Bill Brandt, André Kertèsz, Tina Modotti e tant’altri, racconta in un’intervista d’aver incontrato Consolo nella più importante li- breria italiana a Parigi, che si chiama Tour de Babel, e che è stato lo stesso proprietario suo amico, Fortunato Tramuta, a presentarglielo, visto pure che Consolo sapeva che Freire voleva fare un libro sulla Sicilia. I siti e i luoghi impressi sulle pagine minuziosamente in modo sui generis, si sa, sono rac-32

33

contati da Consolo in uno stile diremmo neo-barocco ricco di particolari storici e architettonici, convinto come era che non si potevano scrivere ro- manzi perché ingannavano il lettore. Le foto in bianco e nero di Freire, ri- traggono per lo più scorci di strade, paesaggi e particolari di figure maschili e femminili colte a loro insaputa mentre arrancano in processione nelle feste patronali o nei “misteri” di Trapani del venerdì santo o mentre anonime fan- ciulle guardano ignare l’obiettivo della macchina fotografica, forse, durante l’infiorata di Noto. C’è nelle immagini di Freire la Sant’Agata di Militello de La ferita dell’aprile, il paese natio che Consolo lasciò nei primi anni 60 per34

emigrare a Milano, tatuato quasi nelle sue carni con un ghigno che s’irradierà eloquente- mente in quel viso enigmatico dipinto da Antonello da Messina, visibile è visitabile nel museo Mandralisca di Cefalù, che darà vita poi all’opera forse più famosa di Consolo: Il sorriso dell’ignoto mari- naio. Quella Cefalù che Freire riproduce in un paio di sequenze con le case che lambiscono un Mar Tirreno luccicante con la grande montagna alle spalle. L’itinerario fotografico di Freire segue quasi un percorso a chiocciola, così come sono strutturati i 20 “arondissement” pari- gini, con un avvio che parte da Calascibetta, qui quasi che vola meta- fisicamente, paese in cuiaveva preso in affitto una casa per stare più vicinoalla Sicilia di Consolo e segue un itinerario chetocca i luoghi della sua anima: la chiesa quattro-centesca di San Giovannello nell’Ortigia di Sira-cusa, struttura ibrida tra una sinagoga è un tempioromanico, le pietre bianche della necropoli di Pan-talica bucherellate a mo’ di nido di rondine, la viaMaqueda di Palermo con due preti in tonaca nera,lo Spasimo incompleto come la Sagrada Famigliadi Gaudi a Barcellona, il paesaggio medievale diCastelbuono tra olivi e olivastri e le notti di lunapiena. Gigi Giacobbe 35

“Il gioco delle perle di vetro” di Hermann Hesse sempiterna metafora della vita Nell’ultimo romanzo del Nobel Hermann Hesse – Das Glasperlenspiel / Il giuoco delle perle di vetro (1943) – si descrive un ordine monacale di intellettuali ambientato in un futuro remoto nell’immaginaria regione di Castalia, alla guida morale e spirituale di una comunità eterea e uto- pista. La voce narrante accenna solo a qualche nebuloso riferimento al mondo esterno, oscuro e decadente (come l’era dell’epocale romanzo d’appendice, il foulleton, antesignano dei fotoromanzi a puntate e di soap opera d’infinita serialità). Questi Saggi coltivano e praticano ceri- moniali riconducibili a ritualità orientali e occidentali. Il protagonista è Knecht (che in tedesco vuol dire servitore), ammesso da giovanissimo alle scuole che formano l’elite dei giocatori di perle grazie alle eccezio- nali qualità intuite dal suo maestro di musica, sino a divenire Magister Ludi (Maestro di Gioco). La locuzione latina viene allusivamente usata per il doppio senso della parola ludus: “gioco” e “scuola”. Ma le regole di questo gioco non vengono mai spiegate; si comprende tuttavia che sono sofisticate come le complesse modalità del medesimo, nella sua immaterica eppur corporea organicità mosaicale. Il gioco di Castalia consente di sorvolare tutte le planimetrie disciplinari della conoscenza per disaminare gli anfratti più re- conditi della coscienza. I giocatori, tematica- mente orientati dal Magister, snodano le loro mosse improvvisando raffinate correlazioni fra soggetti ed oggetti apparentemente incon- Hermann Hesse, pittore36

grui, (pratica già cara ai surrealisti e, in campo musicale, prerogativa deljazz che si diffondeva in Europa in quegli anni di stesura del romanzo).Così le pedine di tale affascinante domino, ovvero i pezzi di vetro, di-ventano perle, essendo “frammenti” simbolici dell’astratta interiorità con-tenuta in notazioni musicali, lettere, numeri ed altri ancora segni grafici.Una sorta di trasmutazione più tardi avanzata dall’etnomusicologo Ma-rius Schneider che parlerà di musica come “architettura liquefatta” e diarchitettura come “musica pietrificata” (Pietre che cantano). Per il ro-manziere svizzero-tedesco, che fu anche poeta filosofo aforista e pittore,(quasi certamente non ignaro dell’ Homo ludens pubblicato nel 1938dall’antropologo J. Huizinga), “il Gioco” (forse attinto da un antico giococinese detto “Go”) è un pretesto di profonda riflessione su argomenti distoria, filosofia, psicologia, estetica, politica (nota la sua avversione alnazismo e alla guerra), che riconduce infine bruscamente alla cruda,caotica, imprevedibile realtà, stigmatizzando l’emozionante misterodella vita e della morte; il romanzo si conclude con l’etica decisione delprotagonista di abbandonare la sua rassicurante, inespugnabile torred’avorio per tuffarsi liberatoriamente nelle incognite del mondo esterno… (e nel gelido lago ove annegherà). Abbiamo “ripescato” le perle diHermann Hesse per l’attualissima, sempiterna metafora ludico-esisten-ziale che s’interfaccia, tra consonanze e dissonanze, simmetrie e asim-metrie, con ilcaleidoscopico teatrodella vita – piaccia o no– in perpetua trasforma-zione. E ciò, al di là diogni razionale previ-sione, attraversando at-timo dopo attimopassato-presente-futuro,fra guerre e paci, scan-dito com’è da scelte indi-viduali e collettive (dilibero o istintivo arbitrio)fatalmente determinate emai governabili dal-l’umanità. Carmelo Caminiti Hermann Hesse 37

Spettacoli, laboratori, approfondimenti per festeggiare il decennale di UNIVERSITEATRALI Gli anniversari, si sa, hanno valore solo se al ri- cordo si accompagna anche una riflessione si- stematica sui semi lasciati durante il percorso fatto e sul futuro, dando spazio ai nuovi progetti da realizzare. Grande, allora, il valore del de- cennale di UniversiTeatrali, che a marzo, con spettacoli, incontri, laboratori e seminari, ani- merà l’Università di Messina ed in particolare Villa Pace, dove il centro internazionale ha oggi la sua sede, ma anche il teatro Vittorio Ema- nuele ed in particolare la sala Laudamo, che per prima ospitò le attività di UniversiTeatrali, dieci anni fa, riaprendo le sue porte alla città e dando impulso ad un nuovo progetto culturale. A raccontare di quei fermenti, di quelle attività, di come è nato e cosa era, inizialmente Univer- siTeatrali, è Dario Tomasello, docente di Lette- ratura italiana contemporanea al dipartimento di Scienze cognitive, della formazione, degli38

studi culturali. «L’idea era fare qualcosa per il teatro a Messina,in un momento in cui la sala Laudamo era chiusa – spiega To-masello – nella convinzione che fosse possibile rilanciare la vo-cazione teatrale di una città che, seppur anomala, rispondevapositivamente agli stimoli proposti. Insieme ai registi GiovanniBoncoddo e Roberto Bonaventura, a partire dal 2005, organiz-zammo rassegne e laboratori teatrali, laboratori musicali con lacon la collaborazione di Luciano Troja e Giancarlo Mazzù, pro-ponemmo due festival nel cortile dell’Università che richiama-rono tantissimi messinesi, dedicati nel 2005 a Don Chisciotte el’anno successivo a Don Giovanni». Attorno a queste attività sisviluppò una forte energia che, ad esempio, portò all’aperturadel corso di laurea Dams, oggi, uno dei pochi del sud Italia, allarealizzazione della rassegna dedicata alla drammaturgia con-temporanea “Paradosso sull’Autore”, che per anni animò laLaudamo. Infine, tantissimi gli artisti, giovani e non, che attra-versarono l’esperienza di UniversiTeatrali, oggi, divenuto unCentro studi afferente all’Ateneo peloritano. Per ricordare questidieci anni il mese di marzo sarà costellato da spettacoli, labo-ratori, approfondimenti per un programma organizzato dal Cen-tri Studi, insieme a Latitudini, rete di drammaturgia siciliana, alprogetto “Mano con Mano” e all’associazione D’Arteventi. Siparte l’11 marzo con lo spettacolo del gruppo Generazione di-sagio che terrà anche un laboratorio, il 12 sarà la volta di PaoloPuppa, il 18 spazio alla compagnia Maniaci D’Amore con lospettacolo “Morsi a vuoto”. Ancora il 24 marzo una giornata distudi dedicata ai tanti laboratori cittadini su “Insegnare e fareteatro a Messina” mentre la serata, con la direzione artistica diRoberto Bonaventura, sarà dedicata a performance con alcunidei protagonisti dell’attività di UniversiTeatrali, Gianluca Ce-sale, Maria Cristina Sarò, Monia Alfieri, Lucilla Mininno, Gio-vanni Boncoddo, Luciano Troja, Giancarlo Mazzù, solo percitarne alcuni. Ultimo appuntamento teatrale il 25 marzo, conlo spettacolo “I giganti della Montagna” per la regia e interpre-tazione di Roberto Latini. E.R. 39

Foto Rosellina Garbo Omaggio ai fremiti e ai sussulti dei corpi delle donne Grande attesa a Barcellona per lo spettacolo “Invenzioni a tre voci”, della Compa- gnia Zappalà Danza, che andrà in scena al Teatro Mandanici dal 7 all’8 marzo. Le “invenzioni” e le “voci” sono rispettivamente quelle di J. S. Bach (eseguite dal vivo da Luca Ballerini al piano e da Adriano Murania alla viola) e quelle delle tre danza- trici protagoniste: Maud de la Purification, Gioia Maria Morisco Castelli e Valeria Zampardi. Lo spettacolo, nato da un’idea di Nello Calabrò e di Roberto Zappalà, è incentrato sull’immobilità del corpo femminile, che si trasforma e trasfigura nei corpi in movi- mento, plasmati dallo stesso Zappalà. «Mettere a nudo il corpo della donna, ovvia- mente non solo nel senso letterale - afferma Zappalà, che è anche coreografo e regista dello spettacolo - equivale a mettere a nudo il cuore umano. Vuol dire rive- lare le illusioni e gli inganni che, quasi sempre, lo sguardo maschile ha messo in campo quando l’oggetto della visione è la donna e il corpo femminile». Il testo spinge a una riflessione non tanto sulla condizione femminile ma sull’imma- ginario. Un Immaginario prodotto dalla bellezza femminile e dal suo corpo, al con- tempo protagonista e vittima, e lo fa attraverso la danza. Ed è proprio a partire dal corpo, in questo caso quello della danzatrice, che tutto incomincia e nel quale tutto si consuma ed esaurisce. Una danza che ha la sua grammatica e la sua sintassi nei nervi e nelle giunture, nei fremiti e nei sussulti del corpo delle tre danzatrici. Eleonora Rao40

Cantautore del mare e delle donne Pino Daniele La parabola di Pino Daniele permette di affrontare il tema dell’importanza del mondo dei cantautori come simbolo dell’immaginario collettivo, un immaginario poetico, letterario, musicale, sociale, che i cantautori, autori-can- tanti, sono riusciti a costruire, creare e ricreare negli anni, e attraverso intere generazioni. Le canzoni condensano attimi, momenti, sen- sazioni, incontri, situazioni, parole e voce dei loro autori; diventano la testimonianza che continua nel tempo, torna e ritorna per ognuno di noi, e unendo le esperienze diventa espe- rienza collettiva e universale.Massimo Troisi e Pino Daniele 41

42

I cantanti e autori hanno dalla loro la presenzafisica, la visibilità continua, il loro essere pre-senza in ogni mezzo, sul palco, nelle co-pertine, e questo li rende popolari: nonc’è persona che il giorno dopo lascomparsa del cantautore napole-tano non ricordava un episodio le-gato a Pino Daniele (l’hoincontrato in aereo, l’ho vistoprima del concerto, sono statonello staff dei suoi concerti,etc). Poi ci sono le canzoni,che vibrano, si dissolvono,tornano a riportare emozionisopite, sempre vive, dilalatee trasbordanti. 43

Di lui è stato detto che era il “nero a metà”, l’anima blues italiana, il cantante che inventò l’anglo-napoletano, che ha reinventato la mu- sica napoletana modernizzandola con un sound internazionale, affabile e affabulatorio. Tutto vero, ma Pino Daniele era anche altro. Una voce particolare, calda, unica, un suono di chitarra che sapeva eccellere, e una poetica che lo stesso Daniele definiva inizialmente naif, descrittiva, pittoresca, arguta, tagliente, capace di slanci meravigliosi come Terra mia e quella Napul’è che descrive Napoli come una “ carta sporca” (immagine davvero incredibile che molti poeti dovrebbero avere come modello), e che ci sembra la sua “Caruso”, canzone, come quella di Dalla, che diventa bandiera e inno cantata da tutti. Il suo, come quello di tutti i cantautori, sono mondi così ricchi che sono difficili da esami- nare, analizzare, esplorare nei dettagli; la Pino Daniele e Claudio Baglioni44

carriera lunga fatta di eventi, dischi, colonnesonore, concerti epici, riunione e quelle colla-borazioni, un centinaio, che hanno visto dialo-gare Pino con vecchi e nuovi artisti, simbolo esegno di una generosità e di una voglia di con-frontarsi che sentiva come una necessità arti-stica e umana. Se mi vuoi, con Irene Grandi, èuna dolce ballata che ricostruisce la tensioneemotiva di coppia; la sua chitarra virtuosa estrabiliante accompagna la magica melodia diuna canzone di Claudio Baglioni, Io dal mare,un gioiello di “Oltre”, che i due cantautorihanno portato live solo una volta a Lampedusaper O’Scia: ascoltate i voli melodici e la vocedi Baglioni che canta il sole che passeggia sulletegole e il sapore di uva fragola che invade l’at-mosfera per rimanere incantati.Pino aveva uno sguardo sul mondo femminiledavvero unico, basta sentire Sara (“quante coseinutili abbiamo nella testa ma il tuo sorriso restain the middle of the night, Sara devi crescereimparerai a guardare il cielo a inseguire unsogno vero nelle cose della vita”); ascoltate ladolcezza e la forza introspettiva de Il sole den-tro di me per capire la poetica di Pino Daniele,poeta della musica: “Io cerco il sole dentro dime la luce dell’aurora ho promesso a me stessodi dire tutta la verità io voglio il sole di me perritrovarmi ancora tra le mie braccia…” .Cipiace ricordare, infine, la bellissima Sicily,omaggio alla nostra isola fatto insieme a ChickCorea, e poi una canzone che non si riesce acapire come mai sia stata dimenticata nellevarie commemorazioni sui giornali e in tv,Anna verrà, meraviglioso omaggio a Anna Ma-gnani, il cui il mare e il femminile si abbrac-ciano: “Anna verrà e sarà un giorno pieno disole/ Anna verrà col suo modo di guardarcidentro/ dimmi quando questa guerra finirà/ noiche abbiamo un mondo da cambiare/ noi checi emozioniamo ancora davanti al mare”. Sergio Di Giacomo 45

Lo Squalo rosso, rosa e giallo46

“Ero finalmente vestito di rosa da capo a piedi, perché quel giorno l’eroe da onorare ero io, Vincenzo Nibali da Messina, il figlio di Sal- vatore e Giovanna; il codice UCI Ita 19841114, esordiente nelle file dei Vivai Pietrafitta, allievo con la maglia della cicli Fratelli Mar- chetta, poi Juniores e Dilettante per i colori della Mastromarco; ex tesserato Liquigas ora in forza al- l’Astana e, in fondo al cuore, fino all’ultimo giorno, Azzurro d’Italia” Tratto da: La mia vita raccontata a Enrico Brizzi “Vincenzo Nibali. Di furore e le- altà” edito da MondadoriVincenzo Nibali, tripla corona europea, all’iniziodi questa nuova stagione ciclistica, si racconta 47

Altro che play-station. Per il piccolo Vincenzo il regalo dei regali era la bici, eterno simbolo di li- bertà. La prima agognata “bicicletta bella”, non quella per fare il giro del- l’isolato, l’ha costruita insieme a suo padre, che un giorno non ha esitato a tagliarla in tre pezzi per un richiamo subìto a scuola. Oggi, in sella alla sua superbici, la “Spe- cialized”, è un uomo di successo mondiale. Cos’è cambiato dentro lei da quel tempo in cui bambino scorrazzava in via Garibaldi con il cugino e con gli amici? Quali scelte rifarebbe e quali no? Rifarei tutto quello che ho fatto. Ho sempre sognato di diventare un cor- ridore professionista e forse mi sono mancati qualche sabato sera con gli amici, ma pensandoci bene… neanche troppo. E ritengo di non essere cambiato, in questi anni, perché per lavoro faccio ciò che amo. Migliaia di chilometri percorsi verso un’unica direzione: il sogno di cor- rere tra i professionisti. Ma alla gioia per quella notizia, suo padre, “il Lupo”, quasi non voleva, temeva per la sua salute, l’avvertì dei pericoli legati al doping: «Chi pratica con lo zoppo…». Lei ha mantenuto la pa- rola data e con il suo esempio ha testimoniato chi è, e come si com- porta, uno sportivo. Come quella volta quando si classificò ultimo alla classica del nord Liegi-Bastogne-Liegi. Quando arrivare ultimo è una vittoria… Me la ricordo bene quella corsa. Era la prima volta che facevo una gara così lunga. L’obiettivo era di arrivare al traguardo e ci sono riuscito. Per me lo sport non è solo passione, fatica e divertimento, ma un perfetto maestro di vita. Nei lunghi mesi prima della stagione delle gare ufficiali sono molti gli allenamenti in solitaria, con il preparatore atletico e il massaggiatore di fiducia. In gara, invece, si esalta il lavoro di squadra coordinato dal48


Like this book? You can publish your book online for free in a few minutes!
Create your own flipbook