Important Announcement
PubHTML5 Scheduled Server Maintenance on (GMT) Sunday, June 26th, 2:00 am - 8:00 am.
PubHTML5 site will be inoperative during the times indicated!

Home Explore PICCOLODECAMERON 2.0

PICCOLODECAMERON 2.0

Published by Gino Nencioni, 2016-09-09 14:56:16

Description: Boccaccio Giovani IV Edizione

Le Novelle

Search

Read the Text Version

Boccaccio Giovani IV edizione Novelle

Non è facile scrivere la prefazione ad una pubblicazionedi novelle mentre passano sul video immagini di morte,distruzione, dolore.Non è facile entrare nei vostri racconti mentre il mondoracconta storie disumane, fuori dalla logica e dal senso diumanità .Non è facile ricordare i vostri volti sorridenti nel Salone deiCinquecento il 20 maggio scorso, senza che insovraimpressione arrivino le foto sorridenti di ragazzicome voi squarciati dai colpi a Parigi, a Bruxelles, in Siria.Questo il mondo di oggi, questa la Peste del terzomillennio : e a questa peste ancora una volta voi giovanirispondete con il coraggio del racconto, della storia, dellanovella.Grazie per la speranza che trasmettete, grazie per averaccettato la sfida, e che Messer Boccaccio vi accompagnisempre con il suo spirito, la sua arguzia, la sua audacia.Buona vita!Simona DeiAssociazione letteraria Giovanni BoccaccioPresidente

2.0PICCOLODECAMERON



Lectio Magistralis

Scoprirci Narrando Diego SalvadoriSecondo lo scrittore israeliano David Grossmann, «l’unica libertàche ha un uomo è quella di formulare la propria storia con leproprie parole»1: affermazione che, per certi aspetti, dischiude ilruolo e la funzione assunti nel nostro tempo dalla praticanarrativa, destinata a adergere a vera e propria strategia disopravvivenza. Volendo da subito tracciare un parallelo con ilDecameron, ciascuno di noi potrebbe benissimo prendere partealla ‘festosa brigata’ dei dieci novellatori e fare della narrazioneun baluardo, un’àncora di salvezza: osservatorio privilegiatotutt’altro che separato dal mondo reale e, per questo, predispostoa mostrarne le pieghe contraddittorie. La narrazione è reagente,cartina di tornasole: illumina quelle zone d’ombra che,inspiegabilmente, sono precluse agli ambiti del sapere.Narrare è un’arte estremamente delicata: per Hannah Arendt,essa rivela il significato senza commettere l’errore di definirlo,mostra la propria fragilità e la canta2. Ecco che il mancatotentativo di definizione traccia, da subito, una netta linea di1 David Grossman, L'importanza di trovare le parole per raccontare una tragedia, «La Repubblica», 29/10/2012.2 Hannah Arendt, Isak Dinesen (1885-1962), in «Aut aut», 239-240, 1990, p. 169, citato in Adriana Cavarero, Tuche mi guardi, tu che mi racconti. Filosofia della narrazione, Feltrinelli, Milano 1997, p. 10.

confine tra la pratica narrativa e le scienze sperimentali, perriportarci al presente in atto dove le Storie – e, in particolar modo,le nostre Storie – svaniscono inghiottite da una frenesia collettivache rischia di omologarle in un punto di non ritorno. Certo, lanarrazione è un arte. Ma la narrazione è, potremmo dire, ancheparte del nostro patrimonio genetico: l’essere umano, in fondo, èl’unica creatura letteraria presente sulla faccia della Terra, il checi porta a riflettere anche sulla responsabilità che ci investequando diventiamo narratori di storie, dal momento che la praticadel narrare è interumana. Quando raccontiamo, tra noi e chi ciascolta, viene a crearsi un’immediata complicità: dinanzi alrisveglio di un’amicizia sopita – il legame, cioè, fra narratore edestinatario –, ci fidiamo di quelle parole, consci del rischio cheun tale atto di fiducia comporta, anche a costo di sconfinare inincognite e fare i conti le proprie debolezze. Narrare, per dirlo conle parole della scrittrice Grazia Livi3, è un destino: il nostrodestino; siamo divenuti e stiamo diventando tali – anche inquesto preciso momento – perché ci nutriamo costantemente dinarrazioni.Ma credo sia necessario soffermarsi un altro aspetto, ovverosiai legami tra l’atto narrativo e la sua portata educativa. Ognuno dinoi, in fondo, ha una storia educativa da raccontare e una storianarrativa che ha saputo educarlo: possiamo narrare perinsegnare e, al tempo stesso, insegnare per tramandare una3 Grazia Livi, Narrare è un destino, La Tartaruga, Milano 2002.

narrazione. Narrazione e educazione, dunque, sono due funzionifondamentali che noi apprendiamo per via naturale: quando leviviamo, le facciamo nostre e, in futuro, le riproporremo all’internodi altre storie4. Da qui il nostro essere contemporaneamentenarratori e ascoltatori, mittenti e destinatari di un insieme dinarrazioni che guidano le nostre esistenze. Dunque, lanarrazione non definisce e si fa indecidibile proprio perchéspinge noi stessi ad architettare il nostro intreccio in una fabulaoramai collettiva.Impossibile, a maggior ragione, prescindere dalle parole e il lororuolo fondante: per lo scrittore Luigi Meneghello, esse sono«come creature erranti, devono continuamente attraversare lefrontiere»5, il che ci riporta al loro essere mezzo d’elezione peruno scambio relazionale («La parola», per il filosofo Michel DeMontaigne, «è per metà di colui che parla, per metà di colui chel’ascolta»); senza contare il fatto che esse non ci abbandonanomai, neppure durante il sonno. Secondo Tullio de Mauro: Ogni giorno una persona adulta colta “processa”, come dicono gli informatici, decine e decine di migliaia di parole. Vale la pena azzardare una stima. Sappiamo che in un minuto leggiamo o sentiamo leggere ad alta voce4 Circa ai rapporti tra narrazione e educazione, rimando al volume, da cui mutuo tali considerazioni, di DuccioDemetrio (a cura di), Educare è narrare. Le teorie, le pratiche, la cura, Mimesis, Milano 2012.5 Luigi Meneghello, Maredè, maredè… Sondaggi nel campo della volgare eloquenza vicentina, Rizzoli Milano 2002, p.201.

in modo comprensibile circa cento parole italiane o tedesche, centodieci francesi o inglesi, ma contemporaneamente, nello stesso minuto, ne pensiamo almeno altrettante senza troppa difficoltà. Per essere cauti, si può stimare, al ribasso, che un adulto colto processi ogni giorno, in sedici ore di veglia, assai più di centomila parole. Ma il word processing mentale continua anche durante il sonno. Ripeto, sono stime caute, al ribasso.6Quindi, siamo fatti di cellule, organi, batteri… ma siamo fatti, edè un gran sollievo poterlo dire, anche e soprattutto parole. Paroledi cui, tuttavia, si va man mano perdendo il senso originario: «inprincipio era il verbo», recita l’incipit del Vangelo di Giovanni, equesto potrebbe spingerci a riconsiderare la loro laica sacralità,il fatto che le parole – e i fatti recenti lo dimostrano ampiamente– possono sì creare ma anche, e soprattutto, distruggere.Parole, dunque, necessarie alla sopravvivenza di tutti – senzadistinzione di sorta – e alla base di ogni processo psichico esociale proprio perché destinate a intessere legami. Senza la loropresenza, perderemmo le coordinate e non avremmo possibilitàalcuna di orientarci nella vita di tutti i giorni, come dinanzi a unamappa senza le indicazioni dei luoghi; parimenti, senza la6 T. De Mauro, Non parlare a vuoto: ricordati che la lingua ha un corpo, «La Stampa», 14/05/2015.

narrazione, non potremmo neanche apprezzare la bellezza dellavita e tramandarla.Ecco perché narrare è giocare col tempo, con la realtà: si creanodegli spazi paralleli e possibili, portando avanti un’operazionesulla durata e lo scorrere temporale, che viene contratto odilatato. Il racconto non mette tempo, afferma un detto siciliano,proprio perché crea un campo di forze, un nodo di rapportiinvisibili7 dove, tuttavia, si nascondono tutte le possibilità dellavita: per il racconto, tutto è possibile, e questo è un altro aspettodel suo farsi àncora di salvezza, pura sopravvivenza.Verrebbe da chiedersi – a conclusione di questo intervento – sele narrazioni, allo stato attuale, sono ancora possibili, in un’epocache, alla fin fine, era già stata prefigurata da Italo Calvino nel1960, nella postazione alla trilogia dei Nostri antenati: È chiaro che oggi viviamo in un mondo di non eccentrici, di persone cui la più semplice individualità è negata, tanto che sono ridotte a una astratta somma di comportamenti prestabiliti.8Ritengo che, al momento, la narrazione sia al culmine di un veroe proprio processo di cambiamento, soprattutto nell’era di7 Cfr. Italo Calvino, Rapidità, in Id., Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio (1993), Mondadori,Milano 2002, p. 39.8 Italo Calvino, Postfazione ai Nostri Antenati (Nota 1960), in Id., Romanzi e Racconti, I, a cura di M. Barenghi e B.Falcetto, Milano 2013, p. 1215.

Internet e, nella fattispecie, dei social network e la scritturadigitale. Siamo in un periodo in cui l’arte di raccontare deveprendere atto e fare i conti con un simile cambiamento, ondeevitare di perdere la sua carica svelante e rivelatrice; perchépossa, ancora, dire e agire sulla realtà in corso. Credo che le parole – ed è un invito da rivolgere allegenerazioni dei nativi digitali – debbano essere riscoperte,proprio perché, nell’ansia di comunicare e di essere compresi dainostri interlocutori, corriamo il rischio di essere fraintesi. Ènecessario, dunque, familiarizzare con questi nuovi ‘spazinarrativi’ dove – e mi riferisco, in particolare, ai social network –chi narra viene a sua volta narrato, avendo così la responsabilitàdi rendere questo spazio uno spazio di vita vissuta, esistenziale,pienamente umano. Con queste premesse, ritengo che le storie (o, come mi piacedefinirle, le ‘narrative’) continueranno il loro tragitto ancora permolto tempo, perché – volendo rifarci a un passo di Viaggio inPortogallo (1981) di Josè Saramago: Il viaggio non finisce mai. Solo i viaggiatori finiscono. E anche loro possono prolungarsi in memoria, in ricordo, in narrazione. Quando il viaggiatore si è seduto sulla sabbia della spiaggia e ha detto: “Non c’è altro da vedere”, sapeva che non era vero. Bisogna vedere quel che non si è visto, vedere di nuovo quel che si è già visto,

vedere in primavera quel che si è visto in estate, vedere di giorno quel che si è visto di notte, con il sole dove la prima volta pioveva, vedere le messi verdi, il frutto maturo, la pietra che ha cambiato posto, l’ombra che non c’era. Bisogna ritornare sui passi già dati, per ripeterli, e per tracciarvi a fianco nuovi cammini. Bisogna ricominciare il viaggio. Sempre. Il viaggiatore ritorna subito. 99 Bompiani, Milano 1998, p. 5.



Marta MagnaniOra come allora

Motivazione GiuriaQuesta novella ha conseguito il primo posto con giudiziounanime della Giuria, per diversi punti di merito. Innanzitutto, èparticolarmente interessante la doppia tessitura della trama,incentrata su due diversi livelli temporali a cui corrispondono duedifferenti registri linguistici; inoltre, ottima è la padronanzalessicale, che risulta centrata e piacevole, senza mai essereartificiosa, e la narrazione appare al contempo ben strutturata,ricca di elementi coinvolgenti, capaci di incuriosire e divertire illettore, in perfetto stile boccaccesco.Emerge dunque la ben riuscita resa espressiva di un vivacetalento inventivo, e una scrittura narrativa efficace eperfettamente coerente col tema proposto.

Sono appena uscita, fuori un'aria ventosa e primaverile mettevoglia di scatenarsi. Un paio di messaggi su whatsapp e miritrovo in via Lama ad aspettare la funicolare. Sono in anticipo diuna mezz'oretta, giusto il tempo di farmi fuori un panino alBoccaccio.Mi frugo in tasca e tiro fuori i due euro per il biglietto, non sia maiche il Cantini mi ritrovi un'altra volta senza e lo dica ai miei.Salgo al volo, così la parte dal Cantini la prendo ugualmente,perché con le cuffie non ho sentito arrivare la funicolare e stavoper perderla.Siamo solo noi due, il conducente ed io. D'un tratto, dal vetro,vedo nel cielo un vortice, un mulinello, un turbine nero che inpoco tempo ci avvolge e ci scuote. Tra il rumore della cabina chesbatte qua e là, la tensione, la forza che metto per reggermi contutta me stessa alla maniglia di non so che cosa e i lampi cheinterrompono il nero in cui siamo avvolti, non sappiamonemmeno noi dove siamo e cosa fare. Saranno stati cinque, dieciminuti al massimo, ed ora tutto tace, come se avessero spento ilvolume. Il silenzio. Solo un ronzio che sicuramente viene dadentro e il dolore per tutte le botte prese sbattendo qua e là.La cabina è ferma, il Cantini non lo vedo più, ma non può esserevolato via. Sarà sceso... dove siamo Forse già a Porta Alberti.Cerco di aprire lo sportello per uscire, è duro ma ce la faccio. Sì,siamo a Porta Alberti... almeno mi sembra, stanno facendo dei

lavori, è un po' cambiata, molto più verde. Cerco il telefonino,niente. L'avrò perso durante il terribile incidente.Mi siedo sul muretto per riprendermi, accidenti che roba! Ma cosaè stato di preciso? Non vedo l'ora che arrivino gli altri... ah! C'èqualcuno... no, no, non è del mio gruppo... ma... è il Cantini?Troppo giovane, eppure sembra lui, forse suo figlio... “Ciao,scusa, sai che ore sono?”“Venni a vedere qual cosa accadde, avendo ricevuto una talbotta, che vidi motteggiare anzi il Castello... e voi, diletta, voi qui?Ma se per giorni dovetti indagare, eppur senza risposta! Allora èvero che quel che in anni perdi, nel tempo di un rintocco poiritrovi... ma vedo che l'errante vostra storia vi porta adagghindarvi fuor memoria... sapete che nel mio Decamerone, diuna giornata intera sei regina”.Boh! Ma che ha detto? Starà rappando, allora è proprio il figliodel Cantini, Giovanni, me lo avevano detto che era fissato colrap... “Conosci il Guidi? L'hai visto? Aspetto qualcuno del miogruppo, sai, del Virgilio. Avevamo appuntamento qui ma non cicapisco più nulla... magari hanno visto il tempo e sono rimastigiù... Tu sei solo? Aspetti qualcuno?”E così i due, stupiti l'uno dell'altra, seduti sul muretto, in pocotempo adeguano i reciproci costumi azzerando anni, secoli, queltempo che un'incredibile energia aveva riunito e fatto ritrovare

nello stesso spazio, che entrambi conoscevano e frequentavano.Poco a poco l'affinità perde i riferimenti storici e rinasce,dimostrando, forse, che si eredita anche l'attrazione...“Piacere, Fiammetta, vedo spesso il tuo babbo, sulla funicolare,ma non sapevo che avesse un figliolo così simpatico... è tantoche fai rap?“Sai, in verità, di scrittura mi diletto ormai da oltre tre lustri, e didialetti francamente ne conosco, ma il tuo parlare un poco misconcerta, ché mai ne udii, e posti ne ho battuti, da dilettevoli adaltri assai più cupi... picciole tue parole mi rallegran, in merisveglian forte un sentimento... Fiammetta! Certo, a questo eroarrivato, ma del tuo cambiamento son basito. Risvegli in me istintie pur virtù, poiché la candida vestura e le tue movenze, son tantoarmoniche, cortesi e anzi suadenti...”Ma la magia deve ancora arrivare, perché Giovanni e Fiammettainiziano a scambiarsi notizie, commenti, idee... forse è ancoral'effetto dell'imprevedibile natura, ma non sembra esserci tuttaquesta differenza, seppur con ottocento anni di distanza. Hannomolte, troppe cose in comune: Giovanni è reduce da unfallimento a causa di investimenti nelle Banche dei Bardi,Fiammetta in casa non sente parlare altro dei risparmi dellanonna finiti in fumo per colpa della Banca Etruria.E poi i problemi climatici, la crisi demografica, la paura dellapesta nera, che Fiammetta chiama ebola...

“Per dirla a te, non ho ancora capito se viviamo nella stessa partedi Mondo... non che non sia d'accordo con te, anzi! Mi spiace chetu abbia dovuto soffrire per i tuoi genitori, so cosa si prova, cisono passata anch'io, i miei sono separati, ma ormai dobbiamoabituarci ad una famiglia allargata. Non ho mai trovato qualcunoche mi capisse così bene. I miei coetanei a volte sembrano averpaura di affrontare argomenti seri... spesso le angoscecerchiamo di trasferirle al tablet, sbattendo continuamente lenostre dita e cercando di restare collegati contemporaneamentecon decine di persone... ma dicendoci cosa? Ci passiamo lestesse frasi copiandole non si sa da chi, ritenendole sicuramentemigliori di quelle che potremmo pensare noi stessi. Alla fine,tante frasi stereotipate ma parliamo del niente. Eppure tuttoquello che accade mi mette paura, mi sembra che alla fineevitare un attentato, una malattia, dipenda solo da quanta fortunahai...”“Cara Fiammetta, non sai quanto mi prende parlare insieme a tedi sentimenti... e allora, ascolta: li uomini su di una cosa possonocontare, ansi che a volte a parole non sanno demonstrare. Feciesperienza di quel che ti racconto, e Giubileo per me vorrebbedire da vero una Grazia sovraumana, come dice chi alle grazieci crede e che le aspetta. Era il cinquanta quando qui a Certaldo,si seppe del passaggio di Francesco. Andai a Firenze, fu unincontro mirabile; e da allora non fui più lo stesso. Perché se c'è

una cosa che ci può cambiare, che anche il destino può farragionare, è l'amicizia, l'incontro con un altro. Ciò che a mestesso funziona come fermo, in due si annienta e poi ti sentieterno. Io l'ho provato e ormai non me lo scordo. Di questo stoscrivendo, grazie a questo ricordo: dieci ragazzi che, vivendoinsieme, vincono la peste a raccontarsi storie. Ché non è il fatoche ci risparmia le tempeste, ma l'anima nostra, se è di buonumore.”Tutto a un tratto... buio. Ancora un rumore assordante, poi unaluce, poi...“Fiammetta! Fiammetta! Sempre la solita! Accidenti alle cuffie echi le ha inventate! Gnamo! Monta!”.È il Cantini sulla funicolare... mah! Non c'è più nessuno. O nonc'è mai stato. Il cellulare è in tasca, qui non c'è nessuno. Vado acasa, non so cosa sia successo, ma mi è rimasta una gran vogliadi fissare con Emilia, Laura, Francesco, il gruppo storico con cuicondivido tutto, amici da sempre, molto più di profili su internet.Persone vere, che ora più che mai sento indispensabili.

Mariarosaria Picaro Nomen Omen

Motivazione GiuriaIl valore contenutistico di questo testo, suggestivo e toccante, èesaltato da una resa linguistica evocativa e sapientementemodulata: la storia dei due amici Euforbo e Patroclo evoca fin dalnome dei protagonisti una storia di diversità e di somiglianza, discelte diverse, e di destino crudele.Lo spessore tematico, l’inaspettato finale, la profonditàdell'interpretazione del concetto di amicizia che qui emergefanno sì che questo scritto sia risultato un unicum dinotevolissimo valore, una riflessione sul senso del tragico chedomina tante esistenze.

Euforbo, simile al guerriero troiano, infierisce il primo, mortale,colpo al suo compagno Patroclo, che trova la morte per manoindiretta del suo amico più fidato. Euforbo si guardò attorno. Nel buio delle prime ore del mattino, la radura sembrava un nero oceano, plumbeo e spettrale, senza inizio né fine, immobile in un silenzio che pareva infinito. Patroclo arrivò da lontano, non c'erano luci ad illuminarlo, neppure il debole bagliore delle stelle, o della luna, soltanto la scintilla dei suoi occhi di ghiaccio. Erano conosciuti, Patroclo ed Euforbo, per l'immensa diversità che li divideva, e per quel sottile filo di pazzia che li univa. “Ti sembra questa l'ora?”, chiese Euforbo. Patroclo, dal canto suo, si limitò a scrollare le spalle. Incastrò una sigaretta tra le labbra screpolate e la lasciò in bilico per qualche secondo, intrappolata nell'equilibrio precario delle sue parole. “Ho avuto da fare, lo sai”, mormorò, liberando un fugace guizzo di fuoco nell'aria. “Certo che lo so. Ma sai, mi chiedo quando la smetterai di chiamarmi nel cuore della notte per venirti a riprendere in capo al mondo”, sbottò. A vederli così, sarebbero sembrati i peggiori tra i nemici, lontani e con mille parole di sfida incastrate tra i denti. Ma la verità, per i

pochi che non li conoscessero, era che spogliati delle lorodifferenze, a pensarci, poi, effimere, Euforbo e Patroclo eranoquanto di più vicino esistesse alla pura amicizia. Nella piega piùintima del cuore di ognuno, infatti, si nascondeva ancora unbambino che, allungando la mano, sfiorava con le dita minuscoleil petto dell'altro, come a voler ricordare, sempre, il tempo chec'era stato, tra i due, anni prima, come inciso nella carne.“Lo sai, che non posso farci nulla”.“Puoi fare molto invece, credimi”.Pochi minuti dopo avevano lasciato la radura, e mentre giànascevano i primi raggi del sole, e nel cielo, immenso,sbocciavano i primi tenui colori del mattino, si apriva davanti aloro la strada di ritorno, vuota.“Non te la prendere”, riprese Patroclo, “sai che da questi giri nonsi esce tanto facilmente. E poi, se ti dà tanto fastidio, come maiti ritrovo sempre lì?”.“E dimmi, potrei mai lasciarti lì da solo, in balia di quei selvaggi?”,esclamò Euforbo, serrando le dita attorno al volante.Erano, ormai, più di sei mesi che Patroclo aveva iniziato a farequalche piccolo lavoretto per delle persone ben conosciute incittà, nel senso che anche solo pronunciarne il cognomeprovocava, tra le vertebre, scosse di brividi quasi paralizzanti. Sitrattava, ogni tanto, di sotterrare qualche sacco qui e là, niente diche, gliel'aveva sempre ripetuto.

Certo, erano sacchi pesanti, e la forma, a toccarli, era quasisempre la stessa. Ma quando si tratta di appesantire un po' letasche, è risaputo, la morale umana diventa ad un certo puntoleggerissima, quasi inesistente.“Cosa aspetti, mio Dio, che sotterrino anche te?”, continuò. “Èillegale, e disumano, e se scoprissero che io, nella posizione incui sono, so tutto di questa faccenda, potrei anche iniziare ascavarmi la fossa!”.“Beh, potrei sempre pensarci io...”, rispose Patroclo, sorridendogravemente. Seguì lo schiocco dell'incontro tra la mano diEuforbo ed il collo dell'amico.“Non è divertente”, rispose.S'incontrarono, i loro occhi, in una brevissima frazione disecondo, e si chiesero entrambi se quello fosse uno degli ultimimomenti assieme. Rimbombavano, nell'assenza opprimente disuoni nell'auto, le stesse quattro parole: “se fiati, tiammazziamo”.Euforbo aveva cercato, in principio, di allontanarlo da quei circoliviziosi, di coinvolgerlo in qualche programma di protezione,qualsiasi cosa. Ma la minaccia era arrivata puntuale,esattamente ventiquattr'ore dopo, attaccata alla portadell'appartamento di Patroclo, con la sfrontata sicurezza di chi sadi poter agire alla luce del sole, davanti a tutti, indisturbatamente.“È l'ultima volta, giuro”.

“Sì, come ogni giorno.”, rispose esasperato, passandosi unamano tra i capelli spettinati. “Ma con quale coraggio, Patroclo,riesci anche solo ad affondare la prima buca nel terreno? A nonsentire le urla disumane che avranno accompagnato gli ultimiistanti di vita di chiunque ci sia lì dentro? E a non chiederti chifosse? Ci pensi mai, Patroclo, agli occhi di chi sta lì dentro, chesi sono visti passare davanti una vita, e che non conta piùniente?”, urlò. Girò di poco il viso, qualche grado, per guardarel'amico negli occhi vitrei.“Ci pensi mai?”, ripeté.Non rispose, Patroclo. C'erano stati, nella sua vita, milioni diinterrogativi, e nessuno di questi aveva mai trovato pace: Dio, laChiesa, la politica, l'amore. Ripensò alle sue preghiere e a quantici avevano creduto, alle manifestazioni in piazza, da ragazzo,con la libertà che sembrava di avercela in pugno e le corde vocaliin fiamme, ad un bacio dato con la consapevolezza di esserel'ultimo ed il primo in simultanea, e al senso che non avevatrovato in tutte queste cose. Scoprì che nemmeno quella mattinaavrebbe dato, ad Euforbo, una risposta, come non aveva maifatto in tutta la sua vita, e glielo disse.“E cosa hai intenzione di fare? Dovrai pur trovare una risposta”,mormorò l'altro.“E se non lo facessi? Pensaci, Euforbo, una vita senza risposte,passata nel limbo. Non sarebbe meraviglioso?”

“E quando ti chiederanno di scegliere, amico mio, tra la vita e lamorte, cosa risponderai?”, sbottò, “continuerai a vivere piegato?Ad aspettare che ti sotterrino? O morirai, scegliendo finalmentequalche cosa?”.Patroclo gettò un'occhiata alla radio, segnava le 5:58. Sembravamuta, ma un orecchio attento avrebbe riconosciuto qualche nota,fragile, farsi spazio nell'abitacolo, De Andrè cantava un amoreperduto, anche per lui una questione di scelte.Euforbo frenò seccamente, allungandosi poi ad aprire la portiera.Non c'era traccia di serenità sul suo volto.“A destinazione”.Mentre ritirava la mano, sfiorò, forse involontariamente, quella diPatroclo. S'incontrarono, i loro occhi, in una brevissima frazionedi secondo, e si chiesero entrambi se quello fosse uno degli ultimimomenti assieme. Preferirono non rispondersi.“Grazie”.Il mattino dopo Euforbo spalancò gli occhi alle cinque esatte.Preparò il solito caffè e si lasciò bombardare dalle parole delprimo telegiornale mattutino, lente e monotone, come fosserouna metallica ninna nanna per introdurlo al mondo. Sbirciò ilcellulare: nessuna chiamata persa, nessun messaggio.“Possibile?”, pensò.

Scorse i numeri nella sua rubrica, uno ad uno, fino ad arrivarealla P. Uno, due, dieci, venti, cento squilli.“Possibile?”.Mentre ancora cercava di incastrare un braccio nella giacca,corse per tutte le scale, brandendo in una mano le chiavi dell'autoe nell'altra un coltello. Se fosse riuscito ad arrivare in tempo,pensava, sarebbe riuscito a fermarli.“Ma chi me l'ha fatto fare di aprire quella boccaccia? Chi?”, urlò.“Era una sua scelta, e non potevo salvarlo così, con due parole.Potevo solo rallentare la sua morte, e nemmeno quello ho fatto!”.Poco importava delle multe, del rumore, della gente, quandoarrivò a Via del Campo sbraitando contro se stesso riuscì solo acorrere, come fosse fatto di vento e furia, alla porta di Patroclo,e a prenderla a spallate fino a che non si liberò dalla morsa letaledei cardini. Con ancora le schegge conficcate nella carne ed ilsangue, bollente, a macchiare la camicia, alzò il coltello davantia sé.Immobile nell'infinità di un secondo, sentì l'intero universoposarsi sulle sue spalle e gravare lì, immenso edinfinitesimalmente minuscolo, congelato nei suoi istanti.Sembrava quasi finire e distruggersi lì, nell'esatto punto in cui ilsangue scuro di Patroclo aveva formato una piccola e densapozza ammassata sotto il suo polso abbandonato, ceruleo, comefosse un ramo spoglio e privo di vita. Abbandonata nel palmo

della sua mano sinistra, distesa, desertica, stava una lama, unicamuta testimone. Ipotizzò, dagli impercettibili tagli sul pollice el'indice, quanto forte l'avesse stretta.Guardandosi attorno, era come se tutto avesse perso ogni fiocabriciola di senso che aveva avuto, come se quelle mura,spogliate della vita, avanzassero sempre più lentamente verso dilui, soffocandolo nel sangue del suo stesso amico, che gliinzuppava i capelli, le ciglia, gli offuscava la vista.L'ultima cosa che riuscì lucidamente a riconoscere, prima che lesue mani corressero al petto di Patroclo, fu un piccolo post-it,giallo, incollato al tavolo.“Ho scelto”.

Laura PelissierEziandìo sull'amicizia

Motivazione GiuriaLa novella rivisita efficacemente il tema dell'amicizia alla lucedelle idee e delle questioni più moderne e attuali, riuscendo aconiugare profondità di contenuto e vivacità espressiva inmaniera brillante e delicata.Il linguaggio, ricco e colorito, rivela sia una piena capacità dispaziare tra differenti registri sia una buona padronanzagrammaticale.Coinvolgente e piacevole, la lettura di questa novella non puòmancare di suscitare nel lettore al contempo una riflessione e unsorriso.

Il pullman frena. Tutti i suoi passeggeri vengono scossi daltorpore cui l’alzataccia li aveva costretti. Lentamente si aprono leporte: alcuni scattano elettrizzati verso l’uscita, altri, assonnati,scendono con calma, attenti a recuperare tutti i bagagli. Unavolta scesi, il primo a dar loro il benvenuto è il mattutino vento dimare, seguito dalla receptionist del campeggio, oltre chedall’altoparlante che gracchia “Amir–in–reception–urgente!”-Ragazzi, io vado in spiaggia!- annuncia subito qualcuno.-Macché spiaggia, io vado a dormire!-Io devo prima mettermi il bikini nuovo!-Il pallone, Andre, prendi il pallone!Sono solo le sei di una fresca mattina estiva, ma già si vedono ingiro i primi villeggianti; a loro si uniscono, come ogni anno,Andrea il Rubacuori, Flavio il Musicista, Sofia la Superficiale,Ilenia l’Ottimista ed Elisabetta la Sapiente, new entry invitata daIlenia. Clelia la Timida è rimasta nel bungalow a dormire, “almenofino alle 10” aveva detto, ma i suoi amici sanno bene che non lavedranno prima di mezzogiorno.Sulla spiaggia c’è già un ragazzo, più o meno della loro età,occupato ad aprire gli ombrelloni, pur non portando la magliettada bagnino, e, a giudicare dal numero di quelli già aperti, è lì daalmeno mezz’ora.Il bagnino vero e proprio invece se ne sta sotto la tettoia del bar,intento a chiacchierare con la cameriera; si trova davanti Flavio

e, seccato dall’interruzione, accompagna il gruppoall’ombrellone. -Volete un lettino?-Certo!- trilla Sofia.Il bagnino la fulmina con lo sguardo e si allontana per ritornareancora più contrariato.-Era proprio necessario chiederglielo, eh?- dice Flavio.-Sì- si difende Sofia -io sto sul lettino, sia chiaro.Ilenia e Andrea tornano dalla riva riferendo che l’acqua è gelida.- Eh sono solo le sette, il sole non ha avuto tempo di scaldarla -sentenzia Elisabetta.Sofia ha già estratto dalla borsa le cuffiette, quandodall’altoparlante la voce del dj di Radio115 annuncia la sequenzadelle hit del momento. Il secondo tormentone, che avrebbesoddisfatto i gusti musicali di tutto il gruppo, viene interrotto dauna voce maschile gracchiante che annuncia: “Amir,all’alimentari per lo scarico!”Vedono il ragazzo degli ombrelloni sistemare l’ultimo e correrevia dalla spiaggia. Torna una mezz'oretta dopo, porta il giornaleal commendatore e apre la sdraio alla signora tedesca.La mattinata trascorre tranquilla per il nostro gruppo, che vieneraggiunto da Clelia per l’ora di pranzo. Il caldo e la pigrizia diSofia convincono tutti a trasferirsi ai tavoli del bar, dove, dopoaver dibattuto sulle ore da aspettare per entrare in acqua dopomangiato, la discussione cade sulla geografia.

-Dopo un intenso anno scolastico ce la siamo proprio meritata unvacanza così!-Davvero, Clelia… A proposito vi ho detto che sono andata alconcerto di Torino?- dice Ilenia in tono vivace e allegro.-No, come è andata?-Ho preso il treno alle nove, arrivata alle undici ho subito…-Guarda, Kili, - come Elisabetta ha soprannominato Ilenia - checi vogliono almeno tre ore.-No, due … - Ilenia aggrotta la fronte stupita.-No no, fidati- ribatte Elisabetta in tono irritante; non era certo ilcentro della questione stabilire la durata del viaggio.- Boh, va beh … Comunque sì, è stato bello - Ilenia incrocia lebraccia, aggiunge qualche altro particolare e poi tace.“Amir, al bar c’è il carrello della frutta da riparare!”Ed ecco poco dopo arrivare il solito ragazzo, con una grossacassetta degli attrezzi a tracolla. Continua così tutto ilpomeriggio, il tetto del bungalow 5, il taglia erba inceppato, perogni guasto arriva Amir in tuta di jeans da meccanico, strappataqua e là, sempre con la cassetta degli attrezzi. E se non si senteil suo nome all’altoparlante lo si vede a vendere gelati sullaspiaggia.-Ma non si stanca mai?- osserva Clelia.-Certo, sarebbe pure un bel ragazzo se non fosse così sudato -dice Sofia -Guarda come si veste!

Ormai tutti conoscono Amir; e anche Amir conosce tutti: aiuta glianziani a portare le valigie ai bungalow, costruisce castelli disabbia con i bambini annoiati, fa due chiacchiere quandoconsegna i gelati. Amir non è sempre stato il tuttofare delcampeggio. Lui era arrivato su un barcone, insieme a tanti altri;era partito con sua madre, ma al momento dell’imbarco lei eracapitata nel gruppo che avrebbe preso un gommone più tardi.Ora il suo obbiettivo è ritrovarla, ma per spostarsi ha bisogno didenaro e così, da qualche anno, lavora in campeggio. Semprecol sorriso.-Quanto scommettete che tra dieci secondi sentiamo chiamareAmir?- dice Andrea. E infatti: “Amiiir!”Quella sera i nostri hanno in programma una cena sullaspiaggia. È quasi buio e Flavio cerca di accendere il fuoco con irametti trovati tra la sabbia, con l’unico risultato di far ridere Cleliae Ilenia.-Guarda quei tipi laggiù quanto fumano, vedrai che avranno unaccendino da prestarci! - propone quest’ultima.-Sì, ci andate voi a chiederlo!- risponde Flavio.-Ma non ci penso nemmeno - chiarisce Clelia.-Com’è che si fa?- dice Elisabetta prendendo due legnetti estrofinandoli tra loro - Così?E dalle sue mani si accende il falò.Li raggiungono Sofia e Andrea, di ritorno da un bagno serale.L’acqua è bellissima, dicono, è calda e mette appetito. Sulla

fiamma si riscaldano i prodotti del supermercato, mentre Flavioinganna l’attesa suonando la chitarra. La cena è accompagnatadai racconti della prima trasgressione, la prima volta in motorino,la prima in discoteca, la prima in cui si sono sentiti grandi. A quelpunto passa vicino a loro Amir: stavolta vende birre.-Ehi, Amir!- lo chiama Andrea -Prendi una birra con noi?-Siamo in minoranza maschile- sorride Flavio.-Sarà finita la tua giornata … - dice Sofia, pensando: “Io sonostanca dopo tre ore di studio, lui neppure dopo dodici ore dilavoro! Ma è normale?!”Amir si unisce alla compagnia; racconta episodi buffi vissuti incampeggio, rallegrando tutti, seppur con incredulità da parte diqualcuno. Andrea infatti ride tra sé: “Ha riparato il taglia erbasenza libretto d’istruzioni, sì, come no, io neanche saprei tenereun cacciavite in mano!”Vibra un cellulare. -Dai spegnilo, almeno stasera!Ha sempre lavorato molto, spiega Amir, anche nella sua terra. -Quando sei arrivato qui?- domanda allora Sofia.E così il ragazzo inizia a ricordare il suo viaggio e, mentre il cielosi scurisce del tutto, le sue parole incantano tutto il gruppo. Èbravo a raccontare: ha fatto pratica nei giorni passati in mare,quando le storie erano l’unica fonte di allegria. A ogni sua pausail rumore regolare delle onde sembra sempre meno rassicurantequasi da far paura. Nessuno beve più la birra, sono tutti insilenzio, anche la chitarra ha smesso di suonare; a cullarli c’è

solo il mare, troppo grande, troppo freddo, troppo imprevedibile,troppo buio, così diverso da quello in cui avevano giocato pocheore prima. Mentre parla, Amir fissa le stelle, guarda lontano.Terminato il racconto, nessuno sa cosa dire. Andrea fa qualchebattuta e si cambia discorso. Sofia propone un bagno.-Andiamo, Amir!-No, nel mare no.Conserva una tristezza negli occhi quando guarda il mare, Amir.Mentre loro si avvicinano alla riva, lui volge ancora lo sguardo alcielo, chiedendosi se l’incontro di quella sera cambierà qualcosa,se mai quel gruppo diventerà il suo, o se saranno a stentoconoscenti. In ogni caso lui scrolla la sabbia dalla cassetta dibirre, che poi si mette a tracolla, e si allontana, continuando aguardare sopra di sé.Il giorno dopo Andrea è già pronto a conquistare la biondinadell’ombrellone accanto: sta rifinendo il piano e giocherellandocon la cerniera della sacca quando una pallonata lo colpisce,lasciandogli in mano la zip. Orrore puro: la borsa è di suo padre.Qualcuno si offre di riparla, mentre lui è immobilizzato dalpensiero della ramanzina che lo aspetta. Solo quando si ritrovatra le mani la sacca come nuova realizza che la sua salvatrice èproprio la biondina: i suoi sono sarti, spiega lei prima diandarsene. Andrea è turbato dalla velocità con cui lei ha risoltouna difficoltà per lui insuperabile: per la prima volta, doponumerose e invidiabili avventure, si sente inadatto, non

all’altezza di una ragazza. Desidererebbe essere come Amir,capace di sistemare ogni problema. Forse dovrà iniziare acercare dentro di sé, e non negli altri, quello che gli manca.La spiegazione di greco è troppo noiosa per essere seguita, cosìClelia ripensa all’estate appena conclusa. Sta ricordando laspontaneità del tuttofare del campeggio quando il ragazzo percui ha una cotta le passa vicino dirigendosi al cestino.-Luca- sussurra lei improvvisamente - ci troviamo per la ricercadi storia?Non sa nemmeno lei cosa l’ha spinta a essere così diretta; luiannuisce e fa un gran sorriso e lei mentalmente ringrazia Amir.Oggi Elisabetta è troppo contenta: Flavio, conosciuto tre anniprima in campeggio (chi avrebbe detto che si sarebbero rivisti),ha tratto un singolo dall’incontro con Amir di quell’estate,ottenendo un discreto successo sul web e ora si è rivolto a lei,memore della sua ampia conoscenza musicale, per promuovereil proprio album. Lei ancora stenta a crederci, dovrà pensare amail, pubblicità e dovrà riferire la grande notizia a Ilenia... Già maora Ilenia sarà all’università, alla fine si era iscritta, l’avevaconvinta Amir. Pazienza, la chiamerà dopo; ora Elisabetta vuoleconcentrarsi solo sul gelato che Flavio le ha offerto, anche pernon pensare alla stupidaggine geografica che lui ha appenadetto, perché altrimenti lo contraddirebbe.

Chissà se l’atmosfera sarebbe stata la stessa, quella sera sullaspiaggia, se Ilenia non avesse vietato la tecnologia. Sofia forsenon avrebbe chiesto ad Amir la sua storia e tra i due non sarebbenata quell’amicizia che ha portato Sofia a rinunciare allamaschera di ragazza forte, frivola e superficiale e ad accettarsiper quella che è. E così Amir, che era partito per cambiare lapropria vita, cambiò quella degli altri.

Rebecca CappelliSangue d'inchiostro, cuore di carta

Denuda uno scrittore, indicagli tutte le sue cicatrici e sapràraccontarti la storia di ciascuna di esse, anche della più piccola.Stephen KingFederico si accorse, tra un pensiero ed un altro, di avere ancorale dita sporche d'inchiostro: sfumate, minuscole chiazze nerepunteggiavano le sue mani pallide ed affusolate, strumenticortesi di un corpo giovane assuefatto al solo lavoro d'una mentecreativa. E se una parte di lui riconosceva quei segni peccatoricon una familiarità sconcertante, l'altra li ripudiava con sprezzototale. Sapeva di aver ceduto la notte prima, come tutte le altreche l'avevano preceduta, e questo lo rattristiva, lo angosciava;ma troppo forte era il richiamo della memoria dai recessi lugubridella sua mente.Non poteva che trovarsi di nuovo perso in Lei, nella rete bronzeadei suoi boccoli scuri, nella trappola soave delle sue labbrascarlatte, nella curva perlacea del suo collo scoperto. Di giorno,sotto l'invadente luce del sole, il tepore dei raggi si frapponevaorgoglioso alla disperazione delle tenebre. Era facile astenersidallo scrittoio in disordine, immerso nell'oro del mattino come iltrono di un re. Ma la notte,… oh la notte, sì, che i fantasmi diquella vita ormai lontana volteggiavano armoniosi nella testasatura di malinconia!Lo scrittore non riusciva a darsi pace, mentre l'allampanatoragazzino di fronte a lui sembrava scorgere i particolari del suo

malessere. Non avrebbe mai dovuto accettare la bizzarraintervista che diceva di avere in serbo; non ora che decine dipagine vergini giacevano riverse sulla scrivania, deflorate da uninchiostro di puro dolore.- Quindi vorresti farmi credere che saresti venuto fin qui solo perporre domande su un libro tragico?– Federico, aggrappatosi aquel poco di sicurezza interiore che gli rimaneva, pose ladomanda con sarcasmo.A quest’affermazione, Vieri Bonaccorsi tossicchiò nervosamente,il volto arrossato dalla calura del pomeriggio e negli occhi l'ardoredi chi è intenzionato ad ottenere quello che desidera.- Ascolta, ragazzino, io ho del lavoro da fare.- ripeté lo scrittorecon durezza, mentre dalla sua espressione marmorea trasparivafastidio.- La sua storia mi ha mostrato ciò, che mi circonda, con occhidiversi... La prego, signore, mi spieghi cosa c’è dietro di essa.--sussurrò imbarazzato l’adolescente, chinando la testa riccioluta. Di fronte a quella timidezza Federico rimase in qualche modoperduto, come se un frammento di quella voce sottile fossepenetrato nella sua inespugnabile rocca d'indifferenza. Nonl'avrebbe mai ammesso, ma quel moccioso possedeva qualcosadi sensibile, di emotivo, che gli ricordava un se stesso piùprofondo e più giovane. Federico si ostinò ad ignorare quellalogorante empatia, mentre si portava il filtro della sigaretta allelabbra. Fuori poteva vedere strade asfaltate, periferie grigie di

smog, poesie di marmo e cultura.Erano passati tanti anni dalla prima volta in cui aveva messopiede a Firenze, ove ogni cosa gli era sembrata grandiosa eciclopica; ove tutto ormai si era esaurito nell'economia e nelbenessere materiale a causa della Crisi, la nuova, terribile pestemoderna.Cosa contava adesso più di un impiego o della busta pagamensile? Amore, affetto, giustizia? Tutto ormai svaniva dinnanzial possedere.- Puoi cominciare con le tue domande.- annunciò lo scrittore,distogliendo la mente da tutti quei ricordi odiati.Vieri si schiarì la voce. - Perché ha fatto finire in modo terribile lastoria?-- Non ci sarebbe potuto essere un finale diverso.- spiegòFederico tagliente.Il volto del ragazzino si contrasse in una smorfia orripilata. –Perché no? Perché l'uomo esalta la morte come se poi potesseporvi rimedio?-Allo scrittore venne quasi da ridere di fronte a tanta ingenuità.- Una morte esemplare può diventare necessaria all'uomo percomprendere la vita.-- E la vita è necessaria per comprendere la morte?- un completoscetticismo era impresso nello sguardo cristallino di Vieri. -Io

penso che all'uomo basterebbe aprire gli occhi sulle meravigliedi ogni giorno per apprezzarla.-Federico, interessato da quel che si prospettava un accesodibattito, provò a replicare, ma già Vieri lo aveva sommerso conun'altra richiesta.-Se rifiuta l'amore come qualcosa di irrazionale e doloroso, comepuò criticare l'amicizia? Un vero amico e' uno dei tesori piùpreziosi: una persona pronta a sorreggerti, a darti conforto, adaccettarti...-- L'amicizia è solo una miserabile convinzione umana.– ribattéFederico. - Gli uomini moderni indossano molteplici maschere enessuno è mai sincero neppure con se stesso. Ci sarà semprequalcuno che tradirà alle spalle,che fingerà di essere qualcosache non è.-- Io non capisco il perché tanto pessimismo..- ammise titubanteil ragazzino.- Bene, Vieri, allora ti racconterò una storia.– sospirò affrantoFederico.Le verità nascoste dietro i fogli in cui ogni sera cercava diricatturare gli istanti perduti. Il tormento, la rabbia, che siimprimevano in quel sangue nero capace di dipingere il volto diLei...Sull'orlo dell'abisso, mentre i ricordi fluivano via da quegli scrittifantasma, Federico raccontò che un tempo, c'era stato un luiprofondo, visionario, impegnato a fantasticare su penne e

quaderni pieni di poesie. E come ogni protagonista, che sirispetti, anche lui aveva avuto un amico, un compagno, unfratello: si era chiamato Guido e non l'aveva mai abbandonato.Le risate, gli scherzi, i pomeriggi passati a correre sulle loro moto,come cavalieri giostranti sui loro inseparabili destrieri.Ma, per puro caso, Guido non era con Federico quella lontanasera di luglio quando i suoi occhi avevano scorto una ragazza.Ce n’erano state sicuramente di più belle, eppure lo scrittore siera impresso subito nel sangue quel volto dai lineamenti nobili ealteri.Si chiamava Contessa e dal loro incontro, le settimane eranovolate via in quella, che era parsa un' eterna primavera. Paginee pagine macchiate d’inchiostro l’avevano legatoindissolubilmente a lei, unica patrona di quel cuore di carta, cheFederico ormai sentiva pulsare nel petto; era diventata il suorespiro, la sua vita, la sua arte. Quando poi, dopo molti mesi,Guido gli aveva detto che anche lui si era fidanzato, quasi non ciaveva fatto caso. Solo l'indomani, al divertente resoconto dellaserata trascorsa dall'amico, aveva percepito il mondo crollargliaddosso.Ah, il cuore! Quale fragile, complesso e indistricabilemarchingegno di illusioni ed apparenze! Il dolore avevastrangolato Federico, uccidendo quelli che erano stati i suoi sognie le sue convinzioni. Non c'era più niente di integro in quello cheera stato il suo amore per Contessa. Eppure continuava a

pensarla, a rammentarla, a rimpiangerla. Niente era statopiù straziante che trovarsi dinnanzi a Guido perché ormai loodiava in modo assoluto, violento, con una furia che nei suoipensieri si tramutava in un pugnale omicida. Vedeva lui e la suafidanzata, rivelatasi Contessa, amarsi, concedersi, vivere allesue spalle. Perciò l’aveva allontanato e gli occhi addoloratidell’amico non l'avevano minimamente spinto a domandarsi, se,tagliarlo fuori dalla sua vita senza spiegazione, fosse statogiusto.Pronto a rifarsi una vita, lo scrittore aveva lasciato l'Università esi era trovato un appartamento. Ma presto il passato era tornatoa fargli visita: aveva trovato Contessa, un anno dopo, adaspettarlo sul pianerottolo del condominio. Le lacrime di lei, lesue scuse interrotte dai singhiozzi avevano fatto breccia nellasua meschina riluttanza e i semi di quell'amore mai morto eranotornati a fiorire. L’aveva accolta, cullata, baciata e c’era stata unapiccante delizia per Federico nell'accorgersi di poter riprendereciò che gli avevano ingiustamente rubato. Era così iniziato unsusseguirsi di notti e baci clandestini, che avevano tinto di foscola loro già complessa relazione. Ogni volta che aveva strettoContessa tra le braccia, lo scrittore aveva pensato con malignitàa Guido e si era sentito al colmo della vittoria.Quel circolo vizioso era continuato almeno finché Federico nonaveva ricevuto la visita del suo vecchio compagno. Il dispiaceree la tristezza di un Guido all’oscuro di tutto gli avevano fatto

capire che l'amore l'aveva trasformato in una bestia e da allora,non c’era stato spazio che per colpa e disprezzo.- Se l'amore è riuscito a rovinare un'amicizia sincera, forsenessuno dei due è così duraturo come si pensa.- concluse loscrittore in imbarazzo.– Dovreste chiarirvi. Se Guido è veramente suo amico comedice, la capirà. – osservò Vieri.-Peccato che non sono più il tipo che riceve consigli comequalunque amico in questione.- convenne lo scrittore con unsorriso amaro, anelando al sollievo di un'altra sigaretta.- Se lei parte da questa logica, allora anche la nostra discussioneè quella che potrebbe avvenire tra due semplici amici.- sorrise ilragazzino.Federico distratto non lo sentì:. che avesse perso la fiducia diGuido o no, doveva dirgli la verità e subito. Chissà se anche Vieriaveva voglia di fare un giro in moto…

Sofia NenciCosimo e Pepo

Cosimo e Pepo, due fanciulli che da mondi diversi provengono, grazie al loro ingegno e alla loro astuzia, riescono a mantenere salda la loro sincera amicizia, nonostante la volontà contraria del padre di Cosimo.Cordialissimi gentiluomini e amabili dame, è giunto il momento didiscorrere di quelle amicizie che superano ogni avversità, graziealla loro pronta arguzia e tenacia. È ben noto, infatti, come il cuoresincero dei fanciulli li spinga ad andare oltre il superficiale titolonobiliare.Dovete sapere, dunque, che nelle floride campagne fiorentineviveva la ricca famiglia di Don Guglielmo Bardini, un uomo severoma giusto, con il quale la fortuna era stata ben gentile daconcedergli una graziosa e docile moglie, che da perfetta consorteaveva dato alla luce Cosimo, un erede che crebbe sano di corpoe di mente, grazie all'educazione del padre.Così ingente era il patrimonio della famiglia, che i loropossedimenti si estendevano tanto in là da non poter essere scortitutti con una sola occhiata, neppur dal più alto punto della lorosfarzosa magione. E non solo i territori della residenza Bardinierano sconfinati, ma anche quelli in cui risiedeva la servitù; e purela servitù era composta da numerose famiglie di fedeli e diligentilavoratori, che senza sosta e troppo affanno governavano i campidel padrone.

Tra di queste vi era quella di Pepo, un fanciullo nato nello stessoanno di Cosimo, che per la sua astuzia era rinomato. Eranonotevoli le differenze di ceto sociale tra i due giovani, ma una cosali accomunava, qualcosa che accomunava tutti i fanciulli: la vogliairrefrenabile di giocare, che era così grande da rendere anche ivasti territori in cui si trovavano piccoli e opprimenti. Grazie aquesto capriccio spesso i due si ritrovavano sulle sponde deltorrente che fungeva da confine tra le residenze, per cercare disbriciare l'altra proibita e misteriosa parte dei possedimenti deiBardini.Fu in una di queste occasioni che i due ragazzi poteronofinalmente incontrarsi; il giovane pupillo dei Bardini si dirigevasulle sponde del ruscello con il suo fedele compagno di giochi, unvivace cane. Scorrazzando sulla riva raccolse da terra unramoscello, e lo lanciò; questo suo gesto rese l'animale talmentefelice che prese a latrare forte e ripetutamente.Tanto chiasso attirò l'attenzione di qualcun'altro che aveval'abitudine di trovarsi a vagabondare vicino al fiume: Pepo, che sene stava seduto su una roccia, cercando di acchiappare dei giriniche nuotavano nel fiume, alzò lo sguardo appena in tempo pervedere un ramo cadere nella limpida acqua, sollevando schizzicristallini.I due bambini si videro e della loro sincera, profonda amicizia fuquello il principio, un legame che andava contro ogni ostacolo: siaquelli formali -dal momento che i pargoli erano fin troppo


Like this book? You can publish your book online for free in a few minutes!
Create your own flipbook